Immobile con usufrutto, chi dichiara la rendita catastale?

Chi dichiara la rendita catastale nel caso di immobile di proprietà su cui un terzo ha l’usufrutto? Questa la domanda che è stata posta all’Agenzia delle entrate.

Il caso: devo dichiarare la rendita dell’immobile in uso ai genitori?

L’usufrutto è un diritto reale di godimento su un bene la cui nuda proprietà spetta ad altro soggetto. L’usufruttuario può godere e disporre dell’altrui bene traendo da esso utilità. Tra i vincoli da rispettare vi è la destinazione d’uso che non può essere mutata dall’usufruttuario, quindi se un immobile è concesso in usufrutto come abitazione civile, non può essere trasformato dall’usufruttuario in locale commerciale.

Nel caso in esame l’istante ha ricevuto in donazione dai genitori un immobile, sullo stesso i genitori hanno però conservato l’usufrutto. Di conseguenza l’istante è nudo proprietario, ma l’uso dell’immobile resta ai genitori. Il nudo proprietario chiede quindi all’Agenzia delle entrate se nella dichiarazione dei redditi deve inserire la rendita catastale dell’immobile.

Leggi anche: Come abbassare la rendita catastale di un immobile

Nel nostro ordinamento la rendita catastale è un reddito attribuito dall’Agenzia delle entrate agli immobili. Per la prima casa la rendita deve essere portata in deduzione dall’imponibile, questo vuol dire che non genera tasse da pagare.

Nel caso di usufrutto la rendita dovrebbe essere dichiarata dagli usufruttuari, ma trattandosi di immobile adibito ad abitazione principale, l’importo della rendita deve essere portato in deduzione dagli usufruttuari, in questo caso i genitori.

La rendita catastale a sua volta non deve essere dichiarata dal nudo proprietario che in effetti non ha in uso l’immobile e per lui non produce un effettivo reddito.

La risposta dell’Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle entrate nella risposta fornita al contribuente sottolinea “Come riportano le stesse istruzioni per la compilazione del modello 730, in caso di usufrutto o altro diritto reale (per esempio, uso o abitazione) il titolare della sola nuda proprietà non deve dichiarare il fabbricato. L’immobile deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi dell’usufruttuario.

Donazione soldi ai figli, è possibile senza il notaio?

La donazione soldi ai figli, di solito, è un atto con cui i genitori aiutano i figli a fronteggiare una spesa. Ma si deve fare con il notaio?

Donazione soldi ai figli, distinzione tra diretta ed indiretta

Partiamo del concetto di base che la donazione di denaro ha bisogno di un atto pubblico notarile. A stabilirlo è la Corte Suprema di Cassazione, per mezzo della sentenza numero 18725 del 27 luglio 2017. Questo vuol dire che per fare la donazione soldi ai figli, occorre la presenza di un notaio e non è sufficiente la sola consegna ai figli.

A questo punto è importante fare una distinzione tra donazione diretta ed indiretta. Si parla di donazione indiretta se la donazione è finalizzata ad uno scopo specifico oppure no. Uno scopo potrebbe essere il pagamento di un debito, oppure l’acquisto di una casa. Mentre si parla di donazione diretta quando non c’è nessuna motivazione, perché chi li riceve può utilizzare le somme senza specificazione.

Donazione soldi ai figli, i casi in cui non c’è bisogno del notaio

Se i genitori decidono di pagare di tasca propria il debito del figlio, non c’è bisogno di alcun atto davanti al notaio. Perché in questo caso non c’è nessun passaggio di denaro e quindi donazione dai genitori ai figli, ma questi ad esempio pagano l’acquisto di una casa. In questo esempio il prezzo di vendita viene pagato direttamente dai genitori al venditore, quindi non occorre la donazione.

Mentre quando si dona un importante cifra, occorre fare un vero e proprio atto. Qui si richiede, pena l’invalidità, l’atto pubblico notarile alla presenza di due testimoni. Si ricorda anche che sulla donazione tra padre e figlio non si pagano le imposte se l’importo è inferiore a un milione di euro. Superando tale limite, si paga l’aliquota del 4% sulla somma in eccedenza. Inoltre occorre pagare la parcella del notaio e l‘imposta di registro per la registrazione dell’atto.

Posso donare dei soldi con bonifico?

