IMU: alle aziende costerà 1.159 euro l’anno

di Alessia CASIRAGHI

Stangata in arrivo per le imprese nel 2012 con l’introduzione dell’imu prevista dalla nuova manovra finanziaria. ”Nel 2012, l’introduzione dell’Imu comporterà un aumento medio delle imposte a carico delle attività economiche pari a 1.159 euro” denuncia Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. E per artigiani e industriali il conto finale potrebbe essere davvero salato, superando la cifra stellare di 1.500 euro all’anno.

I dati sono il frutto di una simulazione degli effetti economici che l’Imu potrebbe avere sui bilanci delle aziende italiane. Dal 2012, l’Imu interesserà le prime case, assorbirà l’Ici e l’Irpef sui redditi fondiari delle seconde case e sostituirà l’Ici sugli immobili strumentali. L’aliquota Imu, applicata agli uffici, ai negozi commerciali o ai capannoni produttivi, secondo le stime sarà nel 2012 del 7,6 per mille, mentre per il calcolo dell’Ici, si è fatto ricorso all’aliquota media nazionale applicata dai Comuni nel 2009, il 6,4 per mille.

L’equazione elaborata dalla Cgia tiene conto della rivalutazione dei coefficienti moltiplicatori applicati alle rendite catastali, che, a conseguenza del decreto ”salva-Italia”, sono passati da 34 a 55 per i negozi e le botteghe, da 50 a 80 per gli uffici e gli studi privati, da 100 a 160 per i laboratori artigianali e da 50 a 60 per i capannoni industriali e gli alberghi.

Il risultato? L’applicazione dell’Imu nel 2012 aumenterà la pressione fiscale sugli immobili produttivi di proprietà delle aziende per un valore complessivo di 1,57 miliardi di euro – pari ad un aumento medio per ciascuna azienda di 1.159 euro l’anno.

Ma come si arriva a questo coefficiente? 219,5 milioni di euro spetteranno ai negozianti (aumento pro azienda pari a 569 euro), 262 milioni di euro verranno distribuiti tra i liberi professionisti (+949 euro per ciascun proprietario), mentre 1,09 miliardi di euro saranno suddivisi tra gli industriali e gli artigiani (incremento annuo per ciascun imprenditore pari a 1.566 euro).

“Il risultato emerso da questa elaborazione ha confermato la grande preoccupazione sollevata in questi giorni da molti osservatori: lo scambio tra l’Ici e l’Imu rischia di non portare nessun vantaggio alle imprese – precisa Giuseppe Bortolussi. – Anzi è molto probabile che, se non saranno introdotte delle modifiche applicative, dal 2012 le imprese ed i liberi professionisti subiranno un ulteriore aggravio fiscale difficilmente sostenibile”.

L’esercito degli evasori totali

Tra il 2001 e il 2010 la Guardia di Finanza ha svolto un lavoro ciclopico di lotta all’evasione fiscale e al lavoro nero. Secondo un’laborazione dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, nel periodo indicato sono stati scovati quasi 350mila lavoratori in nero ed evasori totali e paratotali. L’imponibile recuperato dal contrasto all’evasione si aggira attorno ai 230 miliardi di euro: un valore leggermente superiore al Pil di Piemonte e la Toscana.

Secondo il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, “se facciamo una media molto trilussiana possiamo dire che in questi ultimi 10 anni sono venuti a ‘galla’ mediamente oltre 63 milioni di euro al giorno“.

Riguardo alla crescita dell’imponibile recuperato, in termini assoluti si è passati dai 15,28 miliardi accertati nel 2001 ai 49,24 “recuperati” nel 2010: +222% nel decennio.

Non è un caso – dice ancora Bortolussiche l’imponibile accertato abbia assunto dimensioni rilevanti negli ultimi 4 anni. Il merito va alla politica adottata dall’Amministrazione finanziaria che ha intensificato in maniera encomiabile l’azione contro i grandi evasori e coloro che sono completamente sconosciuti al fisco“.

Se sarà introdotta la cosiddetta patrimoniale – prosegue-, a pagare non saranno, ancora una volta, solo coloro che sono conosciuti al fisco, mentre chi è un evasore totale la farà franca ancora una volta? Quindi, non è meglio potenziare l’attività di contrasto alla grande evasione che in questi ultimi anni ha dato ottimi risultati?“.

