Gea porta le donne nei CdA

Gea, società di consulenza che si occupa della diffusione del Made in Italy, ha messo a punto un programma executive dedicato alle donne imprenditrici e alle loro possibilità di carriera.

Si chiama “Donne nei CdA: rafforzare le competenze per ruoli di governance” e si rivolge alle donne che si distinguono per le loro innate doti di leadership, grazie alle quali hanno raggiunto posizioni senior e di responsabilità nelle aziende per le quali lavorano, indipendentemente dai settori di appartenenza.

Che si tratti di imprese commerciali, industriali, di servizi, o che siano società pubbliche, enti o organizzazioni, infatti, poco importa: le donne che si sono fatte strada utilizzando al meglio i loro talenti sono invitate, dopo il successo della prima edizione lo scorso maggio, alla sessione autunnale di questo programma, che prevede 6 giornate formative il venerdì e il sabato per tre settimane consecutive nei giorni 12, 13, 19, 20, 26 e 27 ottobre 2012.

La partecipazione è limitata, per permettere un interscambio il più diretto possibile tra docenti e partecipanti, ma anche per poter approfondire al meglio i temi affrontati.
A questo proposito, si parlerà di: Il consigliere non esecutivo, Corporate governance, Strategia, Organizzazione, Negoziazione, Investor relations, Performance management, Compensation, Finanza, Risk management, Legale, I cambiamenti del board e due moduli opzionali dedicati a Fare lobby e a Parlare in pubblico.

Ricordando l’entrata in vigore della legge che prevede per le società quotate in borsa una quota di genere di almeno il 20% negli organi di amministrazione e di controllo, destinata a salire al 30% nel 2015, l’appuntamento organizzato da Gea assume un’importanza ancora più rilevante.
E la terza edizione, prevista per maggio 2013, sarà rivolta anche agli uomini.

Enzo Losito Bellavigna, partner di Gea e responsabile del programma executive, ha dichiarato: “La formazione di persone senior e con posizioni executive è un tabù da sfatare anche in Italia. Il successo della prima edizione del nostro corso testimonia l’esistenza di un numero consistente di manager, imprenditrici e professioniste che hanno la consapevolezza di dover trovare occasioni adeguate di sviluppo professionale. Non è un tema solo al femminile, vale altrettanto, se non di più, anche per gli uomini. E’ il mutato contesto dei mercati che lo richiede. Chi non si adegua, si assume dei rischi”.

La sede degli incontri sarà, ancora una volta, la sede di Gea, in Corso Italia 47 a Milano, e sarà articolata in dodici moduli, strutturati come workshop interattivi che prevedono sia una componente teorica che un’esercitazione pratica su casi concreti, fornendo gli strumenti necessari da poter utilizzare nella realtà quotidiana.

Per maggiori informazioni sul corso, sui costi e i dettagli per l’iscrizione, consultare il sito Gea.it all’interno della sezione news/eventi oppure inviare un’email a: donnecda@gea.it.

Vera MORETTI

Be Win per le donne che fanno impresa

E’ ormai partito quasi un anno fa, ovvero il 1 settembre 2011, il progetto europeo “Be-Win – Business Entrepreneurship Women In Network”, co-finanziato dalla Commissione Europea sul bando “European Network of Mentors for Women Entepreneurs”.

Questa iniziativa, coordinata da Unioncamere Toscana, ha come obiettivo quello di promuovere l’imprenditoria femminile attraverso la costituzione e lo sviluppo di una “Rete italiana di imprenditrici”, mirata a trasferire esperienze e conoscenze dalle donne che hanno già raggiunto il successo, le Mentors, a coloro che si sono appena affacciate al mondo dell’imprenditoria, le Mentees.

Queste ultime sono 49, sparse nelle 16 regioni aderenti (Abruzzo, Calabria, Campagna, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto), e proprio in questo periodo stanno formalizzando la loro adesione tramite sottoscrizione di Lettere di Impegno, con cui confermano la propria volontà di partecipare gratuitamente alle attività previste e per l’intera durata dell’azione.

Il primo incontro previsto, dal titolo “Formazione congiunta Mentor/Mentee – Teambuilding”, sarà caratterizzato dalla presentazione del progetto Be Win e delle partecipanti, Mentors e Mentees, che illustreranno rispettivamente la propria carriera professionale e i problemi incontrati durante i primi passi della loro azienda.

