Accesso al credito: pmi artigiane ancora in difficoltà

Anche per quanto riguarda l’accesso al credito le imprese e le famiglie vedono finalmente uno spiraglio, quando, fino a pochi mesi fa, la situazione era preoccupante.

A confermarlo è l’Ufficio Studi di Confartigianato, che ha riportato anche le cifre ufficiali: nonostante una diminuzione dello 0,5% dei prestiti concessi alle società non finanziarie, quelli alle famiglie sono aumentati del 2,8% e quelli alle imprese medio-grandi sono cresciuti dello 0,2%.
In affanno sono ancora le imprese con meno di 20 addetti, che registrano un calo dello 0,8%.

Per quanto riguarda le società non finanziarie, sono andate bene quelle appartenenti ai settori manifatturiero e dei servizi, entrambi positive dell’1%, in contrapposizione con le costruzioni, in calo del 5,1%.
Il calo dei prestiti concentrato nelle piccole imprese non sembra inoltre strettamente determinato da condizioni strutturali di maggiore rischiosità: a giugno 2017, tra le società sane, il credito sale del 3,0% per le grandi imprese e dell’1,5% per le medie mentre ristagna (0,3%) per le piccole e scende del 2,5% per le micro imprese.

E’ evidente, invece, che il calo dei prestiti riscontrato dalle imprese di piccole dimensioni dipende in gran parte dalle difficoltà di accesso al credito: nel settore manifatturiero il saldo di opinione sull’accesso al credito delle micro imprese a settembre 2017 rimane negativo (-2,5%) mentre è positivo per le imprese medie (1,5%) e grandi (3,0%).

L’analisi dei prestiti all’artigianato, effettuata in collaborazione con Artigiancassa, mette in evidenza, a giugno 2017, uno stock, comprensivo delle sofferenze, di 41,0 miliardi di euro, in calo in un anno di 2,5 miliardi: il calo del 5,8% intensifica la flessione del 4,5% di marzo 2017 ed uguaglia quella osservata un anno prima.
Considerando il periodo compreso tra giugno 2012 e giugno 2017, i prestiti all’artigianato si sono ridotti complessivamente di un quarto (-23,1%), pari a 12,3 miliardi di euro in meno, calo oltre una volta e mezzo quello registrato dal totale imprese (-13,5%).

Vera MORETTI

Finanziamenti alle imprese, una su 3 rinuncia a chiederli

L’Osservatorio sul Credito di Confcommercio ha elaborato uno studio sulle imprese del commercio, del turismo e dei servizi relativo al secondo trimestre del 2015 dal quale emerge che, nonostante continui ad aumentare la capacità delle imprese del terziario di far fronte ai propri impegni finanziari, vi sono ancora molti imprenditori che, pur avendo necessità di finanziamenti alle imprese, rinuncia a recarsi in banca a chiederlo.

Il dato si spiega sostanzialmente con il fatto che queste persone non hanno ancora fiducia nella ripresa o temono di vedere respinta la propria richiesta di finanziamenti alle imprese: questi imprenditori scoraggiati sono il 28% ma al Sud  (dove solo il 16,6% delle aziende ha richiesto finanziamenti alle imprese) supera il 35%.

Il dato positivo, però, è l’aumentata capacità delle aziende di restituire i finanziamenti alle imprese ricevuti. Cresce il numero di imprese che avvertono, nel complesso, una stazionarietà o un miglioramento della situazione (dal 54% di fine 2014 al 62%) e calano quelle che denunciano un peggioramento (dal 46% al 38%).

Sempre nel secondo trimestre 2015 è cresciuta rispetto al primo trimestre la percentuale di aziende del terziario che si sono recate in banca per chiedere i finanziamenti alle imprese: 20,1% contro il 19,6% del primo trimestre e con una quota di imprese finanziate pari al 7,3%, percentuale ancora molto risicata, nonostante sia la più alta registrata dalla metà del 2012.

Credito alle imprese, i numeri del crollo

L’Ufficio studi di Confcommercio ha rilevato che tra il giugno del 2010 e il settembre del 2014 il credito alle imprese piccole e medie che le banche non hanno erogato è stato di ben 97,2 miliardi di euro.

Se poi si somma il credito alle imprese mancato a quello negato alle famiglie, dice Confcommercio, nello stesso periodo la percentuale di calo arriva a un significativo 6,6%. Si tratta naturalmente di una media: il calo dei prestiti alle famiglie è stato dell’1,1%, mentre il calo del credito alle imprese si è rivelato ben più consistente: -8,3%.

