Bonus 200 euro, chi lo prenderà e quando

Chi prenderà il bonus 200 euro e quando? L’erogazione dell’indennità prevista dal decreto legge “Aiuti” del governo, avverrà per tutte le categorie lavorative e per i pensionati. Tutti dovranno avere un reddito lordo annuo non eccedente il 35 mila euro. Inclusi nella misura anche colf e badanti e, in generale, i lavoratori domestici. Il bonus 200 euro sarà pagato anche a chi prende il reddito di cittadinanza e quanti hanno ricevuto nel corso dello scorso anno un’indennità per il Covid. A disciplinare la misura di aiuto contro il rincaro dei prezzi è il decreto legge numero 50 del 2022, in vigore da mercoledì 18 maggio. L’indennità verrà pagata anche ai commercianti, artigiani, liberi professionisti e partite Iva: ma i lavoratori autonomi dovranno attendere un altro decreto da emanarsi entro 30 giorni che disciplini le modalità di pagamento e quanto spetti di indennità.

Bonus 200 euro ai pensionati, come verrà pagato?

I pensionati con redditi personali del 2021 non eccedenti i 35 mila euro lordi all’anno prenderanno il bonus 200 euro con decorrenza entro il 30 giugno 2022. Sarà l’Inps a effettuare il pagamento nella mensilità di luglio 2022. I pensionati, dunque, non dovranno presentare alcuna domanda. Per il calcolo del reddito non si tiene conto della casa di abitazione, del trattamento di fine rapporto (Tfr) e delle competenze arretrate a tassazione separata. Anche i percettori del trattamento sociale o di invalidità civile percepiranno l’indennità. Sono incluse anche le prestazioni di accompagnamento alla pensione, come ad esempio, l’Ape sociale o i lavoratori usciti da lavoro con i contratti di espansione.

Indennità Inps 200 euro ai lavoratori dipendenti: cosa bisogna fare?

I lavoratori alle dipendenze riceveranno il bonus 200 euro nel cedolino della busta paga di luglio. L’indennità, prevista dagli articoli 31-33 del decreto legge numero 50 del 2022, è esentasse. Come tutte le altre categorie, i lavoratori dipendenti percepiranno l’indennità una sola volta. Il pagamento del bonus non prevede alcuna domanda. Tuttavia, il lavoratore dipendente non deve essere percettore di alcuna pensione, anche di invalidità civile, e nemmeno del reddito di cittadinanza. I datori di lavoro potranno recuperare l’indennità anticipata in compensazione sui contributi UniEmens.

Lavoratori dipendenti che percepiranno il bonus 200 euro: come verificare se si rientra?

I lavoratori dipendenti possono verificare se il bonus 200 euro spetti mediante il diritto allo sconto contributivo. Si tratta della misura introdotto per il 2022 che consente di beneficiare di uno sconto di contributi pari allo 0,8%. Ricevono lo sconto i lavoratori con reddito mensile lordo non eccedente i 2.692 euro. Dunque, basta che i dipendenti abbiano beneficiato dello sconto contributivo in almeno un mese tra gennaio e aprile per percepire il bonus 200 euro.

Prendono il bonus 200 euro i lavoratori autonomi occasionali?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche ai lavoratori autonomi occasionali senza partita Iva. Ovvero ai titolari dei contratti previsti dall’articolo 2222 del Codice civile. Si tratta dei contratti con ritenuta d’acconto. L’indennità spetterà se è stato corrisposto almeno un contributo mensile durante l’anno 2021. Per questi contratti, tuttavia, è necessario il versamento dei contributi alla Gestione separata dell’Inps (che deve risultare aperta al 18 maggio 2022) che avviene se il totale dei compensi annui supera la cifra di 5 mila euro. Ne consegue che i lavoratori autonomi occasionali prenderanno il bonus 200 euro solo se, per uno o più contratti del 2021, hanno percepito almeno 6.330 euro. Questo importo è il minimo per l’accredito di un mese di contributi. Infine, per questi lavoratori serve presentare la domanda all’Inps per ottenere l’una tantum.