Se i genitori decidono di regalare una piccola somma al figlio, magari per un regalo, si può fare. Se la somma è sotto la sogli di due mila euro, si può fare in contanti, altrimenti occorre il bonifico. A dire il vero non c’è un limite massimo e minimo per fare un bonifico, ma di certo, l’operazione potrebbe incuriosire l’Agenzia delle entrate.

A fungere da spiegazione è bene prestare attenzione alla compilazione in modo accurato della causale del bonifico. E soprattutto quando si donano soldi, stare attenti a preservare sempre le quote di eventuali altri eredi. Anche perché se no la donazione potrebbe essere nulla e il beneficiario dovrà restituire tutte le somme ricevute.

 

 

Cos’è la donazione indiretta e come sono pagate le imposte

La donazione è un atto con il quale un soggetto arricchisce per spirito di liberalità un altro soggetto ( articolo 769 codice civile). Generalmente, affinché possa essere perfezionato l’atto, non basta la mera dazione del bene, ad esempio denaro, ma occorre un atto pubblico (articolo 782 codice civile) stipulato alla presenza del notaio e di due testimoni. Tale formalità è importante perché la donazione viene considerata una sorta di anticipazione rispetto alla successione mortis causa, testamentaria e non. Si può evitare l’atto pubblico solo per donazioni di modico valore. L’atto pubblico non è invece necessario in caso di donazione indiretta, ecco di cosa si tratta, quali sono i vantaggi e in cosa differisce dalla donazione diretta.

La donazione indiretta

Si distinguono due tipologie di donazione: la donazione diretta e la donazione indiretta. Nella donazione indiretta viene stipulato un contratto diverso dalla donazione che però persegue lo stesso fine della donazione, con l’avvertenza che all’interno del contratto è necessario comunque menzionare che si tratta di una donazione.

La donazione indiretta è una fattispecie molto più comune di quanto si possa pensare, solo che le persone tendono ad attuarla senza particolare formalità e a volte anche senza rendersi conto dell’importanza di tale atto.

Il caso classico di donazione indiretta è il figlio che stipula un contratto di compravendita di un immobile e contestualmente il genitore effettua il pagamento dell’immobile. In questo caso nel contratto tra il venditore Caio e l’acquirente Tizio (figlio) si inserisce una terza persona, cioè il genitore che fornisce i soldi. Appare evidente l’assenza dell’atto di donazione. Ad esempio, se il genitore effettua una donazione diretta di denaro sottolineando che lo stesso deve essere utilizzato per l’acquisto di casa e in seguito il figlio stipula il contratto di compravendita dell’immobile utilizzando il denaro donato ( che nel frattempo era depositato in un conto), non siamo più nell’alveo della donazione indiretta, ma diretta, sebbene il risultato sia lo stesso rispetto al precedente caso di donazione indiretta. Tra le donazioni indirette deve essere annoverata anche la rinuncia a un credito e il pagamento di un debito altrui.

Leggi anche: Vorresti fare una donazione a un bambino? Ecco come

I vantaggi della donazione indiretta

Il vantaggio della donazione indiretta è soprattutto di tipo economico, infatti non sarà necessario stipulare due rogiti. Occorre però prestare attenzione perché nell’atto di compravendita deve essere inserita la donazione, cioè il genitore deve dichiarare l’animus donandi. Questa menzione è necessaria anche per evitare indagini fiscali a carico dell’acquirente/figlio che magari non ha abbastanza sostanze per potersi permettere l’acquisto e comunque siamo nel tipico esempio di spesa che deve essere tracciabile e che non può certo essere effettuata in contanti, quindi nell’atto diventa necessario citare la fonte del denaro.

Questo elemento non è senza conseguenze, infatti al momento della successione tale valore dovrà essere considerato una sorta di anticipazione dell’eredità. Sia chiaro, se il genitore muore senza testamento e nessuna delle parti/eredi chiede di includere tali valori nella successione, non succede nulla. Se il donante lascia un testamento è necessario valutare se vi è lesione di legittima imputando nell’asse ereditario anche le somme e i beni donati in vita, ma anche in questo caso, se nessuno impugna il testamento per lesione di legittima e le parti decidono di dare seguito alle volontà testamentarie non vi è alcuna conseguenza, cioè l’importo /valore della donazione non è oggetto di ricostruzione dell’asse ereditario.