Parlando di persone, nel periodo in esame ne sono state scoperte quasi 350mila: 81.770 evasori totali (persone completamente sconosciute al fisco) e paratotali (contribuenti che hanno occultato oltre il 50% del loro giro d’affari) e altri 267.355 che svolgevano un’attività completamente o del tutto in nero.

Secondo l’Istat, però, in Italia l’imponibile sottratto ogni anno al fisco attorno è di circa 250/275 miliardi di euro. Se nel 2010 sono stati recuperati poco meno di 50 miliardi, significa che siamo ancora intorno al 20% del totale stimato.

Attenzione a distinguere bene tra imponibile accertato e riscossione effettiva, ossia i soldi che concretamente finiscono nelle casse dell’Erario dopo i vari livelli di giudizio. “Ebbene – conclude Bortolussile riscossioni effettive, seppur in forte aumento negli ultimi anni, si aggirano attorno al 10-12% dell’imponibile accertato. Un risultato ancora contenuto che va assolutamente migliorato“.

Microimprese italiane a rischio usura

Il 51,3% delle microimprese italiane che si sono rivolte a una banca negli ultimi tre mesi ha denunciato un aumento delle difficoltà nell’accesso al credito. A questo si aggiunge il 37% che ha accusato un peggioramento dei rapporti con il sistema bancario. Sono questi i due principali e inquietanti risultati emersi da un’indagine commissionata dalla CGIA di Mestre a Panel Data, su un campione di 800 microimprese (meno di 20 addetti) distribuite su tutto il territorio nazionale.

L’indagine telefonica, realizzata tra il 13 e il 17 ottobre, ha avuto l’obiettivo di verificare, a seguito dell’aggravarsi della crisi economica e finanziaria, se i rapporti tra le microimprese con meno di 20 addetti (pari a circa il 98% del totale delle imprese presenti in Italia) e il sistema bancario sono peggiorati. Dalle risposte emerse, viene confermata la tesi che si sospettava: le banche stanno chiudendo sempre di più i rubinetti del credito.

Lapidario il commento del segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “L’aumento dei costi, dei tassi bancari, la richiesta di maggiori garanzie e le difficoltà sempre più crescenti nell’accesso al credito sono le cause che hanno deteriorato il rapporto tra le piccolissime aziende e il sistema creditizio. L’area geografica che ha maggiormente risentito di questa situazione è il Nordovest: quasi un’azienda intervistata su due, il 48,9%, ha denunciato questo peggioramento“.

Anche nel settore del credito cresce il numero degli “sfiduciati” tra gli imprenditori, coloro che hanno deciso, nonostante i grossi problemi di liquidità che si sono aggravati con la crisi, di non ricorrere all’aiuto di una banca. Infatti, l’86,2% degli intervistati ha dichiarato che non si rivolgerà a un istituto  nei prossimi tre mesi. “Un segnale preoccupante – commenta ancora Bortolussidettato, come dimostra anche questa indagine, dalle misure sempre più restrittive imposte dalle banche alle imprese. Pertanto, questa situazione rischia di indurre molte imprese, soprattutto al Sud, a ricorrere a forme di approvvigionamento del credito in maniera irregolare, con il pericolo di un forte aumento dell’usura e delle attività estorsive“.

Spesa pubblica, l’accusa della CGIA

Un’altra, impietosa fotografia della spesa pubblica italiana scattata dalla CGIA, che in uno studio ha ecidenziato come tra il 2000 e il 2010 questa sia aumentata, al netto degli interessi sul debito, di 141,7 miliardi di euro (l’importo riferito al 2000 è stato rivalutato al 2010), pari al +24,4%. L’anno scorso, la spesa ha raggiunto quota 723,3 miliardi di euro: in rapporto al Pil, sempre nel 2010, le uscite pubbliche dello Stato hanno raggiunto il 46,7%, +6,8 punti rispetto a 10 anni prima. Sempre nel 2010, infine, lo Stato ha speso 11.931 euro per ogni cittadino italiano: 1.875 euro in più rispetto al 2000.

La parte del leone (se così si può dire…) la fanno le spese correnti, riconducibili per la maggior parte agli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego e alle prestazioni sociali: 93,2% del totale della spesa pubblica. Secondo la CGIA, i redditi dei dipendenti del pubblico impiego sono aumentati del +12,9%, i consumi intermedi (manutenzioni, affitti, energia elettrica, acqua, gas, materiale di consumo, etc.), sono cresciuti del 24,9%, gli acquisti di beni e servizi da destinare ai privati (medicinali, apparecchiature sanitarie, etc.) sono lievitati del +34,6%, le prestazioni sociali hanno fatto segnare un +24,6%.

