Continuano gli sgravi per chi assume donne disoccupate

Per quanto riguarda gli incentivi all’assunzione, anche per il 2018 rimane valido il bonus previsto per i datori di lavoro appartenenti al settore privato che decidano di assumere donne disoccupate di qualsiasi età.

Lo sgravio è valido se le donne da assumere sono prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ma se l’assunzione avviene in particolari settori economici, caratterizzati da una profonda disparità di genere, allora il periodo di disoccupazione scende a sei mesi.

Al contrario, non è più disponibile l’incentivo per l’assunzione di donne disoccupate da almeno sei mesi residenti in aree svantaggiate.

L’agevolazione spettante al datore di lavoro del settore privato si traduce in uno sgravio contributivo pari al 50%:

  • per 12 mesi in caso di contratto tempo determinato;
  • per 18 mesi in caso di assunzioni a tempo indeterminato;
  • fino al 18° mese dalla data di assunzione in caso di trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato.

Per fruire del beneficio è necessario presentare apposita domanda di ammissione compilando ed inviando per via telematica, prima della denuncia contributiva, il modulo disponibile nel Cassetto previdenziale aziendale presente sul sito INPS.
L’Istituto, una volta ricevuta la domanda, verificherà la presenza dei requisiti e quindi concederà il bonus.

Vera MORETTI

Donne lavoratrici: in difficoltà quelle con figli a carico

Conciliare lavoro e famiglia, specialmente con figli piccoli, non è facile per le donne italiane, che, infatti, spesso rinunciano al lavoro perché strette in una morsa di responsabilità e sensi di colpa impossibili da gestire.
I dati, in questo senso, parlano chiaro: l’Italia, pur disponendo di donne tra le più intraprendenti d’Europa, si trova tra gli ultimi posti nell’Ue per l’occupazione delle donne con figli. Si tratta di un risultato ottenuto da un’indagine condotta dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile realizzato da Confartigianato presentato in occasione della Convention di Donne Impresa Confartigianato che si è svolta a Roma il 20 e 21 novembre.

Le notizie positive riguardano le donne che svolgono attività indipendenti, che sono 1.661.000, e che rappresentano in Europa un vero e proprio primato, poiché nel Regno Unito si fermano a quota 1.641.300 e la Germania ne registra 1.469.000.

Si tratta di 181.842 titolari di imprese artigiane, il cui numero è aumentato del 2,5% negli ultimi 10 anni. Insieme a socie e collaboratrici costituiscono un piccolo esercito di 354.882 donne, con una presenza prevalente in Lombardia (66.932), seguita da Emilia Romagna (37.343), Veneto (37.228), Piemonte (32.617), Toscana (31.430). La classifica provinciale vede in testa Milano, con 17.967 titolari artigiane. Secondo posto per Torino (16.186), seguita da Roma (15.012).

L’indagine svolta da Confartigianato ha tenuto conto anche dei costi e della qualità dei servizi per la famiglia proposti dagli enti locali ma solamente il 57,3% dei Comuni italiani offre asili nido e servizi integrativi all’infanzia e che, dove sono presenti, l’affluenza rimane piuttosto bassa. Infatti, a livello nazionale solo il 12,9% dei bambini al di sotto dei 3 anni ha frequentato queste strutture, per un costo medio di 1.649 euro annui per famiglia, che è anche la spesa che incide maggiormente sulla spesa complessiva delle famiglie per tributi e servizi locali.

Proprio questa situazione pesa sull’occupazione femminile, a causa della difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Se infatti, il tasso di occupazione delle donne senza figli e del 56,9%, quello delle donne con figli è del 53,2%, ma la discrepanza si allarga se si considerano le donne di età compresa tra 25 e 49 anni: in media il tasso di occupazione per quelle senza figli è del 70,4%, mentre precipita al 56,7% per quelle con figli. Percentuali che fanno dell’Italia il fanalino di coda in Europa dove il tasso medio di occupazione delle madri lavoratrici tocca il 71,3% e addirittura in Svezia arriva al tasso record dell’87,4%.

Daniela Rader, presidente di Donne Impresa Confartigianato, ha dichiarato in proposito: “Il nostro welfare pubblico non aiuta le donne a coniugare il lavoro e la cura della famiglia. Per colmare queste carenze, Confartigianato ha lanciato il progetto per un nuovo welfare ispirato alla sussidiarietà e che fa leva sull’innovazione digitale con piattaforme dove si incontrano domanda e offerta di servizi utili a semplificare la vita delle madri che lavorano”.

