Alemanno: “Equità e semplificazione, la riforma del Fisco è essenziale”

Il 28 febbraio con 309 sì e nessun voto contrario la Camera ha definitivamente approvato il Ddl delega fiscale che autorizza in pratica il governo a riscrivere il sistema fiscale per renderlo “più equo, trasparente e orientato alla crescita” e senza nuovi oneri per lo Stato. Ora il Governo avrà un anno di tempo per cambiare il volto al fisco italiano, a partire dalla riforma del catasto degli immobili. Per inaugurare la nostra settimana dedicata all’approfondimento del tema, abbiamo incontrato il presidente INT (Istituto Nazionale Tributaristi) Riccardo Alemanno, con il quale abbiamo chiacchierato sull’argomento.

Presidente Alemanno, dalla riforma del catasto alla razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, quali sono le norme più urgenti?
Come primissima cosa si dovrebbe mettere mano alla semplificazione degli adempimenti, i quali non sono creano problematiche ai contribuenti, ma anche oneri non indifferenti. Sarà essenziale rendere più snello il sistema fiscale, come suggerito dall’INT sarà necessario anche un modo diverso di legiferare, più comprensibile ed equo. Norme più semplici, adempimenti sfoltiti, grande attenzione all’equità e portare a rango di legge costituzionale il cosiddetto Statuto del contribuente .

Certezza della norma, semplificazione ed equità. Molti governo hanno provato a mettere mano nella riforma del Fisco, sarà la volta buona?
Questi sono i capisaldi per una riforma del Fisco che possa finalmente essere più vicina al contribuente, non sarà semplice, ma estremamente necessario. La riduzione della pressione fiscale dovrà andare di pari passo con modifiche dei patti di stabilità interni e a livello europeo. Solo così credo si possa trovare una via d’uscita da una situazione estremamente delicata. Siamo ad un punto di svolta oramai, se non si concretizzano in leggi le belle parole del presidente del Consiglio cadremmo nuovamente nel baratro della crisi economica.

Basta la detrazione fiscale per dare un po’ d’ossigeno alle imprese?
Certo, non sarà sufficiente la riduzione della pressione fiscale perché bisognerà necessariamente incentivare i consumi. Il Fisco è qualcosa che incide nella vita dei cittadini fin dalla nascita e tutto ciò che può essere semplificazione  non potrà che far bene al sistema. Poniamo al centro delle norme il contribuente e i miglioramenti arriveranno di conseguenza.

Jacopo MARCHESANO

Delega fiscale, i punti salienti

Sono in molti coloro tra gli operatori in ambito fiscale e tributario che sono a dir poco scettici di fronte alla delega fiscale licenziata la scorsa settimana dalla Camera. Apparentemente un percorso senza ostacoli: 309 sì, 99 astenuti, nessun voto contrario. Eppure se ne sono viste talmente tante negli ultimi anni che un minimo di cautela è d’obbligo.

Sia come sia, vediamo per punti quali sono i contenuti più qualificanti della delega fiscale approvata dalla Camera e diventata legge.

OBIETTIVI. Riduzione della pressione tributaria sui contribuenti, nel rispetto del principio di equità – compatibilmente con il rispetto dell’art.81 della Costituzione – nonché degli obiettivi di equilibrio di bilancio e di riduzione del rapporto tra debito e Pil stabiliti in sede europea.

PROCESSO TRIBUTARIO. Vengono recepiti i principi indicati dal Cnel per la riforma dei procedimenti e del processo in materia tributaria. Coordinamento e semplificazione delle norme sugli obblighi dei contribuenti; vengono potenziate le forme di contraddittorio tra amministrazione e contribuenti; leale e reciproca collaborazione tra amministrazione e cittadini; rafforzamento della conciliazione nel processo tributario.

LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE. Le maggiori entrate derivanti dal contrasto all’evasione e all’erosione fiscale devono essere esclusivamente attribuite al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Favorire quindi l’emersione di base imponibile anche attraverso misure finalizzate al contrasto di interessi. Potenziamento della fatturazione elettronica e riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti.

