Opzione donna, requisiti ed esempi: ecco di quanto si anticipa la pensione

Anche nel 2022 si potrà andare in pensione anticipata con l’opzione donna: le lavoratrici del sistema contributivo misto lasceranno il lavoro a 58 anni se dipendenti e a 59 anni se autonome. Per beneficiare della misura previdenziale sono necessari anche 35 anni di contributi. Ma come vanno calcolati e quali sono le date di scadenza della misura? Ecco una guida per comprendere meglio come funziona il trattamento di pensione anticipata e alcuni esempi.

Opzione donna 2022: come funziona la misura di pensione anticipata?

La proroga della pensione con opzione donna è arrivata anche quest’anno con la legge di Bilancio 2022. La misura consente alle lavoratrici dipendenti di andare in pensione anticipata a 58 anni di età e alle lavoratrici autonome di uscire a 59 anni. Entrambi i requisiti anagrafici, aggiornati di anno in anno, devono essere stati maturati entro il 31 dicembre 2021. Dati i 35 anni di versamenti contributi richiesti, l’opzione donna interessa le lavoratrici che rientrano nel sistema contributivo misto, ovvero che abbiano degli anni di versamenti già prima del 1996. In caso di mancata adesione all’opzione donna, dunque, la pensione verrebbe calcolata con il metodo misto, che comprende quote di versamenti in regime retributivo.

Opzione donna, quanto si risparmia rispetto alla pensione anticipata e alla pensione di vecchiaia?

La proroga dell’opzione donna ha ridotto sensibilmente le tempistiche per andare in pensione. Ciò rispetto ai requisiti richiesti dalla riforma Fornero (legge numero 214 del 2011) rispetto alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata. Infatti, rispetto alle due formule di pensionamento, si può calcolare che con l’opzione donna si risparmiano:

  • sei anni e dieci mesi rispetto alla pensione anticipata, prevista per le donne con 41 anni e dieci mesi di contributi (42 anni e dieci mesi per gli uomini);
  • nove anni (le lavoratrici dipendenti) oppure otto anni (le lavoratrici autonome) rispetto all’età prevista per la pensione di vecchiaia.

Opzione donna, quanto si perde di pensione rispetto a quella di vecchiaia?

L’aspetto che maggiormente frena le lavoratrici al ricorso alla pensione anticipata con opzione donna consiste nell’importo dell’assegno mensile. Infatti, quest’ultimo è calcolato in base ai requisiti versati durante la vita lavoratrice e, sicuramente, è più alto se calcolato con il metodo misto rispetto a quello contributivo. Nel sistema misto rientrano, peraltro, i contributi maturati nei periodi lavorativi antecedenti il 1996, rivalutati anno per anno fino a tutto il 1995. La scelta dell’opzione donna azzera questo vantaggio, calcolando i periodi lavorativi tutti con il metodo contributivo. Si calcola che, l’uscita con l’opzione donna, comporti una perdita dell’assegno mensile di pensione pari a circa il 30%.

Cosa considerare nella scelta di uscita con opzione donna ai fini della pensione?

Pertanto, nella scelta se uscire dal lavoro con l’opzione donna ai fini della pensione occorre considerare due aspetti contrapposti:

  • da un lato, lo svantaggio dell’accesso alla pensione con un importo mensile ridotto rispetto al metodo di calcolo misto, ancorché accentuato dal fatto che l’uscita anticipata comporta meno anni di lavoro e, dunque, di contributi versati. Inoltre, la minore età di uscita comporta un calcolo di pensione ancorato a un coefficiente di trasformazione più basso rispetto all’età necessaria per la pensione di vecchiaia o anche per la pensione anticipata;
  • dall’altro lato, la possibilità di poter anticipare di otto o nove anni l’uscita rispetto ai normali requisiti pensionistici fissati dalla legge di riforma Fornero. Anche in questo caso, però, bisogna considerare che la decorrenza della pensione sarà posticipata di dodici mesi per le lavoratrici dipendenti e di diciotto mesi per quelle autonome.

Pensione con opzione donna, come integrare i contributi con il riscatto della laurea?

