Federauto: gettito da carburanti in calo, il Governo rifletta

Federauto tuona ancora contro il governo. Questa volta gli strali partono dopo che, a dicembre, il gettito fiscale di benzina e gasolio ha segnato un calo del 7,2%, come rilevato dal Centro Studi Promotor. Un segnale che, per Federauto, è “l’ennesima conferma di una nefasta gestione di tutto ciò che riguarda l’automotive adottata in particolare dall’ultimo Governo”.

Per Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti i marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, camion e autobus “ai 2,6 milardi di euro che quest’anno rischiano di mancare all’appello come conseguenza al calo del gettito dei carburanti, si aggiungono i 3 miliardi di euro di mancati introiti per lo Stato nel 2012 (tra Iva e tasse varie) perché gli italiani non comprano più autoveicoli“.

Ai ‘signori delle tasse’ – ha aggiunto il presidente di Federautosta tornando indietro un boomerang di dimensioni colossali, e la notizia di oggi è la riprova che le tasse stanno uccidendo i consumi devastando l’occupazione nel nostro settore, fatta di 1,2 milione di addetti“.

Ci rivolgiamo perciò ai partiti impegnati nella tornata elettorale – ha concluso Cesare De Lorenzi, neo vicepresidente della Federazione – al fine di comprendere se anche dal prossimo esecutivo si persevererà con il Risiko sugli autoveicoli o qualcuno, come speriamo, abbia intenzione di attuare programmi più costruttivi in favore della nostra filiera, e quindi dell’intero Paese“.

Crisi dell’auto, le colpe di governo e costruttori

Nell’intervista pubblicata ieri su Infoiva, il presidente di Anfia Roberto Vavassori ha fatto un’analisi cruda ma lucida e realistica delle difficolta che, in Italia, affliggono la filiera del settore auto. Uno dei protagonisti di questa filiera è senza dubbio il comparto delle concessionarie.

Federauto le rappresenta e per bocca del suo presidente, Pavan Bernacchi, lancia l’allarme sulla tenuta del sistema, avanza proposte per ridare ossigeno al mercato ma formula anche dure accuse tanto al governo quanto ai costruttori. Perché se la crisi è di sistema, per uscirne bisogna fare sistema anziché procedere in ordine sparso. E se un attore va a fondo, si trascina dietro tutti gli altri.

Leggi l’intervista al presidente di Federauto Filippo Pavan Bernacchi

Federauto al governo: via i “disincentivi” al settore

di Davide PASSONI

Dopo Anfia, riflettori puntati oggi, per il focus di Infoiva sulla filiera dell’auto italiana, su Federauto, la Federazione Italiana Concessionari Auto. Perché ogni concessionario è una piccola impresa e, come tale, soffre i morsi della crisi globale, oltre a quelli della crisi dell’automobile. La parola al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
La filiera dell’automobile in Italia, dalla produzione alla commercializzazione, fattura l’11,4% del Pil, partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e occupa con l’indotto 1 milione e 200mila persone. Questi dati reggono con un mercato medio di 2 milioni di vetture immatricolate all’anno. Nonostante la media degli ultimi 5 anni dia proprio 2 milioni, il 2011 è stato il primo anno dove siamo andati abbondantemente al di sotto della soglia di sopravvivenza del settore: 1 milione e 748mila unità. Il 2012 sta flettendo del 20% rispetto a un anno pessimo, il 2011, e si concluderà attorno ai 1 milione e 370mila pezzi. In questo mercato le vendite ai privati, alle famiglie, scendono sotto il milione di pezzi, il resto riguarda le vendite ad aziende, a noleggi e autoimmatricolazioni delle case e dei concessionari: i famigerati chilometri zero. Con 1 milione e 370mila pezzi crollerà la filiera; e si prevede che il 2013 si attesterà sugli stessi volumi. Chi soffre di più? I concessionari italiani di tutti i brand commercializzati in Italia che pur distribuendo per il 70% prodotto straniero, sono tutte PMI italiane che pagano le tasse in Italia, locali e nazionali, e danno occupazione. I Costruttori, tutte multinazionali, possono recuperare le perdite italiane nei mercati esteri, tipo Brasile, India e Cina, mentre i concessionari Italiani vivono o muoiono all’interno dei confini nazionali. Il problema principale è che sono a rischio ben 220mila posti di lavoro. Gli addetti passeranno così dagli ammortizzatori sociali, largamente utilizzati, alla disoccupazione. Tasse che mancano all’appello, contrazione di volumi, disoccupazione esponenziale ma lo Stato è completamente assente. Anzi, ha varato solo provvedimenti per distruggere la filiera.

