Quali sono le caratteristiche del fallimento aziendale?

Oggi andremo a scoprire, nell’intrepido mondo del lavoro, cosa vuol dire rischiare con la propria azienda e, soprattutto cosa accade nel caso di fallimento aziendale. Una breve e rapida guida per comprendere le caratteristiche di un fallimento aziendale. Una possibilità, di questi tempi non poi difficile per gli imprenditori.

Cos’è un fallimento aziendale?

Partiamo subito col dire, in breve, che il fallimento è quel procedimento giudiziario concorsuale liquidatorio che ha inizio in seguito ad una sentenza del Tribunale e che dichiara, quindi, fallito l’imprenditore in stato di insolvenza, ovvero impossibilitato a pagare i debiti.

Dichiarare il fallimento ha lo scopo di soddisfare i creditori dell’azienda fallita, previa la liquidazione, ovvero la vendita dei beni aziendali o personali.

Quindi, sostanzialmente la richiesta di fallimento aziendale è una sorta di “liberazione” per il titolare di impresa, nel momento in cui il proprio fondo monetario è al rosso. Ma, anche una sorta di nuovo calvario che può portare a conseguenze ben poco piacevoli per chi dichiara o ottiene il fallimento.

Ma chi può chiedere o subire il fallimento aziendale?

Tenendo fede all’ articolo 1 della Legge Fallimentare non tutti possono fallire. Il fallimento dell’azienda, di fatto, è possibile solo per le imprese private che esercitano un’attività commerciale, sia che si tratti di aziende di tipo individuale o siano esse di tipo societario. Possiamo dunque asserire che sono escluse da tale procedura le imprese pubbliche, le imprese non commerciali e le imprese agricole. Ma troviamo fuori da questa procedura pure i piccoli imprenditori, come i coltivatori diretti, gli artigiani, chi esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il proprio lavoro o quello dei propri familiari.

Dunque, la Legge prevede che solo i soggetti legittimati possano chiedere il fallimento aziendale, come nei seguenti casi:

1) il debitore, ovvero l’imprenditore che dimostra di essere inadempiente di pagamenti
2) i creditori, che devono dimostrare di essere in credito non risolto, nei confronti dell’imprenditore previa lo stato di insolvenza di quest’ultimo
3) il Pubblico Ministero, qualora l’insolvenza dell’impresa risulti nel corso di un procedimento penale od anche in seguito ad una segnalazione proveniente da un giudice nel corso di un procedimento civile o fallimentare, od ancora se si presentasse la latitanza del debitore.

Ora, non ci resta che scoprire cosa può accadere come conseguenza di un fallimento aziendale.

Le conseguenze del fallimento aziendale

Andiamo in ultimo, ma non ultimo a vedere quali possono essere le conseguenze di un fallimento aziendale. Una filiera di conseguenze non proprio idilliache che si parano dinnanzi all’imprenditore in disarmo.

A seguito della ottenuta procedura di fallimento, l’imprenditore subisce lo spossessamento. Ciò vorrà dire che l’imprenditore non perde la proprietà dei suoi beni, ma non può né gestirli né amministrarli. I seguenti beni sono sottoposti allo spossessamento:

  • beni mobili e immobili
  • diritti patrimoniali e potestativi
  • beni di proprietà del fallito in via provvisoria
  • beni che appartengono a terzi soggetti che vantano un diritto inopponibile alla procedura
  • beni ottenuti dopo la dichiarazione di fallimento

Non possono, invece essere soggetti a spossessamento i beni personali, come la pensione, gli alimenti, gli stipendi, perquanto sono ritenuti necessari al mantenimento dell’imprenditore (o ex imprenditore) e della propria famiglia. Inoltre, l’imprenditore fallito dovrà depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatoriel’elenco dei creditori e consegnare tutta la corrispondenza relativa all’impresa al Curatore fallimentare.

Dovrà, inoltre, comunicare anche ogni eventuale cambio di residenza o di domicilio e presentarsi personalmente di fronte agli organi preposti alla procedura di fallimento ogni volta che sia richiesto. Insomma, una condizione non proprio idilliaca, quasi alla stregua di un criminale, quella che si prospetta agli occhi di un imprenditore che dichiara (o riceve) il fallimento aziendale.