Risultato di questo incontro sarà la costituzione di gruppi Mentor-Mentees che cominceranno a collaborare in un percorso di coaching, visite aziendali ed incontri nazionali fino all’estate 2013.

Vera MORETTI

Sorelle d’Italia, l’Italia s’è impresa

Finalmente una buona notizia nella valle di lacrime della crisi economica. Tra imprese che chiudono, imprenditori che si uccidono, operai che perdono il lavoro l’Italia dell’impresa, se non si scopre un Paese per giovani si scopre un Paese per donne. Secondo il rapporto sull’imprenditoria dell’Ocse, basato su dati del 2009 riferiti a 40 Stati, l’Italia è al secondo posto in Europa per donne imprenditrici.

I dati dicono infatti che nel nostro Paese il 16% delle donne impiegate è imprenditrice o lavoratrice autonoma. Un dato che si posiziona ben al di sopra della media europea, ferma al 10%, e che stacca di brutto quello di Paesi ben più avanti del nostro in termini di politiche del lavoro al femminile come la Francia, il Regno Unito e la saccentella Germania (tra il 6 e l’8%).

Altro dato incoraggiante, il 26,8% delle imprese italiane con proprietario singolo e almeno un dipendente fa capo a una donna. Ma quali sono i settori che più attraggono le energie, gli investimenti e la creatività delle imprenditrici italiane? Trasporti, accoglienza e commercio la fanno da padrone, settori nei quali le aziende rosa sono di più e longeve quasi quanto quelle guidate da maschi: il tasso di sopravvivenza a tre anni dalla nascita delle imprese femminili è risultato del 37,6% contro il 37,8% di quelle dei maschietti. E se durano più o meno per lo stesso tempo, le donne battono gli uomini in termini di natalità – 13,7% contro 10,7% – mentre sul tasso di crescita non c’è proprio partita: 10,7% contro 0,2%.

La nota dolente dell’Ocse, però, arriva quando si parla di quote rosa nei Cda, per le quali l’Italia è ben al di sotto della media dei Paesi avanzati. In Italia, le donne nei consigli d’amministrazione sono il 13,8%, dato che si dimezza al 7% nelle società quotate, contro una media Ocse che è al 10%. Un dato che ci fa sprofondare in classifica al 26esimo posto su 40. Consoliamoci: se la graduatoria è guidata dall’Ungheria (35,5%), la virtuosa Germania è 38esima, con il 5,7%. Aufwiedersehen, frau Merkel!

Il 2012 sarà tutto in rosa

Il 2012 si veste di rosa. Saranno le imprese guidate da donne a fare la differenze quest’anno, almeno secondo quanto rivela Confcommercio. I dati parlano chiaro: secondo l’Osservatorio sull’imprenditoria femminile di Unioncamere le imprese “in rosa” in Italia hanno dimostrato nel 2011 il loro potenziale di sviluppo con un aumento dello 0,7% rispetto all’anno precedente, contro lo 0,2% di crescita delle imprese maschili.

Così Confcommercio ha deciso di incoraggiare la presenza e la partecipazione delle imprenditrici alla vita produttiva della penisola con una serie di iniziative per il 2012.

Punto primo: formazione. Il progetto è un percorso, finanziato dalla Provincia di Savona con il contributo del Fondo Sociale Europeo, e organizzato da Asfoter, Associazione per la formazione nel terziario di Confcommercio Savona con incontri seminariali sul tema “Come realizzare un’analisi economica della propria impresa”. Il ciclo di seminari prenderà il via il prossimo 30 gennaio.

“Occorre dare fiducia alle donne che lavorano in proprio, poiché l’imprenditoria in rosa rappresenta una risorsa importante nell’economia locale – sottolinea Annamaria Torterolo, direttore di Confcommercio Savona. – Tuttavia, il “saper fare” da solo, soprattutto nei momenti di crisi, non basta : occorre mettere in campo gli strumenti necessari per tradurre queste competenze in progetti sostenibili anche nel lungo periodo”.

