Contributi a fondo perduto per la nascita di imprese al femminile e partite Iva: quali sono?

Sono tre le tipologie di contributi a fondo perduto e di finanziamenti agevolati per la creazione di imprese al femminile valide anche per le partite Iva e le lavoratrici autonome. La prima misura riguarda le nuove imprese, ovvero quelle costituite da non oltre i 12 mesi; la seconda misura è possibile per le imprese al femminile costituite tra i 12 e i 36 mesi; infine contributi sono previsti anche per le imprese costituite da oltre 36 mesi. Di particolare importanze è la misura per la nascita delle nuove imprese, disciplinata dagli incentivi previsti dal decreto interministeriale del 24 novembre 2021 del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) con il sostegno delle risorse a valere del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr).

Quali contributi a fondo perduto e finanziamenti per la nascita di imprese al femminile?

Nello specifico, i contributi a fondo perduto e i finanziamenti rientranti nell’obiettivo della creazione di nuove imprese al femminile, comprese le partite Iva e le lavoratrici autonome, riguardano la misura dell’investimento del Pnrr 1.2. Tale misura prevede la “Creazione delle imprese femminili” della Missione numero 5 del Pnrr, relativa all'”Inclusione e coesione”. Si tratta di politiche volte all’occupazione con interventi del Fondo imprese femminile. Il totale delle risorse stanziate per la creazione delle imprese al femminile è pari a 400 milioni di euro, considerando anche i fondi messi a disposizione per le imprese già esistenti.

Imprese femminili, quali sono?

Nel dettaglio, le imprese femminili sono quelle imprese:

  • individuali nelle quali la titolare è una donna;
  • società di persone oppure cooperative se le donne rappresentano minimo il 60% della compagine sociale;
  • società di capitali se le quote di partecipazione spettano per almeno i 2/3 a donne. Gli organi di amministrazione devono essere costituiti per non meno dei 2/3 da donne.

Aiuti a sostegno delle imprese al femminili: quali contributi a fondo perduto?

Oltre agli aiuti per le imprese al femminile già costituite, è dunque ampia la rassegna degli strumenti di contributi a fondo perduto e finanziamento previsti per la nascita delle imprese. Si tratta di contributi a fondo perduto per avviare una nuova imprese, con particolare obiettivo delle imprese individuali e delle attività delle libere professioniste. I fondi mirano a favorire le donne disoccupate a prescindere dall’età. Inoltre, sono previsti finanziamenti a tasso zero o, in ogni modo agevolati, per sostenere la nascita delle imprese. Già la legge di Bilancio 2021 aveva previsto anche la spesa annua di 800 mila euro dell’Ente nazionale per il microcredito: si tratta di un altro strumento finalizzare ad aiutare le donne nella creazione di nuove imprese.

Fondo impresa donna: che cos’è e come aiuta la nascita di imprese al femminile?

La legge di Bilancio 2021, inoltre, ha costituito il Fondo impresa donna. Si tratta di un finanziamento di 20 milioni di euro, sia per il 2021 che per il 2022, inteso a sostenere la nascita di nuove imprese (oltre a sostenere quelle già esistenti). Le nuove imprese devono essere a prevalente partecipazione femminile oppure deve trattarsi di lavoratrici autonome e professioniste. La sede legale oppure operativa può essere ubicata ovunque nel territorio nazionale e non vi sono limiti sulla dimensione aziendale. Il fondo sostiene l’avvio della nuova attività nei settori:

  • della produzione di beni per l’industria;
  • nell’artigianato;
  • nella trasformazione di prodotti agricoli;
  • nel commercio e nel turismo;
  • nella fornitura di servizi.

Chi può accedere al Fondo impresa donna per costituire una nuova impresa?

Per ottenere i contributi a fondo perduto e i finanziamenti a tasso zero o agevolati, la donne che vogliano avviare una nuova imprese devono tener conto dei criteri di ammissione. Sono infatti ammesse le imprese che abbiano una compagine sociale di almeno il 51% giovani under 35, ma anche da donne di tutte le età. Il 51% si riferisce alla componente di donne o di giovani nella partecipazione alle quote societarie. A titolo di esempio, se una società è composta da un uomo che abbia già superato i 35 anni e una donna (o uomo) entro i 35 anni, l’aiuto non è ammissibile. Risulta necessario l’ingresso di una terza persona con i requisiti richiesti.

