Nuovi dati Istat: il settore automobilistico non è così inquinante come sembra

Se le ultime decisioni dei governi di tutto il mondo, Europa compresa, dicono una cosa, i nuovi dati Istat ne mettono in luce un’altra. L’argomento è la transizione elettrica per il settore automobilistico. Ormai è chiaro che la mobilità su gomma andrà nella direzione della sostenibilità ecologica. Entro il 2035 le auto a trazione elettrica diventeranno le uniche in commercio, e questo per lo meno per quanto riguarda i nuovi veicoli. Ma è davvero così necessario poi rivoluzionare completamente il settore? È così necessario pensare alla completa eliminazione delle auto tradizionali, le auto a combustione o endotermiche?

Secondo l’Istat produrre auto non pare così inquinante

Stando a quanto dice l’Istat, probabilmente è una esagerazione. E se non dal punto di vista dell’impatto ecologico per la circolazione dei veicoli, quanto meno per i cicli produttivi delle fabbriche di veicoli in generale. È ciò che possiamo benissimo anticipare, giudicando i dati che l’Istat ha appena fornito nel suo consueto rapporto annuale.

Il rapporto annuale Istat 2022 e l’inquinamento del settore automobilistico

In 10 anni, cioè da inizio 2010 a fine 2019, l’impatto del settore automobilistico sull’inquinamento non è stato così grave come sembrerebbe in base alle ultime previsioni sulla mobilità elettrica. E ciò che emerge dal consueto rapporto annuale 2022 da parte dell’Istituto nazionale di statistica. Come si legge sul sito “motor1.com”, sulle circa 300 pagine del rapporto dell’Istituto, spesso esce fuori l’argomento automobile o autoveicoli in genere. Ma il collegamento di questi argomenti con l’inquinamento che sicuramente farà notizia. In effetti, almeno secondo i dati dell’Istat, emerge a chiare lettere che l’industria automobilistica in Italia non sia così inquinante, o per lo meno, lo sia in misura inferiore a tanti altri settori, di cui si parla poco da questo punto di vista. Il fatto è che sul settore Automotive l’attenzione è massimale per via della transizione elettrica che porterà al cambio della trazione delle auto e dei veicoli.

Cosa e come inquina il settore dell’auto rispetto a tanti altri settori

Ciò che va detto però è che l’argomento trattato dal sito prima citato non riguarda la circolazione dei veicoli, che poi è alla base delle operazioni dei governi che puntano alla transizione elettrica. Infatti si parla di inquinamento durante i cicli produttivi delle auto e dei veicoli in genere. Produrre auto non è inquinante come altri cicli produttivi di altri settori. Infatti secondo i dati dell’Istituto, i settori della metallurgia, dell’agricoltura e della navigazione sono i più nocivi a livello ambientale. Come inquinamento dei cicli produttivi il settore automobilistico inquina meno anche di quelli dediti alla produzione di minerali non metalliferi. E pari anche al settore dell’aviazione, del legno e sughero e degli alimenti e bevande.

Cambiare conviene? Tutti i dubbi che molti si pongono

In altri termini il settore automobilistico dal punto di vista dei cicli produttivi ha un basso impatto ambientale, alla pari di altri settori come il tessile, l’abbigliamento e i settori di manifatturieri in genere. Resta il fatto che per i governi la circolazione delle auto a benzina o a gasolio inquina molto e pertanto si cerca di intervenire cambiando. Ma occorrerà cambiare anche il ciclo produttivo. Infatti una cosa è produrre auto a propulsione endotermica, un’altra sarà produrre auto elettriche. Con la speranza che l’impatto ambientale della produzione delle nuove auto elettriche sia lo stesso di quelle delle auto attuali.

La circolazione dei veicoli impatterà di meno, questo è certo

Una cosa tutt’altro che è certa dal momento che in molti mettono in luce il fatto che produrre auto elettriche potrebbe essere più inquinante di produrre auto a propulsione termica, cioè le attuali benzina e gasolio. Senza considerare poi eventuali problematiche relative allo smaltimento delle nuove batterie per auto a trazione elettrica. In altri termini, siamo alla fonte di un grande cambiamento, che potrebbe non essere benefico come si immagina. Resterebbe di fatto solo la diminuzione delle emissioni inquinanti di C02 da circolazione con le auto. Perché sui cicli produttivi sono chi conosce bene la materia oggi è autorizzato a fare previsioni.