In Italia, le imprenditrici associate a Confcommercio sono circa 2000 e rappresentano il 40% degli Associati, con un tasso di crescita nel 2011 di quasi il 5%. Secondo i dati forniti dall’Unioncamere – Infocamere nel giugno 2011 le imprese femminili in Italia sono aumentate dello 0,7% rispetto al giugno del 2010, contro lo 0,2% delle imprese maschili e su una media di crescita del 3%.

Donne preparate, competenti e coraggiose, pronte a giocarsi la sfida con i loro colleghi uomini. L’indagine di Unioncamere – Infocamere parla di 41.255 imprese femminili attive in Liguria al 30 giugno 2011. A Savona in particolare, su un totale di 28.711 imprese attive nel giugno 2011 l’incidenza delle imprese femminili è del 27,4% (7.865 imprese) contro il 23,7% di Genova, con 17.071 imprese femminili su un totale di 71.891 imprese.

Donne imprenditrici: a quando una politica di conciliazione all’altezza?

di Vera MORETTI

La questione è spinosa, e quanto mai attuale: le donne italiane sono davvero messe in condizione di svolgere il loro duplice ruolo di madri e lavoratrici?
In un periodo, infatti, in cui il secondo stipendio non è un lusso ma una mera necessità, anche il desiderio di una donna di continuare a lavorare, nonostante i figli, non è un capriccio ma un modo per fronteggiare la crisi.

Di una cosa siamo certi: la donna imprenditrice che aspira a mantenere saldo il suo posto di lavoro, da sola non ce la fa, se a casa la aspettano figli e marito. E nemmeno le buone intenzioni, di cui, sappiamo, è lastricato il suo percorso, possono arrivare, poiché gli imprevisti, in una famiglia con bambini, sono all’ordine del giorno.
Ma, se la maggior parte delle mamme lavoratrici si avvale dell’aiuto di una rete di parenti-amici, in primis partner e nonni, un ruolo decisivo deve averlo anche il settore pubblico.

Le strutture, dunque, alle quali si rivolge una madre che diventa “in carriera” perché, ricoprendo un ruolo importante, non può permettersi una maternità prolungata, sono gli asili nido. Niente di male a lasciare i propri figli in questi luoghi, considerando che si tratta di posti sicuri dove i bambini vengono accuditi da personale qualificato e fidato, ma, si sa, una madre, molto più del padre, vive questo passaggio con difficoltà e sensi di colpa. Se poi si considerano i costi, elevati, dei nidi, anche quando sono pubblici, le problematiche da fronteggiare sono molteplici.

Per questo, molte Regioni ed enti locali stanno cercando di sensibilizzare la popolazione organizzando seminari ed incontri per eliminare definitivamente i pregiudizi nei confronti della donna, spiegando, dunque, la sua difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata.
Spesso, infatti, una donna che ricopre cariche di rilievo in un’azienda è vista come il fumo negli occhi, perché si pensa che, presto o tardi, le sue assenze si faranno sentire. I bambini si ammalano, le scuole scioperano e chiudono durante le feste, e questo non deve pesare sull’azienda. Ma, invece di affidare certe cariche solo agli uomini, sarebbe meglio trovare soluzioni che permettano davvero questa conciliazione famiglia-ufficio.

A questo proposito, Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, sottolinea che le donne imprenditrici non sono sole e affidate al proprio destino ma “il sistema camerale sostiene l’universo dell’imprenditoria in rosa attraverso la rete dei comitati per l’imprenditoria femminile, presenti in tutte le province italiane. Oggi più che mai a queste imprenditrici occorre guardare con grande attenzione, sostenendole nel loro percorso di rafforzamento. Il loro impegno è una grande risorsa sulla quale il Paese può scommettere per riprendere, dopo la bufera di questi mesi, la via dello sviluppo“.

Come fare per metterci alla pari con gli altri Paesi d’Europa? Soprattutto nel Nord, esiste una politica fiscale in grado di supportare i periodi di “assenza” della titolare e anche un sistema infrastrutturale per la puericultura molto più consolidato e rodato di quello italiano.
Questi devono essere gli obiettivi da perseguire anche in Italia, come stabilito anche dalla Conferenza di Lisbona in merito all’occupazione femminile e ai servizi per l’infanzia.

