L’export salva la ceramica Made in Italy

La ceramica, una delle eccellenze del Made in Italy, sta risalendo la china, dopo un periodo in cui era stata registrata una pericolosa flessione.
Infatti, dopo che il 2012 si era concluso con un preoccupante segno meno, il 2013 aveva riportato i risultati agli antichi albori, chiudendo a dicembre con un incremento delle esportazioni del 4,76%.

Questo trend, che vede nell’export il vero cardine del successo di questo comparto, sta continuando anche nel 2014, anche se, per avere i dati precisi, si dovrà aspettare Capodanno.

Ad oggi, le aziende attive nel settore sono 156, con un impiego di 20.537 addetti, che nel corso del 2013 hanno prodotto 363,4 milioni di metri quadrati (-1,05%) tali da consentire vendite per 389,3 milioni di metri quadrati (+1,85%).

Per quanto riguarda, comunque, la dinamica dei mercati di destinazione, la flessione è ancora molto forte all’interno dei confini nazionali (-7,18% ), mentre le esportazioni sono in aumento del 4,76%, che contribuiscono al segno positivo definitivo delle vendite.

Considerando, infatti, solo l’export, si nota un aumento di fatturato del 5,66%, che, però, sommato al segno negativo degli scambi a livello nazionale (-6,84%), fa assestare la percentuale a +3,16%.

Importante sottolineare che per l’anno in corso gli investimenti previsti sono pari a oltre 248 milioni di euro (+10% rispetto al 2013).

Le vendite nell’Unione Europea (Italia esclusa), sono ora a 155,8 milioni di metri quadrati e pari a quasi il 52% delle vendite oltreconfine. Le esportazioni verso gli altri paesi europei extra Ue presentano una dinamica positiva sia in quantità (+1,88%) sia in valore (+1,41%).

Per quel che riguarda la situazione extra Europa, da segnalare un rallentamento nel quarto trimestre delle esportazioni verso la Russia, comunque ancora positivo il dato cumulato (+2,52% in quantità e +1,67% in valore).
Si confermano dinamiche fortemente positive negli Stati Uniti (+15,06% in quantità).

Significative crescite per i volumi di vendita verso l’Asia pari a 34,4 milioni di metri quadrati, con l’aggregato Golfo che registra un incremento del 15,5% in quantità. In crescita anche le esportazioni verso l’Africa (+14,77%) e verso Australia e Oceania (+14,28%).

Vera MORETTI

Inversione di marcia per il Pil italiano

Le previsioni di crescita stimate nei mesi scorsi riguardanti l’Italia hanno subito un brusco arresto, e un conseguente aggiustamento per difetto da parte dell’Ocse.
Nel dettaglio, è stata pronosticata una recessione del Pil dello 0,4%, contro il +0,5% di pochi mesi fa, perciò si registra una diminuzione di 0,9 punti.

Ma le brutte notizie non sono arginate al solo anno in corso, poiché per il 2015 è previsto un calo di un intero punto percentuale, ovvero un aumento totale dello 0,1% a fronte del +1,1% del 6 maggio scorso.
Questi dati negativi ancorano il Belpaese all’ultimo posto delle grandi economie avanzate che fanno parte del G7.

Nessuno, ad eccezione di Regno Unito e Canada, ha saputo migliorare la propria condizione, tanto da persuadere l’Ocse a definire l’economia globale in crescita “a ritmi moderati e discontinui”.

Ciò, comunque, non sembra riguardare nemmeno gli Stati Uniti, che segnano ritmi di espansione solidi e in aumento del 2,1% nel 2014 e del 3,1% per il prossimo anno.
Congiuntura debole, al contrario, nel Vecchio Continente, dove si pensa ad un aumento dello 0,8% per il 2014 e dell’1,1% nel 2015.

Tra i Paesi del G7, la Germania si assesterà a +1,5% sia quest’anno che il prossimo, mentre in Francia si registrerà + 0,4% sul 2014 e +1% sul 2015.
In Giappone è atteso +0,9% quest’anno e +1,1% il prossimo, e in Gran Bretagna rispettivamente +3,1% e +2,8%.