Vera MORETTI

Imprese per donne: non uno spreco ma una risorsa

Non tutte le aziende sono a misura di donne, ma quelle che lo sono riescono a tirare fuori dalle presenze femminili il meglio di loro.
Great Place to Work ha redatto la Best Workplaces for Women, che indica le prime venti aziende in Italia women friendly, su cui le donne hanno espresso il proprio livello di fiducia nei confronti di capi, colleghi e organizzazioni.

La prima in ordine di gradimento è la WL Gore associati, con sede a Verona, che conta 103 dipendenti e, tra questi, 47 donne.

Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work, ha dichiarato: “Abbiamo elaborato la classifica in base al parere di 30 mila donne su quattro indicatori: il livello di soddisfazione nella loro mansione, la differenza tra percezione maschile e femminile, l’assenza di discriminazioni, il numero di donne sul totale della popolazione lavorativa. Non sono state prese in considerazione aziende con un numero di donne inferiore a 20 e con un Trust Index (l’indicatore sintetico del clima organizzativo) inferiore al 70%”.

Seconda sul podio è 7 Pixel, che prevede, per le neomamme che lavorano in azienda, 200 euro extra al mese fino a quando il bambino frequenterà l’asilo nido.
Ma quando non sono più neonati, i figli dei dipendenti vengono ancora seguiti e viziati, a cominciare dai campi estivi.

Al settimo posto è Lidl, dove, ha spiegato Roberto Eretta, delle risorse umane “un punto vendita su tre è guidato da una donna e un buon numero di posizioni manageriali è ricoperto da talenti al femminile. Due anni fa abbiamo inaugurato il primo centro infanzia Lidl nei pressi della nostra sede centrale di Arcole”.

In questa speciale classifica c’è anche Remax Italia, che vanta 2.112 collaboratori di cui 26,26% di donne manager, e che offre un orario flessibile che permette di conciliare la vita familiare con quella lavorativa.

American Express, nel gradino numero 19, conta 1000 dipendenti e il 70% di donne, il 40% delle quali si trova alla dirigenza, mentre nel board sono il 50%.

Zollo ha concluso specificando: “In queste venti società la soddisfazione media al lavoro è identica a quella degli uomini, pari all’82%. Ma le donne sono più positive nei confronti dei loro capi, ritengono di ottenere una parte equa dei profitti realizzati in modo più deciso rispetto agli uomini (+8%) e hanno una maggior volontà di rimanere in azienda”.

Vera MORETTI

Gender Pay Gap, le donne comandano e guadagno di meno

Quando si parla di gender pay gap si intende affrontare l’annoso problema delle disparità di salario fra uomini e donne, risultato  statisticamente poco significativo a parità di posizioni di responsabilità.

A dirlo è lo studio emerso nel corso del convegno Gender pay gap: dati reali e luoghi comuni, organizzato dall’Osservatorio sul Diversity Management della SDA Bocconi School of management, in collaborazione con Hay Group.

Secondo la ricerca, infatti, tenute conto le posizioni di uguale complessità, il divario di genere maschio-femmina, nel nostro Paese, riguarda una percentuale davvero esigua, pari al 5%.

Detto questo, lo studio ha analizzato un campione di 222 aziende del settore privato (147 italiane e 74 subsidiary di multinazionali estere) per un totale di oltre 8 mila dirigenti.

I ricercatori spiegano: “Facendo la media dei salari di uomini e donne del campione, il fenomeno GPG è del 12,5%, ma il vero problema non è tanto il ‘paygap’ quanto piuttosto il ‘soffitto di vetro’, cioè la difficoltà da parte delle donne ad accedere a ruoli di alta responsabilità, ovvero quelli più retribuiti.

E non è tutto: le donne sono in genere maggiormente impiegate in funzioni aziendali ripagate con un salario più basso, e, con l’aumentare del grado di complessità della posizione in azienda, la busta paga maschile cresce più velocemente del 2,7% in più rispetto a quella femminile.

Nascono così due forme di “segregazione”: una che è di tipo verticale e che  vede il numero delle donne diminuire al crescere della complessità del ruolo/posizione,  l’altra, di tipo orizzontale, che determina una distribuzione omogenea di uomini in ogni settore di business, mentre quella delle donne spicca solo in alcuni settori, ovvero:

  • non alimentare (21,5%),
  • farmaceutico (21%)
  • servizi (18%).

All’interno delle aziende, poi, la presenza femminile è più concentrata nelle funzioni di:

  • marketing (26,3%),
  • risorse umane (23,7%)
  • amministrazione (19,6%).