Chi può avviare una nuova impresa con gli incentivi del Fondo impresa donna?

Diventa quindi utile chiarire che per ottenere gli incentivi per la nascita di nuove imprese al femminile è necessario che l’attività sia costituita da non oltre i 12 mesi. Il termine va calcolato dal momento in cui si presenta la domanda del contributo o del finanziamento. Nel caso di lavoratrici autonomo o di libere professioniste, è necessario che la partita Iva sia stata aperta da meno di 12 mesi rispetto al momento in cui si presenta la domanda. Tra i beneficiari dei contributi non vanno escluse le persone fisiche che intendano avviare una nuova impresa al femminile.

Quali spese sono finanziabili con i contributi del Fondo impresa donna?

Nel caso di avvio di una nuova impresa al femminile, i contributi a fondo perduto e i finanziamenti agevolati coprono le seguenti voci di spesa:

  • la produzione di beni per i settori dell’artigianato, industria e trasformazione dei prodotti agricoli;
  • la fornitura dei servizi, a prescindere d settore;
  • il commercio e il turismo.

I contributi e i finanziamenti ottenuti per il progetto approvato devono essere realizzati entro i 24 mesi susseguenti al giorno della trasmissione del provvedimento di concessione. È necessario che il provvedimento sia controfirmato dalla donna beneficiaria. Si può ottenere una proroga al massimo di 6 mesi.

Cosa finanziano i contributi a fondo perduto nella nascita delle imprese al femminile?

Nel dettaglio, i contributi a fondo perduto nella nascita delle imprese al femminile finanziano:

  • per i progetti di nuove imprese con spese non superiori ai 100 mila euro, le agevolazioni sono concedibili fino all’80% delle spese ammissibili. L’importo massimo del contributo è di 50 mila euro;
  • le donne in stato di disoccupazione che danno avvio a una nuova impresa individuale e per le lavoratrici autonome, la percentuale di copertura dei contributi arriva al 90%. L’importo massimo del contributo rimane di 50 mila euro;
  • per i progetti di nuove imprese con spese dai 100 mila ai 250 mila euro, la copertura scende al 50% delle spese ammesse.

Quali tipologie di spese si possono finanziare con i contributi a fondo perduto delle nuove imprese femminili?

Sia per il limite dei 100 mila euro di spesa che per quello dei 250 mila euro, i contributi a fondo perduto finanziano:

  • le immobilizzazioni materiali come macchinari, impianti e attrezzature, purché nuovi di fabbrica e coerenti con l’esercizio dell’attività da avviare;
  • immobilizzazioni immateriali, coerenti con l’iniziativa agevolata;
  • i servizi di cloud coerenti con la gestione aziendale;
  • le spese per il personale dipendente assunto a tempo determinato o indeterminato con data successiva a quella di presentazione della domanda dei contributi. Anche le assunzioni devono essere funzionali al progetto della nuova impresa;
  • le spese del capitale circolante. In tal caso il limite è del 20% rispetto al totale delle spese ammissibili.

Come si presenta la domanda dei contributi per le nuove imprese al femminile?

La procedura per la valutazione dei contributi per la nascita delle nuove imprese al femminile è a sportello. La domanda, tuttavia, deve essere compilata in via telematica. Le donne interessate a richiedere i finanziamenti devono accedere alla sezione apposita presente sul portale di Invitalia.

Rapporto personale maschile e femminile: obbligo esteso per le aziende

Dall’11 febbraio 2022 è attivo il servizio online del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per il monitoraggio del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende, con un’importante novità: l’obbligo è stato esteso alle aziende con più di 50 dipendenti.

Parità di genere nel PNRR

La parità di genere nel mondo del lavoro è uno degli obiettivi che l’Italia fa molta fatica a raggiungere, soprattutto in alcune zone del Paese, in particolare il meridione, dove la disoccupazione femminile è molto elevata. Non solo, ci sono ancora molte differenze per quanto riguarda gli stipendi e l’inquadramento, infatti le donne, anche a parità di mansioni, guadagnano meno, inoltre hanno maggiori difficoltà a raggiungere posizioni verticistiche. Al fine di inquadrare bene la situazione, è previsto il monitoraggio  del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende che ora è accessibile, e costituisce un obbligo, anche alle aziende con più di 50 dipendenti.