Tagliente l’analisi di Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Il trend di crescita registrato dalle uscite pubbliche nell’ultimo decennio dimostra che è necessario invertire le politiche di bilancio sin qui realizzate. Non è più possibile agire prevalentemente sul fronte delle nuove entrate per riportare in ordine i nostri conti pubblici. Bisogna, invece, intervenire sulla spesa pubblica improduttiva. In questi giorni sentiamo echeggiare, dopo che i cittadini hanno subito in questi ultimi mesi una raffica di nuove tasse ed imposte, la possibile introduzione di una patrimoniale o, come ha suggerito la Banca d’Italia, il ripristino dell’Ici sulla prima casa. Se ciò si verificasse, darebbe luogo ad un ulteriore aumento del carico fiscale che deprimerebbe ancor più la capacità di spesa delle famiglie italiane che già oggi si trovano in una situazione di estrema difficoltà”.

Clicca qui per scaricare il documento della CGIA.

Lavoro in nero nuovo ammortizzatore sociale?

I lavoratori in nero, ovvero coloro che, pur producendo e guadagnando, rimangono invisibili agli occhi del Fisco, sono quasi 3 milioni.

Si tratta di una cifra enorme, se si considera che questo piccolo esercito produce circa 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5 del Pil nazionale.

Per quanto riguarda le risorse pro capite, si tratta di evasioni fiscali annue di 709 Euro di media.

Sono dati resi noti dalla Cgia di Mestre, commentati così dal segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: “L’economia sommersa ha ormai assunto connotati molto preoccupanti. Tuttavia, le differenze territoriali sono evidentissime. Oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, sempre additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno.”

La regione più ad richio risulta essere la Calabria, con 184.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3% e 1.333 euro di imposte evase.

Questa situazione, ovviamente, non giova al Paese e certo non contribuisce a farlo risollevare. Anzi, a questo proposito, le stime che riguardano la condizione economica e finanziaria italiana sono da correggere per difetto.

Anche se, Bortolussi vuole aggiungere una provocazione, che dovrebbe far riflettere sullo stato in cui versa l’Italia: “Il sommerso costituisce un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno di noi vuole esaltare il lavoro nero, spesso legato a doppio filo con forme inaccettabili di sfruttamento, precarietà e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività riconducibili alle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena elencate, costituiscono, in questi momenti così difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese“.

Vera Moretti

Tassi di interesse: le imprese italiane perdono 2,6 miliardi

L’aumento dei tassi di interesse applicati alle imprese ha fatto schizzare la spesa delle aziende a 2,6 miliardi di euro. E’ l’allarme lanciato da Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre: ‘dall’inizio dell’anno ad oggi i principali tassi di interesse sono cresciuti in maniera significativa. Su uno stock odierno di oltre 924 miliardi di euro di prestiti erogati dalle banche alle imprese, questa repentina impennata dei tassi ha fatto salire le spese in capo alle aziende di ben 2,6 miliardi di euro.’

Se all’inizio del 2011 i tassi di interesse applicati alle imprese raggiungevano il 3,5 %, con il duplice aumento del tasso ufficiale di sconto e l’incremento del differenziale tra titoli italiani e bund tedeschi, il tasso di interesse è salito di 1 punto, arrivando al 4,5%. Molte aziende denunciano però in questi giorni situazioni anomale in cui il tasso di interesse raggiunge anche punte record del 10%.

Questa situazione sta facendo emergere il pericolo di una nuova stretta creditizia – ha sottolineato Bortolussi – con una grossa novità rispetto al recente passato. Se all’inizio della crisi molte piccole aziende rifiutate dai grandi istituti di credito si rifugiavano presso le Banche di Credito Cooperativo o i Confidi, adesso anche queste realtà non sono più in grado, perché a corto di liquidità, di fungere da sportello-rifugio’.

Per le imprese lombarde, le più penalizzate dagli aumenti dei tassi, la spesa ha raggiunto da inizio anno un totale di 724,7 milioni di euro, ovvero 874,3 euro. Meglio è andata alle imprese laziali, che hanno speso negli ultimi 9 mesi 286, 8 milioni di euro, ovvero 618,5 euro per aziende, mentre al terzo posto troviamo l‘Emilia Romagna con 286 milioni di euro di spesa, con un incremento pro azienda di 665,7 euro.

