Il Made in Italy sotto il microscopio di Leonardo

E’ stata presentata in Campidoglio la ricerca IPSOS “Nuovi mercati e Made in Italy: cosa pensano di noi”. L’indagine, resa nota in occasione dell‘XI Forum annuale del Comitato Leonardo, è stata condotta tra gli Opinion Leader di Russia, Brasile e Malesia.

Il tema riguardava l’analisi della percezione dei fattori di debolezza e di potenziale miglioramento del Made in Italy con l’obiettivo di verificarne i margini di crescita dei settori tradizionali e di quelli più innovativi.

A commissionare la ricerca il Comitato Leonardo, nato nel 1993 su iniziativa comune di Sergio Pininfarina e Gianni Agnelli, di Confindustria, dell’ICE e di un gruppo d’imprenditori con l’obiettivo di promuovere ed affermare la “Qualità Italia” nel mondo. Il Comitato associa oggi oltre 150 eccellenze, tra le quali 116 aziende il cui fatturato complessivo, nell’ultimo anno, ha superato i 300 miliardi di euro, con una quota all’estero pari al 53%.

La ricerca ha confermato enormi potenzialità per le produzioni italiane, ma ha anche evidenziato come solo i settori tradizionali (le quattro A) risultino trasversalmente associati al Made in Italy. Gli altri comparti sono conosciuti esclusivamente dagli opinion leader più informati.

Il rischio è che i brand italiani vengano considerati sempre più come entità separate da un concetto di italianità o di “Made in Italy”. Oltre a fattori “culturali” e “istituzionali”, altri elementi strutturali frenano lo sviluppo del Made in Italy:

  • il limitato supporto finanziario-assicurativo e la mancanza di strumenti finanziari adeguati che favoriscano i rapporti e offrano linee di credito che accompagnino la crescita della domanda
  • la forte incidenza dei dazi doganali
  • la necessità di rafforzare le relazioni politico-diplomatiche
  • la semplificazione delle procedure normative e burocratiche 

Sarà necessaria un’evoluzione del sistema imprenditoriale italiano ed un approccio più maturo ed evoluto all’export: sviluppo di servizi connessi anche nelle zone più remote, maggiore attenzione alla cultura locale, diversificazione dell’offerta per rendere il Made in Italy più accessibile a target di fascia media, senza perdere la propria identità.

Il Made in Italy è un valore aggiunto – ha sottolineato Luisa Todini, Presidente del Comitato Leonardo – che tutto il Sistema Paese deve saper sfruttare per la conquista di nuovi mercati e il consolidamento non solo nei settori tradizionali. Non è un caso che gli italiani siano apprezzati all’estero per creatività, qualità e capacità innovativa, spesso più degli altri competitor. Le aziende devono fare la loro parte, ma hanno bisogno di un maggiore sostegno istituzionale, non solo finanziario, soprattutto tramite incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche“.

La Presidente del Comitato Leonardo ha poi messo in evidenza l’esigenza di rafforzare la presenza della aziende italiane all’estero: “ facendo sistema e organizzandoci a filiera: se avessimo una grande distribuzione italiana saremmo i primi al mondo in molti settori di largo consumo. Ma dobbiamo saper essere anche attrattivi verso le multinazionali, gli investitori e i talenti di ogni genere, ben vengano quei grandi gruppi stranieri o i fondi sovrani che vogliono investire nei nostri marchi mantenendo know-how e attività produttive nel nostro Paese: è la testimonianza della forza del nostro made in”.

Il Made in Italy – ha concluso il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi – è una questione di interesse nazionale. Il consumatore globale associa il Made in Italy alla “Qualità”. E’ questo il segno distintivo del nostro brand nazionale sul quale dobbiamo continuare ad investire per intercettare la domanda dei mercati internazionali, sia di quelli avanzati, sia di quelli emergenti” che ha poi precisato “l’affermazione delle nostre eccellenze nel mondo necessita certamente di azioni immediate, inserite in una strategia complessiva di più lungo periodo volta a garantirne l’efficacia e la sostenibilità. L’unitarietà e la coesione del Sistema-Paese nel suo complesso è la condizione necessaria per la promozione, ma anche il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la tutela legale della proprietà intellettuale e industriale, il rispetto di regole commerciali sottoscritte e condivise a livello multilaterale e l’abbattimento delle barriere tariffarie e tecniche che impediscono al Made in Italy di dispiegare appieno tutto il suo potenziale“.

Quali sono allora gli strumenti su cui puntare per sostenere il Made in Italy all’estero?

  • introdurre modalità di promozione e di strumenti finanziari di accompagnamento
  • puntare su accordi bilaterali di libero scambio
  • combattere la contraffazione
  • identificare le priorità geografiche e settoriali
  • definire una programmazione pluriennale di politica estera economica

L’Agenzia ICE – ha evidenziato infine Riccardo Maria Monti, Presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane  – intende contribuire a dare sempre maggiore visibilità internazionale alle attività del Comitato Leonardo, adottando tre linee di azione: dare ulteriore impulso alle attività del Premio all’estero, puntare su innovazione e high-tech, mobilitare le eccellenze Italiane in chiave di attrazione degli investimenti”.

