Concordato preventivo biennale esteso, cosa cambia

Tra le principali novità previste per i titolari di partita Iva, vi è la possibilità di accedere già a partire dal 2024 al concordato preventivo biennale, un vero e proprio accordo con il Fisco per la tassazione di due anni successivi.

Il concordato preventivo biennale in prima stesura

Il concordato preventivo biennale nasce con l’obiettivo di semplificare i rapporti con il Fisco attraverso una tassazione frutto di accordo e valida per due anni, in questo modo non è necessario presentare dichiarazioni e seguire adempimenti, inoltre si sa fin da subito quante tasse si pagheranno. Si tratta per il contribuente di una sorta di scommessa perché, se effettivamente c’è un maggiore guadagno rispetto all’anno preso come punto di riferimento, vi è un risparmio di imposta, ma se si guadagna di meno, vi è una perdita.

Nella prima formulazione disponibile, il concordato preventivo biennale prevede dei limiti, ovvero non possono accedervi i titolari di partita Iva che abbiano un punteggio ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale) inferiore a 8. Perché tale esclusione? Perché il Fisco parte dal presupposto che un contribuente che abbia un punteggio Isa inferiore a 8 non sia affidabile dal unto di vista fiscale e di conseguenza è bene applicare una tassazione analitica anno per anno anche con maggiori controlli.

Di fatto chi accede al concordato preventivo facendo un accordo che implica l’esclusione dalla tassazione sui redditi effettivi prodotti per i due anni, non è sottoposto a controllo sui redditi dichiarati.

Come cambia il concordato preventivo biennale

Partendo da tale riflessione è stata proposta l’estensione del concordato preventivo biennale anche ai contribuenti con un punteggio Isa inferiore a 8. Nonostante l’eliminazione del punteggio Isa come causa ostativa all’accesso, resta la valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di tale parametro (ne deriva che nella proposta di tassazione l’AdE può prendere in considerazione l’affidabilità fiscale).

Queste non sono le uniche proposte formulate che potrebbero portare a modifiche al concordato preventivo biennale infatti è previsto anche il limite di aumento del reddito concordato fissato al 10% rispetto al reddito dell’anno di riferimento. Infine, sono previsti corsi di formazione professionale per professionisti a elevata specializzazione impegnati nel rilascio della certificazione del rischio fiscale le cui spese saranno a carico degli ordini professionali e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

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Concordato preventivo: l’accordo che evita di dichiarare fallimento

Il concordato preventivo è un accordo proposto dall’imprenditore in stato di insolvenza, ma non ancora fallito. Ecco come funziona.

Cos’è e come funziona l’accordo

Il concordato preventivo è un accordo concluso, sotto il controllo e con l’approvazione del tribunale, tra l’imprenditore insolvente e i creditori, volto a soddisfare integralmente i creditori privilegiati e in misura percentuale per i creditori. Il concordato preventivo non va confuso con il concordato fallimentare. Infatti il concordato preventivo viene proposto dall’imprenditore già in stato di insolvenza, ma non ancora fallito. Mentre nel secondo caso viene proposto dall’imprenditore per chiudere il fallimento. Infine per procedere al concordato preventivo l’imprenditore deve possedere determinati requisiti soggettivi e proposta di concordato deve rispondere a determinate condizioni.

Concordato preventivo: alcuni requisiti soggettivi

L’imprenditore commerciale può proporre ai creditori un concordato preventivo, soltanto se esistono determinati requisiti. E così l’imprenditore commerciale:

  • deve essere iscritto da almeno un biennio nel registro delle imprese o almeno dell’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata;
  • deve avere tenuto una regolare contabilità per lo stesso periodo;
  • non deve essere dichiarato fallito e neanche ammesso a procedure similari;
  • non deve essere stato condannato per bancarotta o per delitti contro il patrimonio.

La proposta che accompagna il concordato preventivo

La proposta di concordato può essere ammessa se risponde a una delle seguenti condizioni. Il debitore deve offrire di pagare integralmente i crediti privilegiati. Almeno il 40% dei crediti chirografari entro 6 mesi dalla data di omologazione del concordato, fornendo seri garanzie reali o personali. Inoltre può anche essere proposta una dilazione di pagamento. In alternativa il debitore può offrire ai creditori per il pagamento dei suoi debiti la cessione di tutti i suoi beni.

Questo è possibile purché la valutazione dei beni, faccia ritenere che i creditori privilegiati possano essere soddisfatti almeno nella misura del 40%. Infine con la prima proposta di concordato l’imprenditore può evitare la liquidazione dell’impresa, mentre non la può evitare con il concordato per cessione di beni.