Imposte donazioni indirette

La donazione prevede anche l’applicazione dell’imposta di donazione a carico del beneficiario. L’aliquota cambia in base al destinatario della donazione:

  • 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente 1 milione di euro, per ciascun beneficiario
  • 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente 100mila euro, per ciascun beneficiario
  • 6% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado
  • 8% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per le altre persone.
  • Nel caso di donazione in favore di persona con handicap l’imposta si applica sulla parte eccedente rispetto alla franchigia di 1.500.000 euro.

La donazione indiretta espone però a un altro problema, ovvero le imposte previste sulle donazioni (Testo Unico sulle Successioni e sulle Donazioni), infatti appare alquanto difficile riuscire ad applicare le imposte sulla rinuncia a un credito, mentre per quanto riguarda il caso di donazione indiretta contestuale all’acquisto di un immobile, ha provveduto a fornire chiarimenti l’Agenzia delle Entrate con Interpello 366/E/2022.

Imposte sulla donazione: quanto costa donare un bene

La donazione è un atto con cui un soggetto con spirito di liberalità arricchisce un altro soggetto, possono essere divise in due categorie, cioè le donazioni di modico valore e le donazioni di valore rilevante, per le seconde è necessario seguire delle procedure particolari che vedremo e inoltre è necessario versare le imposte sulle donazioni.

La donazione di modico valore

L’articolo 769 del codice civile definisce la donazione come un contratto con cui una parte arricchisce un’altra per spirito di liberalità e gratuità attribuendole un diritto o assumendo un obbligo verso di essa, ad esempio l’obbligo di versare periodicamente una certa somma. Si parla di contratto perché l’efficacia della donazione è legata all’accettazione della stessa. Le donazioni di modico valore possono essere fatte senza alcuna formalità, ad esempio un genitore che decide di regalare dei soldi a un figlio, oppure un fidanzato che regala un anello alla compagna. In realtà in nessuna norma viene stabilito il limite del modico valore e di fatto spesso tali regali, considerati “d’Uso”, possono avere anche una rilevante entità, ma sfuggono a ogni regola.

Generalmente si ritiene che debba essere considerato il tenore di vita del donante e del donatario e avendo come riferimenti questi due elementi si dovrebbe valutare se la donazione è di modico valore. Di fatto per i beni mobili non registrati, tutto è più semplice e con questa tecnica è possibile anche evitare che tali beni in futuro possano essere oggetto di collazione per stabilire le quote di legittima.

La donazione con atto pubblico

Diverso è invece il caso in cui si desideri intestare a un soggetto beni di rilevante entità, ad esempio un immobile o una somma di denaro che sarebbe impossibile spostare da un conto a un altro senza formalità. In questi casi è necessario rispettare delle norme precise, in particolare è necessario stipulare un atto pubblico alla presenza di un notaio ed occorre avere due testimoni che devono essere maggiorenni, capaci di intendere e soprattutto estranei all’atto stesso.

Si è detto che questa tipologia di donazione deve essere accettata, ma le formalità non finiscono qui, infatti per poter perfezionare l’atto è necessario pagare le imposte sulla donazione, queste ricadono sul donatario o beneficiario. L’ammontare delle tasse di donazione dipende sia dal valore del bene oggetto di donazione, sia dal rapporto o grado di parentela che intercorre tra le parti.

Imposte sulla donazione: aliquote e franchigie

In merito alle imposte sulla donazione deve essere in primo luogo premesso che in base al rapporto di parentela esistono delle franchigie, cioè sono degli importi “franchi” quindi liberi dall’imposizione, inoltre le aliquote cambiano in base al rapporto di parentela.

Non sono sottoposte a tassazione le donazioni eseguite in favore di Stato, Regioni, Province e Comuni, enti pubblici, fondazioni riconosciute che abbiano lo scopo sociale di tipo assistenziale, di studio, ricerca scientifica, altre finalità di pubblica utilità, fondazioni bancarie e ONLUS.

