Imprenditoria femminile: Lombardia ai primi posti


Le imprese femminili attive in Lombardia nel 2010 erano oltre 171mila, il 13,4% del corrispondente totale italiano. Pesano il 20,8% sul totale delle imprese attive in regione e per oltre la metà sono concentrate tra Milano (circa 57.000, 33,3% del totale), Brescia (13,6%) e Bergamo (10,6%). E crescono rispetto al 2009, +0,4%, più della crescita media nazionale delle imprese in rosa che si ferma per lo stesso periodo al +0,2%. E meglio dei colleghi uomini che hanno chiuso l’anno con un –0,1%. Le donne quindi reagiscono meglio alle difficoltà, magari associandosi in consorzi e cooperative, entrambe le forme giuridiche registrano infatti una crescita su base annua nel numero di imprese attive superiore al 7% ma crescono anche come piccole realtà, +1,2% in un anno le ditte individuali.

Tra le province con più alta presenza femminile sono Sondrio, Pavia e Varese rispettivamente il 26,1%, 22,9% e 22% del totale. Commercio (27,2%), servizi generici (11,2%), attività immobiliari (9,3%) e servizi di alloggio e ristorazione (9%) i settori di attività preferiti dalle donne. Questi i dati evidenziati da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al quarto trimestre 2010 e 2009.

Le donne – ha commentato Gianna Martinengo, presidente del Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile della Camera di commercio di Milano – sono sempre più attive e protagoniste sul mercato del lavoro specie grazie alle loro qualità, ma c’è ancora molto da fare per promuovere la presenza femminile. A partire dal lavoro autonomo e dalle imprese che giocano un ruolo importante. Nella crescita della competitività bisogna premiare il capitale umano, l’istruzione e il lavoro della conoscenza, elementi presenti e diffusi nell’universo in rosa”.

Donne: coraggio e voglia di intraprendere. Il 23,4% delle imprese italiane sono rosa

La voglia di fare non manca, le idee nemmeno e se l’occupazione è un problema e la crisi si fa ancora sentire, le donne italiane guardano con sempre più interesse alla via dell’impresa. E fanno da sole. Alla fine di marzo ai registri delle Camere di Commercio si sono contate 14.688 imprese femminili in più rispetto alla stessa data del 2010, un aumento che corrisponde ad una crescita relativa dell’1% su base annua, decisamente meglio della media del totale delle imprese cresciute, nello stesso periodo, dello 0,6%. La regione con il maggiore incremento di imprese rosa è stata la Toscana, regione leader in cui l’aumento di imprese rosa è stato doppio della media (+2%). Spirito imprenditoriale accentuato anche per le donne del Lazio (+1,9%) e della Puglia (+1,7%).

Un po’ più lenta la spinta che si registra nelle due regioni tradizionalmente più rosa d’Italia in termini assoluti: in Lombardia e Campania (dove hanno sede 340mila imprese femminili, un quarto del totale), la crescita si è fermata a +0,9% nel primo caso e a +0,5% nel secondo.

A sostenere la crescita dell’esercito rosa sono le forme d’impresa più strutturate, con le società di capitale che avanzano in media del 4,6% in dodici mesi (con le performance migliori al Sud) e le cooperative (+3,4%). Al disotto della media l’aumento delle imprese individuali (+0,7%) mentre in leggera riduzione le società di persone (-0,5%).

Ma in che settori investono le donne? I settori più attraenti per le neo-imprenditrici – in termini relativi – sembrano essere quelli dei servizi a persone e imprese, con in primo piano l’Istruzione (+5,9%), la Sanità e assistenza sociale (+4,9%), le Attività artistiche sportive e di intrattenimento (+3,3%) e Attività professionali scientifiche e tecniche (+3%). In valore assoluto, la crescita maggiore si è registrata nelle Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (2.988 le imprese in più in dodici mesi) e nelle  Altre attività dei servizi (+2.403 unità). Unici settori  a registrare un decremento di imprese rosa sono stati l’ ‘Agricoltura, silvicoltura e pesca’  (-5.225 unità) e le ‘Attività manifatturiere’ (-591).