Vera MORETTI

Cosmetici Made in Italy leader nel mondo

Tra i fiori all’occhiello dell’export Made in Italy c’è anche il settore dedicato alla cosmesi.

Non tutti lo sanno, ma la vendita di prodotti di bellezza prodotti in Italia ha fatturato nel mondo 3.176 milioni di euro e, sul fatturato del 2013, è stato pari al 34,2%, il valore più alto dell’ultimo decennio, con un incremento netto dell’11% in un anno perché ritenuti garantiti, efficaci e alla moda.

Fabio Rossello, presidente Cosmetica Italia, ha specificato, in occasione dell’Assemblea pubblica dedicata dalle imprese internazionali e al loro contributo allo sviluppo del Paese svolasi a Milano : “I prodotti più amati nel mondo sono state le acque da toletta e di colonia con un volume totale di 558 milioni di euro e una con un + 14% nel 2013. Seguono le creme, cresciute del 4,7% con un valore prossimo ai 565 milioni di euro e i prodotti per il trucco con un +8,9% ed un valore che dal 2010 al 2013 è passato dai 183 milioni agli attuali 286 milioni“.

Certamente, il successo delle esportazioni dei prodotti beauty del Belpaese dipende molto dall’alta qualità delle materie prime, ma anche dalla sicurezza delle formulazioni e dall’innovazione, connubio in grado di soddisfare le esigenze della più vasta clientela.

All’Assemblea, è avvenuta anche la seconda edizione del premio italiano della cosmetica CosmeticAward, dedicato all’innovazione nella comunicazione.

Benedetto Lavino, di Cosmetica Italia, ha inoltre aggiunto: “Il premio sarà assegnato in funzione alla tipologia di azienda, multinazionale, grandi aziende italiane e piccole e medie imprese. I vincitori saranno premiati a giugno del prossimo anno”.

A Milano sono state scelte tre aziende associate a Cosmetica Italia, L’Oreal, Coty Italia e Shiseido rappresentative rispettivamente di Europa, Usa e Giappone.

Vera MORETTI

Bollette italiane: le più care d’Europa

Le imprese italiane spendono tanto, troppo per l’erogazione di energia.
Una nuova ricerca ha confermato ciò che, ahimè, sospettavamo tutti da tempo: le bollette, per le imprese italiane, sono sempre le più care d’Europa.
E il confronto è davvero impietoso.

Se si analizza quanto è costata alle imprese italiane nel 2012 l’energia calcolata in megawattora, il belpaese perde su tutta la linea, sia considerando quelli delle che consumano tra i 500 a 2000 megawattora l’anno (imprese piccole e medio-piccole) che quelle che consumano tra i 20 mila e i 70 mila megawattora l’anno (aziende grandi e medio-grandi).

In entrambi i casi, infatti, il prezzo applicato è il più alto del vecchio continente: rispettivamente 17,90 centesimi per Kilowattora e 12,39 centesimi per Kilowattora.

Tra le pmi, il secondo Paese in classifica è l’Irlanda con 13,7 centesimi, tra le grandi ci sono le imprese lituane con 11,65 centesimi.
Moltiplicando queste cifre per i reali consumi elettrici delle imprese si capisce quale è il reale aggravio che pesa sulle imprese italiane: ad esempio un’impresa italiana che consumi 1500 megawattora l’anno pagherà una bolletta di 26.850 euro, contro i 18.165 della Spagna e gli 11.325 della Finlandia.

Vera MORETTI

La Cina salverà il Made in italy

Tra i settori in maggiore sofferenza per quanto riguarda la produzione industriale italiana ci sono il tessile e l’abbigliamento.

A dare nuova linfa è sempre, e purtroppo solo, l’export, che, dunque, ha permesso di sopravvivere alle aziende caratterizzate da un maggior orientamento ai mercati esteri e da una spiccata capacità innovativa e da cospicui investimenti in ricerca e sviluppo.
A dimostrazione di ciò, attualmente le iniziative d’investimento sono in forte crescita: a marzo 2012 erano presenti in Italia oltre 100 società a partecipazione estera, quando nel 2007, queste erano meno di 30.

