Gerardi: “Assurdo aspettare molti anni per un divorzio!”

 

Dopo i pareri, diametralmente opposti, di Cesare Rimini e Alberto Gambino, oggi abbiamo incontrato il tesoriere della Lega Italiana per il Divorzio Breve, l’avvocato Alessandro Gerardi, per una breve chiacchierata riguardo al provvedimento, in esame in questi giorni alla Camera, che dovrebbe accorciare le tempistiche per il divorzio.

Avv. Gerardi, il divorzio breve è la “banalizzazione del matrimonio” o una “battaglia di civiltà”?
Battaglia di civiltà giuridica e sociale, senza dubbio. Basti pensare che in tutti i Paesi europei ed extraeuropei è possibile ottenere il divorzio non solo in tempi relativamente rapidi, ma anche attraverso procedure semplici e con costi molto contenuti. Solo in Italia, Irlanda del Nord e Polonia tutto questo non è possibile. Da noi la coppia che intende giungere allo scioglimento definitivo del vincolo coniugale deve infatti affrontare un lungo, tortuoso, costoso e complicato iter procedurale: prima deve rivolgersi al Tribunale per ottenere la separazione; dopodichè – una volta divenuta definitiva la sentenza di separazione e trascorsi minimo tre anni – si vede costretta a promuovere un secondo giudizio di divorzio. Solo quando la sentenza di divorzio è passata in giudicato (il che, a volte, avviene davvero dopo molti anni), i coniugi ottengono finalmente lo status di persone “libere” e possono quindi risposarsi e rifarsi una vita.

Recentemente il Presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, è tornato a definire “utile” e “necessario” questo doppio iter procedurale, sottolineando che il periodo triennale di separazione “non è una forma di coercizione della libertà degli individui, ma serve a far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto”…
Il capo dei Vescovi italiani dimentica però di dire che secondo i dati statistici, solo il 2% delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere sotto lo stesso tetto; il che vuol dire che in genere chi si rivolge al Tribunale per mettere fine alla propria vita sponsale ha già maturato una scelta irreversibile. A cosa serve quindi imporre ai coniugi questa lunga camera di “decompressione” tra separazione e divorzio?

Si riuscirà così a snellire la mole dei processi civili pendenti?
Bisogna distinguere. Attualmente sul tappetto vi sono infatti due proposte: la prima, di fonte parlamentare, è in discussione in Commissione Giustizia della Camera e prevede la riduzione del periodo di separazione legale, che dagli attuali tre anni scenderebbe a uno (o a nove mesi, in caso di separazione consensuale e senza figli minorenni). La seconda, di fonte governativa, è stata preannunciata nei giorni scorsi dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando e prevede – in caso di separazione e divorzio consensuali e senza figli minorenni – la possibilità di ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale tramite un accordo stragiudiziale concluso tra gli avvocati, senza quindi passare attraverso i Tribunali. Ebbene, solo con quest’ultima proposta si riuscirebbe a snellire in modo significativo l’enorme mole dei processi civili pendenti (attualmente 5 milioni e mezzo); grazie ad essa infatti i coniugi non sarebbero più costretti a promuovere un doppio procedimento giudiziario per separarsi e poi divorziare. Al contrario, il disegno di legge di iniziativa parlamentare, qualora venisse approvato, non alleggerirebbe il carico di lavoro degli uffici giudiziari, atteso che la stessa incide solo sui tempi della separazione (accorciandoli), senza modificare in alcun modo la competenza del giudice, che rimanerrebbe invariata.

Recidere il vincolo matrimoniale davanti a un pubblico ufficiale, senza passare per un magistrato, quando sarà possibile in Italia?
Previsioni è difficile farne. Personalmente ho molta fiducia nel progetto del Ministro della Giustizia Andrea Orlando: è un primo passo che – sebbene non risolutivo – dimostra come ormai anche qui da noi si stia facendo strada la convinzione che nei procedimenti di separazione e divorzio consensuali – perlomeno in quelli dove non vi è la presenza dei figli minori – è inutile imporre alla coppia un doppio passaggio davanti al Tribunale. Direi che sono abbastanza fiducioso sul fatto che anche qui da noi, tra qualche anno, sarà possibile ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale senza passare nelle aule di giustizia, proprio come già avviene in Francia, Portogallo, Svezia e Brasile. Del resto, se un matrimonio fallisce e non ci sono figli minorenni, in via consensuale tutto si risolve in un mero accordo economico, e quindi perché intasare i Tribunali con questo tipo di procedimenti?

Jacopo MARCHESANO

Gambino: “Divorzio breve? Si perderebbe la possibilità di una riconciliazione”

 

Proseguiamo questa nostra settimana dedicata all’approfondimento sul cosiddetto “divorzio breve” intervistando il giurista Alberto Gambino, professore ordinario di diritto privato all’Università Europea di Roma e già componente dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia presso il Ministero delle Politiche familiari nel biennio 2007-2008.

Prof. Gambino, il tema del “divorzio breve” ciclicamente si ripropone. Pensa davvero che siamo al momento decisivo per una “riforma del divorzio”?
Non lo auspico, in quanto sembra che la soluzione ai problemi relativi alla crisi matrimoniale e allo scioglimento del vincolo sia solo l’accorciamento dei termini di durata della separazione da tre ad un anno. L’istituto della separazione non è stato pensato dal legislatore quale mero passaggio procedimentale per giungere ineluttabilmente al divorzio, ma come fase temporanea che potrebbe dar luogo anche ad una riconciliazione tra i coniugi: abbreviarne i tempi, in nome di un maggiore efficienza e di un presunto effetto deflattivo sul contenzioso, diminuisce inesorabilmente la chance di equità e giustizia, e – perché no – di reversibilità della crisi.

Recidere il vincolo matrimoniale davanti a un pubblico ufficiale, senza passare per un magistrato, quando sarà possibile in Italia?
Se, come appare dal dettato costituzionale, il carattere della famiglia fondata sul matrimonio assume una dimensione “istituzionale” e non meramente volontaristica, allora ciò che rileva ai fini dello scioglimento del matrimonio non è il consenso dei coniugi, ma la giusta causa prevista dalla legge, la cui ricorrenza in concreto deve essere accertata da un giudice, il quale scioglie il matrimonio con sentenza costitutiva.

Quanto influisce nel dibattito sul “divorzio breve” la cultura cattolica imperante nel nostro Paese?
Direi poco, se solo si ha l’onestà intellettuale di riconoscere che la tendenziale stabilità dell’istituto matrimoniale discende non certo dal carattere dell’indissolubilità del vincolo cattolico, ma dal fatto che il matrimonio non è paragonabile ad un semplice contratto, che può sciogliersi col mero consenso delle parti.

Jacopo MARCHESANO