Nati con la camicia

Imprenditori si nasce, non si diventa. Sono gli imprenditori familiari, ovvero coloro che decidono di portare avanti l’azienda di famiglia. Nati con la camicia, forse o quasi, che secondo l’identikit tracciato dall’Isfol rappresentano una grossa fetta della realtà imprenditoriale italiana.

La ricerca, condotta dal sociologo del lavoro Domenico Barricelli e pubblicata sulla rivista del Cgia di MestreQuaderni di ricerca sull’artigianato’, evidenzia come le microimprese familiari italiane siano per la maggior parte appannaggio degli uomini, che rappresentano il 78,2%, mentre le donne raggiungono solo il 21,8%. Va sottolineato però, che le quote rosa, seppur minoritarie, molto spesso ricoprono ruoli chiave all’interno dell’azienda di famiglia, come il supporto alla gestione amministrativa.

Un quinto degli imprenditori ‘di famiglia’ possiede solo la licenza media, mentre il 56,2% è diplomato e il 22,1% ha ottenuto la laurea. Hanno tra i 35 e i 54 anni e hanno iniziato a lavorare da giovanissimi, prima dei 20 anni. L’identikit prosegue rilevando che il fatturato annuo medio degli imprenditori familiari non supera i 500 mila euro, mentre l’area di attività si concentra soprattutto nel territorio urbano.

Ma quali sono i settori a maggior concentrazione di microimprese di famiglia? Dall’indagine emerge la centralità del terziario, che supera il 60%, con una netta prevalenza di imprese appartenenti al commercio, ai servizi e alle costruzioni. Il settore dell’artigianato comprende poco meno del 20% delle imprese e soprattutto attività commerciali e industriali o di laboratorio. Quanto al mercato di riferimento, per poco meno del 30% delle microimprese è esteso e le esportatrici sono circa il 14%. Le microimprese con un mercato più esteso sono quelle artigiane, attive nel comparto industriale e guidate da imprenditori più giovani. Si dichiarano al di fuori di circuiti di distretto o di filiera oltre il 90% delle imprese intervistate e da associazioni il 50%.

E rispetto alla crisi economica globale, come hanno reagito i microimprenditori? Si registrano criticità legate soprattutto alla liquidità, a causa di un’elevata dipendenza da singoli committenti, e gli elementi poco chiari su cui si esercita spesso la concorrenza, ma anche il peso crescente degli oneri amministrativi.

Prospettive aziendali poco confortanti a parte, i microimprenditori si dichiarano soddisfatti per aver scelto un’attività autonoma, anziché un lavoro dipendente. Sono coscienti però che per rimanere al passo coi tempi occorre aggiornarsi e acquisire nuove competenze e conoscenze, anche in campi specifici.

Alessia Casiraghi

Italia, l’artigianato batte la crisi

L’artigianato in Italia di fa un baffo della crisi. Secondo una rilevazione di Confartigianato sulle “imprese che resistono” alla difficile situazione economica (marzo 2010 – marzo 2011), quasi 74mila nuove attività sono nate in un anno, nonostante la crisi economica; il boom è stato nei lavori di costruzione e installazione per le case ‘verdi’ (43.033, oltre la metà del totale).

La coscienza ecologista si fa largo nelle abitudini dei nostri connazionali – si legge nello studio della Confartigianatoe la green economy si afferma come ‘motore’ di iniziative imprenditoriali: in un anno i piccoli imprenditori delle costruzioni e dell’installazione di impianti per la ‘casa sostenibile’ sono aumentati di 43.033 unità (+1%)“. La regione in testa per la maggiore crescita di queste attività è la Campania con un +3,7%. Confartigianato sottolinea l’aumento di 4.854 unità (+6%) delle imprese ‘verdi’ che si occupano di disinquinamento, pulizia di aree pubbliche, creazione e manutenzione giardini e spazi verdi, utilizzo aree forestali (il Veneto è leader con un +9,7%).

