Molte auto in meno si produrranno per la crisi dei microchip, ecco perché

La parola semiconduttori o microchip mai come negli ultimi mesi è diventata di pubblico dominio in Italia come nel resto del Mondo. Infatti dal computer al tablet, dallo smartphone alle moderne auto, sono strumenti questi indispensabili per completare il processo produttivo. Basti pensare che per ogni auto sembra che ce ne vogliono circa 3.000. Sono le componenti elettroniche che fanno girare tutto l’apparecchio tecnologico su cui servono. Per esempio necessitano di molti microchip le centraline delle moderne auto. Perché è balzato agli onori della cronaca questo piccolo componente elettronico? Il motivo è la grave carenza di queste componentistiche che minano la produzione di molte apparecchiature, auto comprese appunto.

La crisi dei microchip e gli operai di Stellantis in Italia, ecco lasituazione

I lavoratori delle fabbriche italiane di Stellantis, cioè del colosso del settore automobilistico nato dalla fusione tra i francesi di Peugeot e gli italiani della Fiat, sanno bene di cosa parliamo. Infatti le ripetute casse integrazioni, le ripetute chiusure degli stabilimenti, e i progetti di riduzione e taglio del personale, partono proprio dalla carenza di queste componentistiche elettroniche. Infatti ogni qualvolta da Mirafiori a Pomigliano, da Melfi a Cassino, la fabbrica chiude, il direttivo aziendale parla di mancanza di componenti. E sono proprio questi microchip (altrimenti detti semiconduttori), di cui le aziende italiane ma anche quelle del resto del Mondo si approvvigionano da Paesi quali Corea, Cina e Taiwan, ad essere al centro di queste carenze.

Stellantis e la crisi dei semiconduttori

Qualche tempo fa perfino il numero 1 di Stellantis, cioè l’amministratore delegato Carlos Tavares ha sottolineato come con le problematiche relative ai microchip si dovranno fare i conti ancora per diversi mesi. La crisi di queste parti elettroniche sottolineata dal CEO Tavares, cioè da quello che una volta era il compianto Sergio Marchionne, riguarda tutti. Infatti la crisi delle materie prime e l’aumento del costo delle stesse ha portato i paesi produttori a chiudere i rubinetti delle forniture. Se a questo colleghiamo anche le problematiche relative alla transizione elettrica che le case costruttrici di auto avranno da qui a qualche anno, è evidente che le problematiche che si abbatteranno anche sui lavoratori nelle varie fabbriche.

I numeri allarmanti sulle produzioni di auto i Europa

Perfino il Fatto Quotidiano ha riportato all’attenzione questa carenza. Sul quotidiano infatti si legge che la crisi di approvvigionamento dei semiconduttori, tutto fa tranne che accennare a diminuire. Infatti si riportano delle previsioni piuttosto negative di cui ha parlato il sito “Autonews.com”, su cui vengono citati i dati di Auto Forecast Solutions. Si tratta di una importanze azienda di analisi che ha affrontato il problema di questa carenza guardando al futuro non tanto prossimo.

Anche in Asia e nel Nord America si pagherà dazio alla crisi dei microchip

In pratica non solo la crisi dei semiconduttori non accenna a diminuire ma anzi, tende ad aumentare in maniera esponenziale. Secondo le previsioni di questi esperti, solo in Europa è solo per il settore Automotive, la carenza dei microchip porterà ad un taglio di 1.152.000 veicoli in meno in produzione. Per USA e Canada saranno  1.067.000 i veicoli in meno. E la crisi si sentirà pure nella stessa Asia, da cui il problema semiconduttori nasce. I Asia infatti saranno circa 950.000 i veicoli in meno prodotti. Circa 3,3 milioni di veicoli in meno in tutto il Mondo. Un segnale drammatico per il settore, che avrà ricadute su tutti i tessuti sociali in ogni parte del Mondo.