Anche sul fronte dei veicoli commerciali la situazione è tutt’altro che rosea …
Se le auto sono la spesa più elevata, dopo gli immobili, che si trova ad affrontare una famiglia o un’impresa, lo stesso vale per i veicoli commerciali e industriali. Sono mezzi per il business. Ma se l’economia stagna, l’edilizia e il commercio sono in crisi nera, dei veicoli commerciali non c’è bisogno e chi ce l’ha, spesso, non può cambiarlo o preferisce stare alla finestra per capire ciò che accade. Essendo mezzi di lavoro sono i primi ad andare in crisi ma, se e quando ci sarà una ripresa, saranno i primi a ripartire. Ora fanno un -30% circa, ma erano già scesi lo scorso anno.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
L’umore è pessimo. Siamo nel centro di un lungo tunnel buio di cui non si vede l’uscita. Questo a causa sia della crisi internazionale, sia dei “disincentivi” varati dal governo Monti. Una valanga di tasse e balzelli per colpire gli autoveicoli e gli automobilisti: aumenti di Iva, IPT, bolli, accise, Rc, pedaggi e varo del superbollo per le auto prestazionali. Sembra che si faccia di tutto per uccidere l’autoveicolo. E il primo danneggiato è lo Stato che, per effetto della contrazione dei volumi, introiterà 3 miliardi di tasse in meno dalla nostra “mucca da mungere”. Ma se ammazzano la mucca non potranno più avere latte. I concessionari sono basiti anche dall’immobilismo dei manager dei Costruttori che non riescono a convincere i loro vertici che per il mercato Italia ci vuole una ricetta diversa rispetto agli altri paesi europei, che passa attraverso l’alleggerimento o la soppressione degli standard, l’eliminazione dei meccanismi legati solo alle quantità e ai volumi, in un mercato che non tornerà più ai fasti di una volta. I concessionari da 3 anni chiedono di rivedere integralmente le regole della distribuzione ma i Costruttori pensano solo a produrre più auto di quello che il mercato può assorbire, questo perché il nostro mondo è malato da tempo. E questa è la madre di tutti i problemi. L’altra chiave di lettura, come espresso l’8 settembre su Sky dal direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi, è che le Case guardano solo alle quote di mercato, ossia quante vetture ogni 100 auto vende una marca, senza invece darsi obiettivi di redditività. E’ anche per questo che moltissimi producono in perdita, i casi eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, e distruggono i margini delle reti di distribuzione. Un sistema ormai marcio fino al midollo destinato a scoppiare come una bolla finanziaria.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
Fiat soffre in Europa al pari degli altri Costruttori; ricordo che spesso anche quelli che fanno volumi non fanno utili nella zona Euro. Questo a causa di una lotta sui prezzi senza quartiere. Ci si dimentica sempre che quando è arrivato Marchionne, Fiat era un’azienda virtualmente fallita e ora ha accesso ai grandi mercati mondiali. Lo scarico delle multinazionali, tutte, sulle concessionarie è un gioco antico che si poteva praticare quando c’erano margini positivi. Ora è difficile estrarre sangue da un muro, cioè dai dealer. Inoltre se le vetture vanno distribuite attraverso i Concessionari, e si vogliono avere i clienti soddisfatti che poi possono diventare fedeli anche all’assistenza, bisogna che in primis i Concessionari siano soddisfatti, anche economicamente. Solo chi guadagna può lavorare bene, investire, e disporre di personale motivato per incontrare le aspettative della clientela.

