Fatturazione elettronica, chi la deve fare

Indicata da molti come una delle strade possibili per fare chiarezza nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e imprese fornitrici, la fatturazione elettronica è ora una realtà. In questo modo, come detto, dovrebbero diventare più chiari i flussi di fornitura verso la Pa e, forse, potrebbero trarre beneficio anche i tempi di pagamento nei confronti delle imprese private, che nello Stato hanno oggi il loro maggior creditore.

La decorrenza per le nuove modalità di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione era il 6 giugno scorso per ministeri, agenzie fiscali ed enti previdenziali e assistenziali. Per gli altri Enti della Pa l’obbligo sarebbe dovuto decorrere un anno dopo, dal 6 giugno 2015, ma l’art. 25 del D.L. 24 aprile 2014 n. 66 ne ha anticipato l’adempimento di 3 mesi, al 31 marzo 2015.

Secondo quanto riporta la Circolare 1/DF diffusa il 31 marzo 2014 dal ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, pur esistendo uno specifico divieto di pagamento dei fornitori in assenza di fatturazione elettronica, è tuttavia previsto un periodo transitorio in cui la Pa potrà accettare fatture cartacee. Amministrazioni ed Enti pubblici nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore del nuovo adempimento potranno accettare fatture cartacee emesse antecedentemente a tale data.

Nel documento di prassi è anche spiegato il perché si è scelto di concedere un periodo transitorio alla fatturazione elettronica. Infatti, la trasmissione della fattura in formato cartaceo non può essere istantanea, ragion per cui dal momento della spedizione al momento della ricezione passano spesso diversi giorni. In ogni caso, terminato il trimestre di transizione, le vecchie fatture non saranno più accettate e i fornitori non potranno più essere pagati.

Debiti della Pa, facciamo il punto

 

Quella sui cosiddetti debiti della Pa, ossia i soldi che gli enti che fanno parte della Pubblica amministrazione devono alle imprese per lavori fatti e mai pagati, è una partita sulla quale si gioca buona parte della credibilità del nostro Paese e dei governi che, negli ultimi anni, si sono trovati a guidarlo.

Complice la peggiore crisi economica dal Dopoguerra a oggi, quello che per decenni è stato uno scandalo sottaciuto e tollerato, è esploso in tutta la sua forza, anche grazie – purtroppo – ai numerosi suicidi di imprenditori che con lo Stato si sono trovati esposti per milioni, hanno visto la propria azienda chiudere e non hanno retto al peso del fallimento.

Dopo una sostanziale indifferenza dell’ultimo governo Berlusconi, il tema è stato affrontato dai governi Monti, Letta e, attualmente, Renzi, sempre con un atteggiamento che privilegia il proclama anziché la sostanza, tanto che ancora non c’è chiarezza sul totale dei debiti effettivamente rimborsati a oggi né, cosa più grave, su quanto debba la Pubblica amministrazione alle imprese. Un valzer di cifre che va da 70 a 120 miliardi, come se fossero bruscolini. Un monstrum che, a buon diritto, pone l’Italia nel terzo mondo d’Europa.

È notizia di questi giorni che lo Stato metterà a disposizione 1,8 miliardi per “il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012” e che ad oggi sono state già assegnate a comuni, province e comunità montane risorse finanziarie per 3,2 miliardi. Una goccia nel mare. Le aziende interessate devono presentare le domande di anticipazione alla Cdp, complete in ogni elemento e redatte secondo lo schema allegato all’Atto aggiuntivo all’Addendum, entro il 3 giugno 2014.

Tutto molto bello, ma ci pensa la Cgia di Mestre a far tornare le cose alla loro dimensione normale, specialmente per quanto riguarda i tempi dei pagamenti. Secondo l’associazione, nonostante gli sforzi e l’impegno di pagare una buona parte dei sui debiti, nel 2013 la Pubblica amministrazione ha pagato i suoi fornitori mediamente dopo 170 giorni10 giorni in meno rispetto al 2012.

Sebbene quella italiana sia una delle Pa che ha realizzato lo sforzo maggiore, in questa graduatoria continuiamo a essere i peggiori pagatori d’Europa, peggio persino della Grecia, che salda i suoi debiti in tempi più brevi dei nostri (159 giorni). La media Ue, invece, si attesta sui 61 giorni, contro i 60 della Francia, i 41 del Regno Unito e i 36 della Germania. Un altro pianeta.

