Il Cnf ha stabilito importanti novità su formazione continua e regolamento sulle specializzazioni

Il Consiglio Nazionale Forense ha fissato delle novità per quanto concerne  il recupero dei debiti formativi, ha approntato un riesame del testo delle specializzazioni ed è stato previsto inoltre l’invio di un questionario su mediazione e formazione permanente al fine di verificare la “salute” degli Ordini e vagliare eventuali supporti da parte del Consiglio nazionale. Sono questi i punti salienti sanciti nei giorni scorsi con tre delibere decise durante la seduta amministrativa del 22 gennaio scorso.

Gli avvocati che non abbiano maturato nel primo triennio (2007-2010) di applicazione del regolamento relativo alla formazione permanente potranno recuperare 15 crediti entro il 31 luglio prossimo impegnandosi a proseguire con la formazione continua relativa al triennio successivo. Il Cnf ha ritenuto di concedere questa possibilità poichè i primi tre anni hanno costituito una fase sperimentale e si possono essere riscontrati problemi organizzativi. E’ comunque stato ribadito che “E’ doveroso procedere a una prima verificare attenta e puntuale sull’assolvimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti per avere una quadro dello stato della formazione ma anche per la presenza di riflessi deontologici dell’adempimento dell’obbligo“.

Entro il 28 febbraio le associazioni forensi avranno la possibilità di esprimere le loro osservazioni così da riesaminare il testo del regolamento sulle specializzazioni, la cui entrata in vigore è prevista per il 30 giugno 2011.

Per rendere “più proficuo e intenso” il rapporto con gli Ordini inoltre, il Cnf ha costituito la commissione Servizi agli Ordini e agli avvocati, coordinata da Carla Broccardo. Il Consiglio in particolare ha inviato un questionario in materia di mediazione e formazione continua per conoscere dagli Ordini l’ intenzione di accreditarsi come organismo di conciliazione o come ente formatore; la messa a disposizione dei locali nei tribunali; l’avvenuta stipula della polizza assicurativa. Il questionario permetterà anche di conoscere il numero di eventi formativi organizzati; la quota prevista a carico degli iscritti (qualora sia presente); le modalità di verifica dell’assolvimento dell’obbligo formativo; conoscere eventuali  inadempimenti; valutare la fissazione di 90 crediti formativi rispetto ai 50 attuali.

Mirko Zago

Cnf e Ordini forensi: impegno comune su avvocatura e giustizia

Durante la riunione del Consiglio nazionale forense con i presidenti dei Consiglio nazionale forense e delle Unioni regionali, svoltasi nei giorni scorsi a Roma, è stato ribadito l’impegno comune tra Cnf e Ordini per un confronto costante sulle questioni relative ad avvocatura e giustizia.

La riunione ha evidenziato la grave situazione dell’avvocatura, resa ancora più acuta dalla crisi economica e dal ritardo con cui procede l’approvazione della riforma forense, dalle attività suppletive a cui provvede l’avvocatura per far funzionare la macchina della giustizia e dalla imminente applicazione dei decreti sulla mediazione. A questo proposito, i presidenti degli ordini hanno comunicato che molti presidenti dei tribunali non hanno assegnato le aule per allestire gli organismi di conciliazione, che il numero dei conciliatori è insufficiente a garantire l’immediata effettuazione del servizio e che gli organismi di conciliazione hanno difficoltà a dotarsi di copertura assicurativa; la ristrettezza dei tempi impedisce infatti di organizzare un servizio efficace e utile a smaltire la mole dei procedimenti.

Tutte ragioni oggettive che impongono una proroga dell’entrata in vigore della legge, anche se il confronto ha ribadito la necessità che la legge sia modificata per introdurre, tra l’altro, l’assistenza tecnica, la cui omissione non garantisce una adeguata tutela dei diritti con grave danno dei cittadini e del Paese, ed eliminare la obbligatorietà.

Si è anche ribadito l’impegno del Cnf, degli Ordini, delle Unioni a realizzare risultati concreti come l’immediata calendarizzazione alla Camera della riforma forense, la modifica della legge sulla mediazione, il miglioramento del testo sulle specializzazioni, il confronto continuo sulle riforme del sistema giustizia.