Un passo importante per il raggiungimento della parità di genere nel mondo del lavoro è dato dal PNRR, questo ha tra i suoi obiettivi l’aumento dell’occupazione femminile almeno del 4%. Al fine di monitorare la situazione e dare attuazione al PNRR, la Legge n. 275 del 2021 ha modificato il Codice delle Pari Opportunità e ha esteso l’obbligo di aderire al monitoraggio anche alle aziende con più di 50 dipendenti, in passato l’obbligo era previsto solo per le aziende con almeno 100 dipendenti.

Per conoscere le varie misure previste nel PNRR per incrementare la parità di genere, leggi l’articolo: Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Cosa deve indicare il rapporto personale maschile e femminile?

In particolare la nuova formulazione dell’articolo 46 del Codice delle Pari Opportunità stabilisce che le aziende del settore pubblico o privato devono redigere almeno ogni 2 anni il rapporto della situazione del personale maschile e femminile presente in azienda. Il rapporto deve tenere in considerazione:

  • stato delle assunzioni;
  • formazione;
  • promozione professionale;
  • livelli;
  • passaggi di categoria o di qualifica;
  • mobilità;
  • cassa integrazione;
  • licenziamenti;
  • prepensionamenti;
  • pensionamenti;
  • retribuzione.

I datori di lavoro che occupano fino a 50 dipendenti non sono obbligati a redigere il rapporto possono però volontariamente aderire.

Per poter adempiere a tale obbligo è disponibile il modello sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, inoltre è possibile utilizzare l’applicativo presente sul sito del Ministero del lavoro: clicca QUI

Ricordiamo che per le aziende che non aderiscono vi è impossibilità di accedere ai fondi del PNRR. Come si può notare dai dati che devono essere inseriti, l’obbligo è volto non solo a verificare quanto le aziende siano sensibili al tema della disoccupazione femminile, ma anche a verificare se alle donne viene data possibilità di fare carriera e se vi è un trattamento economico uguale tra uomoini e donne con lo stesso inquadramento.

Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Il PNRR, Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, sarà un punto fondamentale per l’economia del Paese per i prossimi anni, lo stesso punta a ottenere anche una maggiore inclusione sociale e quindi a superare alcune criticità dell’Italia, tra queste da sempre c’è la disoccupazione femminile. Ecco le misure del PNRR per l’occupazione femminile che dovrebbero aiutare l’Italia a superare il gender gap.

Il gender gap in Italia e in Europa

L’Italia prima della pandemia registrava record di disoccupazione femminile, in Europa il tasso di occupazione femminile è al 67,4% mentre in Italia al 53,1%, a ciò si aggiunge che le donne inattive, che cioè neanche cercano più un lavoro a causa del “lavoro di cura” che devono prestare alla famiglia, di origine e di nuova formazione, è del 35,7%, molto al di sopra della media europea. I lavoratori autonomi in Italia di genere maschile sono il 7,1% mentre le donne sono la metà. L’insieme di tutti questi dati colloca l’Italia al quattordicesimo posto nella Gender Equality Index dello European Institute for Gender Equality, una particolare classifica sulla parità di genere. Naturalmente la pandemia ha dato un ulteriore colpo all’occupazione femminile, infatti, molte donne hanno perso il lavoro sia per cause “naturali”, cioè la crisi economica, sia perché la didattica a distanza  ha costretto tante ad abbandonare il lavoro.

A ciò deve aggiungersi che quando le donne lavorano hanno comunque retribuzioni inferiori, incontrano molti ostacoli nella gestione di famiglia e lavoro al punto che sono spesso costrette a interrompere la carriera per potersi occupare della famiglia e raramente occupano posizioni apicali. Naturalmente questa situazione è nota anche perché socialmente consolidata e il PNRR ha posto attenzione a questa “fragilità” del nostro sistema. Resta da capire se le misure, che a breve vedremo, potranno realmente incidere sul gender gap.

Cosa prevede il PNRR per l’occupazione femminile

Il PNRR prevede tra le varie misure da attuare anche quelle per il superamento della diseguaglianza di genere.

Il PNRR è diviso in 5 missioni, se vuoi saperne di più sul suo contenuto generale, leggi l’articolo: PNRR: cos’è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il Piano ha un ambizioso programma, cioè aumentare l’occupazione femminile di 4 punti percentuali entro il 2026, nel breve periodo è invece previsto un aumento dello 0.7% nel solo 2021. Le strategie per raggiungere l’obiettivo non sono ancora state del tutto delineate anche perché ci sono diverse posizioni a riguardo, ad esempio l’ex ministra del Lavoro, con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, ha dichiarato di preferire una linea gentile, mentre l’economista Andrea Ichino propone una gender tax e una “terapia d’urto”.