Tutta la procedura da seguire

La procedura ha inizio con la domanda di ammissione al concordato preventivo che l’imprenditore insolvente deve presentare al tribunale. Il tribunale deve essere lo stesso di dove ha sede l’attività. La domanda ha una struttura rigida. Deve infatti contenere le cause che hanno portare all’insolvenza. Ad esse vanno anche allegate le scritture contabili, l’elenco dei creditori e una descrizione con la stima delle attività. Il tribunale deve dare un “giudizio” sulla procedura.

Se il tribunale ritiene la domanda inammissibile, dichiara d’ufficio il fallimento dell’imprenditore. Se invece il tribunale la riconosce ammissibile, dichiara con decreto aperta la procedura di concordato preventivo e nomina il giudice delegato ed il commissario giudiziale. Inoltre ordina la convocazione dei creditori non oltre 30 giorni dal provvedimento. Ed infine ordina all’imprenditore di versare, in cancelleria, le quote per la copertura delle spese della procedura.

L’approvazione della procedura di concordato

Dichiarata aperta la procedura, il commissario procede alla verifica dell’elenco dei creditori presentato dall’imprenditore e comunica la data di convocazione dell’adunanza dei creditori e le proposte del debitore. Inoltre è suo obbligo procedere alla redazione dell’inventario del patrimonio del debitore e una relazione sulla causa dell’insolvenza. Dopo di che si passa all’adunanza dei creditori per esaminare ed approvare la proposta di concordato. L’approvazione della proposta deve essere data dai creditori con voto esplicito.

Se la proposta è respinta dai creditori il tribunale dichiara il fallimento del debitore. Se invece la proposta è accettata si apre il giudizio di omologazione. Il tribunale emette una sentenza di omologazione, se accertata la sussistenza delle condizioni di ammissibilità, la regolarità della procedura e che il concordato sia economicamente conveniente per i creditori. Se non sussistono queste condizioni, il tribunale può dichiare invece il fallimento del debitore.

Le novità introdotte nel 2012

Nel 2012 c’è stata una riforma del concordato preventivo. Questa ha introdotto alcune novità in merito. Tra queste:

  • a possibilità di presentare il piano anche dopo la presentazione della domanda (cd. concordato in bianco o preconcordato o concordato con riserva), riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta). Fino al decreto di apertura del concordato preventivo il debitore, previa autorizzazione del tribunale, può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili dall’attivo. Si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell’attività produttiva dell’imprenditore in concordato;
  • la possibilità di accedere allo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti anche dopo aver presentato la domanda di ammissione al concordato preventivo;
  • la possibilità, per il debitore che sia in procinto di presentare un piano di concordato preventivo o una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, di ottenere “finanza ponte” prededucibile all’esito di apposito vaglio di congruità e funzionalità effettuato dal professionista nella propria relazione;
  • l’introduzione di un’apposita disciplina del concordato con continuità aziendale ovvero il concordato che prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione; il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa;
  • il blocco delle azioni esecutive e cautelari dalla data di pubblicazione della domanda;
  • l’obbligo di attestazione della veridicità dei dati aziendali per il professionista che redige il piano di risanamento.

Record di fallimenti? Ecco come gestire la crisi aziendale

Sono dati allarmanti, seppur ampiamente prevedibili, quelli resi noti nei giorni scorsi dal Cerved: nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. Numeri che rendono chiara, una volta per tutte, la drammaticità della situazione in cui versano gli imprenditori nostrani, impegnati ogni giorno in sforzi sovrumani, sia personali sia finanziari, per tenere in piedi la propria azienda alle prese con numeri perennemente in negativo.

Come gli imprenditori in questo delicato periodo sanno bene, se dall’analisi dei dati finanziari si evidenza una situazione ormai inevitabilmente compromessa e ai limiti della sopportazione, è opportuno passare immediatamente alla messa in liquidazione dell’impresa, alla cessione o, se si possiedono i requisiti, alla procedura concorsuale per evitare (ulteriori) inutili sprechi d’energia. Ma se c’è ancora un briciolo di speranza, allora, l’imprenditore ha il dovere morale di tentare altre possibili soluzioni…

Se, analizzando con accuratezza le cifre e i dati, si ritiene di poter uscire dalla crisi si porranno in atto azioni di risanamento e di ristrutturazione profonda dell’azienda in crisi che si sviluppa principalmente in due momenti: il primo volto a porre termine alle cause che hanno portato alla crisi dell’azienda, nel minor tempo possibile, il secondo volto al perseguimento di un piano di recupero della redditività nel brevissimo periodo. Oltre ai piani di risanamento, da valutare con estrema ponderazione, l’azienda potrà usufruire degli altri strumenti che la legge le mette a disposizione come, per esempio, il concordato preventivo.

Per le aziende che si trovano ad affrontare una (momentanea) crisi di liquidità, infatti, la legge contempla anche altre possibilità che non necessariamente portano alla dichiarazione di fallimento e alla cessazione. Se in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, l’imprenditore può evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni creditorie. Regolato dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942, il concordato è detto appunto “preventivo” per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario.