Le lavoratrici che vogliano accedere alla pensione con opzione donna spesso si trovano nella situazione di non raggiungere i requisiti richiesti per pochi anni di contributi mancanti. In questa situazione si può beneficiare del riscatto della laurea che garantisce gli anni di versamenti occorrenti con il pagamento di un prezzo “light”. Ad esempio, una lavoratrice che ha raggiunto l’età necessaria per l’opzione donna di 58 o di 59 anni, ma ha 31 o 32 anni di contributi. In questo caso, il funzionamento del riscatto della laurea a costo ridotto segue determinate regole in quanto le lavoratrici dell’opzione donna rientrano nel meccanismo contributivo misto e il riscatto “light” è previsto per il solo metodo contributivo. Diventa necessaria, pertanto, una scelta.

Opzione donna, come recuperare anni di contributi con il riscatto della laurea?

Le lavoratrici che non hanno dunque tutti i 35 anni di contributi richiesti ai fini dell’opzione donna, potrebbero riscattare i periodi di studio universitario precedenti il 1996. Per beneficiare del metodo di di calcolo ridotto del riscatto della laurea, la domanda si può fare nello stesso momento della richiesta della pensione con opzione donna. In tal caso, le lavoratrici pagherebbero poco più di 5.200 euro per ogni anno di corso di laurea da riscattare. In tal caso, le donne interessate potrebbero seguire le regole della legge numero 26 del 2019.

Quali altri metodi andrebbero bene per il calcolo del riscatto della laurea nel caso dell’opzione donna?

In alternativa, il calcolo dell’onere del riscatto della laurea avverrebbe:

  • con il sistema della riserva matematica, basato sul numero dei contributi accreditato, sul sesso e sull’età al momento della richiesta del riscatto stesso. Di regola, il costo del riscatto è più alto con questo metodo;
  • riscatto a costo percentuale, mediante il quale i periodi sono valutabili con il sistema di calcolo contributivo. L’onere da pagare, per ogni anno di studi, è pari a una percentuale della media delle retribuzioni o dei redditi dei 12 mesi precedenti la domanda. La percentuale varia a seconda della gestione previdenziale alla quale la lavoratrice risulti iscritta. Ad esempio, per i lavoratori dipendenti è del 33%;
  • riscatto agevolato della laurea, mediante il pagamento di un onere del 33% della media delle retribuzioni o dei redditi dei dodici mesi precedenti la domanda. Tale riscatto va bene qualunque sia la gestione previdenziale di iscrizione.

Se si sceglie il metodo di calcolo contributivo, si può avere un ripensamento?

La scelta del metodo di calcolo contributivo, ad esempio per pagare un onere del riscatto della laurea più basso come previsto dal calcolo a percentuale o di quello agevolato del 2019, non ammette ripensamenti. Infatti, l’onere più basso spetta a chi sceglie di conteggiare gli anni di studio (precedenti al 1996) aderendo al sistema contributivo. E, dunque, rinunciando al sistema misto che comprende le quote del metodo retributivo, più vantaggiose ai fini dell’assegno di pensione. Secondo quanto chiarito dall’Inps con il messaggio numero 4560 del 21 dicembre scorso, le lavoratrici che scelgano l’opzione contributiva durante il rapporto di lavoro non hanno la possibilità di revocare tale scelta.

Opzione donna, si possono aggiungere i contributi maturati dopo il 2021?

I requisiti di età e di contributi devono essere raggiunti entro il 31 dicembre 2021 per le uscite del 2022. In tal senso, se il requisito anagrafico è stato raggiunto nel 2021 ma non quello contributivo, che maturerà ad esempio, nel corso del 2022, non è possibile procedere con la richiesta di pensione con opzione donna. Pertanto, oltre la data del 31 dicembre 2021 non è possibile l’accredito dei contributi successivi. Tuttavia, le lavoratrici interessate, in questa situazione, potrebbero far valere i nuovi contributi maturati nel 2022 per l’uscita nel 2023. Ciò nel caso in cui il governo dovesse confermare l’opzione donna anche per il prossimo anno.

Riscatto laurea, quando si può anticipare la pensione?

Il riscatto della laurea permette di anticipare la pensione trasformando gli anni di studio all’università in periodi di contributi. L’obiettivo è sia quello di anticipare l’età prevista per la pensione mediante l’aumento degli anni coperti da contributi, che incrementare l’importo del futuro trattamento pensionistico. L’Inps, recentemente, ha fornito ulteriori chiarimenti, soprattutto in merito alla possibilità di sostenere un costo più leggero per il riscatto della laurea, come previsto dal decreto legge numero 4 del 2019.

