Investimenti diretti esteri in aumento per l’Italia

L’Ufficio Studi della CGIA ha presentato i dati relativi agli Ide, gli Investimenti diretti esteri, relativi al 2014.
Ebbene, l’Italia, tra i Paesi dell’area euro, è quello che ha conseguito l’incremento maggiore, con un aumento percentuale del 3,5 rispetto al 2013.
Risultato positivo anche per Slovenia e Finlandia, unici, insieme al Belpaese, ad aver conseguito risultati positivi.

Questo dato, però, pur essendo positivo, non risolve i nostri problemi, perché la situazione dello stock degli Ide in percentuale al Pil italiano rimane allarmante. Con un misero 17,4%, anche nel 2014, così come è avvenuto dall’inizio della crisi, ci troviamo in coda alla graduatoria europea, con la sola Grecia dietro di noi.

Quali sono i motivi principali per cui gli stranieri sono diffidenti nei confronti del nostro Paese? Paolo Zabeo della CGIA ha spiegato e commentato questi risultati: “L’eccessivo peso delle tasse, le difficoltà legate ad una burocrazia arcaica e farraginosa, la proverbiale lentezza della nostra giustizia civile, lo spaventoso ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, il deficit infrastrutturale e il basso livello di sicurezza presente in alcune aree del paese da sempre scoraggiano gli investitori stranieri a venire in Italia. Se queste sono le ragioni che rendono il nostro paese poco attrattivo, pensate in che condizioni operano gli imprenditori italiani che nonostante ciò continuano a credere nelle proprie attività, ad investire nel futuro e a dare lavoro a milioni e milioni di italiani”.

Zabeo ha poi rivolto la sua attenzione verso il buon risultato conseguito nel 2014: “Questo risultato è stato conseguito in massima parte grazie all’acquisizione, da parte dei grandi gruppi finanziari stranieri, di pezzi importanti del nostro made in Italy. Nel settore della moda, dei servizi, delle comunicazioni e dei trasporti, molti marchi storici sono finiti sotto il controllo degli investitori stranieri. Se queste acquisizioni non daranno luogo a una fuga all’estero delle attività progettuali e produttive di questi nostri brand, tutto ciò va salutato positivamente. Purtroppo, l’internazionalizzazione dell’economia che stiamo vivendo da almeno 20 anni si manifesta e prende sempre più forma anche in questo modo”.

Nel 2014 i principali paesi di provenienza dei flussi in entrata nel nostro paese sono stati il Lussemburgo (39 per cento del totale), la Francia (20,8 per cento del totale) e il Belgio (12,4 per cento del totale).

A livello territoriale, è il Nordovest l’area che riceve il più alto numero di investimenti.
Nel 2013, ultimo anno in cui i dati sono disponibili per ripartizione geografica, il vecchio triangolo industriale ha “attratto” il 65 per cento circa degli investimenti totali. Seguono il Centro (18,5 per cento del totale), il Nordest (13,8 per cento) e il Sud (2 per cento).

Vera MORETTI

La Grecia siamo noi (anzi, peggio)

In questi giorni si fa un gran parlare della crisi greca e il Paese ellenico viene additato come un esempio pessimo da non seguire. Peccato però che, per quanto riguarda le tasse sulle imprese e il mercato del lavoro, la Grecia sia messa molto meglio dell’Italia.

È quanto emerge da una ricerca del centro studi ImpresaLavoro, realizzata elaborando i dati del World Economic Forum e della Banca Mondiale. Stando infatti a questa ricerca, la Grecia batte l’Italia per 12 a 0 in materia di mercato del lavoro e tasse sulle imprese.

Nello specifico, la ricerca di ImpresaLavoro, si è basata sul rapporto “Doing Business 2015” della Banca Mondiale e ha scoperto come il Total Tax Rate (la pressione fiscale totale sulle imprese) nel Paese ellenico non arriva al 50% (49,9%) mentre da noi si spinge fino al 65,4%. Senza contare il fatto che ogni azienda greca impiega ogni anno 193 ore per pagare le tasse contro le 269 di un’impresa italiana.