Il settore alimentare e della ristorazione resta un campo “anticrisi” e registra la nascita di 6.437 imprese di ristorazione (+3,6%) e 2.239 di produzione alimentari (+0,3%) ma cresce anche l’Information & Communication Technology con 3.343 nuove imprese (+7,9%). In questo campo, il Molise vanta a sorpresa il record regionale, con una crescita del 23,8%.

Aumentano anche le piccole imprese dedicate alla cura della persona: sono 8.757 (+0,9%) le nuove attività quali parrucchieri e istituti di estetica, centri benessere, assistenza sociale non residenziale. “I dati dimostrano – sottolinea Giorgio Guerrini, Presidente di Confartigianatoche la crisi non ha fermato lo spirito imprenditoriale degli italiani. La nascita di tante aziende è un segnale di vitalità che va incoraggiato. In questo momento così grave ci aspettiamo quindi che venga rilanciata la crescita, sostenendo il tessuto produttivo delle Pmi italiane“.

Il settore immobiliare colpito dalla crisi

La crisi economica del Paese sta lentamente arrivando a colpire tutti i settori, anche quelli che, fino a ieri, sembravano incrollabili.

La disoccupazione dilaga, soprattutto tra i giovani, dal momento che, secondo il Censis, uno su tre è senza lavoro e, quando invece un impiego ce l’ha, si tratta spesso di contratti a termine o a partita Iva, di quelli che non lasciano nessuna garanzia.

In questa reazione a catena sono coinvolte anche le agenzie immobiliari che, in questo periodo, si trovano in una situazione stagnante, proprio come l’economia italiana.
Senza occupazione, o con un lavoro precario, quello che, al massimo, ci si può permettere è di pagare un affitto, non certo di impegnarsi in un mutuo. E poi, senza credenziali, quale banca accetterebbe di aprirlo?

La domanda di contratti di locazione, dunque, sta crescendo in fretta, tanto da interessare il 36,3% degli under 40, la maggior parte dei quali vive in una grande città. In un Paese i cui canoni mensili sono i più alti d’Europa, si può ben capire che la situazione non è per niente rosea.
I più colpiti dai prezzi stellari degli affitti sono studenti e giovani famiglie, che, a causa delle proprie condizioni precarie, non contemplano l’acquisto di una casa nell’immediato futuro.

L’effetto domino sta scatenando quindi una situazione per la quale, almeno per ora, non c’è soluzione, e che sta portando come conseguenza ad avere un mercato fermo, senza più richiesta di abitazioni residenziali. E’ ovvio che, dal momento che in Italia otto famiglie su dieci vivono in abitazioni di proprietà, se non sono le nuove generazioni ad alimentare il mercato, le speranze di crescita sono davvero ridotte.

Ma c’è poi una discrepanza che rende questa situazione davvero paradossale: da un lato, chi cerca lavoro è portato verso le grandi città, dove ci sono le maggiori offerte, mentre il settore immobiliare riserva le occasioni migliori a chi abita in provincia o nelle regioni meridionali. In pratica, dove c’è domanda non c’è richiesta e viceversa.

Ciò farebbe presagire ad una cintura metropolitana sempre più allargata, con lavoratori pendolari che ogni giorno si spostano dalla provincia alla metropoli, per rimediare al problema dell’occupazione e a quello della casa. Ma anche perché l’Italia, per ciò che offre oggi, disincentiva le nuove generazioni ad uscire dall’alveo familiare, in controtendenza con gli altri Paesi europei, dove spesso i giovani che si spostano dal luogo d’origine possono godere di contratti di affitto calmierato.

Ma qui, di low-cost, ci sono solo gli stipendi.

Vera Moretti

In calo i fatturati per le PMI romane

Le piccole imprese della provincia di Roma hanno registrato un preoccupante calo del 36% nel fatturato, portando così in evidenza una crisi ancora molto evidente.

Questi dati, pur appartenendo ad una sola provincia, fanno presagire una situazione di emergenza anche per il resto del territorio, dal momento che, secondo Danilo Martorelli, presidente del Cna Lazio, “Roma è il nocciolo duro della Regione”. Le sue parole non sono incoraggianti ma, ahimè, realistiche, dal momento che i piccoli artigiani non se la passano bene, né a Roma, né altrove.