Le aliquote per le imposte di donazione sono:

  1. 4% con franchigia di un milione di euro per donazioni in favore di coniuge e parenti in linea retta, cioè figli, genitori, nipoti. La franchigia di un milione si calcola sulla singola donazione, ad esempio se un genitore vuole beneficiare due figli, per ciascuna donazione si applica la franchigia di un milione di euro;
  2. 6% per donazioni in favore di fratelli e sorelle, in questo caso la franchigia è di 100.000 euro;
  3. 6% per parenti entro il quarto grado (zii, nipoti figli di fratelli e sorelle, cugini, pronipoti e prozii), affini in linea retta, cioè suoceri, generi e nuore e affini in linea collaterale fino al terzo grado, cioè i cognati. In questo caso non si applica alcuna franchigia;
  4. 8% senza alcuna franchigia per tutti gli altri soggetti.

Indipendentemente dalla linea di parentela, se il beneficiario della donazione è una persona portatrice di handicap, la franchigia è di 1,5 milioni di euro.

Imposte sulla donazione di un immobile

Le imposte di donazione cambiano nel caso in cui il bene oggetto di donazione sia un immobile, cioè una casa, un capannone, un terreno. In tal caso alle aliquote prima viste, si aggiunge l’imposta ipotecaria, questa è del 2% del valore dell’immobile e, infine, l’imposta catastale nella misura del’1% del valore dell’immobile.

Nel caso in cui l’immobile sia destinato a essere prima casa, si applicano gli stessi benefici previsti per la successione e quindi le imposte ipotecaria e catastale sono in forma fissa, ciascuna in misura di 200 euro.

L’imposta di registro sulle donazioni

Le imposte sulle donazioni non finiscono qui, infatti abbiamo anticipato che la donazione deve essere effettuata con atto pubblico, lo stesso deve essere registrato e di conseguenza è necessario versare l’imposta di registro il cui ammontare è fisso e corrisponde a 200 euro. Infine, occorre ricordare che nel costo di un atto di donazione deve essere compreso anche l’onorario del notaio. Questo solitamente spetta al donante.

Vorresti fare una donazione a un bambino? Ecco come

I minori di età non hanno capacità di agire, cioè non possono porre in essere atti giuridici, ad esempio non possono acquistare un’auto, una casa o stipulare un contratto di lavoro. Tra gli atti che i minori non possono compiere autonomamente c’è anche l’accettazione di una donazione e allora ci si chiede: come fare una donazione a un bambino?

Donazione a un bambino: differenza tra quella di modico valore e donazione di valore

La domanda è importante infatti capita spesso che genitori, nonni o altri parenti vogliano fare delle elargizioni direttamente ai piccoli di casa, ad esempio il nonno potrebbe voler regalare dei soldi al nipote, oppure un terreno o altro immobile in quanto vuole beneficiare direttamente quella persona oppure perché vuole evitare doppi passaggi, prima ai figli e poi ai nipoti, con gli oneri maggiori che ne deriverebbero.

Devono essere fatte delle precisazioni, infatti donazioni di modico valore possono essere fatte senza particolari formalità, ad esempio il nonno può scegliere di andare in posta e sottoscrivere un buono fruttifero postale intestato al minore. Questo non potrà poi essere riscosso fino al compimento della maggiore età del minore stesso, ma di fatto la donazione può essere fatta in modo semplice e soprattutto senza pagare le imposte di donazione.

Diverso però è il caso in cui le donazioni sono di una certa entità. In tali casi occorre determinare se l’accettazione di questo bene possa danneggiare il minore o sia in realtà nel suo interesse. Questo implica che per la donazione di beni a minorenni occorre seguire delle procedure particolari.

Il reale problema è che nel nostro ordinamento non viene chiarito qual è il limite tra una donazione di modico valore e una che non abbia tale caratteristica, sono indicati dei criteri molto generici, infatti per determinare se una elargizione è di modico valore deve essere tenuta in considerazione la capacità economica del donante. Può quindi capitare che una donazione importante di denaro possa non essere considerata come tale, molto dipende anche dalla sensibilità dell’operatore che esegue l’operazione in banca.

Donazione a minori, concepito e non concepito

La disciplina prevista sulla donazione è piuttosto ampia, infatti prevede la possibilità di effettuare una donazione in favore di minori, ma non solo. L’articolo 784 del codice civile stabilisce che la donazione può essere fatta in favore del concepito e anche in favore del figlio di determinate persone sebbene non ancora concepito. Salva diversa disposizione del donante:

  • la gestione dei beni donati al concepito o al soggetto non ancora concepito spetta al donante;
  • i frutti maturati prima del concepimento, ma dopo l’atto di donazione, spettano  al donante, cioè a colui che effettua la donazione ;
  • i frutti maturati prima della nascita a un concepito spettano al donatario/beneficiario.