Alla fine di marzo, le imprese femminili fotografate dall’Osservatorio sull’Imprenditoria femminile di Unioncamere risultano pertanto essere il 23,4% del totale delle imprese esistenti.

fonte: Unioncamere

Donne e mamme sull’orlo della partita Iva

Infoiva pubblica in anteprima e in esclusiva un articolo tratto dal terzo numero del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 novembre 2010 -, il nuovo mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Luisa SANTONOCITO

Il marito di Carla si è messo in malattia. Ha il mal di schiena. E Carla, che il mal di schiena l’ha davvero, è costretta ad accelerare il ritmo. Lei nemmeno sa cosa voglia dire “mettersi in malattia” né mai lo saprà, perché non può fermarsi. La sua giornata è inesorabilmente scandita: sveglia alle 7; ore 7,55, i bambini entrano a scuola e non si può sgarrare di un minuto; ore 8, Poldo deve uscire e, si sa, i labrador amano correre anche sotto la pioggia, allora, stivali ai piedi, si affrontano fango e liti canine; ore 8,30, i letti da fare, la spesa da ultimare, la cucina da sistemare dopo la colazione.

E poi via, finalmente nel proprio studio, davanti al Mac, la schiena di Carla trova un po’ di sollievo. E la mente anche. Si può pensare finalmente, scrivere, leggere la posta, dialogare a distanza. La scrivania è piena di memo, a leggerli tutti ci si mette un’ora, e allora via con la prima richiesta e la prima azione stampa. Una lettera, però, fa capolino da dietro il video, appiccicata con un pezzo di pongo rosso (quello di Federico, sei anni e una richiesta costante: “Mamma, giochi con me?“). È la lettera dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, che reclama il “versamento dei contributi minimi per l’anno 2010 per giornalisti con attività libero-professionale“.

Attività libero-professionale: suona bene. Dà l’idea di qualcosa di grosso, di importante, di soddisfacente. E riguarda proprio lei, Carla, ma riguarda anche Beatrice, Paola, Patrizia, Caterina… donne di diversa età, cultura, geografia. Donne che, tra figli, casa e lavoro, hanno imparato a ottimizzare ogni minuto delle 24 ore: una mail tra un allenamento di basket e un compito di matematica, la lavatrice alle due del mattino (all’insegna del risparmio e della disperazione), si dimenticano delle impegnative per importanti esami di controllo, ma guai a non seguire nei dettagli e nei tempi giusti l’incarico affidato dall’unico committente.

Donne con una caratteristica in comune: la partita Iva, sinonimo, per loro, di libertà e al tempo stesso di schiavitù. Sì, perché se sei single e magari puoi contare sull’appoggio dei genitori, puoi lavorare divertendoti in attesa di un posto più sicuro, ma, se la mamma sei tu, la sensazione a fine giornata può essere quella di avere un cappio al collo, altro che libertà. “Le ricordo che il 30 settembre scade il termine previsto per il pagamento…”, la lettera dell’Inpgi parla chiaro, con toni che paiono quasi nervosi. Insomma Carla, lo paghi o no quest’ente previdenziale? Lo pagherà, lo pagherà, il problema è che non ci ha fatto ancora la mano con la sua partita Iva e la sua “libera” professione. Forse perché così libera non si sente, o forse, in fin dei conti, perché in questa libertà non ci crede tanto. “Contribuente regime dei minimi”, nel senso di dividere la propria vita in porzioni precise, nette, immodificabili: massima precisione per un minimo ricavo. Almeno quello monetizzabile, perché se si somma felicità dei figli, bei voti a scuola, soddisfazioni materne e professionali, allora il ricavo è massimo, ma conti reali alla mano c’è da mettersi le mani nei capelli, senza contare il prezzo in termini di vita privata che se ne va: sparita, annullata.