Riscatto laurea, cosa comprende per agevolare l’uscita per la pensione?

Con il riscatto della laurea, il contribuenti agevola l’uscita dal mondo del lavoro per andare in pensione. Il contribuente può riscattare i seguenti titoli di studio:

  • il diploma universitario per una durata dai due ai tre anni;
  • la laurea di tre anni, di quattro anni o a ciclo unico;
  • il diploma di specializzazione post-laurea;
  • il dottorato di ricerca nel caso in cui siano stati versati i contributi alla Gestione separata dell’Inps.

Si può procedere anche non riscattando tutti gli anni di corso di laurea (riscatto parziale). In tal caso il riscatto avverrà su un numero inferiore degli anni di laurea. Non è possibile, invece, riscattare gli anni eccedenti il corso di laurea (fuori corso).

Quanti anni di laurea si possono riscattare per la pensione?

Sul primo chiarimento dell’Inps, la questione è la durata del corso di laurea prevista per legge. Ad esempio, se il periodo degli studi universitari è inferiore a quello legale per effetto del riconoscimento dell’università dello svolgimento di attività lavorative o professionali del contribuente, si possono riscattare tutti gli anni di corso previsti? Il quesito ha risposta positiva. Sul punto è intervenuta l’Inps con il messaggio numero 1512 del 5 aprile 2022. L’Istituto previdenziale ha chiarito che le Università possono riconoscere, come crediti formativi universitari (Cfu), secondo criteri predeterminati, le conoscenze e le abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello post secondario.

Riconoscimento di corsi professionalizzanti, attività professionali e formazione per il riscatto della laurea

Il riconoscimento di queste esperienze professionali o formative propedeutiche all’iscrizione al corso di laurea (ad esempio, i corsi professionalizzanti, le attività professionali o le formative in ogni modo attinenti al corso di studi) abbrevia di fatto il numero degli anni di corso, riducendo pertanto la durata degli anni effettivi di iscrizione all’università di riferimento. Si può, in questi casi, accedere al riscatto della laurea a condizione che si consegua il titolo di laurea. Portando anche nel calcolo degli anni di riscatto le attività professionali e formative nel caso in cui il periodo di studi universitari sia inferiore a quello della durata legale del corso. Altra condizione essenziale è che tali periodi non siano coperti da altri contributi.

Come procedere per il riscatto degli anni di corso di studio per le attività e i corsi professionali?

In tutti questi casi, è necessario, in ogni modo, dotarsi di apposita documentazione rilasciata dall’università nella quale si sono svolti gli anni di studio. La documentazione dovrà attestare il percorso universitario del contribuente con il riconoscimento dei periodi di formazione utili all’iscrizione degli anni successivi al primo del corso universitario prescelto. Tale metodologia si applica alle domande ancora giacenti al giorno di pubblicazione del messaggio dell’Inps e alle istanze che verranno presentate successivamente.

Riscatto laurea, come procedere per gli anni di studio precedenti al 1996?

Il riscatto agevolato della laurea ai fini dell’uscita per la pensione prevede, grazie a quanto previsto dal decreto 4 del 2019, di pagare poco più di 5 mila euro per ogni anno di studio da riscattare. Si tratta del riscatto light della laurea che opera a condizione che gli anni di studio rientrino pienamente nel periodo di riferimento del metodo contributivo delle pensione. Ovvero che gli anni di studio siano collocati posteriormente al 1° gennaio 1996. Tuttavia, i periodi di studio precedenti tale data non sono del tutto esclusi. Infatti, sul punto era intervenuta l’Inps con la nota numero 6 del 22 gennaio 2020.

Come riscattare i periodi di laurea precedenti il 1° gennaio 1996 con il pagamento agevolato?

I divieti del pagamento agevolato del riscatto della laurea per periodi non rientranti nel meccanismo contributivo (e dunque per periodi di studi entro il 31 dicembre 1995), si possono bypassare esercitando la scelta di aderire pienamente al sistema contributivo. Ciò significa che i lavoratori che abbiano versato meno di 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995 (rientranti nel sistema misto) possano scegliere il pagamento del riscatto della laurea light per periodi pre-1996, optando per il metodo di calcolo della pensione interamente contributivo. Ciò comporta un trattamento previdenziale mensile meno generoso rispetto al metodo misto, nel quale rientra anche una quota del meccanismo retributivo.