Bonus 200 euro, verrà pagato agli incaricati delle vendite a domicilio e lavoratori dello spettacolo?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche agli incaricati delle vendite a domicilio. La condizione per ottenere l’indennità è che nel 2021 siano stati percepiti compensi superiori ai 5 mila euro. Tra le altre condizioni, serve la partita Iva e l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps. Occorre presentare domanda all’Inps. I lavoratori dello spettacolo con redditi 2021 entro i 35 mila euro percepiranno il bonus purché per il 2021 abbiano almeno 50 contributi giornalieri. A questi lavoratori il bonus viene pagato dall’Inps previa domanda.

Lavoratori stagionali, a termine, intermittenti e disoccupati agricoli: prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori stagionali, a termine e intermittenti prenderanno il bonus 200 euro purché nel 2021 il reddito non sia stato eccedente i 35 mila euro. Anche per questi lavoratori sono necessarie 50 contributi giornalieri. L’Inps eroga il bonus previa domanda. Non serve la domanda all’Inps, invece, per i disoccupati agricoli. Sarà l’Inps stessa a erogare l’indennità purché sia stata percepita la disoccupazione nel 2021.

Lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.): prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) prenderanno il bonus 200 euro a determinate condizioni. Infatti, il contratto deve essere in essere alla data del 18 maggio 2022. Il lavoratore deve essere iscritto alla Gestione separata dell’Inps. Inoltre, i lavoratori di questa categoria non devono essere percettori di pensione. E nemmeno essere iscritti ad altre gestioni previdenziali. Anche per questi lavoratori vale il limite di reddito di 35 mila euro. È l’Inps a erogare il bonus previa domanda.

Colf, badanti e disoccupati: prenderanno l’indennità di 200 euro?

Colf, badanti e lavoratori domestici prenderanno il bonus purché abbiano in essere un rapporto di lavoro alla data del 18 maggio 2022. Serve presentare la domanda all’Inps. I disoccupati, ex lavoratori alle dipendenze o parasubordinati, percepiranno il bonus 200 euro purché ricevano una mensilità di disoccupazione Naspi o Dis coll a giugno 2022. È l’Inps a pagare senza bisogno di presentare la domanda.

Chi non lavora ha diritto alle detrazioni fiscali?

In Italia il Fisco, sul reddito imponibile che è soggetto a tassazione, permette di ottenere una riduzione delle tasse da pagare grazie alle cosiddette detrazioni fiscali. La lista degli oneri detraibili, tra l’altro, è davvero ampia, ma per sfruttare al massimo le detrazioni è necessaria la cosiddetta capienza fiscale.

In altre parole, per un contribuente con reddito basso o nullo sfruttare al massimo le detrazioni fiscali è praticamente impossibile proprio perché in questo caso c’è incapienza parziale o totale. Ed allora, per esempio, chi non lavora ha diritto alle detrazioni fiscali?

Quando chi non lavora ha diritto alle detrazioni fiscali e quando no

Al riguardo c’è da dire che, in linea generale, chi non lavora non è a priori tagliato fuori dall’accesso alle detrazioni fiscali. Pur non avendo reddito da lavoro, infatti, il contribuente può comunque scaricare dalle tasse gli oneri detraibili, sempre fino a capienza, nel caso in cui abbia altri redditi da dichiarare al Fisco.

Tecnicamente, e per definizione, un contribuente ha capienza fiscale quando, rispetto all’imposta da versare, ha un reddito congruo che permetta, grazie alle detrazioni ed anche alle deduzioni fiscali, di poter ottenere rimborsi fiscali, benefit ed anche dei bonus. In assenza di una capienza fiscale adeguata, invece, il contribuente praticamente perde soldi in quanto il reddito imponibile è troppo basso. La situazione si complica, inoltre, quando il contribuente rientra nella cosiddetta no tax area.

E questo accade, per esempio, quando ad un lavoratore dipendente sono state effettuate, nell’anno di imposta, delle trattenute superiori all’IRPEF da pagare. In tal caso, se non si hanno altri redditi da dichiarare, indicare in dichiarazione gli oneri detraibili sostenuti è praticamente inutile in quanto non si avrà diritto ad alcun rimborso fiscale.