Ora che avete avuto una breve sintesi di cosa comporta un fallimento aziendale non vi resta che rimboccarvi le maniche, tenervi tranquilli i creditori, qualora già ve ne siano in vista ed evitare di barcamenarvi in una situazione di bilancio in rosso. Sebbene, di questi tempi di crisi economica e sociale diviene tutto ancor più complicato da gestire. Sempre che voi siate degli imprenditori o abbiate intenzione di diventarlo a breve.

Suicidi per crisi, il silenzio dei colpevoli

di Davide PASSONI

Passata l’estate in modo relativamente tranquillo – per quanto possa essere stata tranquilla un’estate nella quale la crisi ha continuato a mordere duramente – ecco che nelle ultime settimane di settembre hanno cominciato a ripetersi i casi di imprenditori suicidi per crisi.

Forse qualcuno si era dimenticato del fenomeno, aveva finto che tutto andasse bene, che ormai quei poveretti che scelgono di buttarsi di sotto o appendersi a una trave perché la loro azienda fallisce sono sempre meno: tanto ormai, come dice il presidente del Consiglio, si vede la luce in fondo al tunnel.

E invece no. La gente continua ad ammazzarsi, i debiti continuano a soffocare le imprese, le tasse continuano a mandarle al macello, mettendo per la strada imprenditori, famiglie, operai. Ma se ne parla meno. Sarà che ci siamo abituati al peggio? Che alla fine questa strage è diventata ormai uno scenario talmente ovvio che facciamo spallucce e ci giriamo dall’altra parte? Assuefatti all’abominio?

No, mai e poi mai. Noi di Infoiva non ci stiamo e per questo, durante la settimana, torneremo a dare voce al fenomeno, a far parlare chi lo vive ogni giorno da vicino, a dare un calcio in bocca alle coscienze di tutti. Perché non possiamo rassegnarci alla strage ma dobbiamo dare voce al disagio per offrire a chi lo soffre gli strumenti giusti per combattere e rialzare la testa. Seguiteci in questo viaggio, aiutateci a non far spegnere la luce su questa mattanza. Uscirne si può, si deve.

Leggi l’intervista a Pietro Giordano, consigliere dell’associazione “Speranza al lavoro”

Imprenditori suicidi, non abbassiamo la guardia

di Davide PASSONI

Negli ultimi mesi, complice forse l’estate, sono stati meno i casi di imprenditori che si sono tolti la vita a causa della crisi. Anche se, durante la settimana appena trascorsa, specialmente nel Veneto la cronaca nera in questo senso è tornata a farsi leggere. Eppure la situazione economica non è migliorata, anzi, è andata peggiorando; fallimenti, aziende che chiudono, imprese in bilico ci sono ancora ma forse, ora che si legge sempre meno di gente che si appende a una trave per farla finita, la crisi fa meno notizia.

Noi di Infoiva, però, non molliamo la presa, non vogliamo che si abbassi la guardia su un fenomeno che, seppur scemato, temiamo possa riesplodere in tutta la sua amarezza dall’oggi al domani. Per questo abbiamo bussato alla porta di Adiconsum, che nell’aprile scorso, all’apice del fenomeno degli imprenditori suicidi, ha dato vita all’associazione “Speranza al lavoro” insieme a Filca-Cisl, con diversi obiettivi: creare una rete nel territorio che possa dare sostegno al mondo del lavoro e offrire sostegno psicologico e fiscale a imprenditori e famiglie duramente colpite dalla crisi. Ecco che cosa ci ha detto Pietro Giordano, Segretario Generale Adiconsum Cisl Nazionale e consigliere di “Speranza al lavoro“.

Ci sono meno imprenditori suicidi e l’attenzione dei media sul fenomeno cala. Ma i problemi rimangono aperti, vero?
I mass media classici cavalcano il caso quando scoppia, ma se poi l’interesse scema tendono a dimenticarsene. Speriamo che il fenomeno non si riaccenda in modo clamoroso, ma la situazione resta grave. Lo dico perché, dal momento che gestiamo anche un centro antiusura, abbiamo i dati reali di una crescita dell’indebitamento rispetto al fabbisogno di sostegno economico. E questo non solo tra i lavoratori dipendenti o i pensionati, ma anche tra gli artigiani e i commercianti, che si trovano in condizioni di estrema difficoltà.