La Cna della Capitale attesta che ben il 91,6% degli imprenditori “non ritiene che il territorio abbia recuperato le potenzialità di sviluppo del periodo precedente alla crisi, e nel 93,1% casi pensano di non essere adeguatamente supportati dalle amministrazioni locali”.

Questo pensiero farebbe pensare ad un crollo imminente di utili e fatturato, con un ulteriore peggioramento delle possibilità di occupazione giovanile. Dati alla mano, infatti, già oggi un giovane su tre non trova lavoro e non sembra esserci uno spiraglio di miglioramento, se anche le imprese ben avviate si sentono lasciate sole per il ben 94%.

A dare manforte a questo pensiero è il presidente di Confartigianato Lazio, Cesare Cocchi, il quale rincara la dose: “Anche se la Regione ha dalla sua le risorse che provengono dal turismo , pur penalizzato, e tutte quelle attività difficilmente delocalizzabili, le nostre imprese fanno fatica ad incrementare l’occupazione italiana sul territorio“.

A peggiorare le cose, poi, c’è la concorrenza dei lavoratori stranieri, spesso non in regola, ma anche i giovani hanno una fetta di colpa, quando sono “restii a fare turni di notte quando a casa hanno genitori che li assecondano in tutto“.
Ma a difendere le categorie giovani interviene ancora Martorelli, il quale ammette che sono demotivati, per nulla incentivati dalla meritocrazia e, quindi, obbligati, se in gamba, a trasferirsi all‘estero.

Martorelli e Cocchi si trovano d’accordo nell’individuare uno dei problemi principali nella difficoltà delle banche ad erogare il credito. La realtà è ben diversa dagli spot ottimisti che vediamo in televisione, e la crisi continua senza speranza che passi presto, anche a causa, secondo Cocchi, della globalizzazione e dell’euro. Anche Martorelli rincara la dose, puntando contro Europa ma anche contro una maggioranza non in grado di risolvere i problemi spinosi che attanagliano l’economia italiana.

Lo Stato impari a spendere bene. Quale Paese ha le nostre spese per mantenere il Palazzo? Quale Paese è costellato da comunità montane che potrebbero essere facilmente razionalizzate? Si teme di infrangere privilegi, ma chi resterebbe a casa potrebbe forse dedicarsi davvero a fare del bene a questo Paese, anziché occupare poltrone“. Accuse gravi e precise, le sue, ma non pronunciate a vanvera, piuttosto, a seguito di riflessioni e osservazioni precise, per chi, come lui, è un addetto ai lavori.

Le Pmi, infine, vengono descritte come in balìa dei mercati azionari, piene di incertezze e totalmente dipendenti dal “balletto della politica”.
Spetta a Martorelli la conclusione: “Ritengo che il dulcis in fundo sia l’incertezza che riguarda oggi l’Ice, l’istituto per il commercio estero. È da ripensare con logiche più dinamiche e moderne, questo è certo, ma sopprimerlo significa togliere a noi piccole imprese lo strumento per aggredire i mercati. Attendiamo risposte anche su questo fronte“.

Vera Moretti

La Cina è in Italia

A dispetto della crisi, ancora ben presente in Italia, c’è chi, invece, sembra proprio non avere difficoltà.

Sono i cinesi che, invece di chiudere le loro attività, si moltiplicano, e non solo nelle grandi città, ma anche nelle province, dove è ancora più difficile trovare un’occupazione.

I dati, raccolti dalla Cgia di Mestre, parlano di piccole e medie imprese cinesi che hanno superato le 54 mila unità, con una crescita dell’8,5% rispetto al 2009, in netto contrasto con i dati riguardanti imprese italiane, diminuite, nello stesso lasso di tempo, dello 0,4%. Ad aumentare è anche la presenza, nelle aziende italiane, di imprenditori cinesi, con una crescita, dal 2002 al 2010, del 150,7%.

Ma è tutto oro quello che luccica? A quanto pare no, poiché è lo stesso Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ad affermare: “Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra“.