Oltre al danno, la beffa: le Pmi italiane che sono riuscite ad accedere al credito alle imprese hanno pagato e pagano interessi più alti di quanto accade negli altri Paesi dell’Eurozona. Se in Italia a ottobre 2014 i tassi per credito alle imprese fino a un milione di euro erano al 3,3%, in Francia nello stesso periodo di è registrato un 1,5% medio. Stanno peggio di noi in Spagna, dove i tassi per il credito alle imprese sono al 4,4%, meglio in Olanda (2,7%) e Germania (1,9%).

Confcommercio ha analizzato anche il capitolo oscuro dei costi accessori del credito alle imprese e anche su questo fronte non arrivano buone notizie. Oltre il 60% delle imprese ha registrato un aumento tra ottobre 2013 e marzo 2014. Tornando al paragone con i nostri competitor europei, a fronte di una media dell’Eurozona che parla di un +45%, in Francia siamo di poco sopra al 50%, mentre in Germania a meno del 20%.

Non stupisce quindi, secondo i dati di Confcommercio, il fatto che il numero di imprese finanziate sia calato del 17,4% (dal 22,2% del 2009 al 4,8% del terzo trimestre 2014). In termini percentuali, dal 2009 è anche sceso di molto il numero di realtà che ha chiesto alle banche credito alle imprese che è poi stato loro concesso: dal 64,2% al 29% del 2014.

Zanonato: niente tasse per chi assume

Il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha anticipato le prossime misure del Governo sull’occupazione, che prevedono un potenziamento del fondo di garanzia, per “mettere a disposizione più credito per le imprese” e una serie di vantaggi fiscali per le aziende che assumono “in modo permanente i giovani nelle loro aziende“.

Per il ministro è fondamentale, in questo delicato momento storico, dare ai giovani, pesantemente sfavoriti dalla crisi, una speranza per il futuro, traducibile in un posto di lavoro solido: “Se vogliamo che i giovani rimangano nel nostro paese debbono essere messi in condizione di sposarsi, di avere una casa, di poter programmare il proprio futuro“.

Le aziende che assumeranno a tempo indeterminato godranno di un’esenzione fiscale di tasse e contributi per l’interno monte salari di nuovi assunti. La durata di questa agevolazione non è, per ora, stata definita, poiché “dipenderà dalle risorse disponibili. L’importante è fare uno sforzo: abbiamo due milioni e mezzo di giovani – una cifra che fa venire i brividi – che non lavorano e non studiano, i cosiddetti Neet“.

Per quanto riguarda le imposte sulla prima casa, è stata confermata la volontà di ridurre al minimo l’Imu sulla prima casa, mentre per quanto riguarda l’Iva, Zanonato ha dichiarato: “L’Iva al 22% è già un’entrata prevista nel bilancio, non l’abbiamo decisa noi. Ci piacerebbe, Saccomanni compreso, riuscire ad evitare questo ulteriore aumento, che puo’ frenare ulteriormente i consumi interni. Ma i miracoli non esistono in economia. Se rinunciamo a 4 miliardi, dobbiamo trovare altri 4 miliardi dalle entrate o dalle spese“.

Vera MORETTI

Banche: aumenta l’utile ma non il credito

La notizia che le banche sono tornate in utile non avrà, come si sperava, conseguenze sulle imprese: l’accesso al credito, infatti, non sembra destinato a migliorare.
Questo è quanto sostiene Prometeia, artefice di uno studio dedicato proprio al credito alle imprese da parte delle banche.

La previsione, per le banche, è di un utile di 2,4 miliardi di euro a fine 2013, che in soli due anni salirà a 21 miliardi, ma nonostante ciò è previsto un calo nelle erogazioni di prestiti, a causa dell’aumento delle partite deteriorate e delle conseguenti rettifiche a bilancio.

Giuseppe Lusignani, vicepresidente di Prometeia, ha così spiegato la situazione: “Al netto della componente sofferenze, il credito alle famiglie e alle imprese si ridurrà anche nel 2013 (-1,9%) e tornerà a crescere solo nei due anni successivi (+2% nel 2015). Le banche non saranno più nelle condizioni di finanziare completamente il fabbisogno di credito delle imprese, che si dovranno così rivolgere al mercato dei capitali e anche a quello del debito“.

Le pmi, però, non sembrano particolarmente preoccupate da questo scenario, poiché il 58,3% di quelle intervistate dall’istituto Gugliemo Tagliacarne per conto dello studio Lexjus Sinacta ha affermato di non aver riscontrato problemi nell’ultimo anno ad affrontare gli impegni finanziari presi e quasi il 70% è riuscito a mantenere stabile la base occupazionale.