La procedura per la donazione a un bambino/minore di età

Affinché si possa validamente donare a un minorenne, occorre in primo luogo recarsi da un notaio, infatti le donazioni sono valide se eseguite con atto pubblico e di conseguenza è necessaria la presenza del notaio e di due testimoni (articolo 769 del codice civile). Per quanto riguarda i testimoni, la legge notarile (89 del 1913) all’articolo 50 stabilisce che devono essere persone disinteressate agli atti da compiere. Inoltre devono essere maggiorenni e dotati della capacità di agire. La donazione deve essere fatta con atto scritto. Una volta effettuata la donazione sarà necessario procedere all’accettazione. In caso di persone maggiori di età l’accettazione viene fatta dal donatario, cioè da colui che riceve, tutto però cambia nel caso in cui si tratti di un minorenne.

Per l’accettazione della donazione a un bambino trova applicazione l’articolo 320 del codice civile, il quale stabilisce in modo specifico al comma 3 che i genitori, o chi esercita la responsabilità genitoriale, non possono accettare o rinunziare a eredità, donazioni o legati senza la previa autorizzazione del giudice tutelare che per ogni atto deve valutare l’interesse del minore e in particolare gli atti devono rispondere a necessità e utilità del minore. Sugli stessi beni l’ordinaria amministrazione spetta a chi esercita la responsabilità genitoriale ( i genitori congiuntamente), mentre atti di straordinaria amministrazione, ad esempio l’iscrizione di un pegno o ipoteca, devono essere autorizzati dal giudice.

Donazioni a minori e lesione di legittima

Ricordiamo, infine, che le donazioni sono atti di disposizione del patrimonio fatte tra vivi, queste in teoria potrebbero ledere la quota legittima di altri soggetti, ad esempio dei figli o del coniuge del donante. Questo vuol dire che, in seguito alla morte del donante, può essere necessario imputare nuovamente le donazioni al patrimonio al fine di valutare se vi è stata tale lesione.

In caso di esito positivo, potrebbe essere necessario restituire il bene o il suo controvalore, proprio per questo è sempre bene stare attenti a tali atti e il ruolo del giudice tutelare è molto importante. L’azione di lesione di legittima deve essere esercitata entro 10 anni dall’apertura della successione, questo sottopone il minore a un rischio di lunga durata perché tra la donazione e la morte potrebbero intercorrere molti anni e a questi si devono aggiungere ulteriori 10 anni per la prescrizione. A ciò deve essere aggiunto che neanche eliminerebbe tale rischio un’eventuale rinuncia all’eredità fatta dagli eredi mentre è ancora in vita il donante in quanto la rinuncia all’eredità è valida solo se fatta dopo l’apertura della successione.

Per saperne di più sulla gestione dei beni intestati al minore, leggi l’articolo: Amministrazione e vendita beni di minori: come ci si deve comportare

Che cos’è l’imposta di donazione, quando si paga e quando no

Attraverso un atto che è sempre redatto da un notaio, in Italia le persone in vita possono donare beni ad altri soggetti. Al netto di eventuali franchigie, questo passaggio di beni è soggetto a tassazione. Si tratta, nello specifico, dell’imposta di donazione per la quale sono previste delle aliquote diverse in base ai soggetti che sono coinvolti nel contratto di donazione.

Chi paga l’imposta di donazione, le eventuali franchigie ed il ruolo del notaio

Il notaio, oltre a registrare l’atto di donazione, provvede pure al versamento delle relative imposte che sono a carico del beneficiario della donazione. Inoltre, come sopra accennato, se sono previste delle franchigie allora l’imposta di donazione sarà calcolata ed sarà dovuta sulla parte eccedente il valore del bene trasferito. Il notaio poi procederà alla registrazione dell’atto, entro un termine massimo di 30 giorni, presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente.