La maggiore concentrazione di imprenditori cinesi si trova nel Nord, e soprattutto in Lombardia, dove sono 10.998, Toscana, 10.503 e Veneto, 6.343. Nonostante questi numeri, la crescita registrata è omogenea in tutto il Belpaese, compreso il Trentino Alto Adige, una volta inespugnabile.

Ovviamente, l’incidenza di imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditorialità straniera è molto forte e raggiunge un 8,6% con picchi in Toscana del 18,2%.

Tra i settori di occupazione, trovano i primi posti pelletteria, calzature ed abbigliamento, seguiti da alberghiero, bar e ristorazione, dove i titolari cinesi sono ormai 10.079. E siamo sicuri che si tratta di dati destinati a crescere ancora.

Vera Moretti

Per lo Small Business la ripresa è ancora lontana

Il sondaggio condotto da Ispo per Intesa Sanpaolo al fine di valutare la situazione del segmento small business: piccoli imprenditori, professionisti, artigiani e negozianti con un fatturato annuo inferiore a 2,5 milioni di euro ha dato esiti non proprio brillanti.

Quasi la metà delle aziende (il 44%) risente ancora della crisi e solo per l’1% degli intervistati gli effetti sono stati positivi. Una situazione di stallo che si riflette anche sulle scelte future. Una su quattro (il 26%) effettuerà minori investimenti nel medio-lungo periodo rispetto al 17% dello scorso ottobre. Il 69% investirà invece nella stessa misura e solo il 3% destinerà nuove risorse per lo sviluppo rispetto al 5% registrato nello scorso autunno.

Primo problema registrato è la diminuzione del fatturato e degli ordinativi (30%). Per il 6%, invece, si è dovuto ricorrere all’aumento della dilazione dei pagamenti dei clienti o dei committenti o ha costretto l’impresa a una riduzione del personale. E sono preoccupati: l’87% guarda con timore alla propria attività, ma per la quasi totalità degli imprenditori (il 96%) l’ombra più minacciosa è la situazione del Paese.
Se ormai la concorrenza cinese non è più così preoccupante, il primo allarme è il costo del lavoro (17%), seguito dall’evasione fiscale (16%), dalla qualità della classe politica italiana (14%), dall’immancabile burocrazia (13%) e dall’inefficienza della pubblica amministrazione (7%).

Costi delle materie prime, burocrazia,  risorse umane e la struttura dimensionale dell’azienda sono problemi duri da affrontare, così come l’innovazione e la necessaria internazionalizzazione. Permane dunque  una forte preoccupazione. “È la fotografia di una situazione di difficoltà che si protrae e che non sembra avere mai fine – sottolinea Laura Vescovo, responsabile Ricerche e sondaggi del gruppo Intesa Sanpaolo –. A ottobre si era notato qualche barlume di speranza, ma oggi è tornato a prevalere uno stato d’animo negativo». Non si investe solo per scarsa disponibilità, ma anche per l’incertezza dell’economia. C’è il timore – aggiunge Vescovo – che la crisi diventi la normalità“.

RomaScienza 2011, da oggi la nuova edizione

Si terrà oggi, martedì 21 giugno 2011, e domani, nercoledì 22 giugno,  la quarta edizione di RomaScienza, evento organizzato dall’Ufficio per il Parco Scientifico dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con il Parco Scientifico Romano.

RomaScienza offre convegni, workshop, proiezioni di video, mostre e presentazioni di ricerche.

RomaScienza rappresenta un’occasione di verifica, dopo un decennio di grandi trasformazioni nel mondo universitario, di come il sistema paese si misura con la sfida dell’innovazione per uscire dalla crisi.

L’intento è valorizzare una comunità di promotori dell’innovazione, con esperienze molto avanzate.

Casa del Cinema di Villa Borghese – Roma

Info: www.romascienza.it.

 

Fisco: necessari più sgravi e meno oppressione

Paolo Galassi, Presidente di Confapi esprime soddisfazione per la risoluzione accolta dalla commissione Finanze della Camera per fermare la stretta fiscale eccessivamente opprimente: “Accogliamo positivamente che dalla commissione Finanze della Camera sia finalmente arrivata una risoluzione per chiedere con urgenza una legge per fermare le ganasce fiscali. Si tratta di un atto dovuto nei confronti di tutte le PMI italiane che si sono trovate a fare i conti con la crisi“.