In questo caso, infatti, è alto il rischio di non poter recuperare alcun credito di imposta da oneri detraibili che spaziano dalle spese sanitarie a quelle veterinarie, e passando per le spese funebri, i canoni di locazione, le spese scolastiche ed universitarie, le spese per le attività sportive dei figli e per l’asilo nido.

E lo stesso dicasi per gli interessi passivi su mutui prima casa e per eventuali le spese per intermediazione immobiliare sostenute nell’anno di imposta di riferimento. E questo perché, per fissare le idee, sui redditi del 2020 la dichiarazione del 2021 deve essere compilata dal contribuente inserendo solo ed esclusivamente le spese detraibili o deducibili che sono sostenute sempre nel 2020.

Detrazioni superbonus 110% e cessione dell credito per non perdere le agevolazioni

Per quanto detto, quindi, valutare in anticipo il proprio livello di capienza fiscale è fondamentale al fine di non perdere soldi specie quando, per esempio, le detrazioni fiscali sono corpose come quelle relative al superbonus 110% per il quale c’è comunque una scappatoia a norma di legge per non perdere del tutto le agevolazioni.

Il contribuente incapiente, giocando d’anticipo, può infatti optare, per il superbonus 110%, per la cessione del credito ad una banca oppure alla società che effettua i lavori. Anziché recuperare e ripartire lo sconto di imposta in 10 quote annuali in sede di dichiarazione dei redditi.

Decreto Lavoro: ecco la prima manche

Come anticipato dal ministro Giovannini, ecco la prima fase del Decreto Lavoro, quella che prevede gli interventi più urgenti.

Obiettivo dichiarato del decreto è creare 200mila nuovi posti di lavoro, per la maggior parte a tempo indeterminato, ma anche aumentare le opportunità di formazione ed occupazione per i giovani, soprattutto al Sud, dove la crisi è particolarmente sentita.

Analizziamo punto per punto gli interventi su cui si è focalizzato il Governo:

Decontribuzione
Le aziende che assumono giovani di età non superiore a 29 anni è pari al 30% della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali e, in ogni caso, non può superare i 650 euro al mese per lavoratore.
Lo sgravio dura 18 mesi nel caso di assunzione a tempo indeterminato e 12 mesi per la trasformazione di un contratto in essere da determinato a indeterminato, ma solo se l’azienda assume un ulteriore lavoratore.

I giovani assunti devono avere almeno uno dei seguenti requisiti:

  • essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi,
  • non avere un diploma di scuola media superiore o professionale,
  • essere lavoratori che vivono da soli con una o più persone a carico.

Per queste misure ci sono 794 milioni di euro nel 2013-2016: al Sud vanno 500 mln, al resto d’Italia 294 mln.

Sgravio ASPI
Alle aziende che assumono disoccupati che percepiscono l’assicurazione generale per l’impiego spetta uno sgravio pari al 50% dell’ASPI residua.

Apprendistato PMI
Entro il 30 settembre 2013 la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida per un contratto di apprendistato professionalizzante destinato alle PMI e alle microimprese, che dovranno adottarlo entro il 31 dicembre 2015.

Autoimprenditorialità
Sono previsti, per i giovani del Mezzogiorno, 80 milioni per finanziare l’autoimpiego e la creazione di nuove imprese dei giovani ed altri 80 milioni per il Piano di Azione Coesione.

Contratti di lavoro
Tornano a 10-20 giorni le pause tra contratti a termine, che la riforma Fornero aveva innalzato a 60-90. Il lasso di tempo varia a seconda che il contratto duri più o meno di sei mesi. Stretta sui contratti intermittenti: massimo di 400 giorni nell’arco di tre anni. Estensione anche ai co.co.pro. del divieto di far firmare dimissioni in bianco.

Neet
I not in employment, education or training, soprattutto del Sud, sono al centro di un finanziamento di 168 milioni di euro destinati a finanziare borse di tirocinio formativo. Il contributo è pari a 3mila euro per ogni stage di sei mesi e viene erogato direttamente al tirocinante.