Per gli enti pubblici – ma anche le assicurazioni, le cooperative e i consorzi obbligatori, cioè quegli organismi che “svolgono un’attività di pubblico interesse, che hanno subito un’investitura diretta o indiretta dallo Stato o che subiscono da questo una certa ingerenza nella gestione” – è possibile ricorrere alla liquidazione coatta amministrativa, un procedura concorsuale che punta, infatti, a tutelare l’interesse pubblico. L’apertura del procedimento di liquidazione, inoltre, preclude al creditore le azioni in sede di giurisdizione, poiché i creditori devono far valere le proprie istanze nella procedura amministrativa di accertamento dei crediti attuata dal commissario.

Jacopo MARCHESANO

 

Fallimenti e privatizzazioni, lo Stato ci prova…

Nel corso di questa nostra settimana dedicate alle imprese italiane in crisi e all’uso distorto delle procedure prefallimentari, abbiamo cercato di delineare meglio una situazione sempre più caotica e in alcuni casi drammatica. Abbiamo appurato come il ricorso al concordato preventivo sia spesso una scorciatoia per non rispettare gli impegni presi, soprattutto se non si raggiunge una percentuale di soddisfacimento dei creditori almeno del 25- 30%, ma come spesso accade il reale problema è la capacità di prevedere il futuro dell’azienda che accede al concordato e capirne il vero valore sul mercato.

Per evitare il drammatico fallimento di aziende storiche italiane, creature e proprietà dello Stato, negli ultimi anni la tendenza è stata quella di privatizzare quelle in oggettiva e irrimediabile difficoltà economica, ma in pochi casi l’imprenditoria nazionale ha saputo cogliere l’opportunità immensa del trasferimento di centinaia di imprese dalla proprietà pubblica alla mano privata. Inutile ricordare come gli affari migliori negli scorsi anni furono realizzati dalla famiglia Benetton, che in tre diverse tornate si aggiudicò Autostrade, Autogrill e Gs.

In questi giorni sul tavolo del consiglio dei ministri sono in ballo privatizzazioni per ben 12 miliardi di euro, partendo dalle cessioni di quote minoritarie di Cdp Reti, Stm, Enav, Fincantieri e successivamente anche del 3% dell’Eni (che da sola porterà 2 miliardi), che in parte andrebbero per la ricapitalizzazione della Cassa depositi e prestiti e alla riduzione del debito pubblico nel 2014. “Contiamo che tutto ciò possa possa dare risultati in tempi brevi, ma abbiamo intenzione di privatizzare anche altri soggetti per i quali sarà necessaria un’istruttoria di più lunga durata” ha dichiarato ieri il premier Letta. Ma la partita rimane complicatissima, trovare un compratore, che sia possibilmente quello giusto, non sembra propriamente un gioco da ragazzi…

Jacopo MARCHESANO

Boidi: “Imbarazzanti le percentuali con cui si chiudono i concordati”

 

Come anticipato negli scorsi giorni, a Torino si è tenuto un workshop dedicato alle procedure fallimentare, coordinato dalla Synergia Consulting Group, che è stata anche l’occasione per analizzare e commentare gli ultimi inquietanti dati forniti dal Cerved sui numeri dei fallimenti in Italia. In merito abbiamo incontrato il dott. Massimo Boidi, commercialista e presidente dell’alleanza professionale, per comprendere meglio il fenomeno.

Dott. Boidi, a proposito del workshop dei giorni scorsi a Torino, arriviamo subito al punto: uso o abuso delle procedure prefallimentari?
Dopo aver sentito le relazioni e le opinione della tavola rotonda del workshop “La crisi di impresa. Le nuove procedure pre-fallimentari: uso o abuso?”, possiamo concludere che forse è più corretto parlare, non tanto di abuso, quanto di uso distorto delle procedure. Oggi le percentuali con cui si chiudono i concordati a favore dei creditori sono troppo basse, se le aziende fornitrici si trovano sulle spalle tre concordati in un anno, con queste percentuali imbarazzanti, subiscono loro stesse ripercussioni importanti sui conti.