Ma dove si consuma, alla fine, il “cappotto” di Atene su Roma? Grosso modo nelle classifiche del “Global Competitiviness 2014-2015”. Eccole le prime 9 voci.

  • efficienza generale del mercato del lavoro: Grecia è 118esima, Italia 136esima;
  • collaborazione tra lavoratori e imprese: Grecia 108esima, Italia 137esima;
  • flessibilità nella determinazione dei salari: Grecia 118esima, Italia 138esima;
  • efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: Grecia 92esima, Italia 141esima;
  • legame salari-produttività: Grecia 121esima, Italia 139esima;
  • effetto della tassazione sull’incentivo a lavorare: Grecia 138esima, Italia 143esima;
  • scelta dei manager in base al merito: Grecia 98esima, Italia 122esima;
  • capacità di trattenere i talenti: Grecia 96esima, Italia 121esima;
  • capacità di attrarre i talenti: Grecia 127esima, Italia 128esima.

Non ha bisogno di ulteriori chiose il commento su questo paragone tra Italia e Grecia fatto da Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro: “Anche se l’Italia ha dei fondamentali economici migliori di quelli greci, occorre notare come l’analisi puntuale di due aspetti importanti dell’economia come efficienza del mercato del lavoro e tassazione sulle imprese dimostrino l’arretratezza del nostro Paese. Non è un dato banale perché i fondamentali economici sono figli delle scelte fatte in passato”.

E se la Grecia la salvassero le persone?

Dove non riescono i banchieri e i politici, riusciranno le persone? Difficilissimo, anzi, impossibile, ma l’epicità dell’impresa di salvare la Grecia attraverso una campagna di crowdfunding non ha spaventato un 29enne marketing manager londinese che ha lanciato, sul sito Indiegogo, la singolare campagna.

Il ragionamento dell’uomo, Thom Feeney, è lineare: se ogni cittadino europeo (che, in totale, sono poco più di 500mila) donasse 3 euro per finanziare il salvataggio della Grecia, si arriverebbe facilmente all’obiettivo della campagna, fissato a 1,6 miliardi di euro. L’adesione nei primi giorni di campagna è stata massiccia, con oltre un milione di euro raccolti, ma per il salvataggio della Grecia siamo ancora lontanucci.

Sembra che i politici, i premier e i ministri del Tesoro si stiano dimenticando chi è veramente colpito dalla crisi: il popolo greco. Se i governi non aiuteranno la Grecia, forse lo farà la gente in Europa”, ha dichiarato Feeney a un quotidiano inglese. Poi ha rincarato la dose parlando con il sito Buzzfeed.com: “Non ne posso più dell’atteggiamento dei politici. L’Unione Europea è la casa di 503 milioni di persone. Se noi tutti contribuissimo alla raccolta con pochi euro potremmo rimettere la Grecia in pista. È facile”.

Feeney ha fatto le cose in grande e si è attrezzato per fare in modo di dare in omaggio a ciascun donatore dei prodotti rigorosamente made in Grecia, come in ogni campagna di crowdfunding che si rispetti: una cartolina del premier greco Alexis Tsipras con la donazione minima di 3 euro, insalata di olive feta per 6 euro, una bottiglia di Ouzo per 10 euro, per 25 una di bottiglia di vino greco e una vacanza di una settimana in Grecia per due persone riservata a chi donerà 5mila euro.

La formula di crowdfunding scelta da Thom è quella cosiddetta All o Nothing, tutto o niente: se la campagna non andasse a buon fine, a ciascuno dei donatori sarebbe rimborsata l’intera cifra versata. La Grecia ringrazia in anticipo, ma ha molte perplessità sul fatto che la campagna possa raggiungere l’obiettivo fissato.

Default Grecia, quanto costa alle nostre imprese?

Siamo ancora qui a capire quale sarà la fine della Grecia e la cosa che ci preme capire che cosa un’eventuale uscita dall’euro del Paese ellenico possa provocare al nostro sistema economico e al sistema delle imprese.

