Spending review, quanto mi costi

In qualunque famiglia, quando si incontrano dei periodi di difficoltà economica la prima cosa che si fa è una razionalizzazione di spese e costi. Una piccola spending review domestica Si taglia il superfluo, si riciclano gli abiti anziché buttarli, si fa a meno della colf e si tira pulita la casa da soli, si usa meno l’auto, si esce meno a cena, si ricontratta il mutuo. Misure piccole ma importanti che, se prese con coscienza, rimettono in sesto l’economia domestica o, quantomeno, evitano il tracollo.

In Italia no. Se il Paese va a rotoli, continua a spendere più di quanto incassa e lo fa in maniera scellerata, sprecando ovunque possa sprecare, chi cerca di razionalizzare le spese o ridurre gli sprechi non riesce mai a trovare la quadra. È il caso del commissario Cottarelli, che ricorda più un poliziesco di bassa lega che colui il quale deve operare la cosiddetta spending review. In comune con il poliziesco, però, ha una cosa: il giallo. È infatti un giallo il motivo per cui, a fronte di uno Stato che spende quasi 800 miliardi l’anno, la più parte in modo scriteriato, il commissario in questione abbia dichiarato che per questa revisione della spesa potrà portare risparmi per al massimo 20-25 miliardi (all’inizio si parlava di 7!), di cui 5 per il 2014.

Passi il fatto che, come sempre quando si tratta di tagliare, sono più gli scontenti che i contenti. Passi il fatto che è sempre bello applaudire ai sacrifici quando sono gli altri a farli. Rimane comunque da capire per quale motivo si preferisce sempre la linea della prudenza anziché la cura da cavallo che un malato grave come l’Italia. Noi di INFOIVA proveremo a chiederlo a chi ne sa di più. Intanto, ecco un’ipotesi di quello su cui il commissario Carlo Cottarelli sta lavorando, almeno per l’anno in corso.

L’obiettivo per il 2014 dovrebbe essere raggiunto tagliando le retribuzioni dei dirigenti statali e decurtando la spesa per la difesa. Inoltre si dovrebbero incamerare 400 milioni di euro dal decremento degli emolumenti destinati a consiglieri comunali e regionali, 200 milioni dalla ristrutturazione delle province e circa 2 miliardi e 200 milioni dal sistema di riordino dei processi burocratici, con tagli agli stipendi dei manager pubblici per quasi 500 milioni di euro.

Tocca poi alla difesa con quasi 100 milioni di euro e all’eliminazione di costi della politica, tra i quali le famigerate auto blu. Caldo anche il fronte delle pensioni, specialmente quelle di reversibilità (100 milioni di euro), di guerra (200 milioni di euro) e di invalidità.

Un ultimo dettaglio: quanto guadagnerà colui che deve tagliare? Si parla di 258mila euro (più di 700 euro al giorno). Molto bene…

Taglio dei parlamentari, la casta colpisce ancora

di Davide PASSONI

Normalmente da queste pagine non siamo soliti commentare episodi di stretta attualità politica, ma quello che è accaduto ieri al Senato travalica i limiti della politica per sconfinare, da una parte, in quelli dell’economia reale, dall’altra in quelli della fantascienza.

In sostanza, i senatori hanno accantonato l’articolo 1 del ddl di riforma costituzionale sul taglio del numero dei deputati, accogliendo la richiesta della Lega che, appoggiata dal Pdl, ha proposto di affrontare prima le modifiche del Senato tra i quali gli emendamenti con cui il Carroccio chiede il Senato federale. Ovvero: chissenefrega del taglio dei parlamentari, dei costi della politica e delle nostre poltrone, prima facciamoci i fattacci nostri.

Patetiche le giustificazioni e le polemiche seguite alla decisione. Il vicepresidente dei senatori del Pd Luigi Zanda: “Stanno barattando la forma di Stato con il Senato federale. Tutto è finalizzato all’accordo tra Pdl e Lega. E’ un peccato che considerazioni di politichetta entrino in questa discussione“. “Si è definita politichetta quella che invece è un’alta istanza riformatrice“, ha risposto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. E anche il capogruppo della Lega Roberto Bricolo si è difeso: “Noi giochiamo a carte scoperte, non abbiamo paura di cambiare la Costituzione ma dalla Commissione è uscita una riformetta“.