PNRR per l’occupazione femminile indiretta

La prima misura prevista, o meglio quella che probabilmente sarà attuata per prima, è l’incremento  della presenza di asili nido in Italia, in questo modo per le donne sarà più facile ritornare a lavoro dopo la nascita dei figli. Attualmente l’Italia ha una copertura di posti per asili del 25,5% mentre la media europea è del 33% con le nuove misure e investimenti provenienti dal PNRR, l’Italia dovrebbe gradualmente raggiungere tali livelli. Per assicurare continuità è previsto anche il potenziamento dei servizi educativi per l’infanzia nella fascia dai 3 ai 6 anni e l’estensione del tempo pieno a scuola.

L’insieme degli interventi destinati alla scuola ha attualmente una copertura di 19,44 miliardi di euro, ma la somma prevede anche il potenziamento delle università, quindi attualmente non sappiamo quanto andrà effettivamente ai servizi per l’infanzia e quindi riuscirà ad alleggerire il carico femminile consentendo alle donne di tornare a lavoro. Tra l’altro il potenziamento di asili nido, servizi per l’infanzia ed estensione del tempo pieno dovrebbero da soli generare anche occupazione in modo diretto.

Aiutare le donne nel ruolo di cura

Si è detto che uno dei maggiori ostacoli per le donne è dato dal lavoro di cura che è destinato quasi esclusivamente a loro, questo non si esaurisce nella necessità di occuparsi dei figli, ma spesso anche dei genitori o altri familiari disabili. Proprio per questo nel PNRR è previsto il rafforzamento delle infrastrutture sociali che possono aiutare i disabili ad avere maggiore autonomia (stanziati 500 milioni di euro nel PNRR) e rafforzamento dei servizi di prossimità e dell’assistenza domiciliare con stanziamento di oltre 4 miliardi di euro. Molti criticano il fatto che all’interno del PNRR siano previste misure per favorire l’occupazione femminile, ma attualmente non sono ancora previste misure che coinvolgano maggiormente gli uomini nel lavoro di cura e nella distribuzione equa del carico familiare.

PNRR e occupazione femminile: reclutamento in PA e impresa

Un secondo punto riguarda il reclutamento in PA che prevede delle misure volte a incrementare la possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali. Sempre nella Pubblica Amministrazione vi è l’obiettivo di favorire il lavoro agile che favorisce un equo bilanciamento tra vita professionale e gestione della famiglia. Naturalmente le donne non lavorano solo un Pubblica Amministrazione quindi per stimolare un maggiore impegno nel mondo del lavoro è necessario agire anche nel privato. Sono quindi previste misure per l’imprese attraverso un potenziamento del finanziamento Smart & Start (che finanzia le nuove imprese con un elevato contenuto tecnologico e innovativo, orientate a fornire servizi nel campo delle nuove tecnologie digitali e intelligenza artificiale) e del finanziamento N.I.T.O. con possibilità di avere fondi a tasso agevolato e destinato a giovani e donne che vogliono diventare imprenditori.

Il PNRR per l’occupazione femminile prevede anche il potenziamento nuovo Fondo per l’imprenditoria femminile che è previsto nella Legge di Bilancio per il 2021 ma che ancora non è operativo.

 

Riforma fiscale: le novità per le donne

Più spazio alle donne e ai giovani per superare l’attuale crisi. Sono queste le priorità espresse dal neopremier Mario Monti durante il suo discorso alle Camere, prima del voto di fiducia. L’obiettivo è trovare soluzioni che garantiscano un più facile accesso alle donne nel mondo del lavoro, in particolare per le mamme e le neomamme. Anche se è di oggi la notizia di un’infermiera che in 9 anni ha lavorato solo 6 giorni grazie a finte maternità, l’impegno di Monti è volto a trovare soluzioni alle “difficoltà di inserimento o di permanenza in condizione di occupazione delle donne”.

Ma quali sono le proposte?

