Canone Rai non sarà in bolletta! Ma è davvero così? Cosa c’è di vero?

Dal 2023 non ci sarà più il canone Rai in bolletta e molti sono gli italiani che già esultano all’idea di non dover pagare ad ogni fattura anche la quota del canone Rai. Ma è davvero così o è stato solo un annuncio mediatico, magari per tranquillizzare gli italiani? Vedremo a breve che i giochi ancora non sono conclusi.

Il canone Rai è un onere improprio?

L’Unione Europea nell’approvare il PNRR presentato dall’Italia ha posto delle condizioni, in particolare ha chiesto all’Italia, al fine di contenere la fattura energetica e quindi di sollevare gli italiani da fatture eccessivamente esose, di eliminare tutti gli oneri impropri. Tra gli oneri impropri per la fattura energetica molti ritengono che vi sia il canone Rai. Lo stesso viene caricato ogni bimestre sulla bolletta in misura di 18 euro.

Naturalmente ora con gli aumenti dei costi energetici è diventato ancora più difficile sostenere tali esborsi.

Da quando gli italiani pagano il canone Rai in bolletta?

L’introduzione del canone Rai in bolletta è dovuta a una legge del governo Renzi che ha portato il canone in bolletta dal 2016. L’obiettivo era ridurre in modo notevole l’evasione per questo tributo che aveva livelli a dir poco imbarazzanti. Gli italiani infatti hanno sempre avuto un certo odio per questa tassa non capendone la ratio. In molti contestano la qualità dei prodotti messi in onda.  Altri  contestano il fatto che devono pagare il canone anche se magari non amano i programmi della Rai. In molti osservano che comunque vi è un impatto elevato della pubblicità e quindi il canone non dovrebbe essere corrisposto, infine lamentano un eccesso negli “stipendi” dei professionisti impegnati in Rai. Di fatto chi per un motivo, chi per un altro erano tantissimi quelli che non pagavano.

La soluzione per fare cassa era accorpare il canone in bolletta. L’adozione di questa misura per gli italiani che avevano sempre pagato ha portato un risparmio infatti attualmente gli italiani pagano 90 euro l’anno, mentre prima che ci fosse l’accorpamento nella bolletta energetica il costo era di 115 euro.

Dal 2023 davvero il canone Rai non sarà in bolletta?

In seguito alla richiesta dell’Unione Europea, Maria Laura Paxia, del Gruppo Misto, ha presentato un ordine del giorno alla Camera dei Deputati avente come oggetto proprio “adottare misure normative dirette a scorporare dal 2023 il canone Rai dalla bolletta elettrica”. Il Governo Draghi ha dato seguito a questa richiesta approvando l’ordine del giorno. Deve essere sottolineato che tale ordine del giorno non è vincolante, ecco perché la strada sembra essere tutta in salita.

Sia chiaro, questo è solo il primo passo, infatti ora si rende necessario provvedere ad adottare una normativa che permetta comunque di riscuotere il canone Rai e possibilmente non aumentare la tariffa e allo stesso tempo riscuotere da tutte le famiglie. Di certo non sarà facile in quanto molti proveranno di nuovo a evadere.

Sono tutti d’accordo sull’addio del canone Rai in bolletta?

Proprio per questo anche Viale Mazzini ( sede Rai) esprime perplessità. Alla fine del 2020 purtroppo è stato registrato un calo del fatturato e conti in rosso e al termine dell’anno le perdite erano di oltre 600 milioni di euro. Non va meglio nel primo semestre del 2021 con perdite per oltre 300 milioni di euro. Proprio per questo molti tendono a sottolineare che, considerando che in fattura il canone Rai è ben riconoscibile come voce separata, non deve essere considerato un onere improprio alla stregua di ciò che intende l’Unione Europea e di conseguenza non vi sarebbe necessità di scorporarlo.