Inclusione sociale
Si tratta di un programma finanziato con 167 milioni di euro, rivolto alle famiglie del Sud in difficoltà.
Oltre alla vecchia social card, che sarà prorogata, ne verrà attivata una nuova, per gli acquisti delle famiglie in stato di indigenza estrema come quella già prevista per le maggiori città del paese.

Questi interventi prevedono un totale cambiamento del panorama lavorativo italiano. Se, infatti, la maggior parte delle proposte riguarda il Mezzogiorno, dove le persone coinvolte saranno oltre 300mila, anche al Centro Nord si sentirà l’impatto positivo di queste soluzioni, con un aumento della produzione tra i 100 e i 200 milioni di euro l’anno.

Il decreto dovrebbe anche diminuire la disoccupazione giovanile portandola dal 25 al 23%, ma anche un calo di due punti del tasso dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.

Vera MORETTI

I Consulenti: sgravi fiscali per rilanciare l’occupazione

Dopo le proposte dei Consulenti del lavoro che abbiamo illustrato ieri per rilanciare il mercato dell’occupazione in Italia, ecco altri punti che, per l’associazione, sono imprescindibili.

Oltre a diversi interventi nell’ambito della responsabilità solidale, del documento unico di regolarità contributiva e del contributo di fine rapporto necessario a finanziare l’Aspi, secondo i Consulenti del lavoro sarebbe opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni per i lavoratori under 30 o over 50 e dei contributi ridotti per 3 anni qualora un’azienda stabilizzi un dipendente a termine; gli sgravi fiscali dovrebbero essere totali per retribuzioni fino a 40mila euro e del 50% per retribuzioni fino a 80mila euro).

Secondo i Consulenti, poi, sarebbe necessario razionalizzare il Fondo di tesoreria, ridurre del 5% il costo del lavoro a tempo indeterminato (attraverso 12,2 miliardi di euro che verrebbero recuperati rivedendo le tariffe Inail), ridurre la spesa pubblica improduttiva  e utilizzare il 50% delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale.

Come si vede, si tratta di un mix di suggerimenti tecnici e di misure di buon senso che, se attuato, potrebbero con tutta probabilità ridare fiato a un mercato del lavoro ormai sull’orlo del collasso.

Occupazione, le proposte dei Consulenti del lavoro

Chi meglio dei Consulenti del lavoro può elaborare proposte utili al rilancio dell’occupazione in Italia.

È quello che hanno fatto con un documento nel quale analizzano cause della stagnazione attuale e propongono soluzioni per superare l’impasse.

Il documento parte con una bacchettata alla legge Fornero, la quale “non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione”. Il suo effetto è stato invece quello di irrigidire la flessibilità in entrata. Ecco dunque le proposte dei Consulenti per incidere in maniera efficace sulla riduzione del costo del lavoro, per ammorbidire la rigidità in entrata e tornare a una situazione ante legge Fornero.

Cancellazione, per le partite Iva, dell’articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Vale a dire togliere la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa purché siano soddisfatti due dei seguenti tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore in due anni consecutivi; postazione fissa in una sede del committente messa a disposizione del collaboratore a partita Iva.

I Consulenti auspicano anche un ritorno alla situazione precedente la riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, mentre per il contratto a tempo determinato chiedono la sospensione fino alla fine del 201, dell’obbligo di indicazione della causale e dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti.

Importante levare vincoli anche all’apprendistato, con l’eliminazione dei nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende e il mantenimento di quelli previsti dai contratti nazionali. Vi è poi una richiesta di omogeneizzazione dei percorsi di formazione, specialmente tra regione e regione.

Utile sarebbe, secondo i Consulenti, innalzare il tetto economico per lavoratore e per anno dagli attuali 5mila euro a 8mila per le imprese e gli studi professionali, così come accorpare giuridicamente questo tipo di contratto con quello dell’impiego intermittente.

Vedremo domani le altre proposte dei Consulenti del lavoro.

Occupazione? Su gli investimenti, giù il costo del lavoro

Come se non bastassero le mazzate che continuamente arrivano sul mercato del lavoro italiano dall’interno delle mura di casa nostra, adesso anche il resto del mondo ci ricorda come, nel nostro Paese, la situazione occupazionale sia preoccupante.