Ma il rovescio della medaglia mostra solo il 20,5% delle aziende pronto ad investire nel 2013, con un 22% che ha già ridotto il ricorso al credito bancario.
Si alza al 33% la percentuale di chi ha ottenuto solo un sì parziale oppure un no secco dalle banche alle proprie richieste di finanziamento.

Questo accade perché le banche, secondo Prometeia, si trovano a dover fare i conti con le partite deteriorate, che sono salite dal 5,1% dei crediti lordi del 2008 al 13,3% del 2012, mentre il costo del rischio è raddoppiato dai 40 punti di prima della crisi agli 80 punti del 2010 ed è destinato a toccare i 120 punti a fine 2013 e ridiscendere a 83 punti solo nel 2015.

Questo implica un fabbisogno di 19 miliardi di euro di rettifiche stimate per il 2013 e di 48 miliardi nel prossimo triennio.
Le simulazioni di Prometeia, inoltre, prevedono che se il Pil 2015, invece di crescere dell’1,2%, calasse dell’1,4%, le rettifiche potrebbero salire a 58 miliardi di euro, mentre l’utile scenderebbe da 21 a 5 miliardi.

Vera MORETTI

Accesso al credito: Molise e Sardegna fanalini di coda

Se l’accesso al credito è difficoltoso, in Molise e Sardegna è addirittura utopico.
Sono queste due regioni, infatti, quelle che si contraddistinguono a causa di una stretta maggiore da parte delle banche: è qui che la contrazione dei finanziamenti erogati dai sistema creditizio alle imprese tra giugno 2011 e giugno 2012 supera il 5%, a fronte di un calo medio nazionale del 2,5%.
Traducendo questa percentuale in numeri, le imprese italiane hanno ottenuto 978 miliardi di euro invece dei 1.003 concessi nello stesso periodo dell’anno precedente.

Le contrazioni più marcate del credito erogato alle imprese si sono verificate nel Nord Ovest (-3,4%) e nel Nord Est (-3,1%).
Più disponibile alle esigenze del tessuto economico, invece, sembra essersi mostrato il sistema bancario al Mezzogiorno (-1,4%) e soprattutto al Centro (-1%).

Una riduzione superiore alla media si è registrata, oltre che in Molise (-5,4%) e in Sardegna (-5,2%), anche in Friuli Venezia Giulia (-4%), in Veneto e in Calabria (-3,9% e in Lombardia (-3,5%).
Sul fronte opposto, a registrare un aumento dei crediti concessi le imprese di Valle d’Aosta (+1,1%), Sicilia (+0,4%), Abruzzo (+0,3%) e Lazio (+0,1%).

In controtendenza sono invece i crediti alle famiglie, aumentati in termini medi dell’1,2% tra giugno 2011 e giugno 2012, con punte del +1,7% in Lombardia e diminuiti solo in due regioni, Basilicata, -1,4% e Valle d’Aosta -0,5%.

Il peso degli impieghi delle imprese sul totale risulta, in Italia, appena sopra il 50%, anche se supera ampiamente i 60 punti percentuali in diverse regioni del Centro-Nord.
Al primo posto, per incidenza dei finanziamenti alle imprese, ci sono il Trentino Alto Adige (69,6%), seguito dalla Valle d’Aosta (63,7%), dall’Umbria (63,3%) e dall’Emilia Romagna (63,1%).
L’Abruzzo (61,4%) è l’unica regione del Mezzogiorno in cui gli impieghi delle imprese raggiungono una incidenza sul totale superiore al 60%.
Molto modesto risulta invece, il dato del Lazio (30%), sopratutto a causa degli impieghi della Pubblica Amministrazione nella Capitale.

Gli impieghi delle famiglie pesano invece mediamente per poco più di un quarto sul totale degli impieghi (26,1%), ma superano il 33% in tutte le regioni del Mezzogiorno, fatta eccezione per l’Abruzzo, dove si registra una netta prevalenza degli impieghi delle imprese.

Vera MORETTI

Credit crunch, imprese quasi salve

di Mirko ZAGO

Le imprese italiane sono sotto la morsa del credit crunch. Il termine anglosassone che ormai riecheggia sulle pagine dei quotidiani e in rete da qualche mese, è diventato una vera minaccia per le piccole e medie imprese, ancora una volta sotto la stretta della difficoltà di accedere al credito. Come se non bastasse l’eccessivo tempo perso a batter cassa specie alla pubblica amministrazione, che ancora si macchia della colpa di ritardi ingiustificabili, partecipa a mettere quotidianamente in ginocchio decine di attività produttive.