Microchip, un investimento anche in Italia da parte di Intel

Microchip e la carenza dei semiconduttori potrebbero essere un problema presto risolvibile, almeno in Europa, ecco il perché.

Microchip, la crisi dei semiconduttori

I microchip sono ormai usati per qualsiasi cosa nella vita quotidiana. Ed ormai da mesi molte aziende sono in difficoltà per quella che ormai è nota come “crisi dei semiconduttori. Si tratta di una sitazione in cui la domanda è maggiore dell’offerta di quel determinato prodotto. Quindi molte produttori non riescono a soddisfare la domanda delle imprese, che acquistano i microchip per impiegarli in prodotti più complessi, come smartphone, tablet, qualsiasi tipo di prodotto che ha al suo interno una componente elettronica.

Tuttavia secondo quando emerge da un sondaggio condotto dal Dipartimento del commercio, su 150 aziende della filiera di approvvigionamento, le cui scorte sarebbero passate dai 40 giorni del 2019, agli attuali cinque. Ebbene se le scorte continuano a mancare, per ritardo nella consegna dei produttori, e le aziende sono in difficoltà, qualcosa bisogna pur fare. Magari  occorre incrementare la possibilità di aumentare l’offerta per far fronte alla domanda.

Intel, propone una soluzione per risolvere la crisi

A correre ai ripari ci sta pensando Intel Corporation, la multinazionale americana. La società, con sede a Santa Clara in California, ha annunciato un progetto che potrebbe portare, in Europa, un investimento da 80 miliardi di euro. Una manovra che prevede l’espansione nel territorio europeo, ampliando la sua presenza in tutta la filiera dei semiconduttori.

Questa possibilità potrebbe diminuire la dipendenza asiatica di molte aziende. L’azienda ha infatti intenzione d’investire 17 miliardi di euro per creare un mega-impianto all’avanguardia in Germania specializzato nella produzione di semiconduttori, a cui si aggiungerà un centro di design e di Ricerca e Sviluppo con sede in Francia. Ma non solo l’investimento porterebbe fino a 4,5 miliardi di euro solo in Italia. 

Microchip, una grande opportunità anche per l’Italia

Il progetto di Intel potrebbe essere una grande opportunità per l’Italia. Questo perché potrebbe prevedere un grande numero di nuovi posti di lavoro. In un periodo in cui c’è fame di lavoro, questo potrebbe davvero cambiare le cose. Infatti il gigante di Silicon Valley sembra abbia intenzione di trasformare l’impianto italiano in un polo di eccellenza. Nei piani anche una partneship rilevante con STMicroelectronics, per creare nuove opportunità di crescita del servizio di fonderia dei semiconduttori.

Infine l’investimento totale prevede anche un flusso di denaro da riservare a progetti innovativi, che in ambito italiano permetterà di costruire nuove collaborazioni con Leonardo, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e CINECA, al fine di esplorare nuove soluzioni avanzate nell’ambito del supercalcolo (HPC), della memoria, dei modelli di programmazione software, di sicurezza e cloud.

 

 

 

Come saranno le aziende del futuro? Analisi e aiuti sull’industria 4.0

Più volte abbiamo trattato degli aiuti che l’Italia riserva a Piccole e Medie Imprese e sottolineato che questi sono funzionali, cioè sono diretti a determinati obiettivi e quindi non casuali. Si è visto che molti aiuti sono volti ad adeguare le imprese e i sistemi produttivi alle nuove tecnologie. In realtà non tutte le imprese italiane sono propense a sfruttare questa tipologia di aiuto. Ora cercheremo di capire perché è importante che le aziende sfruttino il più possibile gli incentivi per l’industria 4.0 perché in realtà ne guadagnano in competitività. Al termine dell’articolo inseriremo i link ai vari aiuti finora varati.

Come sarà l’industria 4.0

L’industria 4.0 applica nuove tecnologie informatiche e in particolare ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) stampa 3D, robotica, Internet of Things (IoT), big data, realtà virtuale, ed è al centro di quella che viene chiamata la quarta rivoluzione industriale.