Infine, se si considerano gli aggregati di famiglie professionali, le donne sono più presenti nelle funzioni di staff (19,3%) rispetto a quelle di linea (8,7%).” 

Avvocatesse madri: categoria debole?


Dare attuazione al precetto costituzionale che impone di rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, significa sapere dare il giusto rilievo e peso a situazioni ed eventi (più o meno felici) che ciascuno di noi si trova a dover affrontare nel corso della propria esistenza.

La maternità è una di queste condizioni! Dare la possibilità alle avvocatesse madri di continuare ad esercitare la professione anche nei primi anni di vita dei figli (periodo certamente più critico sotto il profilo della necessità di una presenza costante del genitore), è un grande gesto di civilità e di democrazia.

Per realizzare tale progetto è necessario ridurre al minimo ogni spostamento e concentrare i servizi erogati a favore dei bambini in età prescolare (nido, scuola materna, ecc) all’interno della stessa struttura o quanto meno in strutture adiacenti il Tribunale (qualora vi siano oggettive ed insormontabili carenze di spazio all’interno degli attuali Immobili destinati ad Uffici Giudiziari). Il problema dovrebbe essere affrontato innanzitutto a livello politico, esortando i nostri “governanti” a destinare parte dei fondi erogati per la Giustizia, alla realizzazione di un progetto che preveda la concessione in appalto ad enti privati o, ancor meglio la realizzazione diretta attraverso enti pubblici, dell’attività di asilo nido e scuola materna all’interno del Tribunale, garantendo un accesso agevolato a favore dei figli delle colleghe e dei colleghi.

Il progetto, in caso di concessione in appalto dell’attività a privati, dovrà comunque contemplare l’erogazione di contributi pubblici che coprano, quanto meno parzialmente, i costi di gestione delle strutture (personale, assicurazioni, materiale didattico, ecc). Indire un bando che sia opportunamente reso pubblico e che consenta la presentazione del maggiore numero di offerte, consentirà di poter effettuare una valutazione tra una rosa di candidati più ampia, e ciò sia per assicurare un alto livello qualitativo del servizio ma anche per consentire un risparmio in termini di costi.

L’istituzione di scuole ed asili nido all’interno degli uffici giudiziari, rappresenterebbe la migliore realizzazione del concetto di welfare tipico di Nazioni più progredite quali la Svezia, la Norvegia e la Danimarca, ma soprattutto rappresenterebbe la pena realizzazione dell’articolo 3 della costituzione. Uguaglianza formale, ma anche sostanziale, affinchè il solenne principio secondo cui È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, non resti solo nobile lettera morta.

A dire il vero, gran parte del lavoro potrebbe già essere avviato mediante un protocollo di intesa o attraverso una convenzione tra i singoli consigli dell’ordine ed il Tribunale. Ovviamente, sarà necessario destinare, nell’ambito del bilancio preventivo, parte delle risorse economiche alla realizzazione del progetto. Non ritengo che i costi siano proibitivi e ciò anche qualora non vi fossero inizialmente finanziamenti pubblici da destinare al progetto (l’erogazione di finanziamenti pubblici presuppone procedure che richiedono molto tempo e, subordinare l’avvio del progetto all’erogazione dei finanziamenti rischierebbe di paralizzarne la realizzazione.

Ritengo che si tratta di qualche cosa di assolutamente realizzabile. Ho sentito parlare di questo progetto ormai da tanti anni, ma non ho mai conosciuto qualcuno che sapesse indicarmi il nome di chi si è realmente e fattivamente prodigato per realizzarlo.

Le pari opportunità si costruiscono non solo quando viene meno una discriminazione, ma soprattutto, quando l’impegno effettivo si sostituisce all’indifferenza o ancor peggio alle demagogiche e propagandistiche buone intenzioni.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma
È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Giovani e donne a rischio salari bassi

In occasione del Forum “Dalle pari opportunità alle opportunità di sviluppo” organizzato dal Fondo insieme a Confprofessioni ad Ancona si è fatto il punto sulle donne e i giovani del Sud, che lavorano nel mondo delle professioni, vittime privilegiate dei bassi salari.

Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni ha spiegato: “Il tema delle pari opportunità, posto in evidenza oggi non è solo quello del rapporto uomo-donna sul luogo di lavoro, ma prende in considerazione le cosiddette ‘tre G’ e cioè le discriminazioni di genere, generazionali e geografiche”. Infatti, ha affermato Stella “oltre alle differenze dei trattamenti tra uomo e donna sui luoghi di lavoro, va considerata anche la differenza territoriale, visto che il mercato del lavoro al Nord funziona mentre al Sud questo non avviene, senza dimenticare che per quanto riguarda al questione generazionale, sono proprio i giovani quelli più discriminati“.