Quello che è certo è che ci saranno perdite per l’intero sistema Italia, perdite che, secondo Federconsumatori e Adusbef, potrebbero arrivare a 48 miliardi di dollari. Dicono Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti delle due associazioni dei consumatori: “Se la Grecia dovesse dichiarare default sull’intero debito nei confronti dei creditori ufficiali, Germania, Francia ed Italia dovrebbero dire addio ad oltre 150 miliardi di dollari, con la Germania esposta con 62 miliardi (oltre a 13 delle banche tedesche); la Francia con 46,5 miliardi; l’Italia con 48 miliardi di soldi pubblici, le cui esposizioni verso la Repubblica ellenica, erano in capo prima dell’inizio della crisi greca del 2009, principalmente alle banche dei rispettivi Paesi”.

Quello che però interessa di più il nostro sistema produttivo relativamente alla situazione della Grecia è capire le potenziali perdite per le piccole e medie imprese. E non si tratterebbe di roba da poco. Le esportazioni italiane verso la Grecia valgono 6 miliardi di euro, mentre le importazioni ammontano a 1,4 miliardi. Il saldo di circa 4 miliardi è a forte rischio di mancati pagamenti da parte delle aziende della Grecia per centinaia di piccole e medie imprese.

I comparti più danneggiati da un eventuale default della Grecia, in quanto maggiormente esposti sull’export, sarebbero i prodotti petroliferi raffinati, poi i medicinali e i preparati farmaceutici, abbigliamento, calzature, veicoli, ferro, ghisa, acciaio e ferroleghe. Le banche italiane sono invece coinvolte per meno di un miliardo, secondo le stime dell’Abi.

Per quanto riguarda lo Stato, invece, l’esposizione italiana diretta verso la Grecia è di circa 10 miliardi, per effetto di prestiti bilaterali del 2010-2011. Il resto dell’esposizione è legato alla quota parte detenuta nella Bce, la cui percentuale è del 17,7917%, ovvero 14,2 miliardi. Medesima percentuale per calcolare la quota italiana sui prestiti erogati alla Grecia dall’Efsf, totale sceso a 130,9 miliardi. Il calcolo porterebbe quindi a una cifra monstre tra i 40 e i 68 miliardi. Siamo proprio sicuri, come credono in tanti, che un default della Grecia sarebbe utile?

Grecia-Italia, qualche numero sull’import-export

In queste ore nelle quali la Grecia, sta tenendo l’Europa e parte del mondo occidentale con il fiato sospeso e balla sull’orlo del baratro del default con un piede già nel precipizio, dando un’occhiata alla bilancia commerciale tra l’Italia e il Paese ellenico, si nota che nei primi tre mesi del 2015 sono salite salgono le importazioni: +14,5% anno su anno, con l’Italia che esporta di meno -4,4%.

Secondo alcune elaborazioni dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza e della Camera di commercio di Milano, su dati Registro Imprese, Unctad – Banca d’Italia e Istat Coeweb, complessivamente l’interscambio tra gennaio e marzo tra Italia e Grecia vale quasi 1,6 miliardi di euro, di cui oltre 1,4 nel settore manifatturiero. Cento milioni di euro è il valore dei prodotti agricoli scambiati, di cui il 70% riguarda l’import.

Nel 2014, l’export italiano verso la Grecia teneva rispetto all’anno precedente (+0,1%), dava segni di crescita l’import (+2%). Per quanto riguarda invece la quota di investimenti italiani in Grecia, questi ammontano a circa 2,3 miliardi di dollari, pari allo 0,7% degli investimenti esteri italiani in Paesi Ue.

Le Camere di commercio che hanno effettuato le rilevazioni hanno poi focalizzato l’attenzione sui rapporti commerciali tra Grecia e Lombardia. Nei primi tre mesi del 2015, nella regione l’interscambio vale 423 milioni di euro (con Milano 180 milioni), +30,5% in un anno, +11,8% per l’export +67,4% l’import. Nei dodici mesi del 2014, l’import di 510 milioni è cresciuto del 23% rispetto all’anno precedente, l’export di 981 milioni è aumentato del 5%.

Milano esporta in Grecia per 300 milioni, Pavia, Bergamo e Brescia per circa 100. L’import è per Milano di 265 milioni, per Brescia di 60, per Bergamo e Monza di circa 40.