Arriva infatti dall’Ilo, l’International Labour Organization, l’organismo dell’Onu specializzato nelle tematiche del lavoro, l’ennesimo allarme: “All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi”. È quanto si legge nel “Rapporto sul mondo del lavoro 2013”, il documento stilato dall’organizzazione che fa il punto sull’andamento occupazionale nel mondo. E questa è la triste figura dell’Italia, che deriva dalla somma dei posti persi negli ultimi anni con l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo ante-crisi.

L’Italia figura nella categoria di quei Paesi nei quali la disoccupazione continua ad aumentare (per citare un dato, era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione. Nel capitolo del rapporto dedicato al nostro Paese, si sottolinea come “la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012”.

Il rapporto punta anche l’attenzione sulla diffusione dell’occupazione precaria: infatti, a partire dal 2007 il numero dei precari è cresciuto del 5,7% e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo l’Ilo, la percentuale dei contratti a tempo determinato sul totale dei contratti precari è aumentata con tutta probabilità a causa della riforma Fornero. Ecco dunque che, per risollevare il mercato italiano dell’occupazione, il rapporto Ilo suggerisce di puntare sugli investimenti e sull’innovazione anziché sull’austerità e sulla riduzione del costo unitario del lavoro e, soprattutto, dice la sua su una delle “grandi trovate” che da qualche tempo gira in bocca ai soloni della politica e dell’occupazione, la cosiddetta “staffetta generazionale”. L’Ilo la approva con riserva, sottolineando come esistono modi più efficaci per rilanciare l’occupazione giovanile: dagli incentivi all’assunzione al miglioramento del sistema di formazione.

Confcommercio: occupazione ai livelli del 2005

Si chiama Misery Index ed è un indice mensile che unisce dati sul mercato del lavoro, disoccupazione, cassa integrazione, scoraggiati e il tasso di variazione dei prezzi di beni e servizi acquistati con alta frequenza dagli italiani. Se lo è inventato Confcommercio, per la verità senza escogitare nulla di nuovo, visto che, almeno nel nome, riprende l’economico, creato dall’economista Arthur Okun.

Sicuramente, però, l’indice di Confcommercio è d’impatto, almeno quando esce con le proprie statistiche ufficiali sul mercato del lavoro. E i dati di aprile lo dimostrano. Secondo l’indice, ad aprile il mercato del lavoro ha registrato un nuovo peggioramento in termini congiunturali. Rispetto a marzo gli occupati sono diminuiti di 18mila unità a cui si è associato un aumento di 22mila persone in cerca di occupazione, combinazione che ha fatto passare il tasso di disoccupazione ufficiale dall’11,9% al 12,0%.

Secondo l’indice, continua il processo di distruzione dei posti di lavoro creati tra il 2005 ed il 2008. Il numero di occupati è infatti ora ai livelli di settembre 2005, mentre il numero di giovani (15-24 anni) in cerca di occupazione ha raggiunto le 656mila unità e il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40,5%. Ad aggravare il quadro è il numero dei cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), coloro che non studiano e non sono coinvolti in programmi di formazione: sono oltre 2,2.

Nel mese di aprile sono state autorizzate circa 100 milioni di ore di cassa integrazione, in aumento rispetto ai 97 milioni di marzo ed ai 79 milioni di febbraio. Dai dati dell’Osservatorio INPS, poi, emerge che, dopo la forte flessione dell’inizio dell’anno, la percentuale di tiraggio (ossia le ore effettivamente utilizzate) è aumentata sia per la cassa integrazione ordinaria sia per quella straordinaria e in deroga, passata dal 24,8% al 55,4%.

Il numero di scoraggiati è invece previsto in lieve diminuzione da 739mila persone di marzo a 726mila. Secondo Confcommercio se si aggiunge ai disoccupati ufficiali la stima delle persone in cassa integrazione e degli scoraggiati il tasso di disoccupazione di aprile è al 15,7%, in aumento rispetto al 15,6% del mese precedente.

Il dato non lascia tranquilli, soprattutto perché arriva da un associazione come Confcommercio, che ha il polso della situazione reale della nostra economia.