Quali requisiti si devono avere per aderire al metodo contributivo e pagare il riscatto light della laurea?

Per fare in modo di rientrare nel metodo contributivo e pagare il riscatto della laurea agevolato ai fini della futura pensione, è necessario che il richiedente abbia almeno un mese di contributi a una delle gestioni dell’Inps. Il riscatto light, infatti, non è praticabile a chi versa a una Cassa professionale. Inoltre, la gestione Inps alla quale richiedere il riscatto dovrà risultare esistente al momento in cui si è frequentato il corso di laurea. Infine, come regola generale, il riscatto non può coprire anni già rientranti in periodi di contribuzione da lavoro. In alternativa, il riscatto della laurea dei periodi pre-1996 può avvenire mediante il calcolo ordinario di quanto dovuto.

Riscatto laurea, quando si può fare con l’iscrizione alla Gestione separata Inps?

Per i contribuenti che hanno svolto interamente gli anni di studio prima del 1996, e iscritti anche per un breve periodo alla Gestione separata Inps dopo il 1996, può essere conveniente il riscatto agevolato della laurea. Si potrebbe accorciare di qualche anno la maturazione della pensione di vecchiaia o anche quella anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi, a prescindere dall’età), sopportando un costo di poco più di 5 mila euro all’anno, interamente deducibile. Ma vige l’obbligo di aderire al metodo contributivo del calcolo della pensione.

Vantaggi nell’adesione al metodo contributivo per la pensione anticipata

Peraltro, la scelta del metodo contributivo del calcolo della pensione (anziché di quello misto) consenti di aprire porte per la pensione anticipata. I lavoratori del contributivo, infatti, possono accedere alla pensione anticipata contributiva all’età di 64 anni e in presenza di almeno 20 anni di versamenti. La condizione essenziale è che la futura pensione sia di almeno 2,8 volte superiore all’importo dell’assegno sociale.

Pensioni, cosa avviene se si è lavoratori del ‘misto’ e si paga il riscatto agevolato e contributivo della laurea?

Particolare attenzione devono prestare i contribuenti nel riscatto della laurea con le condizioni agevolate del decreto numero 4 del 2019. La norma infatti permette di riscattare la laurea pagando poco più di 5.200 euro per ogni anno di corso universitario. Il pagamento agevolato, inizialmente concesso ai soli lavoratori rientranti nel sistema contributivo, successivamente è stato interpretato in senso estensivo per includere anche i lavoratori rientranti nei sistemi di pensione precedenti, ma che abbiano da riscattare anni di università successivi al 31 dicembre 1995.

Pensioni, il riscatto della laurea per i lavoratori del sistema misto

Può capitare, infatti, che un lavoratore del sistema previdenziale “misto accetti di riscattare la laurea con i vantaggi del decreto 4 del 2019. Si tratta di lavoratori che non hanno i 18 anni di contributi prima del 31 dicembre 1995 e dunque non ricadenti nel “retributivo”. Ma hanno un certo numero di anni di versamenti entro la fine del 1995. L’opzione di riscattare gli anni universitari, eventualmente fatta prima di accedere al trattamento di pensione, potrebbe portare benefici sia sul piano dell’importo della pensione che sul requisiti che ne generino il diritto stesso al pensionamento.

Riscatto della laurea con costo agevolato: non sempre si hanno benefici sulla pensione

Tuttavia, non sempre la scelta di ricorrere al pagamento agevolato del riscatto di laurea previsto dal decreto 4 del 2019 può comportare dei miglioramenti della propria pensione futura. Infatti, riscattare gli anni di università in maniera agevolata ha come conseguenza quella che il calcolo della pensione avvenga mediante il metodo contributivo per l’intera vita lavorativa. E questo potrebbe andare a danno dei lavoratori dei sistemi previdenziali precedenti, come il misto o il retributivo.