 

Non è tutto olio quello che luccica

 

43 etichette di olio a denominazione di origine riconosciuta dall’Unione Europea. 250 milioni di piante sul territorio nazionale capaci di garantire un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative all’anno ed un fatturato di 2 miliardi di euro. Regioni italiane che dell’olio fanno il loro pane quotidiano come Puglia (35%), Calabria (33%), Sicilia (8%), Campania (6%), Abruzzo (4%), Lazio (4 %), Toscana (3%) e Umbria (3%). Una produzione “al verde” che da sola potrebbe provvedere a tutto il Belpaese, eppure, l’olio costa meno, ne consumiamo di più, ma l’indotto del settore agricolo è in perdita.

Cosa non torna?

L’etichettta!

Quelle del supermercato sono poco trasparenti, illeggibili per quanto riguarda la provenienza delle loro olive, e questo nonostante l’obbligo di provenienza in etichetta stabilito il 1° luglio 2009 con Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009.

Cosa nascondono? E soprattutto, cosa sta succedendo al buon nome dell’olio d’oliva italiano? E’ stato truffato.

I più attenti casalinghi si saranno accorti delle varie diciture poco visibili sul retro delle verdi bottiglie: scritte come”miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari”  non equivalgono a prodotti nazionali. Anzi!

E quelle icone, quei nomi, quelle immagini tutti trulli e colline toscane? Una mascherata. Una frode.

L’Italia è il primo Paese nel mondo per quanto riguarda l’importatore mondiale di olio. Lo prendiamo dalla Spagna, 74% ; dalla Grecia, 15%; dalla Tunisia, 7%, e non perchè ci manchi. E dunque? Andiamo al “nocciòlo” del problema.

E’ notizia di questi giorni che un’operazione dei carabinieri dei Nas ha scoperto un traffico di circa 500.000 litri di olio extra vergine di oliva contraffatto. 

Le materie prime, provenienti da Spagna e Maghreb (proprio le aree da cui importiamo di più), venivano sofisticate con clorofilla e betacarotene per essere poi cedute ad oleifici compiacenti che le etichettavano come “vero Extravergine”.

Extrafalso! Ed extra dannoso, per la salute come per le tasche degli Italiani: nella maggior parte dei casi occulti e quindi portati alla luce, gli olii non italiani venivano mescolati a quelli nazionali, “etichettati” in un qualche modo “all’italiana” e quindi ributtati nel mercato internazionale con un’immagine di eccellenza da Belpaese assolutamente dannosa.

Solo nell’ultimo periodo, poi, l’Italia ha raggiunto il massimo storico in quanto ad importazione più o meno lecita di olio d’oliva straniero: mai fino ad oggi si era arrivati a 584mila tonnellate capaci di superare la produzione nazionale, in calo nel 2011 a 483mila tonnellate; del -6% nell’ultima raccolta.

Sempre secondo i dati forniti da Coldiretti, nel 2011 le importazioni di olio dall’estero sono aumentate del +3%, quasi triplicate negli ultimi 20 anni e questo ha sommerso la produzione nazionale.

Detto tutto questo, e sanciti tutti questi buoni motivi, per il buon nome (e le buone tavole) tutte made in Italy, non possiamo non rilanciare la lotta alle frodi e alle sofisticazioni sui cui, l’11 giugno scorso, Coldiretti si espressa durante il convegno “Qualità e trasparenza nell’olio di oliva: una grande opportunità per l’economia del Sud” nel Centro Congressi dell’Ente Fiere di Foggia, ovvero in quella Puglia, stivale d’Italia, ricca di ulivi storici che da tempo immemore fanno il PIL dell’olio italiano.

La legge salva olio Made in Italy è già stata sottoscritta da numerosi parlamentari ed ha come primi firmatari la senatrice Colomba Mongiello (PD) e il senatore Paolo Scarpa Buora (PdL), “a dimostrazione di un vasto consenso che ci si augura conduca ad un iter rapido”. E che fili “liscio come l’olio”.

 

Paola PERFETTI

Contraffazione, arriva il bollino

La lotta alla contraffazione è una delle priorità per chi ama e difende il made in Italy. Ecco perché è nata l’idea di “TF – Traceability and Fashion“, progetto promosso da Unioncamere-Unionfiliere presentato a Berlino nel corso di un evento organizzato dalla Camera di commercio italiana per la Germania; un marchio per garantire ai consumatori trasparenza nella catena di produzione del tessile e per valorizzare i prodotti tessili genuinamente italiani. Dopo Mosca, è toccato alla capitale tedesca presentare l’iniziativa, nata in Italia nel 2009 con l’obiettivo di garantire ai consumatori la massima trasparenza nella catena di produzione del tessile e valorizzare i prodotti di abbigliamento italiani.