Deve essere sottolineato che dallo stesso Governo arrivano posizioni non ben chiare, infatti viene ribadito che l’approvazione dell’ordine del giorno è un atto di indirizzo politico inserito del decreto bollette e di conseguenza si dovrà provvedere a interpretare tale atto di indirizzo politico e capire se adeguarsi o meno. Insomma il Governo sembra essere piuttosto scettico, o almeno titubante. I prossimi mesi saranno decisivi e potremo capire quale indirizzo prenderà il Governo per risolvere questa problematica davvero spinosa e che potrebbe anche creare non pochi problemi alla maggioranza.

Ricordiamo che molti italiani possono godere dell’esenzione dal canone Rai. Per saperne di più, leggi l’articolo Esenzione canone Rai 2022: a chi spetta e quali moduli usare.

Nulla di fatto per la riforma del Catasto

Si aspettava il via libera definitivo e, invece, la procedura è stata insabbiata.
La riforma del Catasto, che sembrava ormai cosa certa, ha subìto un brusco arresto e, ad oggi, non si hanno notizie né date entro cui verrà finalmente portata a termine.

Il motivo è molto chiaro: la riforma degli estimi catastali su cui tutto si basava, si sarebbe dovuta compiere mantenendo inalterato il gettito fiscale, quindi senza aumento alcuno delle tasse sugli immobili.
Poiché, invece, questo non sembrava possibile, e considerando che le tasse che pesano sul mercato immobiliare sono già pesanti, è stato mandato tutto all’aria, in attesa di tempi più propizi.

In realtà, la notizia non è del tutto nuova, perché gli addetti ai lavori, ovvero gli operatori del settore immobiliare, avevano già sostenuto l’impossibilità dell’invarianza fiscale una volta modificato il calcolo degli estimi.

A persuadere l’esecutivo sono state le simulazioni effettuate dall’Agenzia delle Entrate che, nei giorni scorsi, ha presentato a Matteo Renzi e ai suoi ministri un resoconto dettagliato di ciò che, in termini numerici, avrebbe significato riformare il Catasto nei modi previsti e dichiarati fino a pochi giorni fa.

È dunque questo il motivo che ha fatto sparire dall’ordine del giorno del consiglio dei ministri del 23 giugno 2015 la discussione del decreto attuativo che riguardava la delega fiscale in materia di immobili. Per adesso, quando mancano pochissimi giorni alla scadenza della delega, pare che la discussione venga rimandata a settembre, anche se in pochi credono che dopo l’estate si riuscirà a trovare una soluzione valida a mantenere inalterata la pressione fiscale sugli immobili.

Vera MORETTI

Imu terreni montani, ecco le regole

È stato approvato dal Consiglio dei Ministri di venerdì 23 gennaio e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge che definisce le regole per l’ Imu terreni montani per il 2014 e per il 2015. A decorrere dal 2015, quindi con effetto a partire dall’Imu 2015 (pagamento a giugno e dicembre 2015), si farà riferimento per il pagamento dell’ Imu terreni montani all’elenco dei Comuni montani elaborato dall’Istat, colonna R. L’esenzione dall’Imu si applica:

  • ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati come totalmente montani (sigla T), come riportato dall’elenco dei Comuni italiani predisposto dall’Istat;
  • ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei Comuni classificati come parzialmente montani (sigla P), come riportato dall’elenco dei Comuni italiani predisposto dall’Istat.

Si pagherà l’ Imu terreni montani, invece, per i terreni classificati con la sigla NM, cioè non montani.

Si tratta di criteri che si applicano anche all’Imu per l’anno di imposta 2014, la cui scadenza di versamento slitta, come già ricordato, al 10 febbraio 2015. Per l’anno 2014 non è dovuta l’ Imu terreni montani per quei terreni che erano esenti in virtù del decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 28 novembre 2014 (criterio altimetrico) e che, invece, risultano imponibili per effetto dell’applicazione dei criteri sopra elencati (elenco Istat).

Chi risulta “non esente” in base all’altitudine ma in base alle classificazioni T-P-NM indicate nell’elenco Istat alla colonna R non pagherà comunque l’ Imu terreni montani 2014 il 10 febbraio. Chi risulta esente in base all’altitudine, anche se non in base alla classificazione Istat, non pagherà l’ Imu terreni montani 2014 il 10 febbraio.