L’auto in Germania, invece, continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
In Germania c’è un ricorso abnorme alle chilometri zero per cui “non è tutto oro quello che luccica”. Che la crisi sia il momento per intervenire e costruire un presente e un futuro diverso non c’è dubbio. Ma i Costruttori, l’altra metà della luna, sono spesso assenti. Non vale per tutti e per tutti i marchi, ma per la stragrande maggioranza.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Nel 1964 c’erano un’infinità di dealer e di marche in meno. Ergo: concorrenza molto blanda rispetto all’esasperazione odierna. E con gli stessi volumi i concessionari marginavano moltissimo. Il paragone quindi non tiene. Gli italiani, privati e aziende, sono da un lato uccisi dalle tasse, oramai a livelli indecenti, dall’altro colpiti dalle chiusure dei negozi, delle imprese, dalla delocalizzazione, dalla perdita, in ultima analisi, di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza che i disoccupati trovino chance in altri settori. E anche chi potrebbe spendere ha paura e si è bloccato in attesa degli eventi. Che fare? Esattamente il contrario della cura Monti: meno tasse sulle aziende, perno della nostra economia, meno tasse sulle buste paga dei dipendenti, meno accise e: tagliare la spesa pubblica senza se e senza ma. Via tutte le Province, via tutte le auto blu, grigie e bianche, abbassare le RCA fissando il limite ai risarcimenti e contrastando le truffe, fissare un tetto massimo ai costi dei carburanti. Insomma: far ripartire questo paese, tenere le aziende in Italia, cercare di attrarre con degli sgravi gli investitori esteri. Ma io non sono un Professore universitario per cui se la ricetta Monti piace, avrà ragione lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Che cosa chiede Federauto al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
Che ritiri i “disincentivi”, li annulli. Che vari un piano per lo svecchiamento del circolante triennale, a scalare e non legato a un fondo a esaurimento. Piano che si autofinanzierebbe. Che annulli il porcellum varato per agevolare le auto a basso impatto ambientale che partirà il 1 gennaio 2013. Un piano che è una bufala e che farà buttare allo Stato centinaia di milioni di euro, destabilizzerà il mercato e non produrrà solo che danni e confusione. Piano varato contro tutti, dico tutti, gli attori della filiera. Che allinei la fiscalità delle auto aziendali ai principali Paesi europei. Che vari un tavolo di lavoro permanente perché la mobilità di domani va costruita con le scelte di oggi. Di considerare che occupiamo 1 milione e 200mila occupati e che versiamo il 16,6% delle tasse totali nazionali e che penalizzando noi, o non dandoci ascolto, alla fine penalizzano l’intero sistema-Paese.

Ecoincentivi per risollevare il settore delle automobili

di Vera MORETTI

Un plebiscito a favore degli ecoincentivi: bel il 95,5% dei concessionari italiani, infatti, li ritiene fondamentali per poter uscire dalla situazione, assai stagnante, che ha colpito il settore delle automobili.

Le vendite, infatti, hanno subito una contrazione del 44% rispetto al 2007 e per questo si richiede a gran voce “un piano triennale per svecchiare i 14 milioni di autoveicoli che hanno più di 10 anni, auto che inquinano e che spesso non sono dotate di dispositivi oggi irrinunciabili come Abs, Airbag, Esp“.

Federauto ha presentato questo progetto al governo e prevede stimoli alla domanda da parte dello Stato fino alla ripresa naturale del mercato, che gli analisti prevedono possa avvenire dal 2015.

Così è stato spiegato da Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto: “Si tratta di un piano a tutela di migliaia di imprese ma soprattutto dell’occupazione di un settore che sino a oggi ha garantito 1,2 milioni di posti di lavoro“.

Obiettivo è riportare il mercato alla vendita di 2 milioni di pezzi, in media con quanto registrato negli ultimi 5 anni.
Considerando che, su ogni auto venduta, ci sono 5.000 euro di Iva e tasse, per lo Stato si tratterebbe di un’operazione a costo zero.

L’iva più alta fa impennare i costi delle vetture

Il punto della situazione all’International Top Dealer Forum (Verona, 12-13 ottobre), appuntamento che riunirà i piu’ importanti concessionari europei dell’automobile. attraverso il contatto diretto con oltre 2.350.000 clienti finali all’anno, grazie alla vendita di auto nuove, usate e all’assistenza.

“All’Iva si dovrà poi aggiungere il surplus sull’Ipt: provvedimenti capestro che metteranno in panne il sistema italiano dell’automotive”. Così, intervistato da Quintegia (società trevigiana leader in Italia nei settori ricerca e formazione per l’automotive) Filippo Pavan Bernacchi ha quantificato il rincaro che peserà sugli acquirenti in seguito alla maggiorazione dell’Iva prevista dalla manovra finanziaria e in attuazione da domani.

“Nel 2010 nonostante i dati negativi, il settore auto ha comunque garantito alle casse dello Stato quasi 68 miliardi di euro, pari a circa il 16,6% dell’intero gettito fiscale nazionale, oltre alla più alta incidenza sul PIL di Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna” rileva Bernacchi.