L’impatto della quarta rivoluzione industriale è stato analizzato in forma predittiva sotto molteplici aspetti. Secondo molti esperti questa porterà un’inversione di tendenza, cioè nei decenni passati abbiamo visto delocalizzare le produzioni verso Paesi dove la manodopera aveva un basso costo con un impoverimento generale per i lavoratori interessati da riduzioni di personale. Ora si attende una tendenza opposta, cioè un ritorno e questo per motivi pratici: le nuove tecnologie non richiedono più operai a basso costo, ma operai a elevata specializzazione e questi si è disposti a pagarli e in secondo luogo la manodopera a basso costo ha, come nella maggior parte dei processi di riallocazione della ricchezza, breve durata.

L’esempio pratico è semplice: in zone povere il costo della vita è basso, lo stesso però aumenta nel momento in cui arriva il lavoro e un salario dignitoso per il posto, di conseguenza inizia l’ascesa dei salari e per le imprese non è più conveniente delocalizzare. La ricollocazione secondo gli esperti sarà dovuta anche alla ricerca di sistemi produttivi a basso impatto ambientale e quindi con una produzione vicino al consumatore evitando di far girare le merci per tutto il globo.

Impatto delle nuove tecnologie sulla produttività

Dai dati analizzati in una ricerca dell’Università di Padova è emerso che l’impatto delle nuove tecnologie varia in base al settore in cui la PMI opera, ad esempio l’impatto nel settore della moda è diverso rispetto a quello dell’automotive. In realtà proprio l’automotive sta attraversando un periodo difficile a causa della crisi dei microchip la cui penuria sta mettendo in forte crisi il settore. 

Il primo dato analizzato dall’Università di Padova è la produttività: le aziende che adottano le tecnologie 4.0 hanno avuto un incremento del 7% rispetto alle aziende dello stesso settore che non le hanno adottate. E’ stato rilevato che l’aumento di produttività non riguarda solo l’anno di introduzione di nuove tecnologie ma si dilata nel tempo, questo vuol dire che l’investimento iniziale è remunerato nel tempo. Sembra però che già dopo due anni ci sia un rallentamento della crescita. In realtà l’obsolescenza tecnica nel settore delle nuove tecnologie ha un forte impatto, ma si stanno studiando anche mezzi per ridurne l’impatto.

Un altro dato interessante sottolineato dalla ricerca condotta dall’Università di Padova riguarda la quantità di nuove tecnologie adottate. Sembra infatti che le imprese che decidono di introdurre più di due nuove tecnologie contemporaneamente non abbiano particolare giovamento da questa scelta. Il dato potrebbe essere dovuto al fatto che introdurre simultaneamente troppe novità potrebbe richiedere personale ad elevata specializzazione di cui le imprese non sono dotate al momento.
Ecco perché potrebbe essere importante agire in modo mirato e soprattutto curare la formazione costante dei dipendenti.

Per quanto invece riguarda i settori, l’introduzione di nuove tecnologie sembra favorire soprattutto le realtà aziendali a bassa tecnologia, mentre quelle che già adottano tecnologie evolute, dall’introduzione di nuove hanno vantaggi ridotti, molto probabilmente perché già lavorano con procedure all’avanguardia e quindi l’impatto è minimo.

Industria 4.0: analisi PwC

A risposte simili arriva un’indagine condotta da PwC, agenzia di consulenza operante in 158 Paesi nel mondo. PwC ha analizzato i dati della Germania e ha previsto un aumento della produttività dell’8% e lo stesso è legato alle nuove tecnologie. Secondo PwC per le imprese del settore automobilistico l’incremento sarà tra il 10% e il 20%.