Dalla ricerca condotta dal Fondo e dall’Università delle Marche emerge, infatti, che le condizioni dei giovani professionisti sono difficili. I numeri parlano chiaro: i giovani a rischio precarietà rappresentano circa il 20% del totale, seguono i professionisti con scarse tutele, quantificabili in un 60%.

Il presidente di Fondoprofessioni, Massimo Magi ha detto ai professionisti marchigiani: “Realizzeremo on i nuovi bandi formativi del 2011-2012 una ‘nuova’ offerta formativa aperta ad attività con le Regioni, con le associazioni di categoria per implementare le competenze del personale degli studi professionali. E’ necessario cambiare la formazione che e’ la leva strategica per lo sviluppo del Paese”.

Mirko Zago

Festa delle donne: è l’imprenditoria femminile ad esultare

Domani è l’8 marzo, la Festa dedicata alle Donne. Nel versante dell’imprenditoria si tratta di un doppio festeggiamento visti gli ottimi risultati di cui le donne possono andare fiere anche nel mondo lavorativo. Sono infatti 57mila le ditte individuali e società capitanate da donne nella provincia di Milano, una percentuale che costituisce il 33,7% del totale regionale e il 20,1% del totale lombardo.

Rispetto al 2009 il popolo delle manager “rosa” è in crescita dell’1,2% contro un calo del popolo maschile del -1,8%. I settori in cui la presenza femminile è maggiore: i servizi generici (45,7% del comparto), la sanità e assistenza sociale (36,7%), l’istruzione (31,0%) e le attività di alloggio e ristorazione (27,6%). E’ comunque il commercio ad attestarsi al top per numero di presenze femminili con il 27,1%, seguito dalle agenzie immobiliari (11,8%) e dal manifatturiero (9,8%).

Osservando la panoramica offerta dall’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al secondo e terzo trimestre 2009 e 2010, si nota che oltre la metà ha un’età compresa tra 30 e 49 anni, mentre sono il 32,2% le over 50 e il 7,5% le giovanissime con meno di 30 anni. Numerose sono inoltre le imprenditrici straniere: sono 4.400 ditte individuali sostenute da non italiane (il 17,7% delle piccole imprese femminili), soprattutto cinesi (34,7%), peruviane (6,1%) e rumene (5,5%).

Gianna Martinengo, presidente del Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile della Camera di commercio di Milano ha commentato: “Le donne sono sempre più attive e protagoniste sul mercato del lavoro specie grazie alle loro qualità, ma c’è ancora molto da fare per promuovere la presenza femminile. A partire dal lavoro autonomo e dalle imprese che giocano un ruolo importante. Nella crescita della competitività bisogna premiare il capitale umano, l’istruzione e il lavoro della conoscenza, elementi presenti e diffusi nell’universo in rosa“.

I lavori tipicamente maschili si tingono sempre più di rosa

Secondo un’indagine della Camera di commercio di Monza e Brianza cresce il numero di donne che ricoprono ruoli lavorativi considerati tipicamente maschili come camionista (1.800 donne), elettricista (400 donne), tappezziere (1.100 donne), fabbro (2.300), meccanico (700 donne), idraulico (140 donne), falegname e calzolaio (entrambi 300 donne). Ogni 18 nuovi elettricisti uno è donna, per quanti riguardo gli autotrasportatori uno ogni 13 è donna, mentre ancora più elevata è l’incidenza per il mestiere del tappezziere con un caso ogni 5.

Si tratta spesso di lavori tipici del territorio brianzolo, è stato così deciso di dare avvio al bando “Mi lauri in butega. Intervento promozionale a sostegno dei mestieri tradizionali“, promosso dalla Camera di Commercio e dalla Provincia. Carlo Edoardo Valli, presidente della Camera di commercio di Monza e Brianza ha dichiarato: “Abbiamo promosso questa iniziativa perché ben rappresenta il percorso storico e imprenditoriale delle imprese della Brianza, che sono nate in ‘butega’, nella fabbrichetta vicino a casa e poi si sono consolidate, ingrandite, fino a diventare grandi aziende ‘glocali’. In questo momento storico complesso, riteniamo fondamentale sostenere la ripresa anche attraverso la valorizzazione di quel saper pensare unito al saper fare, tipico dei mestieri tradizionali. Del resto, le piccolissime imprese rappresentano un valore economico per il territorio per la ricchezza e l’occupazione che generano ma anche perché contribuiscono alla tenuta e alla coesione del tessuto sociale“.

M. Z.