E il futuro? Ci pensi a volte Carla al futuro? Certo se il marito con la schiena dolorante ti sosterrà… Ma se non sarà così? Come andrà a finire per te? E come per Beatrice che un ente di previdenza nemmeno l’ha? Troppe domande per le 9,15 del mattino. Meglio scrivere il comunicato stampa, pensare al titolo del pezzo e avviare il collegamento Internet banking per pagare quella benedetta rata.

Tutto è veloce, immediato, niente errori. “Ma allora, accidenti, perché il tempo non basta mai?“, si chiede Paola puntualmente tutti i giorni. “Ma come, tu che lavori a casa“, la riprendono le altre mamme lavoratrici dipendenti, quasi tutte part time, che alle due del pomeriggio escono dall’ufficio e ci rientrano alle nove del giorno dopo e a fine mese sventolano un bel cedolino con straordinari e ferie pagate, “Ma come, tu che hai tutto il tempo che vuoi, arrivi in ritardo a scuola, ti lamenti, sei stremata? Insomma! Non sei organizzata!“.

Paola vorrebbe spiegare che si è persa nel vortice della vita professionale e familiare, che nulla concede a quella privata, ma non può, deve correre, e non per fare carriera come il marito ma per portare i figli ai campi di calcio, pagare le bollette, sollecitare il pagamento di una vecchia fattura. “Non fermarti!“, dicono quelle come lei, lavoratrici autonome senza busta paga, che magari l’avevano e che vi hanno rinunciato per trasferirsi in un’altra città, per seguire un amore o semplicemente perché hanno avuto la pessima idea di fare un figlio e quindi, declassate e umiliate, hanno deciso di mandare al diavolo l’azienda e mettersi in proprio. “La libertà, sì! Apro la partita Iva e sarò libera. Figurati, con la mia bravura e con la mia esperienza mi rimetterò certamente in pista“. Solo che la pista assomiglia a quella della Formula Uno, velocità a mille, anche in curva. Niente fermate neanche per…

Sì, questa è la vita di molte mamme partita Iva, più o meno benestanti. Che tra figli, scuola, casa e lavoro, si sentono in colpa se decelerano. Quando Patrizia, traduttrice e interprete free lance, si sente dire: “Ma che fortuna hai a lavorare in proprio, così puoi seguire figli, famiglia e casa senza dover fare i salti mortali e vai in vacanza quando vuoi!“, risponde: “Provateci!“. Ma non ha dubbi e con convinzione rivendica la propria scelta. Due figli e un marito libero professionista, anzi a dire la verità sono entrambi liberi professionisti… chissà perché, però, suona sempre meglio se riferito al genere maschile. Patrizia vede il bicchiere mezzo pieno: “L’aspetto positivo è che il lavoro è sempre vario, non hai orari fissi, non sei costretta a lavorare sempre con le stesse persone, sei capo di te stessa… Ma è anche vero che, se non fai attenzione, rischi di non avere più orari e di essere fagocitata da una spirale senza fine di attività famigliari che ti portano poi a dover magari lavorare di notte per riuscire a rispettare le consegne, con il marito che brontola perché non dedichi del tempo a lui“.

Il rovescio della medaglia è dietro l’angolo: “Quando abbiamo avuto Giorgio e Francesca (nove e dieci anni) – continua Patrizianon abbiamo dovuto prendere decisioni su chi si sarebbe dedicato di più alla famiglia e chi di più alla carriera, era già insito nel mio dna. Credevo di essere Wonder Woman e di poter riuscire a crescere i miei figli in armonia almeno fino ai tre anni, conciliando anche il lavoro. E ho rischiato l’esaurimento. Grazie al sostegno di mio marito e alla decisione di ‘spedire’ i pargoli al nido, sono riuscita a reinserirmi sul mercato del lavoro e a ritrovare me stessa… Però quando lui parte per lavoro si prepara la valigia, saluta e se ne va. Quando parto io, devo preparare i vestiti per i bambini per i giorni in cui sono assente, preparare le borse e le borsine per le attività extrascolastiche, controllare che il frigo e la dispensa non siano completamente vuoti, scrivere bigliettini vari per rammentare orari e impegni, e poi finalmente posso prepararmi e partire per la meta lavorativa, saltando in macchina e magari prendendo un aereo al volo!“.