L’Avvocato specialista è quello che ci vuole per una maggiore qualificazione professionale.

“Andare avanti con la definizione delle regole per attribuire agli Avvocati il titolo di specialista nella varie aree del diritto. Strada obbligata per garantire maggiore qualificazione professionale anche e soprattutto a tutela del cittadino.”

 È questa l’indicazione che è emersa in occasione della riunione dei presidenti dei Consigli dell’Ordine lo scorso 18 settembre a Roma. La bozza, predisposta dal Consiglio nazionale forense prima della pausa estiva e inviata agli Ordini e Associazioni per le osservazioni, ulteriormente modificata sulla scorta di quest’ultime, disciplina le modalità per l’acquisizione del titolo di avvocato specialista e il suo mantenimento, principalmente attraverso la definizione delle aree di specializzazione e di un percorso per l’acquisizione del titolo segnato dalla frequenza di corsi specializzanti e da un esame presso il Cnf.

Il presidente Guido Alpa ha sottolineato la necessità di varare il regolamento concepito come un ulteriore strumento per l’attuazione delle concezioni fondanti ed ispiratrici della proposta di riforma della professione forense e che tendono ad una maggiore qualificazione professionale.

Fonte: Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale Forense

“Diventa avvocato senza esame di abilitazione”: il Consiglio nazionale forense contro Cepu.

Il Consiglio nazionale forense prende una posizione dura contro la pubblicità Cepu apparsa sui principali quotidiani nazionali, sia economici che generalisti, che sembra promettere l’acquisizione automatica del titolo di avvocato abilitandosi in Spagna. E lo fa presentando un esposto all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato per far valere l’articolo 20 del Codice del Consumo-Divieto delle pratiche commerciali scorrette in quanto ingannevoli (articoli 21 e 22).
L’esposto è stato depositato lo scorso  28 luglio.
Secondo Consiglio nazionale forense, il messaggio pubblicitario non è veritiero perché riporta l’offerta di un servizio “inesistente o comunque del tutto difforme” da quello realmente offerto. Tanto che, a una ricerca più approfondita sul sito internet, la società descrive i passaggi della procedura condizionati ad attività e istanze che l’interessato deve svolgere di persona e tutte soggette a valutazioni tecniche e di merito delle competenti amministrazioni, spagnole e italiane. “ In buona sostanza il risultato propagandato non costituisce un risultato conseguibile con certezza e in maniera automatica, in quanto il riconoscimento è il risultato di scelte discrezionali operate dai competenti organi nazionali” rileva il C.n.f. citando anche gli stessi provvedimenti dell’Antitrust.

Quindi “il messaggio proposto viola l’articolo 21, comma 2, lettera b del dlgs 205/2005, perché idoneo a indurre in errore il consumatore circa l’esistenza e la natura del prodotto”. Viola inoltre la lettera c dello stesso articolo perché induce in errore rispetto “alla portata degli impegni del professionista”, visto che l’attività svolta dalla società non si stende, né potrebbe, fino a garantire o agevolare il processo di riconoscimento dei titoli. Non solo. Il Consiglio nazionale forense denuncia anche l’omissione di informazioni fondamentali che il consumatore-utente dovrebbe conoscere (articolo 22, comma 1), laddove omette di chiarire che c’è una “concreta possibilità che l’Ordine forense rifiuti l’iscrizione dell’istante abogado rilevando l’abuso dello strumento comunitario”, e l’omissione di riferimento alle conseguenze giuridiche dell’attività proposta, non chiarendo i vincoli di legge e i rischi connessi al provvedimento di riconoscimento artificioso dei titoli (per esempio una cancellazione ex post in occasione della revisione annuale degli albi).

fonte: Ufficio Stampa del Consiglio nazionale forense

I giovani Avvocati sperano nel marketing ma non usano le teconologie.