Quindi le “grida di aiuto” delle imprese e delle famiglie vi arrivano ancora numerose?
A “Speranza al lavoro” continuano a pervenire decine di richieste di sostegno, sia economico – anche se non è questa la nostra mission – sia di tipo psicologico. Sono spesso famiglie nella più completa solitudine, che quando sono in difficoltà non possono più contare sul supporto di parenti e amici, che scompaiono all’orizzonte. La richiesta è quella di avere un punto di vista stabile a cui aggrapparsi. Sono famiglie e imprenditori con risorse economiche ormai scarse o nulle, che devono sostenere spese, magari schiacciate dal peso delle cartelle esattoriali. Per questo abbiamo a loro disposizione anche dei tributaristi gratuiti.

Come far sì che l’attenzione non cali?
Vorremmo realizzare un grande convegno e una serie di iniziative di sensibilizzazione in tutta Italia, nelle piazze, rispetto a un fenomeno che ora è sotto traccia, ma non è di certo sparito.

Da che zone proviene chi si rivolge a “Speranza al lavoro”?
Provengono per la maggior parte dal Centro-Nord, dove ci sono aree a maggiore produttività: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia… Le segnalazioni però stanno diventando man mano sempre più uniformi sul territorio nazionale, segno che la crisi è dura e moltissimi sono i default. La maggior parte delle piccole aziende coincide infatti con la famiglia, per cui il default non è solo dell’impresa ma di un intero sistema familiare: un fallimento non solo imprenditoriale ma anche personale. O meglio, lo si vive come un fallimento personale, ma a tutto c’è rimedio. Il messaggio che parte dagli operatori di “Speranza al lavoro” è che c’è sempre una possibilità di risalire, bisogna reagire. Che poi è quello che vuol sentirsi dire chi si rivolge a noi.

Spesso molte imprese falliscono perché lo Stato insolvente è il loro primo creditore? Come giudicate questi episodi?
Li giudichiamo molto male. Lo Stato è lontano dal cittadino e dalle imprese e un aspetto del dramma è proprio quello del ritardo nei pagamenti della PA, che mettono in difficoltà tante piccole imprese. Sulle quali poi, magari, interviene Equitalia e le manda in default per poche migliaia di euro, senza pensare che sta dando il colpo di grazia a una famiglia ormai moribonda. L’ennesima dimostrazione che lo Stato non è vicino alle imprese.

Che cosa serve per cambiare la rotta?
Uscire dalla spirale. Abbiamo avuto grande speranza nel governo Monti nella sua prima fase, ma con il passare dei mesi ci siamo resi conto che le caste che bloccano lo sviluppo del Paese sono troppo potenti. Tutti si dicono liberali, ma con gli altri, non con se stessi. Da noi vengono imprenditori che magari per 2000 euro di scoperto con lo Stato si vedono tagliato il fido e buttati letteralmente in mezzo alla strada. Ci dovrebbero essere delle normative che equiparano lo Stato al cittadino: tra i due attori non ci deve essere uno più forte e uno più debole, altrimenti si continuerà a viaggiare a due velocità, come nel caso degli interessi pagati dal cittadino rispetto a quelli da lui vantati nei confronti dello Stato.

Perché è così forte la tendenza a sovrapporre il fallimento professionale a quello personale?
Perché, soprattutto negli Anni ’80, è stato equiparato il successo personale a quello aziendale o professionale, una equazione che è diventata una maledizione per tante persone. Da quegli anni in poi il successo personale non è più coinciso con la ricchezza interiore o la vita familaire serena, ma si è sovrapposto a quello economico. Un tempo la famiglia era il porto sicuro che salvava le persone, ora spesso, come già detto, il default economico coincide con il default familiare: non è una parte della tua vita che finisce, ma tutta la vita, ecco perché la gente si uccide. Un dramma figlio di una cultura che porta a credere che l’opulenza economica sia sinonimo di felicità.

Un appello agli imprenditori in difficoltà.
Mai abbandonare la speranza, non aspettare mai l’ultimo momento per chiedere aiuto a qualcuno. Spesso situazioni tragiche sono tracollate perché sono arrivate a noi all’ultimo minuto, se prese prima sarebbero state sanate o si sarebbero evolute diversamente. Il fallimento di un’azienda non è mai un fallimento personale, la ricchezza dei rapporti è quella che sostiene l’uomo, lì bisogna puntare.