CATASTO. Nuovo metodo di conteggio del valore basato non sul numero dei vani ma sui metri quadrati e su una formula che lo avvicina alle reali stime di mercato. Massima pubblicità e trasparenza delle funzioni statistiche e monitoraggio semestrale (con relazione del Governo al Parlamento) sugli effetti della revisione, articolati a livello comunale, per verificare l’invarianza di gettito. Valori e rendite non potranno andare al di sopra del valore di mercato.

RESPONSABILIZZAZIONE. Deve essere individuabile, per ciascun tributo, il livello di governo che beneficia delle relative entrate. Va suddiviso per soggetti istituzionali (Stato, Regioni, enti locali), il quadro dei beneficiari e/o dei cobeneficiari delle singole imposizioni. Stop alla deregulation sulle addizionali.

COMPENSAZIONE. Generalizzazione del meccanismo della compensazione tra crediti d’imposta vantati dal contribuente e debiti tributari a suo carico.

GIOCHI. I Comuni parteciperanno alla pianificazione della dislocazione di sale da gioco e punti vendita; maggiori controlli anti-riciclaggio e rafforzamento delle norme sulla trasparenza e sui requisiti soggettivi.

INCENTIVI E CONTRIBUTI. I risparmi di spesa derivanti da riduzione di contributi o incentivi alle imprese devono essere destinati alla riduzione dell’imposizione fiscale sulle imprese. Mantenimento del regime penale per i comportamenti più gravi; revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo per correlare le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti, con possibilità per le fattispecie meno gravi di applicare sanzioni amministrative anziché penali.

DICHIARAZIONE PRECOMPILATA E SEMPLIFICAZIONE. Per la predisposizione delle dichiarazioni e per il calcolo delle imposte, va prevista la possibilità di invio ai contribuenti e di restituzione da parte di questi ultimi di modelli precompilati.

STATUTO DEL CONTRIBUENTE. Ultimo ma fondamentale passo, i decreti devono rispettare i principi costituzionali, quelli dell’ordinamento dell’Ue, e quelli dello Statuto del contribuente, con particolare riferimento al vincolo di irretroattività delle norme tributarie di sfavore.

Giordano: “Rilanciare i consumi per rilanciare l’economia”

Con 378 sì, 220 no e un astenuto il nuovo esecutivo guidato da Matteo Renzi ottiene la fiducia alla Camera, dopo averla fatta registrare anche al Senato nella tarda serata di lunedì, ed è pronto per la prova dei fatti. Sul nuovo governo presieduto dal giovane fiorentino abbiamo chiesto l’autorevole opinione del Presidente Nazionale Adiconsum, Pietro Giordano, in rappresentanza dei 149.375 consumatori associati.

Dott. Giordano, Renzi ha ottenuto la fiducia in entrambi i rami del Parlamento. Oltre agli onorevoli, lei crede che convincerà anche i consumatori?
Dovrà conquistarsela. Se manterrà le promesse di questi giorni, se ne potrà parlare. Noi non possiamo che augurare buona fortuna, ma conoscendo come funzionano i lavori parlamentari in questo paese non sarà un’impresa semplice mantenere le promesse degli scorsi giorni e realizzare le riforme necessarie per la ripresa economica.

Qual è primo provvedimento che il nuovo governo dovrà adottare?
Assolutamente il taglio del cuneo fiscale. Siamo fermamente convinti che solo rilanciando i consumi sarà possibile rilanciare l’economia del Paese. In questo momento i consumi sono ai minimi storici e soltanto un’emissione di denaro fresco nelle casse delle famiglie può liberare nuovi consumi. Il taglio del cuneo fiscale libererebbe anche risorse per le aziende e solo così potremmo uscire da una depressione che non è solo economica.