Ma quali carte scoperte, quale riformetta, quale politichetta, quale alta istanza riformatrice! Qui il Paese è alla fame, i professori saccheggiano quotidianamente imprese e cittadini, mancano i soldi persino per pagare le tasse, di tagliare la spesa pubblica e gli sprechi nemmeno se ne parla e i senatori fanno scudo ai deputati per evitarne il taglio. Ma andiamo, ma andiamo!

Sconfiniamo nell’economia reale perché una decisione del genere non fa altro che perpetuare un meccanismo di crescita continua della spesa per il mantenimento di uno stato obeso e di coloro che alle sue e alle nostre spalle mangiano e mangiano; crescita della spesa significa necessità di finanziarla; necessità di finanziarla significa aumentare le tasse (perché altri modi per farlo questi tecnici, così come i politici che li hanno preceduti, pare non ne vogliano usare); aumentare le tasse significa deprimere i consumi; deprimere i consumi significa ingessare l’economia.

Sconfiniamo nella fantascienza perché queste persone continuano a dimostrarsi quello che in realtà sono: alieni.

L’Italia deve crescere? Fate meno ferie

di Davide PASSONI

Gianfranco Polillo l’ha fatto di nuovo. Il sottosegretario all’Economia del governo Monti se n’era uscito qualche settimana fa con la boiata della tassa su cani e gatti (prontamente rimangiata, come fosse un bocconcino di Ciappi); ora ha sparato un’altra affermazione di quelle che fanno il botto: “Aumentare il tempo di lavoro per far ripartire la produttività“, ha detto. Ossia: “Nel brevissimo periodo, per aumentare la produttività del Paese lo choc può avvenire dall’aumento dell’input di lavoro, senza variazioni di costo; lavoriamo mediamente 9 mesi l’anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve“. E quindi: “Se noi rinunciassimo ad una settimana di vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto“. Bum! Ricetta semplice.

Vero è che, come tante volte accade, le cose semplici sono talmente semplici che nemmeno le vediamo. Però, forse, questa volta Polillo non ha tenuto conto di qualcosa. Non siamo sottosegretari all’economia, non abbiamo un bagaglio di studi, di esperienze, di capacità che ci possono portare a smentire quanto Polillo dice e pensiamo che quando un sottosegretario parla, specialmente di cifre, non parli per dare aria alle gengive ma perché sa quello che dice. Però…

Però forse Polillo non ha tenuto conto del fatto che gli imprenditori onesti e capaci alle ferie hanno già rinunciato da tempo. Chi garantirebbe loro il fatturato, tra crisi, fornitori che non pagano, imposte e ferie? Come non ha tenuto conto del fatto che i lavoratori dipendenti lavorano, lavorano, lavorano, pagano tasse, si vedono decurtare il potere d’acquisto del loro stipendio… per che cosa? Ah, e tra l’altro… chi diavolo lavora 9 mesi all’anno? Il sottosegretario Polillo, forse. Qualche insegnante non impegnato con la maturità, forse (statale, tra l’altro, non privato). Deputati e senatori, forse (ma non lo crediamo…). D’accordo, Polillo dice “mediamente 9 mesi l’anno“, ma per arrivare a questi dati devi far fare media a un sacco di lazzaroni e assenteisti.

Pensi invece, il sottosegretario, a recuperare punti di Pil abbattendo la spesa pubblica, eliminando quella improduttiva, dismettendo patrimonio pubblico, intervenendo sui costi della politica, dando alle imprese l’ossigeno per ripartire e dare un senso all’economia italiana. Imprenditori e lavoratori sono in grado di pensare loro alle proprie ferie, almeno su questo le lezioni i professori se le risparmino.

Ah, detto per inciso… Quando l’ex premier Silvio Berlusconi se ne uscì con qualcosa di analogo e mise mano anche agli italianissimi “ponti” fu massacrato, mediaticamente e politicamente. Del resto, Polillo è stato consigliere economico del Pdl. Sentire da un membro di questo governo affermazioni del genere non fa che ribadire la discutibile continuità che lo lega agli esecutivi precedenti, dai quali avrebbe dovuto distinguersi con un taglio netto. E buone ferie a tutti.