Per quanto riguarda, invece, i titolari di impresa nati in Grecia ma operanti n Italia, secondo le rilevazioni della Camera di commercio sono 430. Che, presumiamo, staranno guardando con ancor maggiore attenzione a quanto accade nel loro Paese.

Piemonte leader per innovazione

Se gli italiani sono un popolo di creativi, quando si tratta di innovazione storcono il naso e rimangono ancorati alle loro tradizioni.
L’esempio più lampante viene dalla valutazione sull’innovazione appena pubblicata dalla Commissione Europea, che boccia il Belpaese senza possibilità di replica.

Non solo l’Italia non può competere con Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia, ovvero i Paesi che, più di altri, hanno dimostrato di voler investire su innovazione e tecnologia, ma a stento tiene il passo con la Grecia, che notoriamente non brilla per essere all’avanguardia.

La problematica principale è la spaccatura tra le regioni, con il Mezzogiorno che arranca e alcune realtà del nord che, invece, si distinguono per progetti e proposte interessanti ed in grado di tener testa ai “primi della classe” a livello europeo.
Esempio lampante è quello di Piemonte, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, che hanno dimostrato di saper orientare i propri fondi e formare i giovani, ma soprattutto di voler studiare e programmare per ridurre il divario che ancora esiste tra Europa e Stati Uniti e Giappone.
In realtà, il gap si sta assottigliando, anche se molto lentamente, non solo a causa di Paesi ancora molto indietro quanto ad innovazione, ma anche per il passo lungo con cui procedono Paesi come la Corea del Sud, tanto da vantare un tasso di crescita dell’innovazione del 6% nel periodo 2006-2013, quando in Europa è solo del 2,7%.

Antonio Tajani, commissario europeo per l’industria, chiede che vengano introdotte riforme ad hoc: “Quando c’è un fardello fiscale così forte sulle imprese è difficile investire molto in innovazione e ricerca. La Commissione ha sempre raccomandato al governo italiano, e credo continuerà a farlo, di ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo“.

Tra i punti deboli dell’Italia c’è la poca collaborazione tra studenti ed imprese, mentre pubblicazioni scientifiche, brevetti e licenze vendute all’estero rappresentano veri punti di forza del nostro Made in Italy.
A preoccupare, sono soprattutto gli investimenti di venture capital e la spesa per l’innovazione non legata alla ricerca e sviluppo.
La buona notizia riguarda i piemontesi, che sono vicini ai Paesi migliori da almeno quattro anni, con il Mezzogiorno in affannoso recupero nei confronti della Lombardia.

Tajani, a questo proposito, ha dichiarato: “In Piemonte c’è un tessuto industriale forte che ha permesso di resistere meglio alla crisi rispetto ad altre realtà nazionali. La presenza della Fiat è stata importante come tutto il sistema delle piccole imprese, hanno fatto la differenza mentre il Paese faticava“.

Vera MORETTI

Prestiti ancora in calo a novembre

In pauroso calo, ancora una volta, i prestiti che le banche hanno concesso a famiglie ed imprese.
Il mese di novembre, infatti, come ha confermato Abi, ha segnato un ulteriore passo indietro, registrando un preoccupante -4% ad una percentuale già in caduta libera.
Si tratta del peggior dato dal giugno 1999, che ha peggiorato il già negativo 3,7% di ottobre.

Ocse, inoltre, certifica che, sempre nel mese di ottobre, la dinamica dei prestiti alle imprese non finanziarie è risultata pari a -4,9% (-4,2% il mese precedente; -2,8% un anno prima).
In lieve flessione la dinamica tendenziale del totale prestiti alle famiglie (-1,3% ad ottobre 2013, -1,1% il mese precedente; -0,1% ad ottobre 2012).
La dinamica dei finanziamenti per l’acquisto di immobili, è risultata ad ottobre 2013 pari al -1,1% (-1,1% anche il mese precedente; +0,2% ad ottobre 2012).