Renzi ha dichiarato che ridurrà di 10 miliardi il cuneo fiscale, ma ancora sconosciute rimangono le coperture…
Questo è il grande problema. Noi siamo convinti che sono due i modi per recuperare capitali: uno è tagliare le spese improduttive e clientelari del nostro Paese, tra cui riunire comuni e provincie, e l’altro è tassare le rendite finanziarie.

La tanto sospirata ripresa economica si manifesterà durante questa legislatura?
Una seppur minima ripresa è già in atto, ma gli effetti sulle famiglie non potranno che manifestarsi tra qualche anno. Certo è che il buon lavoro del nuovo governo Renzi sarà di fondamentale importanza.

Jacopo MARCHESANO

Il governo Renzi e le prime misure economiche

Dopo tanti proclami, per Matteo Renzi è arrivato davvero il momento di fare. Specialmente nel campo delle misure economiche e sul fronte della spesa pubblica, il governo Renzi è atteso da scelte importanti.

Tra le principali misure ci sono il taglio ai costi della politica, la riforma elettorale, la riforma del fisco, la scuola e novità per lavoro e imprese. L’aumento della tassa sulle rendite finanziarie dal 20 al 25% sarà la prima misura che Renzi e l’esecutivo adotteranno.

L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie era già previsto nel Jobs act, presentato da Renzi a dicembre 2013, prima che stravincesse le primarie del Pd. Il piano di lavoro del nuovo governo parte dalla necessità di allargare le tutele economiche e sociali per i lavoratori e di introdurre un reddito minimo garantito per chi dovesse perdere il posto di lavoro, oltre che dalla necessità di creare occupazione. L’obiettivo è quello di avere 200mila occupati in più nei settori di punta dell’economia.

Del piano per il lavoro faranno parte gli incentivi alle assunzioni degli under 30, ma solo per le aziende che prima non licenziano. Queste assunzioni dovrebbero essere defiscalizzate e ulteriormente agevolate nel caso di lavoratori impiegati nei settori dell’innovazione e della ricerca; l’impresa pagherà solo i contributi previdenziali.

L’esecutivo Renzi punta poi a ridurre Irap e Irpef sui redditi da lavoro; l’ipotesi è quella di una riduzione di un punto delle prime due aliquote: quella del 23% che si paga ora fino al 15mila euro, e quella del 27% che si versa fino a 28mila euro. L’impatto sarebbe su tutti i cittadini, ma il dato importante è che con queste due aliquote pagano le tasse 34 dei 41 milioni di contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi ogni anno. Il problema è il costo elevato di questa misura necessaria: circa 5 miliardi di euro.

Governo Renzi e politiche economiche: il manifesto

E alla fine l’Italia ha il nuovo governo Renzi. Il segretario del Pd dà una spallata a Letta e al suo esecutivo, schiera la propria squadra di ministri e si appresta a governare. O almeno a provarci. Noi di INFOIVA guardiamo con attenzione a questa nuova avventura e aspettiamo di vedere quali saranno le misure in campo economico che il governo prenderà per tentare di rimettere in piedi l’Italia.

Le cose da fare sono poche e chiare e noi la pensiamo esattamente come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che sul Corriere del 21 febbraio hanno scritto un editoriale che Renzi e i suoi dovrebbero stampare, appendere nei loro uffici e applicare passo passo. Ve lo riproponiamo qui sotto, perché per noi è un manifesto. Voi che ne dite?

Il nuovo governo dovrà dimostrare (e in tempi brevissimi) di aver chiare quali sono le priorità e di essere determinato nell’affrontarle. Se saprà farlo tranquillizzerà i mercati e potrà rinegoziare i vincoli europei. Perché una rinegoziazione è inevitabile se si vuol far ripartire la crescita.