Disoccupazione e piccola impresa dobbiamo rassegnarci? Meglio di no

di Davide PASSONI

Ha fatto scalpore la presentazione nei giorni scorsi da parte della Cgil del rapporto ‘La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione’. Secondo i dati contenuti in questo studio, effettuato da Riccardo Sanna dell’Ufficio economico del sindacato, se l’Italia intercettasse la ripresa accreditata per il 2014 dai maggiori istituti statistici, ci vorrebbero tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007, 63 per recuperare il terreno perso sul lato dell’occupazione e non si riuscirebbe mai a recuperare il livello dei salari reali.

Dati che fanno riflettere soprattutto chi fa impresa tutti i giorni, che in Italia vuol dire la piccola e media imprenditoria. Sono queste infatti le realtà nelle quali l’emorragia di occupati è forse meno evidente alla maggior parte delle persone ma è più mortale. Se nella grande impresa – quella che occupa le prime pagine dei mass media – la disoccupazione fa notizia ma è controbilanciata da una dimensione aziendale e da una mole di aiuti, statali e non, che impediscono chiusure definitive (“too big to fail”, troppo grandi per fallire dicono gli inglesi), nella piccola, spesso, la disoccupazione significa la morte dell’impresa stessa.

Quante volte abbiamo sentito di imprenditori che si tolgono il pane di bocca per non chiudere i battenti e lasciare in mezzo alla strada dipendenti e famiglie? Oppure che, non riuscendosi, si tolgono la vita?

Ecco, di fronte a questi dati, di fronte a queste cifre sull’occupazione che non c’è che vengono dalle fonti più diverse, Infoiva proverà questa settimana a estrarre una visione d’insieme. Andando al di là del corporativismo delle associazioni, della miopia di quei sindacati ancorati a una visione del lavoro e dell’economia che è ormai di due secoli fa, della diffidenza della piccola impresa a confrontarsi con un fenomeno che, se fino a 5 anni fa era un problema degli altri, ora è per essa stessa questione di vita o di morte.

In aumento i disoccupati anche nel 2013

Le previsioni economiche non lasciano presagire nulla di buono e anche questo 2013 ormai avviato sembra destinato a farsi ricordare come un altro annus horribilis.

Tra i dati più pessimistici e preoccupanti ci sono quelli che riguardano i disoccupati: entro la fine dell’anno in corso, dovrebbero essere circa 520mila i nuovi esclusi dal mercato del lavoro.
Si tratta, ovviamente, di stime approssimative, che si sono basate sull’andamento del mercato di questi ultimi mesi e che potrebbero mutare, e che sono state calcolate dal Cgia di Mestre sulla base del numero di disoccupati e cassaintegrati a zero ore, in aumento rispetto al 2012.
Se le previsioni si confermassero, i cittadini senza lavoro diventerebbero 5.405.800, contro i 4.886.000 di fine 2012.

Giuseppe Bortolussi, segretario del Cgia di Mestre, ha commentato: “Per invertire la tendenza in atto bisogna agire su più fronti: ridurre il costo del lavoro, favorire una maggiore flessibilità che sia accompagnata da misure di sostegno al reddito per i lavoratori occupati a tempo determinato, ma, in particolar modo, assicurare un alleggerimento fiscale e burocratico sulle imprese. Se non aiutiamo soprattutto le miro imprese con meno di 10 addetti, che nel decennio scorso hanno garantito in UE il 58% dei nuovi posti di lavoro, sarà molto difficile abbassare il tasso di disoccupazione che alla fine di quest’anno è dato al 12%1”.

Vera MORETTI

Giovani, carini e disoccupati

 

Ma cosa devono fare i ragazzi italiani per darsi da fare? Lauree, master, stage, concorsi sembrano soluzioni inutili stando ai dati emessi dall’indice Istat in queste ore.

A maggio 2012, il tasso di disoccupazione giovanile calcolato sui ragazzi di età compresa tra i 15 ai 24 anni ha registrato un’incidenza del 36,2%, ovvero 1 ragazzo su 3 si trova senza lavoro.

