Tassare la prostituzione: come?

Tassare la prostituzione: come?

Per il mestiere più antico del mondo è giusto che, in Italia, si continui a portare avanti una discussione antica quanto il mondo: perché non far pagare le tasse alle prostitute? Recentemente un disegno di legge in materia punta a mettere ordine in questa spinosa questione, tanto che noi di INFOIVA abbiamo pensato di dedicare il focus settimanale a questo annoso dibattito. Ma come stanno, oggi le cose? Come, eventualmente, tassare la prostituzione?

La senatrice del Pd Maria Spilabotte, che ha presentato il ddl insieme ad altre parlamentari, vorrebbe per le prostitute l’apertura della partita Iva, l’iscrizione alla Camera di Commercio e il rilascio di un certificato di qualità e di un patentino. Si creerebbe così un esercito di imprenditrici di sé stesse con anche la possibile nascita di cooperative dove esercitare insieme. Un bel cespite dove lo Stato potrebbe attingere a piene mani; senza contare che l’ipotesi di tassare i redditi delle prostitute, oltre a creare gettito per le casse dello Stato, potrebbe tutelare le stesse prostitute, sottraendole a sfruttamento e racket.

Bisogna però bilanciare un punto fondamentale. Se va considerata l’esigenza economica e di equità fiscale per cui ogni reddito dev’essere tassato a prescindere dall’attività che lo produce, non bisogna dimenticare che lo Stato non potrebbe fare cassa su redditi che derivano da attività illecite. Anche se la prostituzione non è un’attività illecita dal punto di vista penale poiché viene considerato reato solo il suo “sfruttamento”, questa è però tra le attività cosiddette “contrarie al buon costume” che, in base all’art. 2035 del Codice civile, non danno diritto alla esigibilità di un compenso.

Un punto di vista che vale per la cittadina prostituta, la quale non può muovere causa a un eventuale cliente che non la paga, ma anche per lo Stato, che non può guadagnare da un reddito che ritiene contrario alla moralità. In realtà l’impasse sarebbe già superato dalla legge Visco-Bersani del 2006 che stabiliva che questi redditi, pur non rientrando nelle classificazioni classiche, rientrano nella voce residuale “redditi diversi”, sui quali è necessario pagare le tasse. Ma la cosa è rimasta lettera morta.

Un altro escamotage è quello di considerare il reddito della prostituta come una spesa per il cliente che, se svelata, sarebbe un indicatore del suo tenore di vita: leggi redditometro. Come si vede, le vie della tassazione sono infinite. Ma con le prostitute pare una battaglia persa.