Presentati a Casamassima (Bari), lo scorso 9 luglio i risultati della ricerca “Giovani avvocati, così altrove o altrimenti”, prima indagine dell’Osservatorio permanente giovani avvocati creato su iniziativa del Consiglio nazionale forense con la collaborazione di Aiga e LexExpo
La rilevazione è consistita in un questionario inviato per mail a giovani avvocati iscritti alla cassa forense, individuati nella fascia di età compresa tra i 25 e 38 anni. L’obiettivo è stato quello di analizzare il percorso professionale dei praticanti e dei giovani avvocati e delle motivazioni che ne hanno accompagnato le scelte. Cosa ne è uscito fuori da questo sondaggio? La ricerca ha evidenziato che i giovani avvocati scelgono la professione perché amano il diritto (80%) e non certo per le aspettative di reddito (6%), molti perché proseguono una tradizione familiare. Non si aspettano di guadagnare, tanto che indicano come livello reddituale confacente al proprio impegno professionale la fascia più bassa tra quelle proposte, ossia da 30mila a 50mila all’anno. Di converso, i punti critici di debolezza che accompagnano la scelta della professione sono la difficoltà ad accedere a un reddito in tempi ragionevoli (73,5%), soprattutto per le donne e per coloro che fanno parte di studi di dimensioni medio-piccole, l’incapacità di attrarre clientela (6%), e il risiedere in una zona depressa (5,4%). Sotto il profilo del reddito, appaiono più penalizzati i giovani avvocati che hanno aperto uno studio con altri colleghi limitandosi dividerne le spese; mentre sembrano premiati coloro che scelgono l’associazionismo.

Tra le opportunità di crescita, i giovani avvocati annoverano l’associazione con altri colleghi (43,1%) e il marketing (33%), insomma uno svolgere la professione “altrimenti”. La cifra dell’”altrove” è preferita nelle regioni meridionali, dove si vorrebbe cambiare studio, cambiare città o regione, andare all’estero.
Interessantissimi i risultati relativi al rapporto dei giovani avvocati con la clientela. Come si contattano i clienti, si applica o no il tariffario? La maggior parte degli intervistati (33%) entra in contatto con i clienti tramite il passaparola, il 29% per conoscenza personale. Tuttavia il numero degli incarichi ottenuti dalla maggioranza (36%) è inferiore alle aspettative. Il 40% degli intervistati dichiara di applicare una tariffa mista tra quella tabellare e quella forfetaria, “dimostrando che è consuetudine tra i giovani derogare alle tariffe per acquisire clientela”.

Quanto invece all’utilizzo della tecnologia, gli avvocati, seppur giovani sono troppo legati alla carta e all’inchiostro, infatti solo il 29,7% dichiara di utilizzare un software gestionale; solo il 22% lavora in studi che hanno un sito web e usano la rete come strumento di comunicazione e promozione professionale. Insomma, emerge un’inspiegabile distinzione tra l’uso personale e quello professionale che i giovani avvocati fanno delle nuove tecnologie: assiduo ed evoluto il primo; pressoché nullo e limitato alla scrittura degli atti il secondo.

Infine, la ricerca prova a indagare anche il lato della domanda delle imprese di servizi legali come base per comprendere come e verso quali ambiti di attività indirizzare i giovani: sono state 703 le aziende contattate, tutte con studi legali interni per una maggiore facilità. Il 94% fa ricorso all’assistenza di uno studio legale esterno, di fiducia o specializzato. Lo fa per la gestione del contenzioso e degli arbitrati; la modalità di tariffazione applicata è quella mista (tariffaria, oraria, forfettaria). I settori del diritto più richiesti sono il contenzioso societario o commerciale, il diritto del lavoro, il diritto industriale.

Fonte: Ufficio Stampa del Conisglio Nazionale Forense

Donne Avvocato: per avere successo serve una formazione adeguata.