Imu terreni montani, si slitta al 10 febbraio

Come al solito, il nostro fisco fa le cose per bene. A poche ore di distanza dalla scadenza per il pagamento dell’ Imu terreni montani, quando ancora nessuno sapeva che cosa fare, se pagare o no, ecco un comunicato stampa del governo emesso venerdì 23 gennaio alle 16. Così, giusto per tenere alta la suspance

In sostanza, ora c’è tempo fino al 10 febbraio per capire chi dovrà pagare l’ Imu terreni montani e chi no. Meglio di nulla, ma siamo sicuri che non ci sarà ancora qualche colpo di scena? Intanto, ecco il testo integrale del comunicato del governo sull’ Imu terreni montani.

Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri n.46 del 23/01/2015 terminato alle ore 16,00

Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi venerdì 23 gennaio alle ore 15.40 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan. Segretario il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio.

IMU TERRENI MONTANI

Misure urgenti in materia di esenzione IMU (decreto legge) 

Il Consiglio ha approvato su proposta del Presidente, Matteo Renzi, e dei Ministri dell’Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan, e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, il decreto legge contenente misure urgenti in materia di esenzione IMU che va a ridefinire i parametri precedentemente fissati, ampliandone la platea. 

Il testo prevede che a decorrere dall’anno in corso, 2015, l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) si applica: 

ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati come totalmente montani, come riportato dall’elenco dei Comuni italiani predisposto dall’Istat;

ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, di cui all’articolo 1 del decreto legislativo del 29 marzo 2004 n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei Comuni classificati come parzialmente montani, come riportato dall’elenco dei Comuni italiani predisposto dall’Istat.

Tali criteri si applicano anche all’anno di imposta 2014. Per l’anno 2014 non è comunque dovuta l’Imu per quei terreni che erano esenti in virtù del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con i Ministri delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e dell’Interno, del 28 novembre 2014 e che invece risultano imponibili per effetto dell’applicazione dei criteri sopra elencati. I contribuenti, che non rientrano nei parametri per l’esenzione, verseranno l’imposta entro il 10 febbraio 2015.

Partite Iva, pioggia di bombe su Renzi

Le partite Iva sono quelle che, forse, il premier Matteo Renzi si sarebbe aspettato come ultime dei nemici. E invece, dopo gli scivoloni a ripetizione del governo su professionisti, lavoratori autonomi e partite Iva, ecco che contro il presidente del Consiglio scatta il loro fuoco incrociato.

Dopo le ripetute prese di posizione delle diverse associazioni professionali all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità che ha fatto strage di diritti e speranze delle partite Iva, in questi giorni tornano alla carica Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione.

Dopo il trattamento riservato al lavoro autonomo professionale dal Governo – attaccano in una nota le tre associazioni di professionisti e partite Ivae dopo l’annuncio del presidente del Consiglio Renzi di una pronta marcia indietro ancora una volta siamo in attesa che alle parole seguano i fatti. È urgente che il Governo sostenga in Parlamento gli emendamenti al Milleproroghe che prevedono il blocco dell’aumento dell’aliquota della gestione separata Inps e subito dopo metta mano al regime dei minimi e si dedichi a una riforma organica del lavoro autonomo e professionale che preveda il riconoscimento di un’effettiva tutela della malattia e fissi l’aliquota previdenziale al 24% come già previsto per artigiani e commercianti”.

Poi la provocazione: “In assenza di segnali concreti chiederemo a tutti i professionisti, autonomi e freelance di evidenziare esplicitamente nelle fatture che rilasciano ai propri clienti l’aggravio fiscale e contributivo prodotto dalle politiche del Governo. La campagna METTIAMO IN FATTURA IL MALUS RENZI prevede proprio l’indicazione in fattura del “Malus Renzi”, in contrapposizione al bonus 80 euro ben evidenziato nelle buste paga dei lavoratori dipendenti”.

Scateneremo il #VIETNAMDELLEFATTURE”, concludono Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione.

E nemmeno il CoLAP resta a guardare. Dopo che nei giorni scorsi aveva lanciato l’ultima chiamata per il governo da parte delle partite Iva, ora presenta un emendamento al Milleproroghe per bloccare l’aliquota contributiva Inps Gs per i professionisti e le partite Iva esclusiva al 27 % anche per l’anno 2015.

