Ici alla Chiesa, la santificazione di Monti

di Davide PASSONI

Incredibile. Ma che gli fa Mario Monti alla gente? Ora si becca anche la benedizione della Ue (dopo quella della Cei) per l’emendamento che imporrebbe di far pagare l’Ici agli immobili della Chiesa in cui si svolgono attività commerciali. Una questione che si trascina da decenni, sulla quale bastava appena accennare un “forse si potrebbe far pagare…” per sollevare polveroni, guazzabugli e scomuniche vaticane. E invece no, tutto ciò che Monti tocca continua a trasformarsi in oro. O meglio, tutto ciò che tocca non è più intoccabile, in tutti i sensi.

Stavolta è stato il portavoce del commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia a definire l’emendamento “un progresso sensibile“. E in casa nostra, pur con qualche distinguo, Pdl, Pd e persino terzo polo per bocca nientemeno che di Casini plaudono all’iniziativa di Monti.

A buon diritto, diciamo noi. Del resto, ci ha pensato il presidente dell’Anci Graziano Delrio a fare una prima stima del gettito che potrebbe entrare nelle casse comunali: circa 500-600 milioni di euro. Delrio ha spiegato che si tratta di stime prudenziali: “Alcuni stimano che il gettito sarà di 300-400 milioni, mentre l’Ifel parla di 1 miliardo di euro. La nostra stima è tra i 500 e i 600 milioni“.

Per quanto fastidiosa, visto che colpisce un bene primario come la prima casa, l’Ici (ora Imu) è un’imposta che si inserisce in un quadro europeo abbastanza uniforme, dal momento che la prima casa è quasi ovunque tassata. Inoltre, non abbiamo paura a dirlo, la scelta del governo Berlusconi di abolirla, di fatto populista e da molti applaudita, è stata un lusso che l’Italia, nelle condizioni di questi anni, non poteva permettersi. Chiedere a Monti per conferma, please. In questo quadro, la scelta di coinvolgere anche la Chiesa è condivisibile e va al di là dell’essere cattolici o mangiapreti. Ciascuno deve fare la sua parte per salvare la barca, che è la stessa per tutti.

Ici in scadenza a metà dicembre

Sta per arrivare la scadenza del saldo Ici 2011 per i proprietari degli immobili diversi dall’abitazione principale ma che coinvolge anche i proprietari di immobili che, pur costituendo abitazione principale, rientrano nelle categorie catastali A1 (signorile), A8 (ville) e A9 (castelli, palazzi di pregio artistico e storico).

L’Ici (imposta comunale sugli immobili) è la principale tassa sulla casa, risale al 1993 e costituisce una fonte di finanziamento per i Comuni. A differenza dell’Irpef, l’Ici non è un’imposta progressiva, in quanto si ottiene applicando l’aliquota fissata dal singolo Comune (che varia dal 4 al 7 per mille) al valore dell’immobile (rendita catastale rivalutata del 5%) moltiplicato a sua volta per un coefficiente fisso, in base alla categoria catastale di appartenenza:

  • 140 per la cat. B (per esempio scuole, biblioteche, uffici pubblici)
  • 100 per le cat. A (abitazioni) e C (per esempio magazzini, laboratori, box), escluse le categorie A/10 e C/1; 50 per le cat. D (per esempio alberghi, teatri, capannoni) e A/10 (uffici e studi privati)
  • 34 per la cat. C/1 (negozi e botteghe).

L’Ici viene pagata dal proprietario dell’immobile e dal possessore di terreni ed aree edificabili, in due rate – ciascuna pari al 50% dell’imposta complessiva: la prima entro il 16 giugno (c.d. acconto) sulla base delle aliquote e delle detrazioni deliberate dal Comune per l’anno precedente e la seconda entro il 16 dicembre (c.d. saldo) prendendo a riferimento l’aliquota e le detrazioni deliberate dal Comune nell’anno a cui si riferisce l’imposta (al momento del saldo, quindi, potrebbe eventualmente essere effettuato un conguaglio).

E’ bene ricordare queste modalità perché, come anticipato, una delle prime manovre varate dal Governo Monti riguarda proprio la reintroduzione di questa tassa. In attesa che tale provvedimento venga confermato, dal momento che sembra verrà riformulata con criteri di progressività, resta l’importante scadenza del prossimo 16 Dicembre, per il versamento del saldo ICI 2011, che per ora non comprende l’abitazione principale.