Istat, cala il Pil dello 0,3% negli ultimi tre mesi

 

Nonostante si comincino a intravedere le primi luci alla fine del tunnel della crisi economica, gli ultimi dati Istat registrano ancora dati preceduti dal segno negativo.Rispetto al trimestre precedente il Prodotto interno lordo corretto e destagionalizzato è diminuito dello 0,3% e del 2,1% su base annua.

In netto calo, come era prevedibile, la spesa delle famiglie italiane sul territorio nazionale, anche qui per quel che riguarda il secondo trimestre del 2013, che ha registrato  una diminuzione del 3,2%. Soprattutto gli acquisti di beni durevoli sono i più colpiti dalla crisi economica con un drastico calo del 7,1%, mentre più contenuto è il calo degli acquisti di beni non durevoli al 3,3% e gli acquisti di servizi poco sotto il 2%.

Federconsumatori: no aumento Iva, sì incentivi sviluppo

 

Ancora allarme rosso sul fronte occupazione. Dai dati Istat emerge che la disoccupazione a luglio si attesta al 12%, rispetto allo scorso anno, nel nostro Paese, sono diminuiti di 585 mila unità, – 2,5 %.

Gli italiani sono dunque sempre più soffocati dalla crisi, e vittime della perdita di lavoro. Il calo più drammatico interessa il Mezzogiorno con meno 350mila unità.

“Siamo nel pieno di una spirale negativa che sta trascinando l’economia italiana sempre più in basso. Per questo è urgente che il Governo intervenga tempestivamente per porre fine a tale andamento”  dichiarano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Adusbef e Federconsumatori.

“Quanto fatto sull’IMU (purché non sia riproposta nella service tax) è solo il primo passo, bisogna proseguire in questa direzione eliminando l’incremento dell’IVA che, come abbiamo sempre ribadito, è una misura dalla portata catastrofica per le famiglie (soprattutto quelle a basso reddito): le ricadute medie stimate dall’O.N.F. infatti saranno di +207 Euro annui tra costi diretti ed indiretti- ha dichiarato in una nota l’associazione di categoria- Oltre ad agire su tale versante è indispensabile l’avvio di misure tese ad incentivare la crescita e la ripresa occupazionale, in particolare quella giovanile. Per fare ciò è necessario disporre un rilancio degli investimenti per la ricerca e lo sviluppo”.

Francesca RIGGIO

Ci sono disoccupati e disoccupati…

I numeri sono numeri e dovrebbero essere per loro stessa natura oggettivi. Ma, come tutte le cose, possono essere interpretati. Pensiamo ai dati Istat sulla disoccupazione in Italia a luglio pubblicati ieri. Si può essere più soddisfatti – la disoccupazione è rimasta stabile rispetto a giugno, 10,7% – o meno soddisfatti – è cresciuta del 2,5% rispetto a luglio 2011. Di certo si deve essere molto preoccupati e pensare a delle serie politiche di crescita quando si guarda al dato della disoccupazione giovanile (15-24 anni): 35,3%, in aumento del 1,3% su giugno e del 7,4% su base annua. Un tasso che cresce a un ritmo triplo rispetto a quello complessivo e che, in termini numerici, si traduce in 618mila persone a spasso.

Ragionando per numeri spacchettati, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni nel secondo trimestre 2012 sale al 33,9%, dal 27,4% del secondo trimestre 2011 (+6,5%): il tasso più alto, in base a confronti tendenziali, dal secondo trimestre del 1993, inizio delle serie storiche. Anello debole, ancora una volta le donne e ancora una volta al Sud: nel secondo trimestre 2012 il tasso di disoccupazione giovanile tocca un picco del 48% per le ragazze del Mezzogiorno.

Vogliamo continuare a farci del male? Parliamo di precari. Per quanto la tipologia del contratto a termine possa infatti essere vantagggiosa per un’azienda, nel computo delle statistiche finisce per alimentare la magmatica massa dei precari. Ebbene, i contratti a termine sono quasi 2,5 milioni (2,455): il livello più alto dal secondo trimestre del 1993, sia in valore assoluto, sia per l’incidenza sul totale degli occupati. Sommando i collaboratori al numero dei contratti a termine si arriva, poi, alla cifra record, di 3 milioni di precari.