Quali siano i problemi dell’Italia lo sappiamo da tempo: un debito pubblico enorme, una recessione che sembra non finire mai, banche che prestano col contagocce, una disoccupazione soprattutto giovanile elevatissima, una tassazione asfissiante, una burocrazia che impone oneri immensi alle imprese, e infine i costi della politica. La difficoltà non è dunque individuare le cose da fare, ma metterle in fila e poi affrontarle con determinazione.

La prima è annunciare stime di crescita credibili. Le previsioni del governo uscente sono più ottimiste di quelle delle organizzazioni internazionali, inclusa la Commissione europea. Il governo prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) dell’1% nel 2014 e dell’1,7% nel 2015. Il consenso internazionale è 0,5% nel 2014 e poco sopra l’1% nel 2015.

Da che numeri parte il nuovo governo? Le previsioni di crescita sono cruciali perché costituiscono il punto di partenza per un piano credibile di riduzione del rapporto debito-Pil. Per avviare tale riduzione è necessario compiere tre passi: ridurre la spesa pubblica e le imposte, far ripartire la crescita e vendere aziende e immobili oggi posseduti da Stato, Comuni e Regioni.
Per rilanciare la crescita, servono due interventi immediati. Primo: provvedimenti per allentare la stretta creditizia. È difficile tornare a crescere se non riparte l’offerta di credito all’economia. Lo si può fare anche con l’aiuto della Bce, come spiegavamo il 9 febbraio (nell’editoriale E ora le banche non hanno scuse ). A ciò deve aggiungersi un’accelerazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Il governo uscente ne ha saldati 22 miliardi su circa 100: troppo pochi.

Seconda cosa da fare: provvedimenti per ridare competitività alle imprese. La leva principale è una riduzione immediata e consistente del cuneo fiscale, finanziata con una combinazione di tagli di spese (immediate e future) e, se necessario, con imposte meno dannose delle tasse sul lavoro.

Per portare gli oneri sociali a carico delle imprese al livello tedesco bisogna ridurli di 23 miliardi. 9-10 miliardi si possono reperire tagliando i sussidi alle imprese: 4 miliardi il primo anno, altri 5-6 nei due successivi. Un altro miliardo, o due, tagliando i costi della politica, come suggerito in uno studio di Roberto Perotti pubblicato su www.lavoce.info. I rimanenti 8 miliardi vanno reperiti dalla spending review : il commissario Cottarelli ritiene che sia un obiettivo raggiungibile già quest’anno. Altre risorse possono arrivare dalla revisione del costo di alcuni servizi (come l’università) che lo Stato offre quasi gratuitamente a tutti, indipendentemente dal reddito.

Ridurre le imposte sul lavoro non basta. Bisogna anche riformare i contratti abolendo il muro invalicabile che separa chi ha un lavoro a tempo determinato da chi ne ha uno a tempo indeterminato. Qui il diavolo sta nei dettagli. La proposta giusta è quella di Pietro Ichino, che riprende un’idea degli economisti Olivier Blanchard (capo-economista del Fondo monetario internazionale) e Jean Tirole. Un contratto uguale per tutti, senza muri e con protezioni che crescono in funzione dell’anzianità sul posto di lavoro. Ad esempio: entro tre anni dall’assunzione un’impresa può licenziare liberamente, dal quarto anno in poi il licenziamento costa all’impresa una indennità (crescente con l’anzianità del contratto) e che finanzia (in parte) i contributi di disoccupazione.

Va abolito il principio del reintegro obbligatorio, tranne nei casi di discriminazione. In questo modo verrebbe di fatto cancellato, per i neoassunti, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Occorre anche ridurre il peso dei contratti collettivi, e legare maggiormente il salario alla contrattazione a livello aziendale. Il segreto del successo della Germania sta principalmente nell’avere fatto questo.

La riforma del mercato del lavoro è impossibile senza una revisione degli ammortizzatori sociali. Una maggiore libertà alle imprese nella gestione della forza lavoro si deve accompagnare a tutele per chi rimane temporaneamente disoccupato.