Secondo Gaassi lo Stato deve smettere di comportarsi da inquisitore e applicare “ganasce” fiscali: “Lo Stato deve smettere di agire da inquisitore, attuando azioni persecutorie come mettere all’asta gli strumenti indispensabili per lavorare o persino la prima casa, alcune volte per cifre irrisorie non saldate – prosegue Galassi – Le tasse vanno certamente pagate, ma ci sono dei diritti irrinunciabili che vanno difesi, come quello di essere in grado di continuare a lavorare. Ci auguriamo perciò che la misura prenda subito contorni concreti e non rimanga nell’archivio delle buone intenzioni“.

Mirko Zago

 

 

 

 

In periodo di crisi non si rinuncia alla vacanza, in partenza il 66% degli europei

Anche in periodo di crisi gli europei non sono disposti a rinunciare alle vacanze. Secondo un’indagine condotta dall’Ipsos in collaborazione con Europ Assistance su un campione rappresentativo della popolazione nei mesi di febbraio e marzo 2011 gli europei che dichiarano di voler partire la prossima estate sono il 66%. Percentuale molto simile a quanto registrato in periodo pre-crisi. 8 su 10 preferiranno visitare Paesi europei.

In Italia si registra un incremento del 7% delle intenzioni di partenza (il 78% degli italiani), rispetto all’anno scorso. Il budget degli italiani sarà di 112 euro maggiore rispetto allo scorso anno, seguito da Belgio (+280 euro) e Germania ( +287 euro), mentre la spesa media per nucleo familiare sarà quest’anno di 2.145 euro, in crescita di 62 euro rispetto al 2010. Se le vacanze durano meno è anche vero che sono più frequenti. Solo il 40% partirà per una sola settimana di vacanza e sono in diminuzione le partenze di 15 giorni. Il 10% del campione viaggerà per 3-4 settimane.

Il 61% degli europei pensa alle ferie come un momento di riposo e tranquillità; il 38% ha voglia di scoperta. A far da padrone è il relax (necessità per il 62% degli intervistati). Come si prenotano le vacanze? Sempre più via internet (57%), percentuale che sale al 71% per gli inglesi. Anche gli italiani non sono più finalmente ultimi in classifica per uso della rete per prenotare vacanze, con un incremento del 12%.

Mirko Zago

Indagine Confesercenti-Ispo: Per gli italiani il peggio non è ancora passato, nonostante ottimismo per la propria condizione personale

Secondo la periodica indagine Confesercenti-Ispo, è solo il 7% degli italiani a pensare che il peggio sia davvero passato a fronte di un 92% che teme che la situazione sia ancora negativa (la percentuale nel febbraio  2010 era dell’83%). Migliore appare invece la considerazione della condizione lavorativa ed economica nel piccolo, relativa alla singola persona.

In un’ intervista al sociologo Renato Mannheimer, il professore spiega così il miglioramento della considerazione circa il futuro del singolo intervistato: “E’ emerso dal sondaggio come i cittadini si sentano ancora coinvolti nella crisi: nonostante le giuste osservazioni degli economisti che annunciano l’uscita dalla crisi economica, questo dato non viene ancora percepito nella vita quotidiana degli italiani che avvertono una crisi ancora presente e perdurante nel tempo. Al tempo stesso i cittadini sono, invece, convinti che ce la faranno: una quota rilevante è convinta, infatti, di cavarsela e quindi guarda con più ottimismo al prossimo anno. Dunque sfiducia nel presente ma si confida nel fatto che ce la faremo“.

Manca però fiducia verso le istituzioni, percepite lontane e inefficienti, a fronte invece di “una maggiore fiducia nelle piccole e medie imprese che vengono avvertite come il motore dello sviluppo economico del Paese“. Mannheimer analizza inoltre la preoccupazione maggiore degli italiani ovvero il lavoro: “Gli italiani sono molto preoccupati per il lavoro: è questa la principale ansia dei cittadini. Se si chiede loro su quali temi il governo, oggi, deve maggiormente intervenire emerge al primo posto, tra le priorità, l’occupazione. Sottolineo, inoltre, che risultano preoccupati anche coloro che hanno un occupazione ma temono di perderla e fra questi anche chi occupa un posto di lavoro a tempo indeterminato, oltre ad un’importante fetta di cittadini che il lavoro non ce l’ha o lo sta per perdere”.