Quando l’imposta di donazione non si paga, dalle associazioni alle fondazioni bancarie

L’imposta di donazione, pur tuttavia, non sempre si paga quando il trasferimento di beni avviene in favore di alcuni soggetti. Tra questi, lo Stato italiano, le regioni, le province ed i comuni. Nonché gli enti pubblici e le associazioni che, legalmente riconosciute, hanno scopi di pubblica utilità. Pure le onlus e le fondazioni bancarie, inoltre, non pagano l’imposta di donazione.

Quali sono le aliquote applicate per il pagamento dell’imposta di donazione

Le aliquote applicate per l’imposta di donazione seguono il grado di parentela. In quanto più il legame di parentela è stretto, minore sarà l’aliquota applicata. Non a caso, questa è al 4% per il coniuge e per i parenti in linea retta con una franchigia, per ciascun beneficiario, che è pari a ben 1 milione di euro. Per i fratelli e per le sorelle l’imposta di donazione sale al 6% con la franchigia per ciascun beneficiario che in questo caso scende a 100.000 euro.

Per gli altri parenti l’aliquota è sempre al 6% ma senza franchigia. Mentre per le altre persone, anche in questo caso senza franchigia, l’imposta di donazione sale all’8%. Inoltre, indipendentemente dal grado di parentela, c’è una franchigia che è pari a ben 1,5 milioni di euro quando il beneficiario della donazione risulta essere una persona portatrice di handicap.

Il caso particolare della donazione di beni immobili e le tasse aggiuntive che sono previste

Quando la donazione è legata a beni immobili, ci sono inoltre delle tasse aggiuntive da pagare. Ovverosia, l’imposta catastale che è dovuta nella misura dell’1% del valore dell’immobile che è oggetto della donazione. E l’imposta ipotecaria che, invece, è dovuta nella misura del 2% del valore dell’immobile.

Inoltre, quando la donazione di un bene immobile si riferisce ad una prima casa, allora in base alla normativa fiscale vigente scatta la stessa agevolazione che è prevista per le successioni. Ovverosia, il pagamento in questo caso il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale che è dovuto in misura fissa e pari a 200 euro ciascuna.

Regime dei beni acquisiti dopo il matrimonio: non tutti sono in comunione

La normativa italiana prevede che dopo il matrimonio i coniugi abbiano come regime patrimoniale quello della comunione del beni, fatta salva la possibilità, al momento della celebrazione del matrimonio, di optare per la separazione dei beni, oppure di scegliere successivamente con convenzione di aderire al regime di separazione dei beni. Molti erroneamente ritengono che tutti i beni acquisiti dopo il matrimonio rientrino nel regime di comunione dei beni, in realtà non è così, sono infatti esclusi molti beni. Ecco una disamina sul regime dei beni acquisiti dopo il matrimonio.

Beni acquisiti dopo il matrimonio: quando cadono in comunione

La comunione dei beni, come regime ordinario susseguente al matrimonio, è previsto dalla legge 151 del 1975 che ha in un certo senso rivoluzionato il diritto di famiglia, andando ad adeguare la normativa a quella che era ormai nuova considerazione di questo istituto da sempre considerato alla base di ogni società civile. Implica che normalmente i beni acquisiti dai coniugi dopo il matrimonio ricadono in comunione dei beni, cioè appartengono a entrambi. Questo principio ha riflessi su tutti gli atti dispositivi su tali beni che devono essere concordati e sottoscritti dalle parti e ricade eventualmente anche su una successiva divisione, ad esempio nel caso in cui i coniugi dovessero decidere separarsi e in seguito di sciogliere il vincolo matrimoniale.

La comunione dei beni è quindi automatica, cioè al momento dell’acquisto non occorre specificare che quel determinato bene si vuole far ricadere in comunione. Vi sono però dei beni che per la loro natura non ricadono nella comunione dei beni, ma restano nella proprietà esclusiva di chi li ha acquisiti.  Rientrano quindi nel patrimonio comune la casa acquistata successivamente al matrimonio, questo anche se di fatto è solo un coniuge a pagarla, il denaro presente su conto corrente o altre forme di risparmio, i debiti, sia se contratti congiuntamente che separatamente.