In linea di massima il saldo ICI 2011 si determina come differenza tra l’imposta dovuta per l’anno 2011, determinata sulla base delle aliquote e delle detrazioni deliberate dal Comune per l’anno in corso e l’acconto versato entro il 16.6.2011, con eventuale conguaglio su quest’ultimo, necessario in quanto:

  • l’acconto versato entro il 16.6.2011 era solo il 50% dell’imposta dovuta per l’intero anno, computata fra l’altro tenendo conto delle aliquote e delle detrazioni vigenti nel 2010;
  • in sede di determinazione dell’ICI dovuta per il 2011, occorre ora assumere le aliquote e le detrazioni in vigore nell’anno in corso.

Per conoscere la misura delle aliquote deliberate dai vari comuni, ci si può rivolgere direttamente ai comuni interessati o collegandosi online al sito Finanze.gov.it, accedendo alla sezione dedicata alla fiscalità locale, oppure a Webifel.it, sito internet della Fondazione ANCI.

Ricordiamo che l’imposta va commisurata al numero di mesi di possesso nel corso dell’anno; si conteggia il mese in cui la titolarità è iniziata o cessata se la frazione è superiore a 14 giorni, mentre non si computa se è inferiore o uguale a 14 giorni.
Il versamento del saldo Ici

Dal 1° maggio 2007 è possibile effettuare il versamento dell’imposta Ici oltre che con bollettino di c/c/p o versamento diretto in tesoreria, anche mediante Modello F24, utilizzando i seguenti codici tributo:

  • 3901 per abitazione principale;
  • 3902 per i terreni agricoli;
  • 3903 per le aree fabbricabili;
  • 3904 per gli altri fabbricati.

Per i soggetti titolari di Partita Iva è obbligatorio il canale telematico.

A prescindere dalle modalità scelte, l’importo da versare deve essere arrotondato all’unità di Euro. Nel caso di utilizzo del bollettino postale deve essere arrotondato solo l’importo del versamento totale, mentre quelli relativi alle singole fattispecie devono essere esposti arrotondati al centesimo.

Nel caso di omesso o carente versamento del saldo Ici è possibile ricorrere al ravvedimento operoso applicando gli interessi legali pari 1,5% dal 1° gennaio 2011 (codice tributo 3906) e le relative sanzioni (codice tributo 3907)che vanno dallo 0,2% al 2,8% se il pagamento è effettuato entro 14 giorni dalla scadenza (ravvedimento sprint); 3% se il pagamento è effettuato tra il 15° e il 30° giorno dalla scadenza (ravvedimento breve); 3,75% se il pagamento è effettuato oltre i 30 giorni dalla scadenza ed entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno della violazione (ravvedimento lungo).

Vera Moretti

Condono: un costo per lo Stato o per i cittadini?

Il condono costa di più al cittadino o allo Stato? Secondo un studio pubblicato da Il Sole 24 Ore il condono, edilizio o fiscale che sia, “costa all’Erario e ai Comuni assai più che al contribuente. Non tanto e non solo per le spese amministrative, che comunque pesano, ma soprattutto per la rinuncia al gettito ‘regolare’ che deriva dall’applicazione della sanatoria”. Negli ultimi 5 anni con le varie sanatorie applicate a fini fiscali o edilizi lo Stato ha perso 860 miliardi di euro.  E, facendo un ulteriore salto indietro nel tempo, tra il 1980 e il 1997 la rinuncia al gettito regolare sarebbe costata allo Stato ben 883 miliardi, contro un guadagno di 22,3 miliardi derivanti dalle sanatorie per il condono previdenziale.

Il condono in Italia, un’operazione che non ha eguali in nessun altro Stato Europeo, rappresenta inoltre un costo per lo Stato in termini amministrativi: le energie investite dall’Agenzia delle Entrate per l’analisi e la gestione delle domande di condono hanno impedito infatti di focalizzarsi sulle attività di accertamento fiscale. Condono e illegalità fiscale, che molto spesso si trovano a camminare a braccetto. Con la ripetuta incitazione all’illegalità infatti, che è implicita ad ogni nuovo condono, il fenomeno dell’evasione fiscale non può in alcun modo essere limitato. A soffrirne per i primi i conti pubblici, impossibilitati a far fronte al debito pubblico.