Riscatto laurea, prima di pagare è importante fare simulazioni sul sito Inps

Infatti, mettendo sulla bilancia vantaggi e svantaggi del riscatto della laurea con il pagamento agevolato dell’articolo 4 del 2019 ci si potrebbe rendere conto di non aver fatto una buona scelta. Pertanto, prima di prendere una decisione può essere necessario fare un po’ di simulazioni della propria pensione futura. Si può procedere con il servizio messo a disposizione dal portale Inps di calcolo della pensione futura. All’interno del sistema, si potranno inserire i dati relativi alla propria vita lavorativa dai quali risultano anche i contributi versati. Da qui la scelta del contribuente in merito alla situazione che si prospetta. In particolare, riscattando gli anni di laurea e acconsentendo al calcolo contributivo della propria pensione, si è generato un vantaggio futuro sulla pensione oppure una perdita?

Riscatto laurea ai fini della pensione, quale scelta?

Molto dipende dalla carriera lavorativa di ogni contribuente. Tuttavia il calcolo contributivo della pensione molto probabilmente porterà a una decurtazione più o meno consistente della futura pensione mensile. Risulta pertanto importante che prima di prendere la decisione di riscattare gli anni di laurea con le agevolazioni del decreto 4, si studino tutte le ipotesi possibili. In particolare, il contribuente dovrebbe confrontare tutti gli importi di pensione stimata, sia quelli calcolati con il metodo contributivo che quelli del misto.

Pensioni, la scelta di riscattare la laurea con il contributivo è irrevocabile

La questione non è di poco conto, anche perché una volta fatta la scelta non si può più tornare indietro. Ovvero, se il lavoratore decidesse di riscattare gli anni di laurea pagando e aderendo al sistema contributivo, la sua scelta sarebbe irrevocabile. L’istituto previdenziale ha chiarito a tal proposito che, con il pagamento di almeno una rata del riscatto della laurea diventa irrevocabile la scelta di aderire a uno strumento introdotto per il sistema contributivo con relativo calcolo della pensione. Il pagamento, è bene ricordarlo, si può effettuare anche fino a 120 rate mensili. E ciò avviene anche se ancora la domanda di pensione non sia stata ancora formalizzata.

Quanto conviene pagare il riscatto della laurea con il metodo agevolato rispetto a quello ordinario?

Per i lavoratori del sistema misto, dunque, il riscatto della laurea potrebbe rivelarsi dannoso ai fini dell’importo della pensione mensile. Tutto questo senza considerare il costo che comporta il riscatto stesso. Tuttavia, gli stessi lavoratori potrebbero optare per il metodo di pagamento ordinario del riscatto della laurea. Con questo meccanismo, il costo del riscatto verrebbe calcolato seguendo la regola generale. Ovvero si procederebbe moltiplicando il reddito lordo delle ultime 12 mensilità percepite prima di presentare la domanda per la percentuale (del 33%) di contribuzione per gli anni di studio da riscattare.

Pensioni, quali vantaggi con il riscatto della laurea?

Anche seguendo il metodo di riscatto ordinario della laurea, i lavoratori interessati dovrebbero prima verificare quali vantaggi potrebbe comportare l’operazione. In particolare, si può procedere con la stima della propria pensione senza e con il riscatto della laurea. Di certo, a fronte del costo da sostenere, potrebbero aversi benefici sia in termini di uscita anticipata dal lavoro che sul futuro importo della pensione.

Pensione, vincolo di assenza rapporto di lavoro: si può essere riassunti dallo stesso datore?

Per andare in pensione l’unico vincolo per i lavoratori alle dipendenze è quello di non avere in essere un rapporto di lavoro subordinato. Il vincolo vige nel momento in cui si fa domanda di pensionamento. Successivamente si può riprendere a lavorare. Ma si può essere assunti nuovamente dallo stesso datore di lavoro, ovvero ci si può ritrovare nella stessa situazione lavorativa nella quale il dipendente si trovava prima di andare in pensione?

Pensioni, oltre ai requisiti contributivi e di età, anche il vincolo di assenza rapporto di lavoro

È, pertanto, importante distinguere i casi di ripresa dell’attività lavorativa dopo la pensione. Per la maturazione del pensionamento, infatti, oltre ai requisiti di età e di contribuzione, le norme stabiliscono la condizione che il richiedente la pensione abbia cessato il rapporto di lavoro alle dipendenze. Lo stesso vincolo non sussiste per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i parasubordinati o gli imprenditori. Infatti, chi non è alle dipendenze può accedere alla pensione senza procedere con l’interruzione dell’attività lavorativa.