Questi provvedimenti, qualora venissero messi in atto, potrebbero diventare un valido sostegno per tutte le aziende “in rosa” che in questi anni stanno sorgendo. Solo l’anno scorso, l’imprenditoria femminile ha registrato 9mila aziende in più rispetto al 2010, ma, benché questa sia una buona notizia, occorre che le donne imprenditrici siano supportate a dovere, per non far sì che questo incoraggiante “start-up” non sia seguito da una repentina cessazione di attività. Poiché, infatti, questo infelice trend è stato osservato in regioni come la Sicilia e la Calabria, la necessità di una politica di conciliazione risulta di importanza primaria.

A dimostrazione di ciò, arriva uno studio condotto da Confartigianato, dal quale emerge che l’Italia è tra i paesi che investono meno sui servizi di welfare correlati alla conciliazione.
Spendere l’1,3% del PIL, in questo caso non basta. La famiglia, e le donne, meritano una considerazione maggiore.

L’imprenditoria in rosa vuole un primato di quantità e di qualità

Le imprenditrici in Italia hanno raggiunto un importante primato, sbaragliando le “colleghe” europee e ponendosi in vetta nel vecchio continente in quanto a numero di lavoratrici autonome.

E’ ciò che emerge dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile curato dall’Ufficio studi di Confartigianato.
Con 1.531.200 imprenditrici e lavoratrici autonome, dunque, l’Italia “batte” Germania, seconda con 1.383.500 imprenditrici e il Regno Unito, terzo con 1.176.500 donne lavoratrici autonome. Questa leadership italiana nell’Ue viene confermata anche dal peso che l’imprenditoria femminile ha sul totale delle donne occupate: in Italia è del 16,4%, di gran lunga superiore al 10,3% della media dell’area Euro.

Ovviamente, non si tratta di dati che interessano equamente tutto il territorio nazionale e, per quanto riguarda il belpaese, pare che l’habitat migliore sia in Friuli Venezia Giulia, che guida la classifica delle regioni con le condizioni ideali perché si sviluppino l’imprenditorialità e l’occupazione femminile. Sul podio anche Emilia Romagna e Umbria.
Per quanto riguarda le provincie, invece, quelle “amiche” del lavoro in rosa sono Udine, Gorizia e Rimini. Agli ultimi posti finiscono invece la Campania, la Sicilia e la Puglia. E tra le province con le peggiori condizioni per l’occupazione femminile si trovano Napoli, Palermo, Caltanissetta.

Franca Compestella, presidente regionale di Donne Impresa Emilia Romagna, ha commentato positivamente questo risultato: “Credo siano dati di cui andare fieri, siamo in presenza di una imprenditoria femminile forte e dinamica che va incoraggiata. Per farlo servono ovviamente quelle semplificazioni burocratiche e quelle riduzioni di costo che soffocano le iniziative delle imprese siano esse condotte da uomini o donne”. Anche se le esigenze specifiche delle donne lavoratrici andrebbero riviste e sviluppate con “maggiori interventi sul welfare che permettano loro di non rimanere schiacciate dall’impossibilità di conciliare lavoro e famiglia. Non possiamo nasconderci dietro un dito, sono le donne a portare il carico maggiore quando si tratta della cura dei figli, dei familiari anziani o nona autosufficienti, in questi campi ci attendiamo maggiore attenzione dalle amministrazioni, soprattutto quelle locali”.

Nonostante, però, questi dati, c’è il rovescio della medaglia che non è del tutto roseo, dal momento che la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane tra le più basse d’Europa. Il tasso di inattività delle donne nel nostro Paese è del 48,9%, a fronte della media europea del 35,5%.
Ciò significa che l’Italia arranca nei confronti dell’Europa, e il divario da coprire è ancora molto ampio, dal momento che il nostro attuale tasso di inattività delle donne è uguale a quello registrato nel 1987 dai Paesi dell’allora Comunità europea. E questa distanza diventa ancora più evidente nelle regioni del sud.
La Campania, tra le 271 regioni europee, fa registrare il più alto tasso di inattività femminile: 68,9%. All’altro capo della classifica la Provincia autonoma di Bolzano dove il tasso di inattività si dimezza al 34,9%. A livello provinciale la maglia nera va a Napoli, dove il tasso di inattività delle donne sale addirittura al 72,4%. Ravenna, invece, conquista il primato positivo della provincia con la più bassa percentuale di donne inattive: 30,7%.