La Cassa integrazione (Cig) va abolita. Per tutti coloro che perdono il posto – e con le risorse ora destinate alla Cig e ai corsi di formazione gestiti dal sindacato – va introdotto un sussidio di disoccupazione decrescente nel tempo che li costringa a cercare lavoro (con la possibilità, al massimo, di due rifiuti). Il sussidio deve essere esteso anche alle categorie oggi non coperte dalla Cassa.

Infine bisogna cedere aziende pubbliche e semipubbliche. Qui le priorità sono: riscrivere da zero il progetto di apertura del capitale delle Poste e impedire che la Cassa depositi e prestiti continui ad essere usata come un salvadanaio dello Stato per false privatizzazioni (vedi Ansaldo Energia) e sprechi risorse pubbliche facendo, senza saperlo fare, il mestiere del finanziatore di startup , e cioè di nuove aziende.

Ma il nuovo governo non farà nessuna di queste cose se non sostituirà radicalmente i burocrati che gestiscono i ministeri (riformando i contratti della dirigenza pubblica e allineandoli a quelli del settore privato) cominciando dalla casta dei capi di gabinetto. Per farlo ci vuole coraggio perché questi signori sono depositari di «dossier» che tengono segreti per proteggere il loro potere. Bisogna aver il coraggio di mandarli tutti in pensione. All’inizio i nuovi ministri faranno molta fatica, ma l’alternativa è non riuscire a fare nulla.

Federica Guidi, ecco chi è il nuovo ministro dello Sviluppo

Quarantacinquenne modenese, laureata in giurisprudenza, figlia di Guidalberto Guidi, già Vice Presidente di Confindustria, la nomina di Federica Guidi allo Sviluppo Economico è giunta inaspettata. Dopo un master in business administration comincia la carriera nell’azienda di famiglia, la Ducati Energia Spa, dal 2002 al 2005 è stata Presidente regionale dei Giovani imprenditori dell’Emilia-Romagna e Vicepresidente degli imprenditori della regione. Sotto la presidenza Marcegaglia, è nominata a capo dei Giovani imprenditori di Confindustria sostituendo un altro figlio d’arte, Matteo Colaninno.

Mentre tutti attendevano la nomina di Riccardo Zacconi, tra fondatori di Candy Crush Saga, la Guidi, da più parti additata come possibile futura candidata per Forza Italia, ha battuto anche l’agguerrita concorrenza dell’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti, e ha di fatto preso il posto di Luca Cordero di Montezemolo, candidato forte della primissima ora.

Jacopo MARCHESANO

Governo: le piccole imprese nelle mani della Guidi

 

Matteo Renzi ha sciolto la riserva per formare un nuovo esecutivo e ha presentato la lista dei ministri al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Otto donne e otto uomini, con Ncd che conferma la sua attuale delegazione con  Alfano, Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin, mentre per Scelta civica entra Stefania Giannini. Guidi è il ministro dello Sviluppo Economico.

Ma eccoli nel dettaglio:

Graziano Delrio Sottosegretario alla presidenza del consiglio
Federica Mogherini ministro degli Esteri
Angelino Alfano ministro dell’Interno
Andrea Orlando ministro della Giustizia
Roberta Pinotti ministro della Difesa
Pier Carlo Padoan ministro dell’Economia e delle Finanze
Federica Guidi ministro dello Sviluppo economico
Maurizio Martina ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali
Gianluca Galletti ministro dell’Ambiente e tutela territorio e mare
Maurizio Lupi ministro delle Infrastrutture e trasporti
Giuliano Poletti ministro del Lavoro e Politiche Sociali
Stefania Giannini ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca
Dario Franceschini ministro dei Beni e attività culturali e turismo
Beatrice Lorenzin ministro della Salute

Senza portafoglio:

Maria Elena Boschi ministro delle Riforme Costituzionali e rapporti con Parlamento
Marianna Madia ministro Semplificazione e Pubblica Amministrazione
Maria Carmela Lanzetta ministero Affari Regionali