Il progetto consiste in una certificazione volontaria rilasciata dalle Camere di commercio, al termine di un controllo su tutte le tappe di produzione di tessuti, capi d’abbigliamento, accessori e pelletteria. Un’etichetta che consente di certificare l’origine del prodotto e i luoghi delle fasi del processo produttivo e di valorizzare fattori come la responsabilità sociale d’impresa, l’eticità, la sostenibilità ambientale e la salubrità dei capi di moda.

Allarme etichette bugiarde

Tre cartoni su quattro di latte Uht presenti nei nostri supermercati sono di importazione; la maggior parte dei prosciutti – due su tre – sono prodotti con cosce di animali di importazione, ad esclusione di quelli a denominazione di origine; metà delle nostre mozzarelle e dei nostri formaggi, non a denominazione di origine, non sono prodotti in Italia ed un terzo della nostra pasta, venduta nel nostro Paese, è fatta con grano saraceno. Eppure tutti vengono venduti come prodotti italiani. Sono solo alcuni esempi che danno un’idea di quanto sia esteso nel settore agroalimentare italiano – un settore d’oro, ricorda la Coldiretti, che in valore assoluto produce nel nostro paese circa 150 miliardi di euro di fatturato – il fenomeno della contraffazione.

I risultati emergono dal lavoro d’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, che ha approvato una relazione specifica sui reati nel settore agroalimentare, in questi giorni al vaglio dell’Aula di Montecitorio. Perchè dell’argomento se ne occupi il Parlamento con una commissione ad hoc è presto detto: i danni provocati da questo tipo di reati sono ingenti, per i produttori e per i consumatori. Nell’ultimo triennio – e a parlare chiaramente sono sempre i numeri – i reparti della Guardia di Finanza hanno sottoposto a sequestro oltre 3.700 tonnellate di merci e quasi 6 milioni e mezzo di litri di prodotti alimentari contraffatti o comunque recanti un’etichettatura ingannevole sull’origine o sulla qualità del prodotto. “Naturalmente si tratta non di prodotti di alta qualità – si precisa nella relazione del Parlamento -, ma comunque destinati ai nostri supermercati senza alcuna indicazione riferita all’origine o che ne caratterizzi la qualità”.

La cronaca, ancora meglio dei numeri, racconta la reale portata del fenomeno. A Salerno, ad esempio, sono stati sequestrati quasi 100 mila litri di olio destinati al mercato italiano e a quelli statunitense e canadese. Le bottiglie riportavano un’etichetta doppiamente ‘bugiarda’: non si trattava di olio extravergine di oliva nè, soprattutto, di olio italiano bensì spagnolo. Dell’immagine italiana si abusa anche quando si parla di formaggi: a giugno a Taranto sono state sequestrate oltre 24 tonnellate di formaggio proveniente da Amburgo e destianato al mercato libico, che riportava sull’etichetta la denominazione ‘mozzarella’, con il tricolore italiano e altri segni distintivi nazionali come gli scavi di Pompei. Contraffazioni a go go anche per i pomodori, specie per i San Marzano.

“Si tratta di un settore che merita particolare attenzione – fanno notare i commissari nella loro relazione – perché alcune statistiche indicano come l’importazione di pomodoro di origine extra Unione europea sia incrementata nell’ultimo anno del 187 per cento, con la conseguente possibilità di un crescente utilizzo fraudolento dell’alimento in produzioni dichiarate nazionali”. Non va meglio nel settore vinicolo, dove la contraffazione non ha risparmiato nemmeno vini di qualità come il Sassicaia e l’Amarone della Val Policella Docg. Dal 2007 al 2009 le bottiglie di finto Amarone vendute sono state circa 1.200.000, per un guadagno illecito di circa 2.500.000 euro.

Fonte: agenparl.it

Made in Italy, a Roma un’esposizione per salvare le eccellenze dalla contraffazione

Ha aperto i battenti giovedì 13 gennaio a Roma “Il Falso non ha senso“, la prima esposizione dedicata all’originalità e alla tutela del Made in Italy. L’esposizione organizzata e promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Unioncamere, è aperta al grande pubblico fino al 6 febbraio con l’intento di sensibilizzare e far conoscere il fenomeno della contraffazione, evidenziandone le conseguenze sia sul sistema produttivo che per i consumatori e valorizzando, al contempo, l’originalità dei prodotti italiani.

Nella cornice di Palazzo Ruspoli, nel cuore storico e culturale della Capitale, il percorso espositivo vede protagoniste dell’evento alcune aziende leader del Made in Italy nel mondo e particolarmente colpite dalla contraffazione.

Moda e accessori, motori, design, prodotti per l’infanzia, il mondo della cosmesi, oltre all’industria alimentare, sono le categorie merceologiche coinvolte, unite da un percorso sensoriale ideato per esaltare i prodotti e i marchi, permettendo ai visitatori di apprezzare l’originalità e la creatività dei prodotti italiani.