Alessia Casiraghi

La CGIA di Mestre: nel 2014 pressione fiscale al 54%

La CGIA di Mestre è abituata a fare i conti in tasca all’Italia e a denunciare, senza peli sulla lingua, le storture del nostro sistema fiscale ed economico. Ora, il segretario Giuseppe Bortolussi torna sulle manovre estive varate dal governo e lancia un allarme assai pesante: “Per i contribuenti onesti è sicuramente una notizia shock: nel 2014, gli effetti complessivi delle manovre correttive di luglio e di Ferragosto faranno schizzare la pressone fiscale reale oltre il 54%. Un livello che rischia di deprimere l’economia e gettare nello sconforto milioni e milioni di italiani fedeli al fisco“.

La CGIA di Mestre è giunta a questo risultato ricordando che il nostro Pil nazionale (pari, nel 2010, a oltre 1.548 miliardi di euro), include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, essendo sconosciute al fisco, non pagano tasse né contributi. Una cifra che, secondo l’Istat, si aggirerebbe tra i 255 e i 275 miliardi di euro all’anno. Ricordando che la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive e il Pil prodotto in un anno, nel 2010 la pressione fiscale ufficiale ha toccato il 42,6%.

Tuttavia, se si “storna” dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico che non produce alcun gettito per l’Erario, il Pil diminuisce (quindi si “contrae” il denominatore) e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Quindi, la pressione fiscale “reale” che grava su coloro che pagano correttamente le tasse è molto superiore a quella ufficiale calcolata dall’Istat che rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat.

Ebbene, se nel 2010 la pressione fiscale “reale” che pesa sui contribuenti italiani ha sfiorato una ipotesi massima del 51,7%, con gli effetti delle manovre correttive di luglio e di Ferragosto il raggiungimento del pareggio di bilancio farà impennare il carico fiscale sui contribuenti onesti sino a una ipotesi massima del 54,2%. Quasi 10 punti percentuali in più rispetto alla previsione di crescita della pressione fiscale ufficiale, che si dovrebbe attestare al 44,7%.

E Bortolussi non si fa sfuggire l’occasione di bacchettare l’Esecutivo: “Peccato che il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 lo otterremo grazie a un fortissimo aumento delle entrate che farà crescere le il peso fiscale, per coloro che le pagano, a un livello record mai raggiunto in passato. Infatti, oltre il 67% della sommatoria delle manovre di luglio e di Ferragosto sarà costituita da nuove entrate, per un importo complessivo poco superiore ai 98 miliardi di euro, di cui 95,9 di entrate tributarie“.

Bloccati 33 miliardi di euro di pagamenti dai Comuni

I Comuni bloccano 33 miliardi di euro di pagamenti, e “La causa di questo mancato pagamento  va ricercata nelle disposizioni previste dal Patto di stabilità interno, che per ragioni di contenimento della spesa pubblica, non consentono il pagamento di lavori o di forniture ricevute. Il paradosso è che in questa condizione di insolvenza si trovano molte realtà comunali che, pur avendo i soldi, non possono saldare le spettanze, altrimenti non rispetterebbero più i vincoli previsti dal Patto. Un danno economico non di poco conto, che penalizza soprattutto le piccole imprese e le aziende artigiane che devono attendere tempi biblici per ricevere le loro spettanze”, commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

Il Comune di Roma presenta la quota di spesa non onorata più alta di tutti: l’importo, al 31 dicembre 2009 (ultimo dato disponibile), è pari a 6,26 mld di euro. Seguono Milano, con 3,85 mld di euro e Napoli, con 3,39 mld di euro. Rispetto alla fine del 2008, l’incremento percentuale medio nazionale dei residui passivi è stato del + 5,4%.

In termini pro capite,  il Comune meno virtuoso è quello di Avellino, con un ammontare complessivo di pagamenti non effettuati pari a 3.754 €.

Segue Carbonia con 3.622 €, Salerno con 3.608 € e, al quarto posto Napoli con 3.529 €.

In una fase di grave crisi economica mettere in pagamento oltre 33 miliardi di euro sarebbe una boccata di ossigeno non indifferente per migliaia e migliaia di piccole imprese. Se in questa elaborazione abbiamo analizzato solo la situazione dei Comuni capoluogo di Provincia, in capo ai Comuni non capoluogo stimiamo vi siano altri 7 mld di pagamenti non erogati. Infine, non dimentichiamo che ci sono altri 35/40 mld di euro di crediti che le imprese avanzano dalle Regioni in materia di sanità, per questo è urgente che il Governo intervenga subito per il bene delle piccole imprese e dei loro occupati”. conclude il segretario.