Abbassare l’imposta pagata dalle lavoratrici, con corrispondente innalzamento per gli uomini, in modo da ridurre il costo del lavoro per le aziende che assumono donne. Questa iniziativa dovrebbe favorire l’accesso al mondo del lavoro da parte delle donne. Alzando di un punto percentuale l’Irpef degli uomini e abbassando corrispettivamente quella femminile si avrebbe un gettito fiscale invariato, ma di stimolo per l’assunzione “in rosa”. L’idea alla base d questo progetto nasce da un lavoro di due economisti, Alberto Alesina e Andrea Ichino.

Numerosi i riscontri favorevoli a questa iniziativa: l’aumento dell’imponibile sul lavoro maschile incrementa il gettito fiscale, ma non intacca la forza lavoro degli uomini, non causando cioè licenziamenti. Dall’altro lato, se si aumenta il numero delle donne impiegate a un’aliquota inferiore, si assiste ad una riduzione del costo del lavoro per le aziende, laddove il gettito fiscale rimarrebbe invariato.

Esistono però dei limiti a tale proposta. La disoccupazione femminile in Italia, la più alta in Europa, non è legata al costo del lavoro, ma è quanto più un deficit di tipo culturale. Il rischio per un’azienda che decida di assumere una donna al posto di un uomo è che la donna potrebbe lasciare temporaneamente il posto di lavoro per maternità. Inoltre, i maggiori problemi legati alla disoccupazione femminile sono riscontrabili nel Mezzogiorno, dove le famiglie in cui lavoro solo l’uomo sono più numerose. Un aumento dell’imponibile sul lavoro maschile colpirebbe dunque la capacità di spesa delle famiglie.

Una medaglia dalla doppia faccia, dunque la proposta avanzata dal nuovo governo Monti. Più facilmente attuabili appaiono invece le iniziative legate al sostegno alla famiglia per favorire il rapporto tra donne e lavoro. Qualche esempio? Garantire un accesso più facile agli asili nido e allungare il tempo scolastico. Ma siamo appena all’inizio, e la sfida si preannuncia difficile.

Alessia Casiraghi

Istat: il tasso di disoccupazione scende al 7,9%

Disoccupazione italiana in calo, secondo i nuovi dati Istat. In agosto il tasso di disoccupazione è sceso al 7,9%, contro l’8% registrato a luglio. Una ventata di ottimismo, se si confrontano i dati rilevati nel secondo semestre 2011 con quelli dello scorso anno: nel secondo trimestre 2011 la disoccupazione è scesa al 7,8% rispetto all’8,3% del secondo trimestre 2010. Disoccupati ai minimi dal 2009, ovvero sotto quota 2 milioni.

Ma i dati non sono poi così rassicuranti. Anche se la disoccupazione è in calo, si rafforza al contrario quella di lunga durata, che ha registrato un’impennata nel secondo trimestre 2009, con un 52,9%. La disoccupazione femminile al Sud continua ad essere una piaga per il nostro Paese, registrando un tasso pari al 44%.
In Italia a preoccupare sono soprattutto la disoccupazione giovanile e la precarietà sempre più spinta, secondo quanto la Commissione Ue nell’ultimo rapporto sull’occupazione. I dati di Eurostat non sono rassicuranti: la disoccupazione dei giovani in Italia ad agosto è infatti aumentata dal 27,5% a 27,6%, contro una media europea del 20,4%. In aumento anche il numero di giovani che non studiano né lavorano: sono al 19,1%, una media che ci porta secondi solo alla Bulgaria (21,8%).

L’ultimo rapporto Istat rivela inoltre la diminuzione degli impiegati a tempo pieno, -0,2%, e l’aumento del lavoro a tempo parziale, +3,4%. Cresce il numero dei dipendenti a termine, +6,8%, mentre è in calo la riduzione dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato -0,1 %.

La crescita dell’occupazione nel secondo trimestre 2011 è favorita dalla presenza di lavoratori stranieri. Nel periodo aprile-giugno 2011 infatti, l’occupazione è cresciuta dello 0,4% rispetto al secondo trimestre 2010, con un aumento di 87mila unità,ma mentre l’occupazione italiana perde 81mila unità quella straniera avanza di 168mila. Il tasso di occupazione per gli italiani rimane stabile al 56,6% mentre quello degli stranieri è in discesa al 63,5%.

I segnali di ripresa, rispetto al 2009, sembrano chiari. Ma per l’economia italiana la capacità di creare posti di lavoro resterà debole ancora a lungo.

A.C.