La ripresa? Arriverà solo nel 2014

Nel suo ultimo rapporto sull’economia italiana, l’Ocse ha approvato il piano di riforme che l’Italia si appresta ad avviare e che potrebbe farla uscire dalla recessione prima della fine dell’anno.

Nonostante questo buon auspicio, gli effetti benefici tarderanno a farsi sentire, perché il clima di scarsa fiducia permane, così come il ritmo lento che caratterizza la ripresa anche degli altri Paesi Ue.

Spiega l’Ocse: “In Italia é impossibile per il momento ridurre in modo significativo il livello complessivo dell’imposizione, ma l’eliminazione delle agevolazioni fiscali senza giustificazioni economiche permetterebbe di aumentare la base imponibile e quindi ritoccare le aliquote marginali senza impatto sulle entrate. Per l’Italia, la priorità resta la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico, perché con un rapporto debito/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante, il Paese rimane esposto ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari“.

Inoltre l’Ocse prevede un ulteriore ribasso delle stime del Pil per quanto riguarda il 2013, con una contrazione dell’1,5%, contro il -1% previsto nel novembre scorso.
Per questo motivo, risulta difficile che la crescita possa partite prima del 2014, quando si prevede un +0,5 ora irraggiungibile.

Per arrivarci, Ocse avvisa di “incoraggiare le banche ad aumentare gli accantonamenti per perdite e continuare a incitarle a soddisfare le loro esigenze di capitale tramite le emissioni di nuove azioni o la cessione di attività non strategiche“.

Vera MORETTI

Confindustria: uniti per salvare le imprese

La crisi economica continua e a farne le spese sono le aziende, che, con una media di 40 al giorno, sono costrette a chiudere.
Per questo motivo, occorre prendere misure concrete per portare fine a questa critica situazione e salvare le imprese italiane dal fallimento.

E’ quanto sostiene Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria, il quale ha dichiarato: “L’economia italiana è stagnante e sprofondata in una delle crisi più acute della sua storia, basti pensare che la produzione industriale dal 2007 ad oggi è scesa del 25 per cento, abbiamo perso 70mila imprese manifatturiere dal 1997. Perdiamo 40 aziende al giorno, davanti a questa situazione serve una terapia d’urto che riduca il cuneo fiscale, sul costo del lavoro, liberi dei costi eccessivi il monde delle imprese e si riprenda immediatamente una via di crescita e sviluppo“.

Regina si appella ai sindacati, con i quali occorre fare fronte comune per salvaguardare l’unica certezza che ancora oggi è rappresentata dal posto di lavoro. E se manca quello, crolla tutto, non solo a livello personale ma anche sociale.

Data l’entità della crisi, il vicepresidente di Confindustria auspica un intervento trasversale, che coinvolga anche le istituzioni e il mondo politico, quest’ultimo chiamato a mettere, come primo punto saliente in agenda, lo sviluppo del Paese.

Vera MORETTI

L’impresa italiana? La salveranno gli extracomunitari

 

di Davide PASSONI

Qual è la strada maestra da seguire per non far morire l’impresa italiana? Forse ce l’ha indicata Confesercenti con la sua indagine sulle nuove imprese in Italia: affidarsi agli stranieri. Paradossale? No, comprensibile, specialmente alla luce di una tendenza emersa dallo studio; il 44% delle imprese individuali straniere in Italia svolge attività di commercio, il 26% opera nel settore delle costruzioni e il 10% nella manifattura: ebbene, tra questi settori domina il commercio, comparto nel quale gli extracomunitari si sono concentrati su forme di impresa più semplici, nelle quali oneri amministrativi e burocratici in capo all’imprenditore sono minori. Ossia: minore burocrazia, fiscalità meno stringente per produrre maggior reddito e maggiori margini.

Analizzando le fredde cifre di Confesercenti, l’80% delle ditte si concentra nei 3 comparti di cui sopra, dove anche la crescita malgrado la crisi è stata sostenuta: +7,3% per le imprese del commercio, + 3% per le imprese edili, +3,6% per la manifattura (le imprese individuali negli stessi comparti registrano variazioni negative: -0.5%, -1.3%, -2.2%). Nei primi nove mesi del 2012, a un saldo positivo (tra iscrizioni e cessazioni) di 13mila imprese individuali con titolare immigrato, ne corrisponde uno negativo di oltre 24mila unità per le restanti. Nel terzo trimestre di quest’anno, le imprese individuali registrano un saldo positivo di 5mila unità di cui l’85% è dato da imprese di immigrati.