Secondo il presidente di Federauto i nuovi freni all’acquisto di automobili rischiano quindi di mettere in ginocchio un settore che nei primi mesi di quest’anno ha gia’ perso l’11% nelle vendite di auto nuove, mentre il sistema di tassazione e’ in crescita continua (+1,2% nel 2010 sul 2009), a partire dalla tassa di possesso che da sola vale 6,6 mld di euro.

Solo in Italia i 50 maggiori concessionari danno lavoro a 11 mila addetti e movimentano quasi il 20% del mercato.

Marco Poggi

L’Iva al 21% preoccupa il mondo dell’auto


Non si spengono le polemiche e le perplessità suscitate dalla nuova manovra finanziaria. Questa volta a levare la propria voce di protesta è il settore dell’auto, preoccupato per i possibili contraccolpi che la decisione delle ultime ore di alzare l’aliquota ordinaria Iva al 21%.

Questa mattina il presidente di Federauto, l’associazione che raggruppa i concessionari ufficiali di tutti i marchi automobilistici commercializzati in Italia, Filippo Pavan Bernacchi auspicava “che non si percorressero le strade più facili come aumentare l’IVA, perché si metterebbe mano nelle tasche dei cittadini e si comprimerebbero i consumi, specialmente su beni costosi come immobili e autoveicoli. L’invito al Governo del presidente era a chiudersi in conclave, insieme alle parti sociali più significative, all’opposizione e ai maggiori attori coinvolti e di uscire con una manovra il più possibile condivisa ma, soprattutto: definita e definitiva. Se ci troviamo in queste condizioni di mancata crescita del PIL, mancata ripresa, debacle occupazionale, mancati introiti fiscali – precisava la nota di Federauto – è anche perché nessuno ha ancora voluto affrontare il rilancio del comparto della mobilità che in Italia fattura il 12% del PIL e interessa, nella sua globalità allargata, 1.600.000 lavoratori. Con impatti trasversali su circolazione, sicurezza e ambiente“.

Pavan ha inoltre avanzato alcune proposte per ripartire lo sforzo che in questo momento si rende necessario per la ripresa economica: l’eliminazione del doppio costo della Motorizzazione e del PRA e la cancellazione dell’aumento dell‘Imposta Provinciale di Trascrizione (IPT), che si ripercuote sempre sui cittadini per alimentare enti a suo parere inutili, ma è anche il parere di molti italiani, quali le Province.

Conclude la nota diramata stamani: “Si invita il Governo ad adottare quanto condiviso con gli attori dell’auto nell’apposito tavolo, perché aumentare questa imposta fino all’80% sarebbe profondamente ingiusto, soprattutto per i ceti più deboli che acquistano utilitarie“.

Alessia Casiraghi

Federauto chiede una maggiore tutela per il concessionario ufficiale e nuovi incentivi

Federauto ha presentato al Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, un documento evidenziando l’importanza che il mercato dell’auto riveste per l’economia del Paese.  Il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, e il past-president, Vincenzo Malagò hanno “consegnato e illustrato al Ministro un documento nel quale Federauto evidenzia che i 3.800 concessionari ufficiali di autoveicoli italiani fatturano il 6% del PIL impiegando 178.000 addetti, e che questi numeri, aggiungendo i costruttori e l’indotto, raddoppiano arrivando al 12% del PIL. Nel mondo dell’autoveicolo, inoltre, sommando concessionari, officine, costruttori, indotto diretto e “allargato”, si arriva a 1.600.000 addetti“.

Le vendite sono scese però al di sotto dei 2.000.000 di pezzi con un forte danneggiamento anche per lo Stato che vede così perdere 2 miliardi di euro di Iva e tasse. In secondo luogo grave è il problema dell’occupazione con 45.000 posti  di lavoro a rischio. Il mancato rinnovo degli incentivi per le vetture a basso impatto ambientale, ha fatto cadere la domanda di questi prodotti di quasi il 90%, compartecipando ad incrementare la crisi del settore.

Secondo gli esperti per tornare ad una situazione buona occorrerà aspettare il 2014, prima di tale data occorre però fare il possibile per evitare crolli eccessivi e irreversibili. Federauto è convinta della necessità di tutela della figura del concessionario ufficiale verso i venditori indipendenti e agevolazione di una legislazione nazionale che riequilibri i rapporti concessionari-costruttori oltre che la proposta di incentivi strutturati e non di breve durata.

Mirko Zago