Non male come premesse per cominciare un autunno che definire caldo è dire poco. E non c’è molto da discutere, come spesso accade, sui metodi utilizzati dall’Istat per elaborare i propri studi. Da una parte il governo deve leggere questi numeri e rispondere con vere politiche per la crescita (defiscalizzazione, crediti d’imposta ecc…). Dall’altra i giovani e le imprese devono rimboccarsi le maniche: se non è più così vero come qualche anno fa che il “il lavoro c’è, basta cercarlo (e volerlo fare)“, il modo per far incontrare domanda e offerta (per quanto scarsa quest’ultima possa essere) c’è. Basta che Palazzo Chigi si ricordi che oltre alle tasse c’è di più.

Laura LESEVRE

Istat: nuovo calo della produzione industriale

Stando agli ultimi dati presentati dall’Istat la produzione industriale a maggio è tornata in calo su base mensile, scendendo dello 0,6% (dato destagionalizzato) rispetto ad aprile, mentre su base annua resta positiva, segnando un rialzo dell’1,8%, considerando il dato corretto per gli effetti di calendario.

Il ribasso congiunturale di maggio arriva dopo gli aumenti registrati nei tre mesi precedenti. Rivisto al rialzo il dato di aprile, con il dato destagionalizzato che segna un +1,1% congiunturale (+1%) e +3,8% tendenziale per il dato corretto per gli effetti di calendario (+3,7%).

La situazione altalenante dimostra che mancano certezze per una crescita industriale coordinata e sicura. Si rimandano alle prossime analisi eventuali nuove considerazioni.

In crescita la vendita al dettaglio nel 2011

Secondo l’ultimo rapporto sulle vendite al dettaglio per prodotti non alimentari attinenti il mese di aprile 2011 elaborato dall’Istat le vendite sono tornate a salire. Secondo l’isituto di statistica durante il quarto mese del 2011 gli indici dei consumi per i principali prodotti sono tornati a salire, ed “in particolare nel raffronto con lo stesso mese del 2010 il dato totale è stato del +2,94%, mentre nella media del periodo gennaio-aprile 2011, l’indice ha registrato una variazione quasi nulla rispetto ai primi quattro mesi dell’anno precedente“.

In ordine di crescita troviamo le calzature, articoli in cuoio e da viaggio (+5,7%), prodotti di profumeria, cura della persona (+3,4%), utensileria per la casa e ferramenta (+2,8%) ed abbigliamento e pellicceria (+2,6%). Quasi nullo l’indice per la vendita di mobili, articoli tessili, arredamento fermo al +0,1%. Confrontando con l’anno precedente la crescita appare notevole. Negli stessi mesi del 2010 la crescita è stata molto più contenuta: solo le calzature, articoli in cuoio e da viaggio (+1,2%), prodotti di profumeria, cura della persona (+1,0%) e utensileria per la casa e ferramenta (+0,4%). Segni negativi, invece per l’abbigliamento e pellicceria (-0,3%), e per i mobili, articoli tessili, arredamento (-0,9%).

Per la Confcommercio si tratta di dati rassicuranti che vanno però letti con cautela soprattutto se si guarda alle dinamiche tendenziali, in considerazione dell’effetto Pasqua.

Le compravendite immobiliari sono verso la normalizzazione

L’Istat ha fornito gli ultimi dati relativi alle compravendite immobiliari ad uso residenziale commerciale, con relativi mutui.

Nel 2010 si sono registrate complessivamente 817.963 compravendite di unità immobiliari, lo 0,5% in meno rispetto al 2009. Nel quarto trimestre 2010 le convenzioni relative a compravendite di unità immobiliari sono risultate pari a 231.162, in calo del 3,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si conferma quindi l’andamento negativo già rilevato nel trimestre precedente, dopo i segnali di ripresa emersi nei primi sei mesi dell’anno.