La Cgia ha stilato questa graduatoria su dati Intrum Justitia, dopo aver appreso dal Vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, che all’indomani delle elezioni europee scatterà la procedura di infrazione contro il nostro Paese a seguito dei forti ritardi nei pagamenti.

A questo la Cgia aggiunge il preoccupante numero di fallimenti registrati negli ultimi 5 anni di crisi: dal 2009 al 2013 sono stati 59.570, di cui 14.269 solo nel 2013, Tra il 2009 e il 2013, l’incremento ha superato il 52%.

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi,oltre agli effetti della crisi economica a dare un contributo all’impennata dei fallimenti hanno sicuramente contribuito il ritardo dei pagamenti da parte della Pa, l’incremento del livello di tassazione avvenuto in questi anni e la contrazione nell’erogazione del credito praticata dalle banche. Si pensi che nel 2013 la pressione fiscale si è stabilizzata al 43,8%, mentre le banche hanno tagliato ben 53 miliardi di prestiti alle imprese”.

Saccomanni:”La recessione è giunta al termine”

Alla domanda: “La recessione è finita?”.  Fabrizio Saccomanni non ha dubbi su quale sia la risposta. “Credo di sì, credo che tra questo trimestre e il quarto trimestre l’economia entrerà in ripresa: siamo tecnicamente in quello che si chiama punto di svolta del ciclo”.

Sono dichiarazioni positive quelle rilasciate ai microfoni di Sky Tg24 dal ministro dell’Economia, alle quali hanno fatto eco quelle del premier Enrico Letta che ha confermato il pensiero del collega sostenendo che “ci sono tutti i segnali per il prossimo semestre. Gli strumenti ci sono. In questi cento giorni si è fatto molto”.

Dando dunque uno sguardo al futuro, il premier annuncia le prossime imminenti riforme, a favore dei disoccupati e dei giovani: “Un intervento per rilanciare scuola e istruzione, mentre nei prossimi giorni lavoreremo per le donne, contro il femminicidio” ha dichiarato Letta, che ha poi sottolineato l’importanza della riduzione dei costi della politica:”Il taglio del 25% dei manager pubblici. Un fatto importante, un fatto di sobrietà. E abbiamo eliminato il doppio stipendio, di deputati e ministr. Spero che i partiti discutano al loro interno, ma evitino giochi e giochini. Dobbiamo lavorare alla ripresa”.

Per quanto concerne il tema scottante sull’abolizione dell’ Imu e dell’ Iva invece, il ministro Saccomanni commenta: “I soldi non ci sono. Nel senso che abbiamo detto più volte che non vogliamo incrementare ulteriormente il debito dello Stato e non vogliamo aumentare le tasse”. Lo stesso inoltre sui debiti della Pa ha stimato che entro fine anno verranno erogati altri 10 miliardi di euro, e altri 20 all’inizio del 2014.

Francesca RIGGIO

Il Senato sblocca 25 miliardi e paga i debiti della Pa

 Con 203 sì, 35 no e 32 astenuti,  il Senato da il via libera al decreto lavoro-iva, che introduce  gli incentivi per le assunzioni di giovani under 29, intervalli più brevi per i contratti a termine, il rinvio dell’aumento dell’Iva a ottobre e lo stop alla pubblicità per le sigarette elettroniche ( sulle quali è stata imposta la tassa di consumo).

Nel pacchetto occupazione-iva di particolare rilevanza troviamo anche lo sblocco di ben 20-25 miliardi per i pagamenti dei debiti della Pa con la garanzia dello Stato. All’indomani del rapporto Confartigianato, che traccia il drammatico profilo della situazione in cui versano le aziende italiane, finalmente qualcosa pare sbloccarsi.

Il primo firmatario del decreto Giorgio Santini, del Pd, ha dichiarato: “Tutti i debiti della Pa nei confronti delle imprese potranno essere pagati entro i primi mesi del 2014 grazie all’emendamento ad hoc approvato dal Senato nell’abito del decreto lavoro. In questo modo si potrà dare ulteriore ossigeno alle aziende, compiendo un’operazione di giustizia economica per il Paese, che il Pd chiede da tempo, affinché la pubblica amministrazione saldi i suoi debiti nei confronti delle aziende”.

Di fatto si creerà ad hoc  un fondo  presso la Cdp (Cassa depositi e prestiti)che che fungerà da garante da parte dello Stato nei confronti delle banche per il pagamento di questa nuova somma, che si aggiunge ai 40 miliardi già approvati.

Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha espresso piena soddisfazione per il lavoro svolto in Senato e si augura che anche la Camera, alla quale il decreto passa in seconda lettura, possa muoversi con la stessa celerità nel percorso di conversione.

Alle parole di Giovannini hanno fatto eco quelle  del viceministro dell’Economia, Stefano Fassina , il quale commenta positivamente la delibera:  Attiva una leva decisiva per la ripresa economica e l’occupazione“.

Francesca RIGGIO

Chiedere soldi allo Stato? Roba da delirio

di Davide PASSONI

Lo abbiamo scritto ieri: i decreti che sbloccano i fondi per pagare parte dei debiti commerciali e dei crediti fiscali che lo Stato ha nei confronti delle imprese sono una buona cosa. Meglio del nulla che è stato finora, solo l’inizio per rimborsare quei 7 punti di pil che lo Stato nega alle imprese: 70 miliardi dei quali una piccola parte per molte di loro significa la differenza tra vivere e morire.

Una buona cosa, se la procedura per ottenere i soldi non fosse a dir poco kafkiana. Un labirinto burocratico e delle lungaggini codificati per legge che sembrano fatte apposta per far passare la voglia di chiedere quanto dovuto e che strapperebbero un bel “vaffa, tieniti i tuoi soldi” a tanti imprenditori, se non fosse che da quei soldi dipende la sopravvivenza di molti di loro. Non ci credete? Semplifichiamo.

L’imprenditore cui lo Stato deve dei soldi, può presentare domanda di certificazione del credito; nella richiesta allega le fatture non pagate o gli estremi del suo credito e dice subito se vuole compensare il credito rispetto a quanto lo Stato gli chiede oppure se vuole procedere allo sconto in banca. Nel farlo, però, rinuncia a ricorrere in tribunale e a fare decreti ingiuntivi contro lo Stato cattivo pagatore: in pratica non può avere diritto a ricorrere contro un debitore insolvente che, dopo avere emesso le fatture, gli chiede di produrle. Pazzesco. Stato tiranno e, scusate il termine, paraculo.

Fatto questo, la Pa ha 60 giorni di tempo per verificare le fatture e accertare che l’imprenditore non abbia debiti verso lo Stato superiori a 10mila euro o non abbia cartelle esattoriali pendenti a suo carico: nel qual caso stop, si ferma tutto, non si ha diritto ad alcun rimborso! Follia.

Se è tutto a posto e l’imprenditore ha chiesto l’incasso, solo allora può ottenere la certificazione, ossia la produzione di un pezzo di carta garantito che gli permetta di avere lo sconto in banca dei crediti. La Pa ha 60 giorni per certificare il credito in tutto o in parte e a questo punto, passati 60 + 60 giorni l’imprenditore ottiene una forma di garanzia che gli consente di rivolgersi alle banche. Dopo 4 mesi. Se al 4o mese la Pa non ha risposto all’istanza, l’imprenditore puo chiedere l’intervento della ragioneria generale dello Stato (che potrà mai dare torto allo Stato?) e passano altri 2 mesi nei quali questa nominerà un commissario che avrà altri due mesi per valutare la pratica. A quel punto se tutto è andato bene (e sono passati 8 mesi) scatta una delle diverse possibilità: cedendo il credito alla banca per scontarlo si può decidere se farlo “pro soluto“, ossia la banca si accolla il rischio di un inadempimento, oppure “pro solvendo“, per cui il rischio resta in capo all’imprenditore. In questo caso interviene il fondo di garanzia che però copre fino al 70% dell’operazione e un massimo di 2,5 milioni per impresa. E così, se tutto funziona senza intoppi (miraggio), forse si vedono i soldi dopo un anno dall’inizio della pratica. Questa è la tortuosa strada della certificazione.

Se un imprenditore chiede invece la compensazione fiscale, passati gli 8 mesi di cui sopra senza ostacoli (!) può presentare la certificazione all’agente di riscossione per compensare il debito e il credito iscritto a ruolo. I tempi? Tre giorni per la verifica della posizione da parte dell’agente e risposta entro 15 giorni, al termine dei 4 mesi; in caso di risposta positiva l’agente invia l’ok alla compensazione entro 5 giorni ed entro 12 mesi dalla certificazione, l’ente debitore pagherà il debito originario all’agente di riscossione che lo dovrebbe girare all’imprenditore entro 6 mesi, per ricevere entro a sua volta entro un anno dall’amministrazi
one centrale o periferica i soldi che lui anticipa.

Vi sembra un meccanismo che invoglia a chiedere i soldi che lo Stato deve?