Tra i mercati maggiormente interessati alle dinamiche delle aziende italiane, la Cina rimane quella più attenta.
Ad attrarre la clientela cinese sono il design, la qualità dei prodotti e la capacità di valorizzare il territorio. Ma, considerando la crisi finanziaria, è cresciuta anche un certo scetticismo nei confronti delle esportazioni che non si dimostrano più che affidabili.

L’Italia, alla luce di questa tendenza, non può e non vuole stare a guardare, anche se sorge un dubbio circa le motivazioni che spingono i cinesi verso il Made in Italy: è la qualità dei prodotti italiani che ha portato il Belpaese a diventare uno dei principali fornitori della Cina o, piuttosto, la voglia di copiarli e riprodurli?

Per ora, non si può fare altro che affidarsi alla buona fede e prepararsi ad infittire i rapporti con il Paese del Sol Levante, poiché potrebbero portare ad un impennata delle vendite, quanto mai necessaria per la nostra economia.
E’ doveroso sottolineare, però, che questo potrebbe avvenire in particolare per i beni di lusso, la cui produzione continua ad avere base in Europa, proprio perché gli stessi cinesi considerano il Vecchio Continente la patria del lusso.

E a giudicare dalla massiccia presenza di compratori asiatici tra le vie del lusso europee, quadrilatero della moda milanese in testa, non ci sono dubbi su ciò.

Vera MORETTI

Un milione di veicoli commerciali a metano previsti entro il 2019

Della crisi delle vendite dei veicoli commerciali già si sa, ma ora, a conferma di una certa inversione di tendenza, ci sono anche dati precisi.

Le previsioni, infatti, che riguardano gli anni tra il 2012 e il 2019, emanate dall’Istituto di ricerca statunitense Pike Research e rese note in Italia dall’Osservatorio Federmetano, parlano di un milione di veicoli commerciali e autobus a metano vendute in tutto il mondo.

La crescita, in questo arco di tempo, sarà, per i veicoli commerciali a metano, del 14% all’anno, mentre il mercato degli autobus a metano, sempre dal 2012 al 2019, crescerà del 19% all’anno.
Questo trend, quindi, riuscirà a far riemergere un mercato che, negli ultimi anni, è letteralmente colato a picco, portando con sé un ulteriore vantaggio, ovvero l’aumento, sui mercati mondiali, di modelli a metano.

A promettere le impennate maggiori è certamente l’area asiatica, dove, sempre secondo Pike Research, si venderanno i tre quarti degli autobus e veicoli commerciali a metano.
Ma gli alti costi del gasolio spingeranno in questa direzione anche Europa e Nord America.

A questo proposito, non c’è che da augurarsi che anche in Italia si decida di investire sui veicoli a metano, poiché anche tra le mura domestiche la situazione è tutt’altro che rosea.

Dave Hurst, analista di Pike Research, commentando questi dati, ha dichiarato: “I veicoli a metano hanno livelli di emissioni di gas serra, di particolato e di ossidi di azoto sostanzialmente minori dei veicoli a benzina e diesel. In più i veicoli a metano consentono di risparmiare nella spesa per il carburante; generalmente la maggior spesa per l’acquisto di un veicolo a metano è ammortizzata in un periodo che va dai due ai sette anni grazie al minor costo del carburante”.

Dante Natali, presidente di Federmetano, ha aggiunto: “La prevista crescita delle vendite di veicoli a metano avrà ripercussioni positive anche nel nostro Paese; infatti l’Italia è il primo mercato europeo per i veicoli a metano e l’industria italiana del metano per autotrazione è particolarmente sviluppata ed esporta i suoi prodotti in tutto il mondo”.

Vera MORETTI

Rete Imprese Italia sprona il Governo a rispettare gli accordi Ue

Rete Imprese Italia ha fatto il punto della situazione del nostro Paese e auspica che, con le prossime, ormai imminenti elezioni, si possano risolvere le tante situazioni spinose affliggono l’Italia.

In particolare, la speranza è che vengano ascoltate le richieste delle imprese italiane, che stanno toccando con mano la crisi economica e finanziaria e per questo hanno sicuramente proposte da fare sia in tema di politica economica per la crescita che in tema di stabilità dei conti pubblici.