C’è qualcosa che dovrebbe cambiare per migliorare e snellire le procedure?
Secondo la mia modesta opinione, per assimilare sempre più il concordato in bianco a quello che è il Chapter 11 statunitense dovremmo pensare ad un concordato in continuità, cioè quello che assicura, con la medesima struttura, una volta sanate le posizioni pregresse, di continuare l’attività. Il fatto che molti concordati in bianco siano stati presentati dopo azioni straordinarie di affitto o cessioni di aziende, lasciando la società che chiede il concordato in una situazione di bad company, è un segno dell’uso distorto delle procedure. Tornare a delle percentuali predefinite più alte per i creditori, sicuramente aiuterebbe il sistema. Suggestiva l’ipotesi fatta dal dottor Panzani, il presidente del Tribunale di Torino, di inserire la cosiddetta procedura d’allerta, che già esiste in Francia, una sorta di colloquio privato tra l’imprenditore e il tribunale, in cui il titolare dell’azienda comincia a segnalare uno stato di difficoltà oggettiva. Oggi, in definitiva, il fallimento non può essere un marchio indelebile che un imprenditore deve portarsi dietro tutta la vita, se si potesse cambiare il nome passando ad un più sobrio “procedura liquidatoria”, forse avrebbe un impatto differente a livello psicologico.

Quali sono le tipologie di imprese che si rivolgono di più alle procedure prefallimentari?
Soprattutto le aziende manifatturiere, quelle industriali piuttosto che quelle dell’ambito commerciale. Anche il comparto costruzioni e il settore dell’automotive, sono le filiere dove maggiormente si richiede il concordato. In fatto di territorialità, invece, fra tutte spicca la regione Lombardia e le regioni dell’Italia nord-orientale.

Jacopo MARCHESANO

Uso o abuso delle procedure pre-fallimentari?

 

“La crisi di impresa. Le nuove procedure pre-fallimentari: uso o abuso?” è stato il tema quest’anno del workshop nazionale di Synergia Consulting Group – alleanza professionale di 14 studi di commercialisti presieduta da Massimo Boidi, che offre servizi di consulenza aziendale, in materia di bilancio e contabilità e servizi di corporate finance – svoltosi nei giorni scorsi a Torino.

Durante il convegno nel capoluogo piemontese sono stati presentati e commentati gli ultimi dati resi noti sulla crisi di impresa e sopratutto sul concordato preventivo, la procedura concorsuale attraverso la quale l’imprenditore ricerca in ultimissima istanza un accordo con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito e cercare di arginare lo stato di crisi che attanaglia l’impresa. In Italia nell’ultimo anno sono state presentate la bellezza di 5mila domande di concordato “con riserva”, delle quali il 36% delle istanze si trasforma in concordato, evitando così il temibile fallimento. Si tratta di reali operazioni di salvataggio dell’azienda oppure una semplice tattica per procrastinare i pagamenti a danno dei creditori?

Domanda sorta spontanea dopo la statistica che rileva come un’azienda su quattro che ha presentato una domanda di concordato in bianco è stata più o meno casualmente coinvolta – nei dodici mesi precedenti l’istanza per evitare il fallimento – in un’operazione di cessione di rami d’azienda. In questi giorni cercheremo di approfondire la questione…

Jacopo MARCHESANO

Cerved: “Rendere più rapida l’uscita dal mercato delle imprese in crisi irreversibile…”

In questa nostra settimana dedicata ai fattori che, ogni anno, portano al fallimento e alla chiusura di migliaia di imprese, abbiamo incontrato Guido Romano, responsabile dell’Ufficio Studi di Cerved Group, società leader in Italia nell’analisi delle imprese e nello sviluppo dei modelli di valutazione del rischio di credito, che ha accertato un bilancio ancora difficile per il sistema delle imprese italiane: 2.500 fallimenti, 14.000 liquidazioni volontarie e oltre 680 procedure di insolvenza diverse dai fallimenti.

Dott. Romano, quali sono i settori maggiormente colpiti da questa prevedibile ecatombe?

Se consideriamo i primi nove mesi di quest’anno, il settore nettamente più colpito è senza dubbio quello delle costruzioni, come del resto negli scorsi anni. A pagare un prezzo altissimo, ovviamente, sono state le imprese che risultavano già deboli prima della crisi economica e che l’odierna congiuntura non ha favorito la ripresa.

Quali provvedimenti andrebbero attuati per arginare questo fenomeno?

Dei piccoli miglioramenti della disciplina fallimentare di fatto sono già stato operati in questi mesi con le correzioni del concordato preventivo, mirati a favorire il superamento della crisi affinché la procedura concorsuale attraverso la quale l’imprenditore ricerca un accordo con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito possa finalmente risolvere le crisi d’impresa. La cosa importante adesso è da una parte rendere più rapida l’uscita dal mercato delle imprese in crisi irreversibile e dall’altra aiutare le imprese in crisi temporanea a ristrutturarsi, per adesso le correzioni apportate al sistema del concordato preventivo sembrano andare nel verso giusto.

Come si preannuncia il trend per i prossimi mesi?

Per i prossimi mesi ci aspettiamo ancora un parziale in negativo ovviamente, ma leggermente migliore rispetto a quest’anno. Forse il 2014 non sarà ancora l’anno della ripresa definitiva, ma siamo fiduciosi…

Jacopo MARCHESANO