In dieci anni, poi, il peso delle imprese con titolare straniero, sul totale delle imprese italiane, è passato dal 2% a quasi il 9%: nel 2012 gli imprenditori immigrati sono circa 300mila, più 120mila soci stranieri. Dato da sottolineare e su cui riflettere: le imprese gestite da stranieri producono circa il 5,7% della ricchezza del Paese.

Da dove vengono i “salvatori” della piccola impresa italiana? Principalmente dall’Africa, per motivi storici e geografici: Marocco (57mila imprese), Senegal (circa 16mila), Egitto (circa 13mila), Tunisia (12mila). Poi la Cina (quasi 42mila imprese) e l’Albania (oltre 30mila). Nel Nord Italia si concentrano le attività dell’artigianato e i lavoratori dipendenti dalle imprese; al Centro vincono il settore domestico, quello dell’edilizia e il comparto tessile e abbigliamento; al Sud, commercio e lavoro agricolo.

Insomma, analizzando le cifre e trasformandole in tendenze, traspare chiarissimo un fatto: gli imprenditori extracomunitari si stanno dimostrando più furbi dei nostri, provando a combattere la crisi senza cercare performance esaltanti ma puntando alla sopravvivenza in attesa della ripartenza. Questa crisi sta facendo numerosi morti e feriti gravi (in senso figurato): chi sopravviverà, nel momento in cui l’economia tornerà a girare avrà molto più spazio per crescere e aggredire il mercato. Loro sembra che lo abbiano capito, perché come sostiene Confesercenti, la scelta del commercio assicura la stabilità dell’occupazione anche in periodi di crisi offrendo garanzia alla regolarità del soggiorno e si fa espressione della volontà di riscatto da ruoli subalterni.

Venuti nel nostro Paese per salvare se stessi dalla miseria, gli extracomunitari che si fanno imprenditori di trovano nella situazione di essere loro a salvare l’economia italiana. Viva la globalizzazione.

Il Pil continua a calare

Il secondo trimestre è stato negativo per il Pil italiano, tanto da segnare il calo peggiore dalla fine del 2009.

Per la precisione, tra aprile e giugno il Pil è diminuito del 2,5% rispetto allo stesso periodo del 2011, registrando un peggioramento rispetto al primo trimestre dell’1,4%.

Si tratta del terzo trimestre consecutivo con segno negativo, poiché nel confronto con gennaio-marzo, nel secondo trimestre c’è stato un pesante -0,7%, anche se leggermente migliore rispetto al -0,8% dei primi tre mesi dell’anno. E la dinamica negativa persiste ormai da quattro trimestri, come ha rilevato l’Istat.

Nel primo semestre dell’anno, inoltre, il Pil è diminuito dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Vera MORETTI

Italia, non è un Paese per giovani

Non è un Paese per giovani, l’Italia. Almeno stando a quanto emerge dal documento della Banca d’Italia, “Economie regionali – L’Economia delle regioni italiane”. Nonostante le iniziative di imprenditoria giovanile non manchino e gli under 35 si dimostrino molto attivi, le opportunità di lavoro per le fasce di età più giovani continuano a deteriorarsi in tutte le regioni: nel Sud il tasso di disoccupazione delle persone con meno di 30 anni è oltre il doppio di quello complessivo

Secondo Bankitalia, la crescita dell’occupazione (0,4% nella media del 2011 in Italia) è stata più debole al Centro e nel Mezzogiorno rispetto al Nord, dove è cresciuta in particolare nel Nord-est. Le differenze territoriali riflettono l’andamento dell’occupazione nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni; un settore che continua a essere in estema sofferenza, dove è proseguito il forte calo del numero di occupati.

Scenario poco omogeneo anche in quanto al pil, che nel 2011 ha ristagnato nel Mezzogiorno (0,0%) e al Centro (0,1%) ed è cresciuto a un tasso lievemente superiore a quello medio nazionale (0,4%) nel Nord-ovest (0,6%) a un ritmo nettamente superiore nel Nord-est (0,9%). Rispetto alle altre aree, il Sud è stato caratterizzato da un andamento particolarmente sfavorevole dei consumi, in presenza di una più debole occupazione e a retribuzioni in ristagno.