PwC analizza anche l’impatto che l’introduzione massiva di nuove tecnologie avrà sull’occupazione, molti sono spaventati dal fatto che la robotica potrà ridurre il numero di lavoratori necessari in azienda. In realtà cambia la tipologia di lavoratori, infatti saranno richiesti sempre più lavoratori in possesso di numerose skills, ma questi allo stesso tempo saranno retribuiti in modo migliore perché dovranno gestire big data, dovranno utilizzare tecnologie evolute e analizzare dati complessi.

Conclusioni

Da questi dati emergono i primi consigli per le aziende:

  • cercare di innovare introducendo le nuove tecnologie in modo graduale e quindi cercando di capire quale tra quelle disponibili è più adatta al proprio settore;
  • approfittare degli aiuti e incentivi messi a disposizione;
  • curare la formazione costante dei propri dipendenti.

Novità per le imprese: c’è il rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze

Piano Industria 4.0 e finanza agevolata. Benefici per le imprese

Agricoltura: credito di imposta per chi acquista macchinari

Credito per il Mezzogiorno per l’agricoltura: come funziona

Imprese: la legge “Nuova Sabatini” per finanziare l’acquisto di macchinari

La crisi dei microchip: difficoltà per le imprese di tutti i settori e prospettive

Siamo pronti all’evoluzione digitale? La risposta sembra essere proprio “no”, infatti la crisi dei microchip, di cui si sta molto parlando, porterà inevitabilmente a nuovi equilibri che per ora sono difficili da immaginare, ma cos’è la crisi dei microchip e da cosa è generata?

Crisi dei microchip: come impatta su aziende e lavoratori

Il mondo sta cambiando, ce ne siamo accorti, forse, ma è altrettanto vero che non eravamo pronti e non siamo preparati all’improvvisa svolta tecnologica determinata anche dalla pandemia. La crisi dei microchip ce lo sta dimostrando e sta impattando sulla vita quotidiana di ognuno di noi, anche se la maggior parte di noi non ha ben chiara l’importanza di questa “crisi”. I primi ad essersene accorti sono i lavoratori del settore automobilistico, infatti molti stabilimenti di Stellantis (FCA, la vecchia FIAT,+ PSA) stanno affrontando l’inverno con molte ore di Cassa Integrazione a causa della difficoltà di approvvigionamento dei microchip. Non va meglio a Toyota che ha tagliato la produzione di auto al 40% a causa della crisi dei microchip.

Il problema reale è che non si trovano e tale scarsità sta anche facendo aumentare i prezzi, aumento che si ripercuoterà sui consumatori finali. A voler essere precisi mancano i semiconduttori, cioè diodi, resistori e transistor che sono alla base dei microchip e che hanno un’elevata conducibilità elettrica. Il mercato dei microchip però non interessa solo le auto, ma le aziende di tutti i settori, partendo da telefonia, computer, elettrodomestici (piccoli e grandi) e tutto ciò che prevede l’applicazione di nuove tecnologie e oggi praticamente tutto è basato su queste.

Il colosso dei chip attualmente è TMSC che si trova a Taiwan e che fornisce microchip a livello globale alle varie aziende. TMSC ha annunciato già l’aumento dei prezzi dei microchip, ma sono molte le aziende che stanno pensando all’autoproduzione, il problema resta la scarsità dei semiconduttori che sono alla base dei funzionamento dei chip e allora come si esce da questa crisi?

Le origini della crisi dei microchip: forte aumento di domanda

Le origini della crisi sono determinate da due fattori principali: la diffusione del 5G che utilizza i microchip nel settore della comunicazione, d’altronde lo sviluppo sempre più massivo del 5G ha avuto un’accelerazione in seguito alla crisi pandemica che ci ha costretto allo smartworking, alla DAD e alla digitalizzazione dei servizi e questa per funzionare bene ha bisogno di una rete efficiente e stabile e le attuali tecnologie non sono in grado di assicurare questo.