Beni acquisiti dopo il matrimonio che non ricadono nella comunione

I beni che restano in separazione dei beni nonostante il regime della coppia sia quello della comunione, sono quelli indicati negli articoli 177, 178 e 179 del Codice Civile. Si tratta di:

  • beni che appartenevano a ciascun coniuge prima del matrimonio (evidentemente perché erano stati acquisiti prima del matrimonio stesso;
  • beni ricevuti da ciascun coniuge dopo il matrimonio a titolo di successione o donazione (tali beni si considerano personali);
  • somme che ricadono tra i risarcimenti danni, ad esempio nel caso di sinistro stradale da cui derivano lesioni personali, se si ottiene il risarcimento danni, questo appartiene al solo coniuge che effettivamente ha subito il sinistro;
  • pensione di invalidità;
  • beni ad uso strettamente personale o professionale (il computer ad esempio e in molti casi l’auto);
  • diritti di proprietà acquistati con denaro derivante dalla vendita di uno dei beni prima visti. Ad esempio se un coniuge riceve in eredità un appartamento e decide di venderlo per acquistare con quel denaro un’altra casa, evidentemente resterà di proprietà esclusiva del soggetto che aveva ereditato e questo anche nel caso in cui la nuova casa sia destinata alla residenza familiare.

Il coniuge eredita i beni in regime di separazione

Fatto questo elenco, è necessario fare qualche altra precisazione. In primo luogo il fatto che i beni non ricadano in comunione non vuol dire che in caso di morte del proprietario “esclusivo”, l’altro coniuge non erediti, anzi. In caso di decesso del proprietario esclusivo dei beni, sebbene questi, ad esempio la casa, siano di proprietà esclusiva di uno solo dei due coniugi, comunque l’altro coniuge eredita (insieme ai figli se vi sono).

Un altro caso emblematico si ha nel momento del divorzio. Ad esempio Tizio riceve una casa in eredità dal padre Caio, nella stessa va a vivere con la moglie con cui è in comunione dei beni. Questa casa resta di sua esclusiva proprietà, ma in caso di divorzio quella stessa casa potrà essere assegnata alla moglie se con lei sono collocati i figli, una volta che questi sono diventati economicamente indipendenti o comunque hanno lasciato la casa, perché si sono trasferiti per lavoro in un’altra città, la ex coniuge deve lasciare la casa e il diritto di proprietà precedente si espande nuovamente, può essere esercitato nuovamente dal legittimo proprietario che era stato allontanato.

La doppia natura del risarcimento danni

Un’altra nota deve essere fatta per il risarcimento danni: la prima differenza da fare è tra risarcimento del danno extracontrattuale e contrattuale. Il primo si ha quando tra i soggetti (danneggiante e danneggiato) non c’è alcun vincolo, ad esempio in caso di sinistro stradale: il risarcimento è personale e non ricade nella comunione dei beni. Il secondo caso è quello del danno contrattuale, quindi quando due parti hanno un accordo e da quello nasce il diritto al risarcimento, che potrebbe ricadere in comunione. Con degli esempi risulta più semplice.

Se il dentista sbaglia un intervento e danneggia il cliente, la responsabilità è contrattuale, ma il risarcimento è personale e questo perché la prestazione è strettamente personale e in favore esclusivo del singolo coniuge. Nel caso di un commercialista che nello svolgere il suo operato compie degli errori che ricadono economicamente sul cliente e sulla sua famiglia, siamo nel campo del risarcimento danno contrattuale, ma in questo caso il risarcimento cade in comunione dei beni.

La natura del risarcimento da sinistro al coniuge superstite

Un altro caso è quello del risarcimento da parte di un’assicurazione in favore del coniuge, si faccia il caso di un soggetto che purtroppo muore in un sinistro, il coniuge può chiedere il risarcimento del danno, ma non perché è in comunione dei beni, ma semplicemente perché eredita il risarcimento al defunto (jure hereditatis), inoltre può chiedere un risarcimento danni jure proprio per il patema d’animo che lui ha subito dalla perdita. La Corte di Cassazione ha stabilito nei confronti di alcune categorie di congiunti, tra cui il coniuge, il convivente more uxorio e i figli, questo patema d’animo si presume, quindi non c’è neanche bisogno di provarlo, Corte di Cassazione sentenza 23725 del 16 settembre 2008. Mentre se i coniugi sono separati il giudice deve valutare caso per caso non potendo presumersi tale patema d’animo ( Corte di Cassazione n°10393 del 2002).