Dinnanzi ad una situazione così preoccupante, sono ormai intervenuti tutti, dai politici, agli amministratori, ai responsabili d’impresa con risultati felici sulla carta ma sconfortanti nella realtà, questa la situazione fino a ieri. La decisione dell’ inasprimento dei requisiti patrimoniali delle banche da parte dell’Europa con l’entrata in vigore imminente di Basilea 3, ha creato non poca confusione nell’humus delle banche italiane, che si sono sentite colpite ingiustamente, dopo la promozione a pieni voti a seguito degli stress test della scorsa estate. Ripatrimonializzare potrebbe voler dire chiudere ancor più i rubinetti dei prestiti alle imprese. Le imprese piccole e medie, che rappresentano il 92% del tessuto impreditoriale nazionale, già stremate da continui rallentamenti si vedrebbero d’improvviso costrette a sopportare d’improvviso gli effetti di una tirata di freno a mano.

Dalla Banca d’Italia si viene a sapere che negli ultimi 3 mesi del 2011, i prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese hanno subito una diminuzione dell’1,5% e nelmese di dicembre addirittura 2,2%. La Cgia di Mestre come molti altri, denuncia: “Questi dati confermano che ci troviamo di fronte ad una vera e propria stretta creditizia. Le banche hanno chiuso i rubinetti del credito ed in una fase recessiva, come quella che stiamo vivendo in questo momento, corriamo il rischio che il nostro sistema produttivo, costituito prevalentemente da piccole e piccolissime imprese,  collassi”. Il segretario Giuseppe Bortolussi prosegue: “Nel 2011 le insolvenze in capo alle imprese italiane hanno toccato gli 80,6 miliardi di euro, con un incremento rispetto l’anno precedente pari al + 36%. Questa situazione ha sicuramente indotto molti istituti di credito a ridurre i prestiti soprattutto a quelle realtà produttive che non erano più in grado di dimostrare una certa affidabilità”. La difficoltà a reperire capitali è un dramma per il 51,3% delle imprese. Il fatto che l’86,2% di esse non si affiderà ad isituti di credito per reperire risorse illustra chiaramente la scarsa fiducia e la difficile situazione in cui ci si trova. Non fosse anche per gli aumenti registrati in agosto del costo medio dei nuovi finanziamenti alle imprese, salito al 3,4 per cento (una maggiorazione di mezzo punto percentuale).

Come riuscire a librarsi in volo dunque, visto le premesse pessime? Spiragli ci sono per quanti riescono ad arricchire il proprio biglietto da visita, dimostrando alle banche di possedere una buona capacità di esportazione, un ottimo business plan articolato e al tempo stesso credibile e possibilità e volontà di investire nell’innovazione. Fondamentali saranno anche gli interventi politici. Ambra Redaelli, presidente del comitato regionale Piccola Industria e responsabile credito per Confindustria Lombardia rende noto che “alla luce delle persistenti difficoltà Confindustria e Abi si stanno confrontando per valutare le iniziative per uscire da questa crisi: la riapertura della moratoria, che è stata tanto utile durante la prima crisi, sarà riproposta per chi non ne ha ancora usufruito”.

Al fine di rimediare ai ritardi nei pagamenti, alcune banche come ad esempio Mps, stanno prevedendo strumenti ad hoc che aiuteranno le imprese a far fronte ai tempi intermedi tra la richiesta di pagamento e l’incasso concreto. Altri soggetti che possono compartecipare a risolvere i problemi sono la cassa depositi e prestiti, le regioni, le camere di commercio, i confidi, il fondo italiano di investimento, la Sace, senza contare la Banca Europea e il Fondo Europeo per gli investimenti che sono responsabili dello sblocco di gran parte dei fondi salva imprese. Anche la politica sta finalmente dando risposte concrete. Il governo Monti ha disposto  sei miliardi di euro per ridurre il debito della Pa verso i privati e previsto l’adozione entro sei mesi dei decreti per attuare la direttiva Ue. Una virata verso il salvataggio, giusto ad un passo dallo scontro con l’iceberg.

Imprese, il miraggio del credito

Siamo alle solite. Nonostante le dichiarazioni di buona volontà da parte delle banche e nonostante le imprese italiane affrontino la crisi con risultati più confortanti rispetto alle tendenze del quadro macroeconomico, Confcommercio ci presenta un dato che fa innervosire.

