iStrumentum, da Aruba il software per il notariato

Il notariato italiano anticipa i tempi e, grazie alla partnership tra Notartel, società informatica di sua proprietà, e Aruba PEC S.p.A. società del Gruppo Aruba, mette a disposizione dei notai iStrumentum, il nuovo per la stipula degli atti notarili informatici.

Il nuovo programma per il notariato accompagna il notaio nell’intero processo di preparazione, creazione, verifica e costruzione dell’atto informatico notarile e dei suoi allegati e ne semplifica la gestione.

Disponibile per il download già da metà febbraio, iStrumentum consente di gestire interamente l’atto notarile, dalle fasi preliminari (verifica dei dati anagrafici dei comparenti, redazione del testo principale dell’atto, raccolta degli eventuali allegati) fino alla fase di stipula (autenticazione dei comparenti, lettura dei testi al loro cospetto, raccolta delle firme).

Per garantire la massima sicurezza, il nuovo software del notariato non si limita solo a inserire nel documento l’immagine della firma delle parti, ma “cattura” il segno grafico inserito sul tablet tramite apposita firma grafometrica.

La firma di ciascun sottoscrittore di un atto viene associata al tempo di scrittura, alla pressione esercitata sul tablet, alla posizione della mano, alla velocità, accelerazione e ritmo nel momento della sottoscrizione: criteri che garantiscono la massima sicurezza, creando un legame fra i tratti biometrici del firmatario e il documento sottoscritto, rendendo quindi univoca l’identità del firmatario per un preciso documento.

Con iStrumentum, il processo digitale si svolge con questi passaggi:

  • Il notaio prepara il testo dell’atto pubblico informatico e lo riversa in pdf;
  • Le parti sottoscrivono l’atto con firma digitale o firma grafometrica;
  • Il notaio verifica la corretta apposizione delle firme da parte di coloro che presenziano alla stipula e che hanno apposto la propria firma sull’atto;
  • Il notaio firma a sua volta tutti gli oggetti costituenti la stipula e salva l’atto pubblico informatico;
  • Il software calcola l’impronta di tutti gli oggetti, apponendo una firma di processo e richiedendo una marca temporale.

Due le versioni previste del software per il notariato: la prima per desktop (già disponibile) e la seconda web (disponibile a partire dai prossimi mesi). Con iStrumentum dall’inizio di marzo sono già stati stipulati i primi atti con firma grafometrica e non più solo con firma digitale.

Italia e tecnologia, un amore difficile

Quando pensiamo al ruolo chiave che la tecnologia deve avere nelle nostre Pmi per consentire loro di competere meglio su scala mondiale superando le secche della crisi, ci dimentichiamo del quadro d’insieme che caratterizza il rapporto del nostro Paese con l’Ict. E non è un quadro incoraggiante.

In base all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) pubblicato dalla Commissione europea e relativo al 2015, l’Italia è un Paese con scarse competenze digitali e in ritardo nella connettività. Una situazione che la colloca al 25esimo posto sui Paesi dell’Ue a 28, con un indice pari a 0.4. La Danimarca, che è prima, ha un indice di 0.68, la Romania, ultima, di 0.36.

E, a proposito di aziende e tecnologia, il report della Commissione Ue segnala che proprio quello delle imprese è il segmento di Paese che, negli anni, ha fatto registrare i progressi più lenti, specialmente sotto il profilo dell’incidenza dell’ecommerce sul fatturato delle imprese: solo l’8% del totale.

Il problema del rapporto tra l’Italia e la tecnologia è comunque strutturale. Secondo il DESI, il 37% dei cittadini italiani non usa regolarmente internet, mentre il rimanente 63% naviga online in maniera elementare, senza svolgere attività complesse. La scarsità delle competenze digitali dei propri cittadini pone l’Italia al 24esimo posto in Europa in questa classifica.

Il gap con l’Europa si manifesta anche sul lato della tecnologia a banda larga e nelle reti di nuova generazione, disponibili per meno della metà delle famiglie italiane (44%). Ritardi che, nella classifica europea della connettività, pongono l’Italia al 27esimo e penultimo posto. Per fortuna, almeno nei servizi pubblici digitali l’Italia non è lontana dalla media Ue.

Ue che, in quanto a digitalizzazione e accesso alla nuova tecnologia, va decisamente più veloce dell’Italia. Il 71% delle famiglie europee ha infatti accesso alla banda larga ad alta velocità (+10% rispetto al 2014), mentre gli abbonati alla banda larga mobile sono 75 ogni 100 abitanti contro i 64 del 2014. Ben il 75% dei cittadini europei acquista regolarmente online, ma in questo caso lo scostamento tra domanda e offerta è evidente: solo il 16% delle Pmi europee ha una piattaforma e-commerce.

Scorrendo la classifica del DESI, non stupisce che le posizioni di vertice siano occupate da Paesi che con la tecnologia hanno un rapporto facile e scontato: Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia. Meno scontata la classifica dei Paesi che hanno migliorato più rapidamente il proprio ranking: Paesi Bassi, Estonia, Germania, Malta, Austria e Portogallo.