Marco Poggi

Allarme usura, record in Campania

L’Ufficio Studi della CGIA di Mestre lancia l’allarme: la Regione con il livello più alto di rischio usura è la Campania. Segue il Molise, la Calabria, la Puglia e la Sicilia. A Nordest, invece, abbiamo l’area meno interessata, o quasi, da questo fenomeno. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, infatti, sono tra le Regioni italiane meno investite dalla piaga dello “strozzinaggio”.

I dati si basano su studi condotti nel 2010 relativi alla disoccupazione, i fallimenti, i protesti, i tassi di interesse applicati, le denunce di estorsione e di usura, il numero di sportelli bancari e il rapporto tra sofferenze ed impieghi registrati negli istituti di credito.

Dimensionare l’usura solo attraverso il numero di denunce – commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi – non è molto attendibile perché il fenomeno rimane in larga parte sommerso e risulta quindi leggibile con difficoltà. Per questo abbiamo messo a confronto ben 8 sottoindicatori per cercare di dimensionare con maggiore fedeltà questa piaga. Ma quello che forse pochi sanno, – conclude Giuseppe Bortolussi – sono le motivazioni per le quali molti cadono nelle mani degli strozzini. Oltre al perdurare della crisi, per artigiani e commercianti sono le scadenze fiscali a spingere molti operatori economici a ricorrere a forme di finanziamento illegali. Per i disoccupati o i lavoratori dipendenti, invece, sono i problemi finanziari che emergono dopo brevi malattie o infortuni.”

Gli indicatori nazionali nello specifico riportano dati come seguono: il tasso di usura rilevato in Campania, a cui spetta la maglia nera, è di 166,1 (pari al 66,1% in più della media Italia), segue il Molise con il 158,3 (58,3 punti in più rispetto al dato medio nazionale) la Calabria con il 146,3 (46,3% in più rispetto la media Italia), la Puglia con 146,1 (46,1% in più della media Italia), la Sicilia col 134,9 (34,9% in più della media nazionale). Mentre i meno aggrediti dai “cravattari”, o quasi, sono il Trentino A.A., con un indice di rischio usura pari a 46,7 (53,3% in meno della media nazionale). Segue la Valle d’Aosta con 69,8 (30,2% in meno della media Italia), il Veneto con 72,5 (27,5% in meno della media Italia) e il Friuli Venezia Giulia con 74,7 (25,3% in meno del dato medio Italia).

La Cina è in Italia

A dispetto della crisi, ancora ben presente in Italia, c’è chi, invece, sembra proprio non avere difficoltà.

Sono i cinesi che, invece di chiudere le loro attività, si moltiplicano, e non solo nelle grandi città, ma anche nelle province, dove è ancora più difficile trovare un’occupazione.

I dati, raccolti dalla Cgia di Mestre, parlano di piccole e medie imprese cinesi che hanno superato le 54 mila unità, con una crescita dell’8,5% rispetto al 2009, in netto contrasto con i dati riguardanti imprese italiane, diminuite, nello stesso lasso di tempo, dello 0,4%. Ad aumentare è anche la presenza, nelle aziende italiane, di imprenditori cinesi, con una crescita, dal 2002 al 2010, del 150,7%.

Ma è tutto oro quello che luccica? A quanto pare no, poiché è lo stesso Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ad affermare: “Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra“.

La maggiore concentrazione di imprenditori cinesi si trova nel Nord, e soprattutto in Lombardia, dove sono 10.998, Toscana, 10.503 e Veneto, 6.343. Nonostante questi numeri, la crescita registrata è omogenea in tutto il Belpaese, compreso il Trentino Alto Adige, una volta inespugnabile.

Ovviamente, l’incidenza di imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditorialità straniera è molto forte e raggiunge un 8,6% con picchi in Toscana del 18,2%.

Tra i settori di occupazione, trovano i primi posti pelletteria, calzature ed abbigliamento, seguiti da alberghiero, bar e ristorazione, dove i titolari cinesi sono ormai 10.079. E siamo sicuri che si tratta di dati destinati a crescere ancora.

Vera Moretti