Chi prende la pensione può riprendere a lavorare?

Può riprendere a lavorare anche chi prende la pensione. Esiste, dunque, la possibilità di cumulo tra redditi da pensione e quelli da lavoro. La regola è fissata dal decreto legge numero 112 del 2008 che ha abolito la non cumulabilità tra le due fonti di reddito. Pertanto, il vincolo dell’assenza di attività lavorative per accedere alla pensione vige nel momento in cui si accede alla pensione stessa. Successivamente, il neopensionato può riprendere a lavorare.

Il pensionato può riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro?

Diverso è il caso in cui il pensionato si faccia assumere nuovamente dallo stesso datore di lavoro presso il quale era dipendente prima di andare in pensione. Sull’opportunità di farsi riassumere dallo stesso datore di lavoro è intervenuta anche la sentenza della Corte di Cassazione, la numero 14417 del 2019. Per la Giurisprudenza la cessazione del rapporto di lavoro deve essere effettiva. La situazione nella quale il neopensionato venga assunto nuovamente presso lo stesso datore di lavoro farebbe cadere, infatti, la certezza di un’effettiva interruzione del rapporto di lavoro.

Pensionato riassunto dallo stesso datore di lavoro: quando si configura la simulazione?

La situazione nella quale il contribuente che ha interrotto il rapporto di lavoro e sia andato in pensione e venga poi assunto nuovamente dallo stesso datore di lavoro farebbe presumere la possibilità di simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Soprattutto se le condizioni di lavoro e la mansione risultassero essere le stesse esercitate prima dell’interruzione per la pensione.

Cosa fare per essere riassunti dallo stesso datore di lavoro di prima della pensione?

È altrettanto presumibile che il lavoratore che sia andato in pensione, per riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, debba far trascorrere un ragionevole lasso di tempo per non incorrere nella simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Diversamente, l’assunzione presso lo stesso datore di lavoro potrebbe avvenire con un effettivo e nuovo rapporto di lavoro, diverso da quello precedente la pensione. In ogni caso, anche nel caso di un nuovo e diverso rapporto di lavoro, è consigliabile far passare un lasso di tempo ragionevole prima di iniziare la nuova attività lavorativa.

Cosa avviene con l’interruzione del lavoro per la pensione?

Affinché non si verifichi la simulazione del rapporto di lavoro, il lavoratore deve aver percepito tutte le spettanze della fine del precedente rapporto. Dunque, deve essere stato versato al dipendente il Trattamento di fine rapporto (Tfr) e il saldo delle ferie maturate e non utilizzate. Nel momento in cui si instauri un nuovo rapporto di lavoro, i redditi della nuova attività sono cumulabili con quelli della pensione. Entrambi i redditi andranno a sommarsi e a costituire il reddito complessivo del contribuente, fiscalmente soggetto alle imposte.

Quando la pensione non è cumulabile con i redditi da lavoro?

Per i lavoratori del sistema contributivo, ovvero che abbiano iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, il decreto legge numero 112 del 2008 pone altre condizioni per l’incumulabilità dei redditi da lavoro e da pensione. In particolare, i “contributivi puri” per il cumulo dei redditi devono avere almeno l’età di 65 anni (uomini) o di 60 anni (donne) oltre a 40 anni di contributi versati. Il requisito viene mitigato a 61 anni di età in presenza di almeno 35 anni di versamenti.

Casi di incumulabilità parziale e totale di redditi da lavoro e da pensione

È da ritenersi totalmente incumulabile il reddito da lavoro con le pensioni ottenute mediante lo strumento dell’opzione donna. La ragione risiede nel fatto che i requisiti richiesti alle lavoratrici sono inferiori rispetto ai limiti di cumulo dettati dal decreto 112 del 2008. Caso parziale di incumulabilità è quello di chi va in pensione con quota 100. In questa situazione, non è consentito svolgere, da pensionato, un lavoro alle dipendenze o autonomo. La cumulabilità è consentita solo per un lavoro autonomo meramente occasionale per un reddito limite di 5 mila euro lordi all’anno.

Cosa succede se cumulo il reddito da lavoro con la pensione da quota 100?