Il 92,6% delle convenzioni effettuate nel quarto trimestre 2010 (214.105) riguarda immobili ad uso abitazione ed accessori, il 6,6% (15.204) unità immobiliari ad uso economico. Per la prima tipologia si osserva, come per il terzo trimestre, una diminuzione tendenziale pari al 3,1%, dopo la fase di crescita che aveva caratterizzato il primo semestre dell’anno. Per le compravendite di immobili ad uso economico, che registrano un calo del 4,2 % rispetto al quarto trimestre 2009, l’andamento è risultato negativo in tutti i trimestri del 2010.

Considerando l’intero anno 2010, le compravendite riguardanti immobili ad uso residenziale (761.519) sono diminuite dello 0,1% rispetto al 2009, quelle concernenti unità immobiliari adibite ad uso economico (49.862) del 6,1%.
Valori leggermente negativi, che possono indicare la risalita del settore, che deve recuperare un 26% del mercato.

Infatti, rapportando il volume delle transazioni realizzate nel 2010 a quello del 2006, ultimo anno prima della fase di discesa, emerge un calo del 26,5% per il totale delle compravendite, del 26,2% per quelle di abitazioni e del 27,7% per quelle di unità immobiliari ad uso economico.
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Mercato immobiliare: a caccia d’affari ma le transazioni diminuiscono

Secondo gli ultimi dati dell’ Istat, nei primi tre mesi del 2010 le unità immobiliari effettivamente comprate e vendute sono state circa 818 mila, lo 0,5% in meno rispetto allo stesso periodo del 2009, mentre nel quarto trimestre 2010 la diminuzione annua ha raggiunto addirittura il 3,3%.

Anche i mutui accesi sono in diminuzione sia per quanto riguarda quelli garantiti da ipoteca (-5,3%) sia per quelli non garantiti (-6%). Nonostante il calo nel volume delle transazioni, però, uno studio del portale immobiliare Casa.it evidenzia come la domanda di immobili in Italia non sia affatto diminuita. Anzi, nel 2011 le richieste di acquisto sono cresciute del 24% rispetto al 2010.

Daniele Mancini, Amministratore Delegato di Casa.it. commenta: “Si registra quindi un’incongruenza tra l’effettivo transato e la richiesta di acquisto, dovuto principalmente a un mancato allineamento dei prezzi di offerta rispetto alla disponibilità reali di spesa degli italiani“. La transazione, infatti, si conclude solo quando il proprietario abbassa il costo dell’immobile messo in vendita fino ad incontrare la disponibilità a pagare dell’acquirente, cosa che non sempre succede.

 

Calano le vendite a marzo, trascinate dagli alimentari

Vendite al dettaglio in calo marzo. Lo rileva l’Istat, secondo il quale vi è stata una flessione del 2% rispetto allo stesso mese del 2010 e dello 0,2% rispetto a febbraio 2011. L’istituto aggiunge che la discesa registrata su base annua è la più marcata dal gennaio del 2010. Sulla contrazione, sia tendenziale che congiunturale, pesa soprattutto la negativa performance del comparto alimentare.

Rispetto a febbraio 2011, le vendite degli alimentari sono diminuite dello 0,3% e quelle dei non alimentari dello 0,2%; a confronto con marzo 2010 la differenza è ancora più ampia: -2,6% per i primi e -1,6% per i secondi. Sempre su base annua, nella grande distribuzione le vendite segnano variazioni negative sia per il ‘food’ (-2,9%), sia per il ‘non food’ (-1,2%).

Anche per le imprese operanti su piccole superfici si registra una diminuzione, con un calo sia per i prodotti alimentari sia per quelli non alimentari. Guardando alla dimensione delle imprese, a marzo 2011 il valore delle vendite diminuisce, in termini tendenziali, del 2,2% nelle micro imprese (fino a 5 addetti), del 2,0% in quelle da 6 a 49 e dell’1,7% nelle imprese con almeno 50 addetti.

Riguardo al valore delle vendite di prodotti non alimentari, a marzo le riduzioni più forti toccano i gruppi ‘Cartoleria, libri, giornali e riviste’ e ‘Giochi, giocattoli, sport e campeggio’ (-2,4%), ‘Abbigliamento e pellicceria e Mobili, articoli tessili, arredamento’ (-2,3%). L’unico settore non in negativo è quello degli ‘Elettrodomestici, radio, tv e registratori’ (0%).

d.S.