Le prostitute possono pagare le tasse

In un Paese in cui le tasse abbondano e nessuno le vuole pagare, c’è una categoria di professioniste che pur di vedere riconosciuto il loro diritto è pronta a scendere in piazza a manifestare. Durante la puntata di ieri de Le Iene, Matteo Viviani ha affrontato ancora una volta il tema della regolamentazione della prostituzione prendendo in esame il caso di Gaia, oggi naturopata con un passato da escort da 1.500 euro a serata.

Nei giorni scorsi alla giovane brasiliana figlia di un diplomatico sono arrivate quattro cartelle esattoriali nelle quali lo Stato le chiedeva 50 mila euro in quanto il suo veniva considerato “lavoro autonomo” in quanto svolgeva «tutta una serie di attività strettamente correlate all’attività di prostituta, come massaggi, massaggi sexy, consentiva che il proprio cliente potesse fruire della vasca idromassaggio e accompagnava in giro il proprio cliente» come ha dichiarato il direttore dell’Agenzia delle entrate della Lombardia. Secondo il dirigente, intervistato da Viviani, queste mansioni possono essere qualificate come attività di servizi alla persona altrimenti non classificabili e potrebbero essere tassabili se riconducibili a professioni tipo «massaggiatrice, accompagnatrice e segretaria particolare». Andando a spulciare fra le diverse classificazioni delle attività economiche ATECO, la più consona risulta essere quella della massaggiatrici (Servizi per il benessere fisico), più ambigue risultano essere le descrizioni per le accompagnatrici che si suddividono in accompagnatrice della natura e accompagnatrice turistica, mentre non c’è traccia della “segretaria particolare” citata dal dirigente lombardo. Per ora aprire una partita Iva per le prostitute è ancora un’ impresa ai limiti dell’impossibile, ma presto sarà possibile, se non regolarizzare in generale la loro posizione, almeno definire in modo chiaro la loro posizione amministrativa senza dover utilizzare stratagemmi burocratici…

Jacopo MARCHESANO

Tassare la prostituzione: come?

Per il mestiere più antico del mondo è giusto che, in Italia, si continui a portare avanti una discussione antica quanto il mondo: perché non far pagare le tasse alle prostitute? Recentemente un disegno di legge in materia punta a mettere ordine in questa spinosa questione, tanto che noi di INFOIVA abbiamo pensato di dedicare il focus settimanale a questo annoso dibattito. Ma come stanno, oggi le cose? Come, eventualmente, tassare la prostituzione?

La senatrice del Pd Maria Spilabotte, che ha presentato il ddl insieme ad altre parlamentari, vorrebbe per le prostitute l’apertura della partita Iva, l’iscrizione alla Camera di Commercio e il rilascio di un certificato di qualità e di un patentino. Si creerebbe così un esercito di imprenditrici di sé stesse con anche la possibile nascita di cooperative dove esercitare insieme. Un bel cespite dove lo Stato potrebbe attingere a piene mani; senza contare che l’ipotesi di tassare i redditi delle prostitute, oltre a creare gettito per le casse dello Stato, potrebbe tutelare le stesse prostitute, sottraendole a sfruttamento e racket.

Bisogna però bilanciare un punto fondamentale. Se va considerata l’esigenza economica e di equità fiscale per cui ogni reddito dev’essere tassato a prescindere dall’attività che lo produce, non bisogna dimenticare che lo Stato non potrebbe fare cassa su redditi che derivano da attività illecite. Anche se la prostituzione non è un’attività illecita dal punto di vista penale poiché viene considerato reato solo il suo “sfruttamento”, questa è però tra le attività cosiddette “contrarie al buon costume” che, in base all’art. 2035 del Codice civile, non danno diritto alla esigibilità di un compenso.

Un punto di vista che vale per la cittadina prostituta, la quale non può muovere causa a un eventuale cliente che non la paga, ma anche per lo Stato, che non può guadagnare da un reddito che ritiene contrario alla moralità. In realtà l’impasse sarebbe già superato dalla legge Visco-Bersani del 2006 che stabiliva che questi redditi, pur non rientrando nelle classificazioni classiche, rientrano nella voce residuale “redditi diversi”, sui quali è necessario pagare le tasse. Ma la cosa è rimasta lettera morta.

Un altro escamotage è quello di considerare il reddito della prostituta come una spesa per il cliente che, se svelata, sarebbe un indicatore del suo tenore di vita: leggi redditometro. Come si vede, le vie della tassazione sono infinite. Ma con le prostitute pare una battaglia persa.