C’è poi il capitolo, dolente, dei prestiti bancari che nel 2011 hanno rallentato in tutte le aree del Paese. Manco a dirlo… La frenata, concentrata nell’ultima parte dell’anno, è stata più marcata nel Nord e ha riguardato soprattutto i finanziamenti alle imprese, anche per effetto della debolezza dell’attività produttiva. Anche i prestiti alle famiglie hanno rallentato, ma in modo più accentuato nelle regioni del Centrosud. L’indagine è stata condotta dalla Banca d’Italia su un campione di circa 400 intermediari e ha mostrato un dato incontrovertibile: sulla dinamica dei prestiti ha influito ovunque l’irrigidimento dei criteri di offerta delle banche, in un contesto di debolezza della domanda di finanziamenti; nel primo semestre dell’anno in corso esso si sarebbe attenuato in tutte le aree del Paese.

Insomma, anche in questo caso giovani e imprese pagano più degli altri il prezzo della crisi. E se lo dice Bankitalia, c’è poco da stare allegri…

Nel 2011 il gettito ha registrato +1,2%

Nel 2011 le entrate totali ammontano a 411.790 milioni di euro (+4.823 milioni di euro, pari a +1,2%): sono i dati del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia.

In particolare – riferisce il ministero dell’Economia – crescono dello 0,2% le imposte dirette e aumentano del 2,3% le imposte indirette.

Tra le imposte indirette, crescono dell’1,5% le tasse e imposte sugli affari, del 2,9% le imposte sulla produzione, sui consumi e dogane e monopoli e del 10,1% del gettito del lotto, lotterie e delle altre attività di gioco.

Nel periodo gennaio-dicembre 2011 affluiscono dalle imposte dirette 218.424 milioni (+410 mln) e 193.366 milioni di euro (+4.413 mln) dalle imposte indirette.

Il 2011 “chiude con un risultato molto positivo degli incassi da ruoli relativi ad attività di accertamento e controllo che hanno generato incassi per 7.361 milioni di euro, facendo registrare un incremento del 22,7% rispetto al 2010,pari a +1.361 milioni di euro,” – sottolinea la nota del ministero.

A partire dalla seconda metà dell’anno ”il peggioramento del quadro congiunturale dell’economia italiana, conseguente all’aggravarsi della crisi del debito sovrano, ha determinato un’attenuazione del ritmo sostenuto di crescita delle entrate tributarie registrato nei primi mesi dell’anno, in parte compensato dagli effetti delle misure delle manovre correttive di finanza pubblica varate a partire dall’estate” – conclude il Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia.

Fonte: confesercenti.it

Confesercenti: crisi, la ripresa non arriva nemmeno nel 2012

Un Pil che fatica a raggiungere il +0,4%, i consumi delle famiglie italiane in caduta libera e l’export che dimezza per il prossimo anno l’attuale +4%. Una radiografia impietosa dell’attuale stato dell’economia italiana quella che emerge dal rapporto Ref-Confesercenti, che non lascia spazio a false speranze nemmeno per il 2012.

Un’economia ferma o quasi, che impone scelte rapide e decise soprattutto sul versante della spesa‘, così si legge nel rapporto stilato da Confesercenti.

La situazione si fa meno allarmante sul piano della disoccupazione, in calo dal 8,2% del 2011 al 7,9% per il 2012, mentre le previsioni sul debito pubblico segnano una diminuzione dal 120,5% del 2011 al 119,8% per il 2012.

I dati restano comunque preoccupanti, mentre i consumi delle famiglie registrano una netta diminuzione dal +0,6% del 2011 al +0,3% previsto per il 2012. La ripresa economica ha infatti tardato a manifestare i suoi effetti sui consumi a seguito dell’aumento dell’inflazione determinato dai rincari nei prezzi delle materie prime. Tale aumento ha ridimensionato il potere d’acquisto del reddito delle famiglie proprio quando il ciclo economico stava invertendo la rotta.

Le famiglie italiane subiscono i contraccolpi della politica fiscale, incrementati dalla manovra Iva da 4 miliardi, che penalizzerà ancor più la spesa dei cittadini. ‘Molte famiglie hanno esaurito l’ammortizzatore rappresentato dal flusso di risparmio, e la crisi ha anche ridimensionato la platea dei soggetti che possono contare sull’aumento del grado di indebitamento per sostenere il tenore di vita. Man mano che le famiglie interiorizzano che le prospettive di medio termine sono poco promettenti, potrebbe anzi verificarsi anche un nuovo aumento della quota di risparmio di natura precauzionale, finalizzata a fronteggiare eventuali shock inattesi sul reddito.’