Manovra, verso una correzione da 20-25 miliardi

Cominciano a filtrare le prime cifre sulla manovra correttiva cui sta lavorando il governo Monti per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Una manovra sulla quale pesa la revisione al ribasso del pil. Facendo riferimento al calo dello 0,5% nel 2012 previsto dall’Ocse, la correzione necessaria salirebbe dai 13-15 miliardi previsti inizialmente a 20-25 miliardi. Secondo indiscrezioni, al momento si starebbe lavorando sulla parte bassa di questa forchetta.

In tutto questo, arrivano segnali anche dalla politica, sempre meno indifferente di fronte ai propri enormi e ingiustificati costi. Secondo quanto riporta un comunicato congiunto di palazzo Madama e Montecitorio, il presidente del Senato Renato Schifani e il presidente della Camera Gianfranco Fini, si sono infatti incontrati assieme ai rispettivi Collegi dei Questori con il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, e hanno comunicato al governo di voler procedere entro la fine dell’anno a una radicale modifica della disciplina in tema di assegni vitalizi.

Dal 1° gennaio 2012 sarà introdotto il sistema di calcolo contributivo, in analogia con quanto previsto per tutti i lavoratori. Tale sistema opererà per intero per i deputati e i senatori che entreranno in Parlamento dopo tale data e pro rata per coloro che attualmente esercitano il mandato parlamentare.

Sempre dal 1° gennaio 2012, i parlamentari che avranno terminato il mandato percepiranno il trattamento di quiescenza non prima del compimento dei 60 anni di età per chi abbia esercitato il mandato per più di una intera legislatura, e al compimento dei 65 anni per coloro che abbiano versato i contributi per una sola intera legislatura. Un po’ alla volta qualcosa si muove…

d.S.

Cara, carissima politica…

L’Ufficio Studi di Confcommercio ha messo a punto un’interessante analisi, “I costi della rappresentanza politica in Italia“, dalla quale emerge una fotografia impietosa degli sprechi e dei costi legati alla politica italiana. Secondo Confcommercio, infatti, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico insieme all’eccessivo livello di spesa pubblica rendono indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese.

Una possibile azione di contenimento della spesa pubblica potrebbe partire proprio dai costi della rappresentanza politica che, in Italia, ammontano a oltre 9 miliardi di euro l’anno, poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa.

Applicando ai circa 154mila rappresentanti politici dei vari organi nazionali e locali l’ipotesi della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all’anno, una cifra sufficiente a ridurre in modo permanente di circa 8 decimi di punto la prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti; in alterativa il risparmio permetterebbe di ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all’anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. Sarebbe in ogni caso la più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese.

Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell’Italia, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi. Ciò sarebbe possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e una progressiva riduzione della spesa pubblica.

Nella definizione del perimetro dei costi, Confcommercio ha adottato un’impostazione restrittiva. Inoltre, per ragioni logiche e per l’esigenza di semplificare i conteggi, non è stata inserita nei costi della politica la spesa delle Pubbliche Amministrazioni per trattamenti di quiescenza. Sotto questo profilo, Confcommercio propone una possibile tassonomia dei costi della rappresentanza politica, distinguendo tra costi monetari e costi non monetari. I primi si suddividono in costi diretti (di rappresentanza), cioè riferiti agli emolumenti dei rappresentanti (eletti), costi di funzionamento, comprendenti sia le remunerazioni per personale dipendente e per le collaborazioni (costi indiretti), sia gli acquisti di beni e servizi intermedi della pubblica amministrazione (costi gestionali), strumentali all’esercizio effettivo della rappresentanza politica, e altri costi.

Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica, calcolati per il 2009, superano i 9,1 miliardi di euro e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa.

Quasi il 77% dei costi monetari è costituito dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All’interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale.

Infine, per ogni euro di risparmio sugli sprechi della politica, una catena di “euro” viene potenzialmente risparmiata grazie al fatto che le relazioni socio-economiche della collettività diventano più fruttuose e più dirette, grazie alla ridotta intermediazione e alla limitata invadenza della politica.