Il lavoratore andato in pensione con quota 100 che violi il divieto di cumulo dei redditi da pensione e da lavoro, si vedrà sospendere dall’Inps l’assegno erogato come pensione. Lo stesso Istituto previdenziale provvederà a recuperare il trattamento erogato nell’anno in cui si sia verificata la violazione dell’incumulabilità dei redditi. Il divieto di cumulo per un lavoratore andato in pensione con quota 100 cessa alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Pensione anticipata con quota 41, quanto dura l’incumulabilità tra pensione e lavoro?

Un limite di incumulabilità parziale simile a quello di quota 100 ma meno netto è quello dei lavoratori andati in pensione con la quota 41 dei precoci. In questo caso, il divieto di cumulo vige dal momento della maturazione dei 41 anni di contributi e quindi di uscita dal lavoro, al momento (prospettico) in cui il lavoratore avrebbe maturato i contributi necessari per la pensione anticipata. Nel dettaglio, il pensionato da quota 41 dovrà attendere un anno e 10 mesi (maturazione dei 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata), mentre la lavoratrice 10 mesi (maturazione pensione anticipata a 41 anni e 10 mesi).

Pensioni, cosa succede se la riforma parte dai coefficienti di trasformazione?

Se dovesse arrivare una vera e propria riforma delle pensioni per il dopo quota 100, quasi certamente andrebbe a modificare i criteri e i meccanismi che sono alla base del diritto alla pensione stessa. Ma non si agirebbe sui criteri di calcolo delle pensioni che possono indirizzare le scelte dei lavoratori, ovvero se uscire prima da lavoro oppure attendere ancora qualche anno.

Dalla riforma Dini alle riforme pensionistiche più recenti

Agire sul calcolo della pensione equivale a dire modificare i coefficienti di trasformazione. Ne è convinto il professor Sandro Gronchi che, in un articolo scritto per Il Sole 24 Ore, analizza il sistema italiano dei coefficienti rispetto a quelli applicati in alcuni Paesi nordici, soprattutto in Svezia. Il punto di partenza è la riforma Dini del 1995 per i pensionamenti che sarebbero maturati nel 1996, l’anno che fa da spartiacque tra sistema retributivo, misto e contributivo.

Coefficienti di trasformazione, la mancanza di una vera riforma delle pensioni

Il risultato, dalla riforma Dini a quelle più recenti, è stato di un sistema pensionistico italiano basato su criteri di uscita che creano dubbi, disparità di trattamento previdenziale e un’età pensionistica in crescita. Ma non l’età media effettiva di uscita. L’introduzione dei coefficienti di trasformazione nel 1996 in Italia è stata superficiale, “non furono legiferate né la formula, né le fonti cui attingere i molti dati contenuti nei coefficienti”. E furono trascurate riforme previdenziali che  avrebbero dovuto intervenire sull’invalidità, sul meccanismo di perequazione, sulla reversibilità e sui requisiti anagrafici stessi della pensione.

Pensioni, come funziona il coefficiente di trasformazione?

Il calcolo della pensione si basa essenzialmente sul montante contributivo e sul coefficiente di trasformazione. Quest’ultimo è un indice che va moltiplicato al montante per ottenere l’assegno di pensione. L’analisi va fatta, dunque, sui coefficienti che caratterizzano ogni anno di uscita per la pensione e la differenza tra essi. Il coefficiente è tanto più alto quanto più si ritarda la pensione. Ma di coefficienti, aggiornati ogni due anni (e sempre al ribasso), ve n’è uno per ogni anno in cui il lavoratore può accedere alla pensione. Attualmente, vi sono coefficienti corrispondenti alle età dai 57 anni ai 71 anni.

Perché più si va in pensione tardi e più è alto il coefficiente di trasformazione?

Tra i fattori che incidono sul coefficiente di trasformazione vi è la speranza di vita. Al crescere dell’età di pensionamento, la durata degli anni “da pensionato” è più bassa. Di conseguenza il coefficiente non può che aumentare. Ciò implica che, a parità di contributi versati, chi esce dopo ha una pensione più alta. In qualche modo deve essere “premiato”. Ma questo meccanismo presenta tre anomalie per il professor Gronchi. La prima è che se la pensione è reversibile, allora la speranza di vita non dovrebbe riguardare il solo pensionato, ma anche il coniuge superstite.