Il CoLAP, riconoscendo il valore del carattere contributivo del nostro sistema pensionistico non chiede l’abbassamento dell’ aliquota, ma la stabilizzazione al 27%, percentuale ragionevole per garantire non solo la sostenibilità della pensione ma anche della vita attuale.

Tutti si sono cosparsi il capo di cenere dopo le ingiustizie inflitte alle partite Iva nella legge di stabilità – dice Emiliana Alessandrucci Presidente del CoLAP -; ora dopo il pentimento è il momento della correzione; si può infatti rimediare, almeno parzialmente, alle vessazioni inflitte ai lavoratori autonomi. Il CoLAP ha presentato un emendamento che prorogherebbe il blocco dell’aliquota contributiva INPS GS al 27% per i professionisti a partita iva esclusiva per tutto il 2015”.

Ma questo non risolve il problema – conclude -, è un provvedimento che da solo non serve, per questo chiediamo il blocco per il 2015 e l’apertura immediata di un tavolo per la costruzione di una proposta; siamo stanchi di trovarci sempre a discutere delle stesse cose! Ci toglie energie, ci ruba tempo e ci riduce opportunità. Non esistono motivi che possano bloccare la nostra, abbiamo segnali importanti che l’emendamento verrà presentato ora però deve anche essere approvato”.

Insomma, se già non lo ha fatto, Matteo Renzi prepari la contraerea: i bombardamenti delle partite Iva sono solo all’inizio.

CoLAP: partite Iva? Ultima chiamata

Che le partite Iva siano state considerate dal governo Renzi come dei figli di un dio minore, è un dato di fatto. Un dato di fatto così lampante, che persino il presidente del Consiglio ha riconosciuto l’errore fatto nella legge di stabilità a discapito delle partite Iva e ha proposto di recuperare la topica.

Un mea culpa che ha lasciato di stucco il presidente del CoLAP, Emiliana Alessandrucci: “Quando ho sentito il Presidente Renzi dire che sulle partite Iva ha sbagliato – ha scritto Alessandrucci in una nota – mi sono sorpresa: abbiamo scritto, riscritto, pubblicato, organizzato incontri, presentato istanze, illustrato proposte alternative, configurato scenari futuri e nessuno ci ha ascoltato”.

Oggi è inaccettabile – continua Alessandrucci – sentire che ‘hanno sbagliato’; hanno sbagliato perché volevano sbagliare. La cosa più grave è che questo errore lo pagheremo noi, i nostri professionisti e le nostre professioniste, le loro famiglie, il loro benessere sociale ed economico. Questo ‘erroruccio’ crea una nuova categoria di poveri; con l’innalzamento dell’aliquota contributiva Inps e con il nuovo regime dei minimi, i nostri professionisti e le nostre professioniste hanno solcato la soglia di povertà”.

Una conclusione sulle partite Iva alla quale è arrivata anche la Cgia, ma che ad Alessandrucci fa comunque montare il sangue alla testa: “Dire adesso ‘ho sbagliato’ – prosegue – è riduttivo e irresponsabile, abbiamo necessità di fatti basta parole, basta vane promesse! Poletti accetta finalmente il nostro suggerimento di aprire un tavolo con le associazioni… Sarà certamente utile, ma non abbiamo più tempo da perdere, le proposte ci sono, si possono migliorare e limare, ma dobbiamo farle diventare progetti, realtà per salvare le professioni, per aiutare l’emersione e questo SUBITO!”.

I Professionisti Associativi – conclude Alessandrucci – lanciano l’ultima chiamata al governo e se ancora una volta sarà inascoltata troveremo un modo più efficace per difenderci, tutelarci e valorizzare il lavoro che facciamo non solo per noi ma anche per il nostro Paese”.

Si attendono risposte, ora, da parte del governo, perché quella del CoLAP non è una stecca da solista ma una voce ben intonata in un coro di associazioni professionali e di partite Iva, stanche di dover pagare sempre e per tutti.