Abi ha anche fatto presente che nel terzo trimestre 2013 è ripresa la contrazione degli investimenti fissi lordi, con una riduzione congiunturale annualizzata pari a circa il 2,2% (0% nel secondo trimestre).
In peggioramento sono risultati anche altri indicatori riferiti all’attività delle imprese: l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito su base annua ad ottobre 2013 di -1,1%.

Sempre nel terzo trimestre del 2013 si è registrata una significativa diminuzione della domanda di finanziamento delle imprese legata agli investimenti.

Ocse, inoltre, ha rilevato che in Italia, tra il 2011 e il 2012, la pressione fiscale, misurata
come rapporto tra introiti fiscali e Pil, è cresciuta di 1,4 punti percentuali, arrivando al 44,4%.
Si tratta di un aumento superiore alla media Ocse (0,5 punti) e inferiore solo a quelli registrati in Ungheria (1,8) e Grecia (1,6) tra i Paesi membri dell’organizzazione parigina.

La pressione fiscale italiana era prima scesa dal 42% nel 2000 al 40,6% nel 2005, poi risalita al 43,2% nel 2007, riscesa al 43% nel 2011 e risalita al 44,4%.
Nel 2011, ultimo anno per cui esistono dati comparabili per tutti i Paesi membri, il dato italiano del 43% era di quasi 9 punti percentuali superiore alla media Ocse. Il nostro Paese era quinto per pressione fiscale tra i membri dell’organizzazione, dietro Danimarca (47,7%), Svezia (44,2%), Francia (44,1%), Belgio (44%) e Finlandia (43,7%).

Vera MORETTI

Rapporto Imd amaro per l’Italia

L’Italia è sempre meno competitiva, a livello economico, e, appesantita dal debito pubblico e dal carico fiscale che pesa su aziende e lavoro, è scivolata al 44esimo posto, su 60, nella classifica dell’ultimo rapporto dell’Istituto svizzero di Losanna Imd.

In un anno, il Belpaese ha perso ben 4 posizioni, a causa di performance economiche molto deboli, ma anche dell’inefficienza del settore pubblico, le difficoltà del sistema bancario e la rigidità del mercato del lavoro.

Ma non è solo l’Italia ad arrancare, perché la Spagna è in caduta libera, dal 39esimo al 45esimo posto, seguita anche dal Portogallo, ora al 46esimo posto, mentre l’anno scorso era al 41esimo.
Fanalino di coda rimane la Grecia, in 54esima posizione.

Gli economisti vedono in estrema difficoltà l’area meridionale dell’Europa, colpevole di non aver “abbastanza diversificato la loro industria o controllato la spesa pubblica e ora devono far fronte a programmi di austerità”.

Ma anche ai “piani alti” c’è poco da sorridere, perché perdono punti, e posizioni, anche Gran Bretagna, ora in 18esima posizione, e la Francia, 28esima, superate da paesi in ascesa come gli Emirati Arabi, che guadagnano 8 posizioni e, dalla 16esima, balzano all’ottava posizione.

Hanno ragione a gloriarsi sugli allori la Svizzera, che recupera un secondo posto a seguito degli Usa, che si sono riappropriati della la prima posizione. Bene anche la Svezia, al quarto posto, e la Germania che resta al nono posto.

Vera MORETTI

L’economia italiana (quasi) la peggiore d’Europa

La notizia non è inaspettata, ma certo neanche piacevole.

Nella bozza del World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale indica l’Italia, rispetto agli altri Paesi dell’UE, in ritardo per quanto riguarda l’economia, anche a causa di un calo del Pil dell’1% registrato nell’ultimo anno e una crescita, prevista per il 2013, di un misero 0,5%.

Il Belpaese non è il fanalino di coda dell’Europa, ma peggio è messa solo la Spagna (-1,5% nel 2013), mentre si raffronta alla crescita dello 0,6% in Germania e dello 0,3% in Francia.
Ai nostri livelli c’è il Portogallo, mentre peggio di noi solo Slovenia (-1,5%), Cipro (-3,1%) e Grecia (-4,2%).

