Meglio un giorno da manager che…

Il salario netto mensile medio di un lavoratore italiano nel 2013 è pari a 1.327 euro. Medio. Impietosi, ovviamente, tutti i rapporti con le altre nazioni, ad iniziare dalla Germania dove un lavoratore guadagna mediamente “6mila euro in più all’anno”. E non è un problema (solo) di pressione fiscale, cioè di differenza fra salario lordo e netto, come sottolinea il segretario della Fisac, Agostino Megale, “quando sette milioni di lavoratori incassano meno di mille euro al mese vuol dire che il lavoro in Italia è pagato poco, punto e basta”.

Secondo il rapporto Poveri salari, mai titolo fu più azzeccato, della Fisac-Cgil, si evince, tra le altre cose, come un lavoratore dipendente debba lavorare “ben oltre due secoli” per guadagnare come un anno da top manager: “Nel 1970 un manager guadagnava 20 volte più di un operaio mentre oggi arriviamo a picchi oltre le duecentocinquanta volte” ha sottolineato mesto il segretario Megale.

E fosse solo un problema di titolo di studio: “Un giovane neolaureato, peraltro mediamente precario – osserva Megale – se va bene oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro mensili fino a 35 anni, mentre sette milioni di pensionati percepiscono meno di 1.000 euro mensili”.

Jacopo MARCHESANO

In Italia, ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri

Il divario tra ricchi e poveri è, almeno in Italia, sempre più accentuato.
Un’indagine sui salari condotto da Fisac Cgil ha infatti evidenziato come poco meno della metà della ricchezza totale sia detenuta dal 10% delle famiglie, mentre il resto, circa il 53%, sia suddiviso tra il restante 90%.

Questo avviene anche a causa della sproporzione dei salari tra un semplice lavoratore dipendente, che guadagna 26 mila euro lordi e quello di un amministratore delegato o top manager, che, in media, percepisce 4,326 milioni.

Agostino Megale, segretario generale della Fisac, dichiara che questi numeri indicano “un distacco enorme che richiede subito una legge che imponga un tetto alle retribuzioni dei top manager. In questi sei anni di crisi il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni si è più che dimezzato mentre non hanno subito alcuna flessione i compensi dei top manager, così come nessuna incidenza ha subito quel 10% di famiglie più ricche, determinando e incrementando la vera forbice delle diseguaglianze”.

Al fine di tamponare una situazione destinata a diventare insostenibile, Megale propone di realizzare il lancio di un disegno di legge di iniziativa popolare, accompagnato dalla raccolta di centinaia di migliaia di firme, ma non solo.
Unitamente a ciò, infatti, chiede “la presentazione da parte del centrosinistra della legge di iniziativa parlamentare per porre un tetto alle retribuzioni nel rapporto uno a venti, immaginando che in tempi di difficoltà come questo le quote eccedenti di compensi dei top manager possano essere versate in un fondo di solidarietà per favorire un piano di occupazione per i giovani”.

Vera MORETTI