Pressione fiscale di record in record

Noi italiani non siamo mai contenti. Abbiamo il record mondiale della pressione fiscale e, nei prossimi anni, siamo destinati a superarlo. Lo dice l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, secondo le cui previsioni la pressione fiscale salirà dal 43,3% attuale, confermato anche per il 2014, al 43,6% previsto sia nel 2016 sia nel 2017.

Una rilevazione che ha dato modo alla Cgia di ricordare come per il 2016 il Governo Renzi dovrà operare una razionalizzazione della spesa per 16,8 miliardi di euro, che salirà a 26,2 nel 2017 per toccare i 28,9 miliardi nel 2018. Se questi risultati non saranno raggiunti, è previsto un nuovo ritocco al rialzo dell’aliquota Iva del 2% a partire dal 1° gennaio del 2016, aumento che varrà sia per quella attualmente al 10%, sia per quella al 22%, con ulteriore aggravio della pressione fiscale.

Dal 1° gennaio 2017 la pressione fiscale si impennerà ancora perché entrambe le aliquote subiranno un altro ritocco dell’1%, mentre dal 1° gennaio 2018 aumenterà di un altro 0,5% solo l’aliquota più elevata. Alla fine del triennio 2016-2018, l’aliquota inferiore potrebbe arrivare al 13 per cento, mentre l’altra al 25,5 per cento.

Di bene in meglio, se non saranno raggiunti gli obiettivi di riduzione della spesa, dal 1° gennaio 2018 scatterà un ulteriore aumento dell’accisa sui carburanti, in modo da assicurare per quell’anno maggiori entrate nette per almeno 700 milioni.

Secco il commento del segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi sull’aumento della pressione fiscale: “Un incremento riconducibile al progressivo aumento delle aliquote Iva che avrà inizio a partire dal 2016. Tuttavia, questo aumento di tassazione potrebbe essere evitato se il Governo riuscirà a tagliare la spesa pubblica di quasi 29 miliardi di euro. Il nostro Esecutivo si è impegnato a rispettare i vincoli richiesti da Bruxelles attraverso il taglio della spesa pubblica. Diversamente, scatteranno automaticamente gli aumenti di imposta che garantiranno comunque i saldi di bilancio. In altre parole, se il Governo non riuscirà a tagliare gli sprechi e gli sperperi, a pagare il conto saranno ancora una volta gli italiani che subiranno l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti”.

Alemanno scrive a Renzi

Dopo il risultato delle elezioni, Riccardo Alemanno non permette a Matteo Renzi di adagiarsi sugli allori e, al contrario, lo sollecita relativamente alla Tasi.

Dopo aver scritto al Ministro dell’Economia Padoan ed al Sottosegretario Zanetti e aver affrontato la questione anche con il Vice Ministro Morando, che ne condivide le preoccupazioni, il Presidente dell’INT ha deciso di scrivere direttamente al Presidente del Consiglio.

Gli argomenti sui quali Alemanno ha insistito sono la proroga generalizzata ma anche la sostituzione dell’acconto Tasi, da versare con F24 in autoliquidazione, con l’invio da parte dei comuni di un bollettino contenente il 50% di quanto incassato lo scorso anno per i servizi indivisibili e come ultima richiesta la non sanzionabilità dei versamenti non corrispondenti al dovuto se sanati entro il 16 ottobre.

Il presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi chiede un intervento da parte del premier perché la proroga parziale non ha risolto i problemi, ma li ha solo ribaltati sulla platea dei cittadini dei comuni che hanno deliberato sulla TASI entro il 23 maggio.

In conclusione, Riccardo Alemanno ha concluso la sua missiva chiedendo un incontro a Matteo Renzi: “Concludo ringraziando dell’attenzione che porrà a questa brutta vicenda della legislazione italiana e, compatibilmente ai Suoi impegni, Le chiedo un incontro per potere direttamente a Lei evidenziare il malessere di chi quotidianamente deve affrontare conto terzi i problemi causati da una burocrazia folle perché, Signor Presidente, fare bene il mestiere di tributarista è un po’ come fare bene politica, ci si mette la faccia e Lei mi insegna che , se ci si mette la faccia, bisogna anche lottare per cambiare le cose che non vanno. Mi scuso per questa conclusione, sicuramente non consona per una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri, ma sono certo che Lei ne comprenderà le ragioni“.