Le prospettive globali “sono migliorate ancora, ma la strada per la ripresa nelle economie avanzate resta sconnessa”.
A peggiorare le cose nel nostro Paese è anche l’incertezza politica dovuta ai risultati delle elezioni.

Vera MORETTI

Scaldate i motori, ecco il Motor Show 2012

 

IERI

Spread sotto i 300 punti: giornata storica per lo spread quella di ieri. La differenza tra il rendimento dei titoli di Stato italiani decennali e quello dei bund tedeschi è scesa infatti sotto i 300 punti base. E il calo della febbre da spread ha coinciso con l’annuncio da parte dell’agenzia nazionale del debito greco, la Pdma, di aver avviato il programma di buyback volontario di titoli del debito pubblico detenuti dai creditori privati per allontanare lo spettro del default. Non ancora soddisfatto il presidente del Consiglio Mario Monti: “desidero confessare che per me c’è un livello di spread, che è 287 punti base, che rappresenta, e spero venga presto toccato, un punto particolarmente significativo”. 287 punti è infatti la metà esatta dei 574 punti base che il governo tecnico aveva dovuto affrontare al suo insediamento.

Si alla Tav: Monti ha detto sì. Italia e Francia hanno siglato ieri a Lione una dichiarazione congiunta di intenti per confermare l’impegno alla realizzazione della Tav Torino-Lione “nelle tempistiche previste”. La dichiarazione impegna i governi dei due Paesi a promuovere le precedenti intese sulla linea ad alta velocità che collegherà Torino a Lione: gli esecutivi dovranno infatti attivarsi in tempi consoni per sottoporre la ratifica del trattato bilaterale già approvato e firmato ai Parlamenti di Roma e Parigi. Il provvedimento pro Tav potrebbe arrivare non appena verrà approvata la legge di Stabilità.

Baby Windsor in arrivo: non si sa ancora se sarà maschio o femmina, ma dopo le voci che si rincorrevano da giorni, ieri è arrivato l’annuncio ufficiale. William e Kate attendono un erede. La duchessa di Cambridge, 30 anni, sarebbe alla 12 settimana di gestazione, e proprio ieri, dopo un leggero malore dovuto alla gravidanza è stata ricoverata in una clinica londinese per accertamenti. Con tutta probabilità  Kate trascorrerà i mesi della gravidanza nella residenza dei genitori, lontana da occhi indiscreti e fotografi. Il royal baby di casa Windsor, concepito nell’anno del Giubileo della regina Elisabetta, sarà il terzo in linea di successione al trono britannico, dopo papà William e nonno Charles, poco importa se sia maschio o femmina. In tal caso, speriamo che sia femmina.

OGGI

Armi chimiche in Siria: non superare la linea rossa. E’ questo il monito nuovamente espresso da Barack Obama nei confronti del regime di Bashar al Assad: “se Assad dovesse usare armi chimiche, sarebbe inaccettabile e ci sarebbero delle conseguenze”. Già il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, aveva dato un primo avvertimento alla Siria dopo le rivelazioni del New York Times sullo spostamento degli arsenali chimici da parte del regime di Damasco: secondo la Cia e le intelligence straniere la Siria disporrebbe di un arsenale di armi chimiche tra cui iprite, gas nervini e il più letale di tutti, il Vx. Per gli 007 sono 3 gli scenari possibili: il regime potrebbe ricorrere ai gas per colpire i ribelli definiti “terroristi stranieri e invasori”; le fazioni più estreme della rivolta potrebbero impossessarsi delle armi chimiche; quello di Damasco è solo un bluff molto molto pericoloso. Ma la paura di un attacco chimico, che potrebbe colpire anche la Turchia, resta.

Berlusconi vs Bersani: si candida o non si candida? Ma certo che si candida alla fine. Stavolta il Cavaliere sarebbe pronto, secondo le indiscrezioni, a scendere in campo per sfidare a viso aperto Bersani, eletto domenica come candidato all’opposizione alle Primarie del Pd. Contro il segretario del Pd Berlusconi è sempre più convinto di “potersela giocare”, mentre con Renzi la battaglia sarebbe stata molto più dura. Ma sul Cavaliere pende ancora una spada di Damocle: il verdetto di mercoledì sulla nuova legge elettorale.