“Poiché, come tutti concordano, l’acquisizione delle pari opportunità delle donne nell’ambito delle professioni legali è, innanzitutto, un fatto culturale, il Consiglio nazionale forense ha istituito in questa ultima consiliatura, una commissione ad hoc per studiare il problema e per assumere le iniziative più adeguate”.  Così il presidente del Consiglio nazionale forense, Prof. Guido Alpa è intervenuto al convegno organizzato dal Consiglio superiore della magistratura dal titolo “Le donne nelle professioni legali di domani”, tenutosi a Roma nella scorsa settimana. Sono intervenute al convegno anche Carla Guidi, coordinatrice esterna della commissione Pari opportunità del Cnf e Ilaria Li Vigni, una delle componenti.
“La promozione culturale però costituisce solo l’avvio delle iniziative necessarie” che potranno partire dai risultati della recente ricerca promossa dal Cnf (tramite la Commissione pari opportunità) e Aiga e affidata al Censis. La ricerca ha evidenziato come le iscritte alle facoltà di Giurisprudenza e le laureate battono per numero i loro colleghi maschi. Ma una volta intrapresa la carriera di avvocato, sono gli uomini a farsi strada prima e con maggior facilità. Secondo il 67,7% delle professioniste, infatti, nell’ambito dell’avvocatura non esistono pari opportunità. Le 401 professioniste intervistate sono convinte che nell’avvocatura siano impiegate poche donne (91,1%)e che per loro esistano forme di discriminazioni (88,8%). Ammettono anche che i figli e la famiglia possono essere un ostacolo alla carriera (58,9%) ma per avere successo serve una formazione adeguata (46,3%, contro il 28,8% degli uomini) piuttosto che tanto tempo a disposizione (necessario solo per il 18,4%, contro il 30% degli uomini). Le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare con la famiglia e i minori (68,5%), con la proprietà/locazioni e condomini (55,2%), con la contrattualistica (52,1%), l’infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%). Al contrario, un numero esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda i reati societari (2,6%), i reati contro o i conflitti con la pubblica amministrazione. (rispettivamente il 3,8% e l’8,2%), le questioni bancarie (8%) e le società in generale (12%). Più consistente, ma sempre piuttosto ridotta, la percentuale delle donne avvocato che si occupano di fallimenti (17,1%), di reati contro la persona (18,1%) o di lavoro (27,9%). “Si vede che la materia praticate sono ancora in un certo senso viziate dal pregiudizio della minore preparazione tecnica o dalla maggiore sensibilità per temi considerati di natura femminile”, spiega Alpa.
La disparità di trattamento rispetto ai colleghi maschi passa anche attraverso una marcata asimmetria nelle retribuzioni. Sono infatti addirittura l’85,7% (ma si arriva a una percentuale dell’87% nel caso delle sposate, dell’88,5% nel caso delle associate e del 90,6% nel caso delle professioniste che esercitano nell’Italia centrale) le donne avvocato intervistate che denunciano una capacità di guadagno nettamente differente (e in generale inferiore) rispetto agli uomini. Il fattore che più contribuisce a rendere critica la condizione professionale dell’avvocatura viene individuato dalla maggioranza delle intervistate (56,7%) nel «numero crescente dei colleghi». L’insufficienza o la mancanza di risorse materiali può essere poi di impedimento per una professionista, sia pure preparata e motivata, a svolgere, se non addirittura ad avviare, la sua attività. Così al secondo posto della graduatoria dei fattori che rendono critica la condizione professionale dell’avvocatura si trova «la difficoltà a far crescere lo studio» (lo afferma il 32,7% delle intervistate) o, al quinto, «la difficoltà di aprire uno studio» (15,5%). “La parità nel mondo forense non è ancora raggiunta”, commenta Alpa.

fonte: Ufficio Stampa del Consiglio nazionale forense

Curatori fallimentari: per le insolvenze transfrontaliere arriva un “vademecum”