Patrizia ha imparato a conciliare lavoro, casa e famiglia facendo appello a tutto il suo senso di disciplina, grazie anche a una forte unione e a un matrimonio solido. Ma non va sempre così. A volte devi fare i conti con quello che la vita ti riserva. Caterina era una brava PR, lavorava tra Roma e Milano, felice e soddisfatta. Poi ha incontrato l’uomo della sua vita e con lui ha avuto una figlia. Ha lasciato l’azienda, “il posto fisso”, e ha scelto la libera professione tra grandi progetti ed entusiasmo. Non si è sposata. Un anno dopo lui se ne è andato e ora lei è sola con Lucrezia, tre anni, bellissima, e la sua partita Iva che le farà compagnia per molto tempo ancora, forse per sempre. Insieme a un futuro tutto da costruire.

Sondaggio donne imprenditrici: come conciliano carriera e famiglia?

Come fanno le donne imprenditrici a conciliare carriera e figli? A questo annoso dilemma ha tentato di dare una risposta il sondaggio condotto da Confartigianato.

Il risultato? Tre imprenditrici su quattro utilizzano un welfare “fai da te” per risolvere il grande problema della conciliazione tra l’impegno lavorativo e la cura della famiglia. E’ stato infatti rilevato che ben il 90% chiede più servizi alla famiglia.

Dal sondaggio Confartigianato-Ispo emerge una via di uscita alla penuria di servizi per coniugare impresa e famiglia, e sta nel classico “fai da te” .

Si tratta dei nuovi lavori di “artigianato terziario“, ovvero servizi di artigian-welfare rivolti alle famiglie e finalizzati alla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia.

Il 30% delle imprenditrici, infatti, pensa che questi siano in grado di intercettare i bisogni di cura dei cittadini, mentre il 20% sarebbe interessata ad offrire questa tipologia di servizi.

Ma diamo un po’ di numeri ed andiamo più in profondità.

Servizi pubblici per donne imprenditrici: quali sono?

  • Il 41% delle imprenditrici ha ammesso di essere costretto a rivolgersi ai propri parenti perché si occupino di figli o i genitori anziani, laddove i servizi pubblici mancano di assistenza.
  • Solo il 14% ha risposto di avere la possibilità di ricorrere a servizi privati.
  • Il 36% delle “superwomen” non utilizza alcun servizio.
  • Soltanto il 9% delle imprenditrici si serve di strutture dell’ assistenza pubblica.

Il sondaggio sulle donne imprenditrici

Confartigianato e Ispo hanno preso a campione alcune donne imprenditrici artigiane. I risultati sono stati presentati alla dodicesima Convention di “Donne Impresa Confartigianato“.

Le donne imprenditrici riescono a conciliare lavoro e vita privata?

Stando al 90% delle imprenditrici, per una donna che lavora dedicare tempo alla cura dei figli o alla maternità é quasi impossibile.

Eppure le donne titolari d’impresa hanno le idee chiare su cosa serve per mettere d’accordo tempi di lavoro e cura della famiglia: per il 90% delle intervistate la prima soluzione necessaria é quella di servizi alla famiglia.

Le donne imprenditrici si rivolgono alla politica e alle istituzioni

Le richieste che vengono rivolte a chi di dovere nascono dalla necessità di favorire il lavoro imprenditoriale femminile.

Ecco, nell’ordine, quali sono i bisogni da soddisfare:

28% – detassazione del lavoro femminile.
20% – investimento in servizi all’infanzia
13% – diffusione di forme contrattuali flessibili.

Siete d’accordo con questi risultati?

Paola Perfetti