Ce ne accorgiamo ogni giorno, quando facendo la fila alle Poste o in qualunque altro ufficio ci sono problemi di connessione che ritardano i pagamenti, ce ne accorgiamo quando tentiamo di guardare un film con il nuovo televisore smart, o quando i figli hanno difficoltà con i collegamenti con la classe in DAD…

Allo stesso tempo il settore automobilistico sta avendo uno sviluppo ragguardevole e usa sempre più tecnologie avanzate, si studiano auto elettriche e a guida autonoma e queste hanno bisogno di chip. Le auto utilizzano i microchip per molte funzioni, dal monitoraggio costante delle funzioni all’airbag, passando per i sistemi di comunicazione presenti in auto, i sistemi di gestione da remoto, i sistemi audio. A ciò deve aggiungersi lo sviluppo della domotica, computer e smartphone che ci accompagnano quotidianamente nella vita e svolgono molteplici funzioni, sono diventati anche un sistema semplice di identificazione per l’accesso ai servizi: basti pensare al Green Pass e alle varie App “pubbliche”. C’è quindi un aumento esponenziale nella domanda a cui non corrisponde un aumento proporzionato della produzione e il sistema va in tilt generando effetti a catena.

Come reagiscono i Paesi al dominio dei colossi dei microchip

L’estremo bisogno di chip ha portato anche ulteriori conseguenze, cioè un inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, qui il colosso Huawei sembra abbia accumulato scorte di microchip. Proprio per questo sono in molti a credere che la crisi dei microchip sia costruita ad arte.

Se questa crisi ha sicuramente un impatto negativo in molti settori, da un altro potrebbe avere un impatto positivo, infatti è molto probabile che saranno generati nuovi posti di lavoro ad elevata specializzazione. La crisi dei microchip dovrebbe durare fino al 2023, questa è la previsione fatta dal colosso Intel, nel frattempo sono in molti a correre al riparo, anche per proteggersi da rilevanti perdite in borsa. Una soluzione potrebbe arrivare dalle multinazionali dell’informatica che sono spesso esortate a trovare soluzioni all’obsolescenza tecnica dei loro dispositivi cercando di renderli più longevi (di fatto dal punto di vista economico questa soluzione è poco interessante per le multinazionali che fanno affidamento proprio sul costante ricambio delle tecnologie).

Non solo, infatti i Paesi stanno adottando strategie volte all’indipendenza dai colossi di Taiwan e della Corea (TMSC e Samsung) attraverso la predisposizione di piani pubblici. Per gli Stati Uniti c’è l’Innovation and Competition Act che prevede un piano infrastrutturale del valore di 50 miliardi di dollari per l’industria americana dei chip e 52 miliardi di dollari da investire nel settore dei semiconduttori. L’Europa dal suo canto reagisce con l“European Chips Act” che ha come obiettivo la produzione di almeno il 20% dei chip mondiali entro il 2030. Il piano è sicuramente attraente, ma la realizzazione entro il 2030 sembra davvero un po’ tarda.

I colossi di Taiwan e Corea del Sud non indietreggiano

Sicuramente questi investimenti sembrano rilevanti, ma se confrontati all’obiettivo della Corea del Sud che ha annunciato 451 miliardi di dollari di investimenti nel settore, ci rendiamo conto che sono briciole. Il principale attore di questa strategia resta Samsung che quindi non vuole cedere il podio di questo importante segmento dell’industria globale. TMSC (Taiwan) risponde con 100 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi tre anni per la progettazione e la realizzazione dei microchip. Messa così sembra che la carenza di chip sarà soltanto temporanea e che semplicemente si stia cercando di avere la fetta più grossa di mercato e mantenere i prezzi della tecnologia alti. TMSC vanta le fonderie di semiconduttori più evolute e intende investire anche in Arizona, quindi negli Stati Uniti.

Di sicuro dalla soluzione della crisi dei microchip dipendono le sorti globali in termini di occupazione e concentrazione di ricchezza a livello globale e si spera che ci sia uno sguardo in più ai deboli della società attraverso uno sviluppo equo e il più possibile inclusivo.