Ciò che appare chiaro sia dal fronte delle imprese che dei comuni cittadini è la voglia di voltare pagina in fretta, e per Marco Venturi, Presidente di Confesercenti, la politica ha un ruolo fondamentale per determinare un buon esito in termini di crescita economica: “Riteniamo fondamentale che la politica non guardi solo il suo ombelico, ma si lavori per ritrovare un vero e proprio progetto di sviluppo. Un progetto che ora manca e che invece deve diventare una priorità. Se questo è vero è altrettanto sacrosanto che si debbano tagliare spese e sprechi per ridurre la pressione fiscale oggi davvero troppo elevata e che è di impedimento ad una ripresa degli investimenti e dei consumi“.

Analizziamo ora i dati registrati dal sondaggio che restituisce una buona panoramica della situazione italiana:

PREOCCUPAZIONE – La preoccupazione verso la situazione economica incerta continua ad essere alto. Da febbraio 2010 a febbraio 2011 si è passati dal 90% al 96% in modo abbastanza omogeneo sul piano territoriale. Il picco si tocca nelle regioni del nord-ovest con il 97% (era l’86% lo scorso anno), mentre nel nord est si sale dal 90 al 94%, al centro dal 90 al 96%, al sud e nelle isole dal 94 al 96%. Maggiori perplessità per quanto riguarda il mondo del lavoro, il 95% del campione Confesercenti-Ispo continua a dichiararsi allarmato (un anno fa era il 92%) e di essi lo sono “molto” coloro che non hanno lavoro o subiscono la cassa integrazione. Impiegati e insegnanti sembrano essere i più preoccupati.

PMI – L’86% degli intervistati crede che la crisi stia pesando in modo particolare sulle piccole e medie imprese. Fra un anno per il 53% degli intervistati la situazione sarà ancora negativa (ed in peggioramento per il 25% di essi). Mentre il 43% vede un futuro positivo: di essi un 38% scommette sulla ripresa, ma appare in calo rispetto al 51% di febbraio 2010.

CASSA INTEGRAZIONE – Il 90% del campione non è stato e non prevede di andare in Cig. Anche dalle famiglie giunge qualche segnale più confortante, confermando una tendenza presente nelle rilevazioni sulla crisi, già registrata precedentemente e che vede gli italiani più pessimisti sullo scenario generale ma un poco più ottimisti sulle proprie condizioni. Le famiglie che si sentono coinvolte nella crisi sono il 20% (un anno fa erano il 23%). 3 italiani su 5 credono in un futuro migliore.

Infatti il 60% del campione è ottimista sul proprio futuro, mentre un 35% all’opposto resta pessimista. Un altro tema dolente della crisi è l’accesso ai prestiti, mitigato in parte dalle intese sulla moratoria dei debiti delle imprese, prolungata proprio nei giorni scorsi.

Le difficoltà di ottenere prestiti però ci sono: la pensa così il 52% degli italiani (un punto sopra il dato di un anno fa, ma era il 60% a settembre 2010).

ISTTUZIONI – Continua a mancare fiducia verso le istituzioni, considerate a volte inefficaci. Il miglior risultato in termini di considerazione positiva lo ottengono le Associazioni delle Pmi (dal 20% al 24%). Bene anche i sindacati (dal 15 al 20%). Meno bene le regioni e gli enti locali con un lieve calo dal 22 al 21%. Cala il governo di otto punti dal 23% al 15% mentre resta stabile l’opposizione ma all’11%. Agli ultimi posti le banche al 9% come a settembre scorso.

Per avere maggiori informazioni è possibile visitare il sito di Confesercenti e consultare lo studio relativo alla crisi in formato Pdf.

Mirko Zago