Affaire La7: la vendita dell’emittente del gruppo Telecom Italia Media si fa sempre più complicato e nebuloso. Se ieri Mediobanca, primo azionista di Telecom Italia e consulente per la vendita, avrebbe dovuto consegnare le offerte vincolati (ricordiamo i 4 contendenti: fondo Clessidra di Claudio Sposito, Cairo Communication, H3G, Discovery Channel), l’annuncio ufficiale è apparso piuttosto laconico: Discovery e Clessidra avrebbero fatto, secondo le indiscrezioni un passo indietro, mentre non è chiara la posizione di Cairo e H3G. Ma ecco che all’improvviso fa capolino nell’affaire della vendita di La7 un nuovo contendente: Tarek Ben Ammar, finanziere e produttore cinematografico e televisivo tunisino, che proprio oggi in una conferenza stampa a Milano si dice pronto ad “annunciare di aver trovato un partner internazionale, oltre al socio TF1, pronto ad investire nei media in Italia”. Che tra i suoi obiettivi di investimento ci sia proprio La7? Facciamo un passo indietro però: Ben Ammar è già consigliere d’amministrazione di Mediobanca e consigliere d’amministrazione di Telecom Italia. Che si tratti di tanto fumo e niente arrosto? O magari di ‘arrosto volutamente bruciato’ per invogliare nuovi acquirenti?

Motor show al via: si inaugura oggi negli spazi di BolognaFiere la 37ma edizione del Salone Internazionale dell’Automobile. Oggi è la giornata dedicata a stampa e operatori di settore, mentre dal 5 al 9 dicembre il Motor Show sarà aperto a tutti gli appassionati di due e quattro ruote. Qualche anticipazione? Fiat presenterà la terza generazione della Panda 4×4, insieme alle Abarth da corsa. Inoltre ci sarà la possibilità di conoscere e provare le auto a emissioni zero presenti nella sezione “Electric City”, quelle storiche della “Icon Cars”, con una Ferrari Dino 246 GT del 1969. Una chicca d’antan. Per gli amanti del lusso da non perdere la Ferrari 458 Italia, la Lamborghini Aventador, la Maserati GranTurismo Sport, ma la McLaren MP 4-12C Spider, un’anteprima per l’Italia.

DOMANI

Legge elettorale in Senato: arriverà nell’aula del Senato il 5 dicembre la riforma alla legge elettorale. “Siamo vicini ad una possibile intesa” aveva fatto sapere Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori del Pdl, mentre anche Anna Finocchiaro, capogruppo Pd, si era detta vicina ad una soluzione ‘condivisa e positiva’. Ma sul piatto della riforma restano ancora molti nodi da sciogliere, primo fra tutti il premio di coalizione. La proposta del senatore Roberto Calderoli è questa: premio alla prima coalizione sopra il 35% e alla prima lista tra il 25 e il 35% con ‘scaglioni’ di premio di un punto percentuale che, di fatto, consentono di governare solo alla coalizione che superi il 38% alla quale va in totale il 50,5% dei seggi.

Fibra ottica di Telecom: da domani Roma, Torino e Napoli si aprono all’ultrabroadband. Telecom comincia così la sua espansione della fibra ottica in Italia, realizzata in architettura FTTCab (Fiber to the Cabinet), che permette di raggiungere una velocità di trasmissione di 30 Megabit al secondo in download e 3 Megabit in upload, ovvero si potranno fruire in tempo reale contenuti multimediali in alta definizione. I servizi su rete in fibra ottica saranno estesi nelle prossime settimane a Milano, Genova, Bologna e Bari.

Juve in Champions League: obbligo di pareggio per la Juventus domani a Donetsk contro lo Shakhtar, pena l’eliminazione dalla Champions League. per continuare il sogno Europeo. Per proseguire negli ottavi, gli allievi di Conte dovranno portare a casa la vittoria o al massimo il pareggio, a meno che il Chelsea non venga clamorosamente battuto dai danesi del Nordsjaelland, eventualità alquanto improbabile.

 

Alessia CASIRAGHI