“Bravo, ma hai troppa esperienza”, oppure “Sei in gamba, ma non possiamo pagarti”, o ancora, “Hai famiglia, non possiamo rispettare le tue aspettative”, quante volte ce lo siamo sentiti dire?

Turnover e stagisti: agli italiani delle Human Resources piacciono i nomi esterofili, peccato che non ne seguano anche i modelli di pianificazione delle risorse.

Gli esaminatori dei colloqui recitano sempre le solite frasi che sanno di scherzo, ed anche cercarsi un lavoro dignitoso diventa un’impresa per chi, di voglia di fare e di mettere al servizio buona volontà o conoscenze fresche di scuola.

Il risultato? Più vacanze per tutti, che se non sono un male con queste ondate di caldo ma che di certo nuocciono allo spirito di chi, sfaccendato dopo anni di studio o dopo una consapevole riflessione sulle proprie potenzialità, non vede spiragli nel suo futuro più imminente.

E non parliamo dei progetti a lungo termine…

I dati sul tasso di disoccupazione, dunque, rimangono sconfortanti, senza parlare della crisi degli over 30-40 che, per colpa della crisi, perché poco meritevoli o semplicemente “troppo formati” per vedere confermato il loro impiego, subiscono l’egemonia dei famosi Co. Co.Pro. o non si vedono rinnovato il contratto di impiego dopo mesi, se non anni di lavoro.

C’è da dire che se nulla o poco possono le piccole medie imprese nazionali, ancora meno fanno le grandi aziende, dove “essere un numero” diventa sempre più sinonimo di precarietà.

Mettere su una start up? In molti ci provano, nonostante le agevolazioni messe in atto e le difficili condizioni per accedervi.

In questo possono molto i franchising, ma al contempo fare i conti con il classico “27 del mese” diventa una responsabilità troppo alta per chi, già, ha da mettere il pane in tavola.

Certo, la provincia di Milano ha da poco proposto al governo un nuovo volano strategico per lo sviluppo economico, una nuova no tax area destinata a chi vuole intraprendere “l’impresa di mettere su un’impresa”. L’idea, non del tutto malsana, è quella di creare delle condizioni favorevoli e delle agevolazioni tributarie in favore di chiunque decida di avviare una nuova impresa nel territorio.
A sostenerla, Cristina Tajiani, assessore del Comune di Milano, il cui obiettivo è quello di creare un progetto che potrebbe ispirarne anche altri. Ma intanto?

Dal gennaio 2004 ad oggi mai la situazione era stata così grave e nonostante spread, bond, CCT, i giovani – che intanto invecchiano – continuano a rimanere inoccupati, con un aumento di 0,9 punti percentuali su aprile che segnano un record storico.

C’è da dire che, sempre secondo i dati Istat, il tasso di disoccupazione tra la popolazione nel suo complesso è scesa di -01 punti percentuali a maggio 2012, ed è la prima diminuzione, anche se lieve, del tasso di disoccupazione da febbraio del 2011. Ciononostante, per i tecnici il risultato rimane “sostanzialmente stazionario” e la disoccupazione persiste su “valori molto elevati”. Ovvero, non va niente bene.

Non che altrove le cose siano differenti: nei Paesi della zona Euro la stessa percentuale, a maggio, è salita all’11,1%, quando ad aprile era all’11% e nel maggio 2011 era al 10%.

Espatriare? Rimettersi alla canonica fuga di cervelli? “Varrebbe la pena” in Austria (dove i tassi di disoccupazione sono minimi, attestati all’4,1%), Olanda (5,1%), Lussemburgo (5,4%) e Germania (5,6%), ai massimi di Spagna (24,6%) e Grecia (21,9% il dato di marzo 2012).

In Italia, invece, il numero dei disoccupati è calato di 18mila unità ed è sceso 2.584 mila rispetto ad una base annua del 26% pari a 534mila unità che vede uomini e donne ugualmente penalizzati. E questo, per qualche animo più debole, significa dire addio a sogni di lavoro.

I lavori stagionali saranno d’aiuto? Il lavoro nobilita l’uomo ed è un diritto sancito dalla Costituzione italiana. Un articolo troppo in incipit perché qualcuno se ne ricordi a buon diritto.

 

Paola PERFETTI