Monti mette mano al portafogli. Ma non ci basta

di Davide PASSONI

Vediamo se questa volta il governo fa sul serio. Il “pacchetto” di misure per abbattere i debiti dello Stato nei confronti delle imprese, presentato dal premier Monti, dal ministro dello Sviluppo Economico Passera e dal viceministro dell’Economia Grilli pare piuttosto consistente: quattro decreti e un accordo con le banche per sbloccare di 20-30 miliardi di pregresso già dal 2012, grazie alla certificazione di crediti da ‘scontare’ in banca e alla compensazione con i debiti fiscali. La riforma strutturale, quella per impedire l’accumulo di nuovo debito, arriverà entro la fine del 2012 con il provvedimento che recepirà la direttiva Ue. Venti-trenta miliardi su una settantina circa che lo Stato deve alle imprese ci paiono una buona cosa.

Parole al miele, da Monti, verso le piccole imprese: “Le aziende più piccole e innovative che in questa fase non hanno abbassato la testa e stanno affrontando la crisi con determinazione hanno bisogno di liquidità e di riaccendere il motore“.

E Passera ha sottolineato come la situazione dei debiti dello Stato verso le piccole imprese “stava diventando grave: 150mila aziende lavorano per il pubblico e la gran parte ha crediti crescenti non incassati, e quindi più debito e più oneri finanziari“. Bene Passera, un’altra scoperta dell’acqua calda: se non fosse stato presentato il “pacchetto“, sarebbe stata l’ennesima puntualizzazione dell’ovvio, tanto dovuta quanto inutile.

Infine Grilli, le cui parole andrebbero registrate e fatte riascoltare se, anche questa volta, dovesse esserci un buco nell’acqua (siamo onesti, pensiamo che stavolta non ci sarà): “Quello che vogliamo è cambiare la struttura nel modo in cui avvengono i pagamenti. L’ultima cosa che vogliamo è che mentre smaltiamo questo stock di debiti, nel frattempo se ne crei un altro“.

Esultano, naturalmente, Confindustria e Rete Imprese Italia. Una per tutti, la voce del presidente di Rete Imprese Marco Venturi, per i quali i ritardi nei pagamenti da parte della Pa “incidono non solo sullo sviluppo ma anche sulla vita stessa delle piccole e medie imprese: mai più ritardi di questa misura“.

Bene, tutto bello. Ci permettiamo di suggerire una cosa al governo: dopo questa mossa sacrosanta, pensate anche a come andare incontro a quelle imprese che, per loro fortuna, non hanno crediti con la Pa ma vengono ammazzate di tasse tutti i giorni. Alleggerite il cuneo fiscale, abbassate il costo del lavoro, semplificate la burocrazia fiscale per le imprese. L’ossigeno ci deve essere per tutti, non solo per 150mila aziende. Lo sappiamo, siamo incontentabili, ma che ci volete fare: decenni di politiche insensate e dissennate e pochi mesi di tasse a pioggia ci hanno resi un po’ difficili. Capiteci, ne va della nostra sopravvivenza.

Debiti verso le Pmi, Passera promette i soldi

Che sia la volta buona? Vedremo. Pare infatti che tra qualche giorno il Governo pubblicherà due decreti per provvedere al pagamento dei debiti che la pubblica amministrazione ha accumulato verso le imprese. I ministeri di Economia e Sviluppo economico stanno infatti mettendo a punto gli ultimi dettagli per arrivare a saldare tra i 20 e i 30 miliardi di euro di pendenze dello Stato e 40-50 miliardi per i privati.

Il ministro Passera: “I decreti ci permetteranno di rendere liquidabili i debiti scaduti“. Peccato, però, che ci sia il terzo incomodo, le banche. Secondo Passera, quanto il Governo potrà rimborsare alle imprese dipenderà “dalla disponibilità del sistema bancario“. Insomma, care banche, voi anticipate i soldi che poi ci penserà lo stato a ridarveli.

E la proposta di Angelino Alfano di compensare i crediti delle imprese nei confronti della PA con i debiti verso il Fisco? Improbabile: “Pur dovendo fare il possibile per sbloccare i pagamenti – dice Passera – non possiamo intaccare gli obiettivi di finanza pubblica“.

E dove li trova allora il Governo i capitali freschi se non può aumentare ancora le tasse e ricorrere all’indebitamento pubblico? Se lo chiedono anche le imprese, che alla favola dei rimborsi non credono più nemmeno loro.