Un andamento relativamente debole delle esportazioni e la crescente tendenza della domanda interna ad essere soddisfatta attraverso incrementi delle quantità importate hanno poi determinato una diminuzione della competitività dell’economia italiana sul mercato estero.

Alessia Casiraghi

Cala il potere d’acquisto delle famiglie italiane

Nel primo trimestre del 2011 la propensione al risparmio delle famiglie è stata pari all’11,5 per cento in diminuzione di 0,9 punti percentuali rispetto al trimestre precedente mentre il reddito rimane invariato con un aumento del 3,3% rispetto al primo trimestre del 2010.

La spesa delle famiglie è aumentata dello 0,9% rispetto al trimestre precedente e del 3,1% rispetto al primo trimestre del 2010. Il potere di acquisto delle famiglie e’ diminuito dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, ma risulta in crescita dell’1,1% rispetto al primo trimestre del 2010.

Il mondo delle aziende non se la passa molto meglio: la quota di profitto delle società non finanziarie e’ stata pari al 41,3% nel primo trimestre del 2011, in diminuzione di 0,9 punti percentuali nei confronti del trimestre precedente. Rispetto al corrispondente trimestre del 2010 la quota dei profitti aumenta di 0,6 punti percentuali. Il tasso di investimento delle società non finanziarie e’ stato pari al 24%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,7 punti percentuali nei confronti del primo trimestre del 2010.

 

Pil: +1,2%. Ritoccate in positivo le stime

La percentuale di crescita del Pil italiano sarebbe leggermente migliore rispetto alle stime. Si parla infatti di crescita dell’1,2% contro le precedenti previsioni dell’1,1% stando ai dati Istat. Il motivo è semplice: lo 0,1% di incremento proviene da una giornata lavorativa in più presente nel 2010 rispetto al 2009. Si tratta quindi di una correzione che tiene in considerazione il calendario lavorativo precedentemente non considerato.

Per quanto riguarda il quarto trimestre, il Pil è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1,5% rispetto al quarto trimestre del 2009: si conferma così la stima preliminare diffusa a febbraio per il dato congiunturale mentre è stato rivisto al rialzo il tendenziale (+1,3%). Rispetto al terzo trimestre si registra un rallentamento sul congiunturale (+0,3% nel trimestre precedente) e un’accelerazione sul tendenziale (+1,2% sul trimestre precedente).

M. Z.

Pil: +1,1%. L’Istat rivede le stime, in Italia sale il prodotto interno lordo

Secondo l’Istat il Pil nel terzo trimestre del 2010 è salito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente (dal +0,2% della stima preliminare) e dell’1,1% (da +1%) rispetto al terzo trimestre del 2009. La crescita acquisita per il 2010 è ora pari a +1 per cento. In termini congiunturali, le importazioni di beni e servizi sono cresciute dello 4,7%. Dal lato della domanda, le esportazioni sono aumentate del 2,8% e gli investimenti fissi lordi dello 0,9%; i consumi finali nazionali sono saliti dello 0,2%. Nell’ambito dei consumi finali, la spesa delle famiglie residenti è aumentata dello 0,3%, mentre quella dell’Amministrazione Pubblica e delle Istituzioni sociali private è cresciuta dello 0,2%. L’aumento degli investimenti è stato determinato da una crescita del 2,2% degli investimenti in macchine, attrezzature e altri prodotti e del 0,6% degli investimenti in costruzioni mentre gli acquisti di mezzi di trasporto sono diminuiti del 2,5%. In termini tendenziali, le esportazioni sono aumentate dell’8,7% e le importazioni dell’11,3. La spesa delle famiglie residenti è salita dello 0,5%, quella della P.A. e delle Istituzioni sociali private è diminuita dello 0,5%. La spesa delle famiglie sul territorio nazionale ha registrato una variazione tendenziale dello 0,5%. Gli investimenti fissi lordi sono aumentati del 5% mentre gli investimenti in costruzioni sono scesi dello 0,7%. Nel terzo trimestre l’Istat ha rilevato andamenti

congiunturali positivi nel valore aggiunto dell’industria in senso stretto (+0,8%), per le costruzioni (+0,4%), per il settore del credito, assicurazioni, attività immobiliari e servizi professionali (+0,3%). Contrazioni del valore aggiunto si registrano invece nell’agricoltura (-1,2%) e per gli altri servizi (-0,2%). In termini tendenziali il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è salito del 4,3%, quello dei servizi dello 0,7%. In flessione il valore aggiunto dell’agricoltura (-0,8%) e delle costruzioni (-0,7%).