Vera MORETTI

La fiducia non basta, otto famiglie su dieci in difficoltà economiche

I dati dell’outlook Confcommercio-Censis sul primo semestre 2014 fotografano la triste realtà delle famiglie italiane: otto nuclei familiari su dieci vivono «una sensazione di precarietà e instabilità», solo una su cinque «ritiene invece di essere in una situazione di solidità». Nonostante «un leggero miglioramento del clima di fiducia», legato ad «ottimismo sulle riforme Renzi»: emerge che «ben il 66% del campione ritiene che il Governo sia in grado di far superare al paese la lunga fase di crisi economica».

«Il protrarsi della crisi , la mancanza di lavoro, il peso delle tasse», evidenziano i dati forniti dall’indagine Confcommercio-Censis su consumi e clima di fiducia per il primo semestre di quest’anno, «continuano ad alimentare lo stato di forte difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, rispetto alla propria situazione economica e alla propria capacità di spesa, avvertono nella maggior parte dei casi – quasi l’80% – una sensazione di precarietà e instabilità».

Jacopo MARCHESANO

Spending review, quanto mi costi

In qualunque famiglia, quando si incontrano dei periodi di difficoltà economica la prima cosa che si fa è una razionalizzazione di spese e costi. Una piccola spending review domestica Si taglia il superfluo, si riciclano gli abiti anziché buttarli, si fa a meno della colf e si tira pulita la casa da soli, si usa meno l’auto, si esce meno a cena, si ricontratta il mutuo. Misure piccole ma importanti che, se prese con coscienza, rimettono in sesto l’economia domestica o, quantomeno, evitano il tracollo.

In Italia no. Se il Paese va a rotoli, continua a spendere più di quanto incassa e lo fa in maniera scellerata, sprecando ovunque possa sprecare, chi cerca di razionalizzare le spese o ridurre gli sprechi non riesce mai a trovare la quadra. È il caso del commissario Cottarelli, che ricorda più un poliziesco di bassa lega che colui il quale deve operare la cosiddetta spending review. In comune con il poliziesco, però, ha una cosa: il giallo. È infatti un giallo il motivo per cui, a fronte di uno Stato che spende quasi 800 miliardi l’anno, la più parte in modo scriteriato, il commissario in questione abbia dichiarato che per questa revisione della spesa potrà portare risparmi per al massimo 20-25 miliardi (all’inizio si parlava di 7!), di cui 5 per il 2014.

Passi il fatto che, come sempre quando si tratta di tagliare, sono più gli scontenti che i contenti. Passi il fatto che è sempre bello applaudire ai sacrifici quando sono gli altri a farli. Rimane comunque da capire per quale motivo si preferisce sempre la linea della prudenza anziché la cura da cavallo che un malato grave come l’Italia. Noi di INFOIVA proveremo a chiederlo a chi ne sa di più. Intanto, ecco un’ipotesi di quello su cui il commissario Carlo Cottarelli sta lavorando, almeno per l’anno in corso.

L’obiettivo per il 2014 dovrebbe essere raggiunto tagliando le retribuzioni dei dirigenti statali e decurtando la spesa per la difesa. Inoltre si dovrebbero incamerare 400 milioni di euro dal decremento degli emolumenti destinati a consiglieri comunali e regionali, 200 milioni dalla ristrutturazione delle province e circa 2 miliardi e 200 milioni dal sistema di riordino dei processi burocratici, con tagli agli stipendi dei manager pubblici per quasi 500 milioni di euro.

Tocca poi alla difesa con quasi 100 milioni di euro e all’eliminazione di costi della politica, tra i quali le famigerate auto blu. Caldo anche il fronte delle pensioni, specialmente quelle di reversibilità (100 milioni di euro), di guerra (200 milioni di euro) e di invalidità.

Un ultimo dettaglio: quanto guadagnerà colui che deve tagliare? Si parla di 258mila euro (più di 700 euro al giorno). Molto bene…