Come cambiano i coefficienti di trasformazione per la pensione

La seconda anomalia che presenta il coefficiente di trasformazione è che l’indice è applicato indipendentemente dall’anno di nascita. Ovvero, il coefficiente corrispondente all’età di pensione di 65 anni dell’attuale biennio, viene applicato nel 202i ai nati nel 1956 e nel 2022 sarà applicato ai nati nel 1957. Anche a distanza di un anno, l’applicazione dello stesso coefficiente potrebbe determinare elementi di obsolescenza nel calcolo della pensione.

Pensioni, il fattore obsolescenza dei coefficienti di trasformazione

La terza anomalia si riscontra nella differenza tra pensioni di vecchiaia a 67 anni e pensioni anticipate (o anzianità contributive). Le seconde possono essere raggiunte già dai 57 anni di età e maturare lungo un lasso di tempo ampio. Ad esempio, una lavoratrice nata nel 1964 potrebbe andare in pensione dai 57 anni ai 67 anni (dal 2021 al 2031). Nel frattempo cambieranno 6 volte i coefficienti di trasformazione, una volta per biennio.

Coefficienti di trasformazione e speranza di vita

Con la speranza di vita in aumento, la rinuncia a uscire a un’età più bassa determina l’erosione della pensione, dal momento che l’assegno dovrà essere spalmato su un numero di anni superiore. Questo meccanismo di obsolescenza dei coefficienti può essere più chiaro confrontandosi con un collega che, a parità di contributi, ha deciso di andare in pensione prima.

Il modello Svezia per i coefficienti di trasformazione

La Svezia ha adottato un sistema di coefficienti di trasformazione diverso da quello italiano. Innanzitutto per il diverso meccanismo di pensionamento riconosciuto dai 65 ai 68 anni. La scelta all’interno della fascia è libera e flessibile, e non sono richiesti anni minimi di contribuzione. E, di conseguenza, gli indici sono calcolati per i soli 4 anni di uscita per limitare l’obsolescenza. A ciascuna età è assegnato un coefficiente di trasformazione legato all’anno di nascita. Dunque, vi è un coefficiente fisso per il 2021 assegnato al 65enne nato nel 1956 che voglia andare in pensione. Coefficiente che è stato ricalcolato rispetto a quello applicato al 65enne che è andato in pensione nel 2020 essendo nato nel 1955.

Come si potrebbero calcolare le pensioni con pochi anni di coefficienti di trasformazione?

Un sistema come quello svedese in Italia rivoluzionerebbe tutto il meccanismo dei coefficienti, proprio per l’ampia fascia di età (dai 57 ai 71 anni) in cui è possibile andare in pensione. Applicare il modello svedese vorrebbe dire avere fin da subito un coefficiente da assegnare al lavoratore nato nel 1964 che volesse andare in pensione con l’anzianità contributiva nel 2021. Diversamente lo stesso lavoratore dovrebbe attendere il 2031 per avere il coefficiente della pensione di vecchiaia dei 67 anni. Ciò spiega perché l’adozione di pochi coefficienti di trasformazione richiedere un numero di anni di calcolo (e di uscita) contenuto. In Italia una riforma ragionevole potrebbe essere dai 64 ai 67 anni, in linea con i requisiti della Fornero.

Pensioni anticipate in Svezia: l’anticipo viene scalato dal montante dei contributi

Ma un meccanismo del genere comporterebbe anche l’abbandono di varie formule di pensionamento anticipato vigenti in Italia. Nel modello pensionistico svedese esiste una possibilità di uscita anticipata dai 62 anni. Si tratta di assegni mensili configurati come “prestiti” garantiti dal montante contributivo maturato. Alla maturazione della vecchiaia il debito viene rimborsato a valere sul montante stesso.

Previsioni di riforma delle pensioni in Italia: novità in arrivo sui requisiti di accesso

E dunque, la pensione si calcola moltiplicando il montante residuo con il coefficiente di trasformazione corrispondente ai 65, 66, 67 o 68 anni. Ma la formula anticipata è piuttosto snobbata dai lavoratori. Vi ricorre un terzo dei pensionati, molti dei quali rimasti senza lavoro. L’esempio svedese potrebbe essere un ottimo sistema per il riordino delle pensioni italiane e per il ricalcolo dei coefficienti di trasformazione. Tuttavia, le indiscrezioni sulla riforma italiana anticipano provvedimenti che si limiteranno ad agire sui requisiti di accesso alla pensione.