Altra piaga inalienabile, l’evasione: molto spesso c’è chi versa solo la prima rata dell’oblazione, in modo da avviare la pratica, salvo poi sparire. Come a Roma, dove sono circa 6 000 le pratiche pronte e mai ritirate.

Risultato? Continui e sempre più pressanti tagli ai bilanci dello Stato, aumento delle tasse, eliminazione delle agevolazioni fiscali. A rimetterci come sempre le fasce più deboli della popolazione, che necessitano maggiormente dell’assistenza pubblica e sociale da parte del Comune di appartenenza.

A.C.

Anticipi facili per le imprese toscane

La giunta regionale toscana ha dato il via libera a un protocollo di intesa che sarà firmato nelle prossime settimane con le associazioni degli enti locali, Unioncamere Toscana e sistema bancario per assicurare liquidità alle imprese creditrici della pubblica amministrazione.

Ci sono situazioni paradossali: imprese che hanno ultimato opere pubbliche e non possono essere pagate da Comuni e enti locali, che i soldi in cassa sempre ce li hanno ma hanno già esaurito a giugno o settembre il plafond a disposizione e si trovano nella situazione di dover rinviare tutti i pagamenti all’inizio dell’anno prossimo, infatti di norma Comuni ed enti locali hanno in cassa le risorse per fare investimenti ed aprire cantieri, ma sono costretti a rinviare gli interventi di mesi, a volte, per rispettare il patto di stabilità imposto dal governo, di anno in anno più aspro.

“Un corto circuito che, oltre a ritardi nei lavori, crea evidenti danni all’economia e alle aziende, in difficoltà nel pagare fornitori e lavoratori. Da qui l’accordo con le banche che abbiamo portato in giunta ieri per aiutare le aziende creditrici a farsi anticipare quanto dovuto: più velocemente e con procedure più snelle, ma soprattutto con costi e tassi di interesse” annota l’assessore regionale al Bilancio Riccardo Nencini.

 

Marco Poggi

Bloccati 33 miliardi di euro di pagamenti dai Comuni

I Comuni bloccano 33 miliardi di euro di pagamenti, e “La causa di questo mancato pagamento  va ricercata nelle disposizioni previste dal Patto di stabilità interno, che per ragioni di contenimento della spesa pubblica, non consentono il pagamento di lavori o di forniture ricevute. Il paradosso è che in questa condizione di insolvenza si trovano molte realtà comunali che, pur avendo i soldi, non possono saldare le spettanze, altrimenti non rispetterebbero più i vincoli previsti dal Patto. Un danno economico non di poco conto, che penalizza soprattutto le piccole imprese e le aziende artigiane che devono attendere tempi biblici per ricevere le loro spettanze”, commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

Il Comune di Roma presenta la quota di spesa non onorata più alta di tutti: l’importo, al 31 dicembre 2009 (ultimo dato disponibile), è pari a 6,26 mld di euro. Seguono Milano, con 3,85 mld di euro e Napoli, con 3,39 mld di euro. Rispetto alla fine del 2008, l’incremento percentuale medio nazionale dei residui passivi è stato del + 5,4%.

In termini pro capite,  il Comune meno virtuoso è quello di Avellino, con un ammontare complessivo di pagamenti non effettuati pari a 3.754 €.

Segue Carbonia con 3.622 €, Salerno con 3.608 € e, al quarto posto Napoli con 3.529 €.

In una fase di grave crisi economica mettere in pagamento oltre 33 miliardi di euro sarebbe una boccata di ossigeno non indifferente per migliaia e migliaia di piccole imprese. Se in questa elaborazione abbiamo analizzato solo la situazione dei Comuni capoluogo di Provincia, in capo ai Comuni non capoluogo stimiamo vi siano altri 7 mld di pagamenti non erogati. Infine, non dimentichiamo che ci sono altri 35/40 mld di euro di crediti che le imprese avanzano dalle Regioni in materia di sanità, per questo è urgente che il Governo intervenga subito per il bene delle piccole imprese e dei loro occupati”. conclude il segretario.

Marco Poggi