E a spiegare questi numeri così “desolanti” è ancora una volta lo scarso investimento nei servizi di welfare che dovrebbero favorire la conciliazione tra attività professionali e cura della famiglia. Non investire in famiglia e maternità è una mossa non solo azzardata, ma anche controproducente per l’occupazione femminile, ormai indispensabile per trainare l’Italia fuori da una crisi infinita. Ma per ora non sembra che questo rappresenti, per lo Stato, un problema urgente, se pensiamo che nel nostro Paese solo l’1,3% del Pil è stato speso a favore di interventi per famiglia e maternità.

Tradotto in cifre, significa che in Italia la spesa pubblica per famiglia e maternità è pari a 320 euro ad abitante, vale a dire 203 euro in meno rispetto alla media dell’Europa a 27.
Nei maggiori paesi europei si spende ben il doppio: in Germania il 2,8% del Pil e in Francia il 2,5%. E nei Paesi del Nord aumenta ancora: in Danimarca il 3,8% del PIL viene destinato a spesa pubblica per la famiglia, in Irlanda la quota è pari al 3,1%, in Finlandia e Svezia è del 3%.

Di pari passo vanno i servizi pubblici per l’infanzia, altamente carenti da noi, con una percentuale di bambini che usufruiscono di asili nido e micronidi che non supera il 12,5%, ovvero un terzo dell’obiettivo di Lisbona del 33% programmato per il 2010.

Non va meglio per i servizi di cura e assistenza agli anziani. L’indicatore esaminato da Confartigianato è dato dalla percentuale di anziani trattati in assistenza domiciliare integrata (ADI) rispetto al totale della popolazione con 65 anni e oltre. Anche tale indice, in media nazionale, è sostanzialmente modesto e pari al 4,3%.

Ma se si vuole crescere ed essere all’altezza degli altri Paesi Ue, la mentalità deve cambiare.

Vera Moretti

L’high tech non ha più misteri per le donne impreditrici

L’Osservatorio sull’imprenditoria femminile curato dall’Ufficio studi di Confartigianato porta buone nuove a proposito, appunto, dell’imprenditoria in rosa. A quanto pare, infatti, nonostante la crisi e il clima funesto che avvolge l’economia italiana, le aziende al femminile del Belpaese non solo “reggono” ma sono le prime in Europa per quantità.

Nel 2011 risultano in Italia 1.531.200 imprenditrici e lavoratrici autonome e, se consideriamo che la Germania, seconda in classifica, ne conta 1.383.500, il primato è scuramente ragguardevole.

A conferma di questi dati è anche il peso che l’imprenditoria femminile ha sul totale delle donne occupate: si tratta del 16.4$, a fronte di una media europea del 10.3%.

Ma dove si concentrano le imprenditrici, per quanto riguarda il territorio? La regione leader è il Friuli Venezia Giulia, seguito da Emilia Romagna e Umbria. Maglia “nera”, invece, per Calabria, Sicilia e Puglia.

I settori che impegnano maggiormente questo piccolo grande esercito non sono più quelli prevalentemente femminili, perché, ormai, le donne si occupano anche di high tech. La presenza “rosa” in questo campo è di 12.261 imprenditrici, che ora è riduttivo definire pioniere, e che si occupano di robotica, elettronica, chimica farmaceutica, produzione di software e apparecchiature ad alta precisione, telecomunicazioni, ricerca scientifica e consulenza informatica, per un totale del 22.5% di imprese innovative capitanate da donne.

Un bel numero, che ci auguriamo possa aumentare ancora di più.

Vera Moretti

L’imprenditoria a Roma è sempre più rosa

Che l’imprenditoria in rosa stesse facendo registrare un’impennata nel nostro Paese ormai non è più una novità né una sorpresa. I dati più volte resi noti dalle camere di commercio in Italia, infatti, hanno documentato una grande crescita delle aziende al femminile.

A conferma di ciò arrivano anche le statistiche della Camera di Commercio di Roma, che attestano come anche la capitale e la sua provincia siano abbondantemente interessate da questa realtà. A fine giugno 2011, infatti, le imprese trainate da donne erano ben 97.351. Rispetto all’anno precedente, sono nate 1.886 aziende in rosa, pari ad un +2% che pone Roma al centro di questo fenomeno, se si pensa che l’aumento, in media nazionale, è dello 0,7%.