Scambio continuativo di informazioni utili, trasparenza e collaborazione costante tra i professionisti curatori per garantire il più corretto svolgersi delle procedure di insolvenza transfrontaliere in Unione europea. Sono questi gli obiettivi principali che si propone di raggiungere il Protocollo firmato a Roma il 7 maggio 2010 tra il Consiglio nazionale forense, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e il Conseil National des administrateurs judiciares et des mandataires judiciaires. Il Protocollo contiene proprio una Guida operativa alla quale potranno attenersi i curatori delle procedure principali e secondarie di insolvenza di cui tratta il regolamento comunitario Ce 1346/2000, Guida che definisce alcune procedure operative per migliorare il coordinamento effettivo delle procedure principali e secondarie di insolvenza. In particolare, la Guida predispone modalità pratiche di trattamento del passivo e degli elementi di attivo del debitore che sono oggetto di procedure di insolvenza aperte in concomitanza in diversi paesi dell’Unione europea, a cui i curatori interessati potranno fare riferimento per lo svolgimento della loro funzione. Nel preambolo, l’accordo specifica comunque che le regole di comportamento indicate nella guida sono necessariamente subordinate alle norme comunitarie e nazionali applicabili in materia.

La linea guida principale sta nel promuovere una circolazione delle informazioni preliminari ai creditori del debitore. Così il Vademecum ripercorre le disposizioni del Regolamento comunitario che disciplinano gli avvisi inviati direttamente ai creditori e poi suggerisce al creditore della procedura principale di trasmettere un invito a dichiarare a tutti i creditori, nessuno escluso. Si tratta di una nota individualizzata che precisa le formalità richieste e le sanzioni previste dalla legge applicabile alla procedura principale; il curatore della procedura secondaria invece inviterà solo i creditori locali. In secondo luogo, la Guida indica le buone passi anche per gli avvertimenti indirizzati direttamente agli altri curatori che possono insinuare nelle altre procedure i crediti già insinuati nella procedura alla quale ciascuno di essi è preposto. Così l’accordo prevede una informazione reciproca dei curatori tra di loro.  Altri elementi dell’accordo sono:

  • organizzare le modalità pratiche di attuazione delle dichiarazioni incrociate (per insinuare il proprio credito in tutte le procedure attivate): ogni curatore indirizzerà agli altri la lista in cui ricapitola i crediti dichiarati nella sua procedura, indicando le caratteristiche di ogni credito, precisando “inderogabilmente” se la lista riguarda solo il passivo dichiarato o quello verificato e definitivamente accertato;
  • stabilire le modalità della verifica operata da ogni curatore: che dovrà verificare per ciascuno dei crediti ammessi se questo non è oggetto di doppia dichiarazione visto che comunque ogni credito dichiarato in duplicazione non potrà essere ammesso al passivo se non una volta soltanto;
  • chiarire le modalità di addebito delle spese giudiziarie.

Quanto al trattamento dell’attivo, l’accordo prevede una serie di regole destinate a favorire il miglior modo di realizzazione degli attivi della procedura secondaria e precisa, altresì, le modalità di comunicazione e di cooperazione tra i curatori, sia di natura generale che di natura particolare in relazione al tipo di procedura. Senz’altro i curatori devono stabilire individualmente, prima di qualunque esecuzione forzata, la lista degli attivi che rientrano nella procedura alla quale sono preposti; lista che deve essere comunicata agli altri curatori in modo tale da contribuire (tramite un gioco di sospensioni e non azioni) alla migliore liquidazione. L’accordo precisa anche il calendario per il compimento e la comunicazione dell’inventario. Poi l’accordo passa in rassegna alcune regole particolari di cooperazione a seconda che la procedura di insolvenza miri all’adozione di un piano di prosecuzione o a un piano di cessione. Per quanto riguarda il trasferimento dell’attivo, la guida prevede che le proposte fatte eventualmente dal curatore della procedura principale debbano esser prese in considerazione ma senza che si impongano alla giurisdizione che ha aperto la procedura secondaria, la quale resta competente in via esclusiva a decidere della destinazione dell’attivo incluso nella specifica procedura. Infine, alcune indicazioni riguardano la distribuzione del ricavato della realizzazione dell’attivo: la Guida prevede che il prodotto della realizzazione dell’attivo relativo alla procedura secondaria sia versato, anche in caso di trasferimento globale, al curatore della procedura secondaria, in vista della sua ripartizione tra i creditori ammessi al passivo relativo evitando il rischio (con dispositivi di controllo ad hoc), indotto dalla pluralità delle procedura di insolvenza, di assegnare al creditore una somma superiore al suo credito.

fonte: Uff. Stampa del Consiglio Nazionale Forense