Tra le questioni che Rete Imprese Italia ritiene di primo piano ci sono gli impegni che il Governo ha preso nei confronti della Comunità Europea. Tali impegni, come ad esempio quelli presi con la ratifica del Patto di bilancio europeo il 19 luglio 2012, sono basilari per il futuro del Paese e per questo dovranno essere mantenuti anche da Governo prossimo.

A tale proposito, RII propone di redigere una agenda europea, oltre a quella italiana, che sia caratterizzata da una più compiuta e forte integrazione tra le ragioni del rigore e le ragioni della crescita e della coesione sociale.

Vera MORETTI

Dall’Europa un finanziamento per i giovani

Che fosse l’Europa a ridare speranza all’occupazione giovanile, forse non lo immaginava nessuno, ed invece è così.
All’interno del piano di ricollocazione dei giovani a livello Ue, infatti, sono 8 miliardi quelli che sarebbero da destinare alle politiche di impiego e, di questi, 128 mila sarebbero in viaggio per l’Italia.

Non si tratta che di un timido inizio, ma, come ha anche ricordato Mario Draghi, presidente della Bce, la disoccupazione giovanile rappresenta un problema serio per tutta l’Ue, ad eccezione della sola Germania, dove il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni sfiora appena l’8%. Cifra irrisoria, se si pensa che in Italia siamo arrivati alla cifra record del 34,2% (con punte di molto maggiori nel Mezzogiorno) e in Spagna già si supera il 50%, mentre la media Ue si colloca attorno al 22%.

Per fare qualcosa di concreto a proposito si sta attivando Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale, al quale è stato affidato il compito di dirottare i fondi europei in favore dei giovani disoccupati.
A beneficiare degli otto miliardi complessivi (3,7 dal Fondo sociale europeo e 4,3 dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale) saranno le regioni del Mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile già supera il 50%.

In primo piano sono i progetti dal carattere “privato sociale”, ovvero iniziative che coniughino lo spirito di imprenditorialità con la vocazione socio-assistenziale.
Ma non solo, perché a beneficiare di questo finanziamento saranno anche l’informatica e la famosa Agenda digitale, che, nonostante se ne parli da anni, in Italia stenta a decollare.
Un progetto mirato, inoltre, riguarda i giovani che vivono nelle zone ad alto rischio di criminalità, dove si sta pensando a progetti formativi verso gli antichi mestieri. In questo modo, oltre a creare lavoro, si riuscirebbe a salvaguardare la tradizione artigiana in via di estinzione.

Vera MORETTI

Benzina: in Italia la più cara d’Europa

Con un costo medio di 1,80 euro al litro l’Italia è diventato il Paese più caro d’Europa dove mettere benzina, per un pieno si spende in media il 12% in più che nel resto d’Europa, in un anno la differenza è di 350 euro. I dati arrivano dall’Associazione di consumatori Adoc.

“Un anno di rifornimenti costa in media 3240 euro ad un italiano, il 12% in più della media europea, con un aggravio di spesa pari a circa 350 euro annui – dichiara Carlo Pileri, Presidente dell’Adoc – l’Italia è il Paese europeo con i costi più alti dei carburanti, si spende il 10% in più che in Francia, il 7% in più che in Germania, il 20% in più della Svizzera e poco meno del 30% in più che in Spagna. Un pieno oggi costa 90 euro, in Europa mediamente si spendono 80 euro, in Svizzera si spendo circa 15 euro in meno ad ogni rifornimento. I continui aumenti, aggravati dalle maggiori accise e dal rialzo dell’Iva, stanno dissanguando le famiglie italiane. Non solo al momento di rifornirsi ma anche in tutti quei settori, dall’alimentare al turismo, direttamente collegati alle fluttuazioni del prezzo della verde. La spesa alimentare costa circa il 5% in più dello scorso anno, il turismo è in agonia. Ci auguriamo che attraverso l’applicazione corretta delle liberalizzazioni possano arrestarsi i continui rialzi inflattivi e che i consumi tornino a correre. Secondo le nostre stime i prezzi al consumo dei beni di prima necessità, primi fra tutti benzina e alimentari potrebbero subire una riduzione pari, complessivamente, al 7%. Una necessaria quanto agognata boccata d’ossigeno per i consumatori”.

Fonte: agenparl.it