Per quanto riguarda le aree di interesse, quella in cui la presenza femminile è più massiccia, rimanendo in ambito locale, è quella legata all’economia, seguita dal commercio, che solo a Roma e provincia interessa circa un terzo delle imprese femminili nazionali, mentre sembra perdere qualche punto nel settore dei servizi.

In controtendenza rispetto alla media italiana sembrano essere anche le cessazioni di attività, che su territorio romano riguarda soprattutto commercio, ricettività turistica e ristorazione, mentre a livello nazionale interessa in particolare le attività manifatturiere.

Per quanto riguarda l’organizzazione giuridica delle imprese in rosa, la maggior parte è formata da aziende individuali, anche se, rispetto all’anno scorso, è stato registrato un calo del 2% di società di questo tipo, a favore di organizzazioni più complesse ed articolate.

Insomma, le imprese fondate da donne, oltre che aumentare in quantità, dimostrano di pensare in grande,senza più paura di buttarsi nel mondo del business.

Gli affari non sono più roba per soli uomini.

Vera Moretti

Confartigianato Sicilia: agevolazioni per le imprese rosa

Agevolare tramite un sostegno creditizio le 3000 imprese femminili del territorio siciliano che rischiano la chiusura. Maria Concetta Cammarata, presidente regionale di Confartigianato Donne Impresa ha incontrato il presidente dell’ABI Sicilia Roberto Bertola, responsabile di territorio del Gruppo Unicredit, per discutere le misure da adottare al fine di offrire un sostegno economico alle quote rose della realtà imprenditoriale siciliana.

Nell’isola infatti, sono circa 3000 le donne imprenditrici che rischiano la chiusura della propria azienda a causa delle anomalie presenti all’interno del sistema bancario, che di frequente disattende gli accordi stipulati a livello nazionale con le Associazioni di categoria.

A denunciarlo è proprio Maria Concetta Cammarata, presidente regionale di Confartigianato Donne Impresa: “accade sempre più spesso che i referenti di zona e le agenzie locali non applichino i protocolli d’intesa siglati, opponendo alle imprese del territorio eccessivi ostacoli, determinandone talvolta anche il fallimento. In più, i Direttori delle filiali non informano le imprese dell’esistenza di misure di agevolazione concepite proprio per favorire l’accesso al credito da parte delle PMI. Come le garanzie prestate dai Consorzi fidi che possono arrivare sino al 50%, consentendo agli imprenditori – altrimenti non capaci di adeguata copertura – di accedere ai finanziamenti, e la possibilità di beneficiare di un abbattimento del 60% degli interessi dovuti sugli affidamenti, fruibile nel caso di Confidi convenzionati con la Regione.”

Al termine dell’incontro, il responsabile per la Sicilia del Gruppo UniCredit, Roberto Bertola ha confermato il proprio impegno nell’aprire un dialogo con la Confartigianato, al fine di trovare degli accordi che favoriscano la crescita delle imprese al femminile, ma soprattutto per esaminare i casi concreti di irregolarità.

Alessia Casiraghi

Artigiani Bergamo mette in palio spazi espositivi alla Convention Donne Impresa

L’Associazione artigiani di Bergamo offre la possibilità a molte imprese di eccellenza della provincia condotte da imprenditrici artigiane che producono beni di nicchia o comunque realizzati con materie prime particolari, lavorazioni a mano o di pregio o peculiari del nostro territorio di farsi conoscere.

In occasione della 23esima Convention Donne Impresa che si terrà a Roma nel mese di ottobre, sarà allestita un’area espositiva che ospiterà i manufatti rappresentativi delle eccellenze del Made in Italy. In sede regionale, un’apposita commissione valuterà gli oggetti proposti dalle imprese che avranno fatto richiesta e permetterà la loro esposizione.

L’associazione sta inoltre raccogliendo offerte per acquisire, dietro rimborso delle spese di produzione, gadget e piccoli omaggi di benvenuto da consegnare alle partecipanti alla Convention all’atto della registrazione. “Si tratta di un’interessante opportunità di promuovere la propria azienda a livello nazionale dato che i gadget, personalizzati con il nome della ditta che li ha messi a disposizione, verranno distribuiti a 300 imprenditrici, provenienti da tutta Italia”.