Secondo i dati relativi al quarto trimestre 2011, che emergono dall’Osservatorio sul credito per le imprese del commercio, del turismo e dei servizi realizzato da Confcommercio-Imprese per l’Italia in collaborazione con Format Ricerche, quasi un terzo delle imprese, il doppio rispetto ad alcuni anni fa, ottiene meno credito di quanto richiesto o non lo ottiene per nulla e si riduce dal 49,8% al 35,8% la percentuale di imprese che ottengono finanziamenti uguali o superiori rispetto alla richiesta.

Secondo la ricerca, sono sempre meno le imprese in grado di far fronte da sole, e senza difficoltà, al proprio fabbisogno finanziario (la quota è scesa dal 49,2% del terzo trimestre 2011 al 41,8% del quarto trimestre); per fortuna, le imprese che si sono rivolte al sistema bancario per chiedere un finanziamento sono solo il 18,1%.

Anche la situazione relativa alle “condizioni del credito” e ai costi dei servizi bancari è peggiorata di molto rispetto al periodo precedente. Siamo dunque di fronte a un quadro negativo – il peggiore rilevato finora dall’Osservatorio – con situazioni di particolare disagio soprattutto per le imprese del Sud e le microimprese del commercio e del turismo. E questo in un momento in cui i dati ci dicono che, nel 2011, la quota di export delle nostre imprese e tornata ai livelli pre-crisi, ante 2008. Che cosa aspettano le banche a darsi una svegliata?

Confartigianato Vicenza sottolinea: le banche pensino alla PMI

Le drammatiche turbolenze dei mercati finanziari si riflettono sulle strategie delle banche e la spirale finisce col ripercuotersi sul credito in forma sempre più  pressante.

A lanciare l’allarme è il presidente di Confartigianato Vicenza Agostino Bonomo, secondo cui ”i continui bollettini di guerra provenienti dalle Borse hanno sconvolto il trend e le aspettative della nostra economia reale, che prima dell’estate lasciava intravedere qualche timido segnale di fiducia, specie per le attività legate all’export‘.

Oggi purtroppo il meccanismo di trasmissione degli effetti negativi della finanza sulle imprese concreto, e lo vediamo da un lato nel forte rallentamento sulle aspettative di crescita e sugli ordinativi, dall’altro in una stretta creditizia dagli effetti minacciosi sia sul livello dei tassi d’interesse e sia sulla forte selezione delle domande di credito. Purtroppo dal settembre 2008, ossia da quando cominciata la crisi finanziaria, non si potuto – o voluto – avviare un concreto processo regolatore dei mercati finanziari, e ora tutti ne paghiamo le conseguenze” .

Qui entra in gioco il ruolo degli istituti di credito. Bonomo ribadisce infatti ”le forti tensioni ribassiste sulle Borse e sul debito sovrano spingono verso l’alto il costo della raccolta bancaria, e quindi anche quello del credito per imprese e famiglie. E’ evidente quindi l’innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti: di questi giorni il raddoppio degli spread sui finanziamenti, che dall’1,5% di prima dell’estate hanno superato il 3%, portando i tassi finiti per le imprese sulla soglia del 5%. Vi è poi il cosiddetto ‘credit crunch’, ossia il razionamento creditizio.I limiti delle banche riducono drasticamente le erogazioni alle aziende che presentino dei rating appena un po’ meno meritevoli, alle quali la concessione praticamente preclusa”.

Per l’Italia uno degli elementi di principale preoccupazione è dunque il credito: mentre la classe politica non lo merita dal popolo, le banche di contro non lo concedono ai privati.

Marco Poggi

Intesa Sanpaolo e Confartigianato Bergamo: raggiunto un accordo per facilitare il credito alle imprese

L’Associazione Artigiani di Bergamo e l’istituto di credito Intesa San Paolo hanno firmato nei giorni scorsi un accordo con l’obiettivo di dare attuazione anche a livello provinciale all’accordo nazionale, sottoscritto a febbraio tra Rete imprese Italia e Intesa San Paolo.

In questo modo sarà dato pieno sostegno alle piccole imprese associate in un momento congiunturale ancora difficile visto che il plafond di finanziamenti messi in campo da Intesa Sanpaolo ammonta a 5 miliardi. Oltre ad interventi volti a migliorare la comunicazione tra banche e Pmi è previsto anche l’introduzione di nuovi prodotti di credito mirati alle esigenze delle imprese e di strumenti che consentono alle aziende di autovalutare le proprie attività imprenditoriali, e lo sviluppo di nuovi strumenti e canali di pagamento derivanti da processi di innovazione e dematerializzazione.