E l’Italia? Il nostro Paese è ancora al di sotto della media Ue, ma sta recuperando. Insieme a Croazia, Lettonia, Romania, Slovenia e Spagna, siamo cresciuti più rapidamente di altri nel 2015, ma rimane ancora tantissimo da fare per colmare un divario che, in un mondo sempre più globalizzato e nel quale la tecnologia è sempre più imprescindibile, può fare la differenza tra lo sviluppo e il declino.

Tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi

Che la via delle tecnologie digitali per la sopravvivenza delle Pmi italiane sia una delle poche praticabili, è un dato di fatto testimoniato anche da alcuni studi e ricerche. Una di queste, promossa da Sap a livello globale e realizzata da Idc, ha rilevato come le piccole e medie imprese che hanno adottato al loro interno le tecnologie digitali hanno una crescita più rapida rispetto a quelle che non le hanno implementate.

Secondo lo studio di Sap, più del 39% delle Pmi mondiali ritiene che “la partecipazione attiva nella digital economy è fondamentale per la propria sopravvivenza nei prossimi 3-5 anni”. Un trend di crescita favorito dalle tecnologie digitali che mostra come le imprese che durante l’ultimo anno hanno fatto segnare un fatturato in crescita del 10% – oltre il 45% di quelle intervistate, con un numero di dipendenti tra i 500 e i 999 – hanno “adottato tecnologie innovative per connettere persone, dispositivi e la rete di clienti e partner”.

Lo studio di Sap ha anche messo in luce come il 50,6% di queste aziende impieghi software collaborativi, la tecnologia più usata dal campione intervistato. Seguono tecnologie digitali legate alle soluzioni di Crm (38%) e di business analytics (37%). Inoltre, una significativa percentuale di aziende intervistate ( 52,5% -60,2%) ritiene che le “nuove tecnologie digitali hanno consentito di migliorare il flusso di lavoro, di semplificare le operazioni e aumentare la produttività”.

Non mancano però casi di scarsa attitudine alle tecnologie digitali, anche in aree geografiche apparentemente insospettabili, come dimostra il fatto che il 24,7% delle Pmi nordamericane che sostiene di aver fatto “poco o nulla” per intraprendere la propria trasformazione digitale.

Un altro aspetto interessante emerso dallo studio è la preoccupazione che alcune aziende hanno della ricaduta dell’uso delle tecnologie digitali sulla vita dei propri dipendenti. In questo senso, una percentuale variabile tra il 30,4% e il 36,6% delle Pmi intervistate sostiene che “le relazioni personali tra i dipendenti non sono state rafforzate dall’adozione della tecnologia”, mentre il 35% – 45% delle aziende ha risposto di essere “preoccupato di dover fare troppo affidamento sui dati per prendere decisioni di business efficaci”.

Made in Italy ed eccellenze digitali

I digitalizzatori del Made in Italy hanno fatto la loro scoperta: i prodotti italiani sono sempre più apprezzati e ricercati in rete ed è bene che le imprese sfruttino questo treno digitale che sta passando, aumentando nel proprio organico le figure con competenze digitali, per far sì che le medesime imprese possano crescere grazie al successo del Made in Italy.

È questo il succo di quanto emerso dalla presentazione, avvenuta nei giorni scorsi a Firenze, della nuova edizione del progetto Eccellenze in Digitale, promosso da Google e Unioncamere. Un progetto che ha interessato ben 20mila imprese, 1500 delle quali supportate nelle strategie di sviluppo digitale.

Secondo Diego Ciulli, public policy manager di Google Italia, “negli ultimi due anni sono cresciute del 22% le ricerche di prodotti Made in Italy online su Google. Nei Paesi in via di sviluppo di nuova digitalizzazione, c’è mercato aggiuntivo per i nostri prodotti: i nuovi ricchi di tante parti del mondo utilizzano Internet per accedere per la prima volta al Made in Italy, ma vediamo che le ricerche crescono anche nei Paesi industrializzati, come gli Usa la Germania e la Francia“.

Secondo i dati della ricerca, dei prodotti Made in Italy online attirano più le immagini (+41%) e i video (+32%) rispetto alle news (-7%). Incoraggiante la crescita dello shopping online, +57%.

Per quanto riguarda invece i Paesi che più di tutti amano i prodotti Made in Italy, almeno online, ci sono l’Australia, gli Usa e la Gran Bretagna; si difendono bene anche Grecia, Canada, Svizzera, Germania, Belgio e Olanda.

Chiusura all’insegna del buon senso da parte del vicepresidente di Unioncamere e presidente della Camera di Commercio di Firenze, Leonardo Bassilichi: “La qualità è il nostro petrolio e chi cerca il Made in Italy la insegue disperatamente, per questo dobbiamo trovare ogni mezzo per far conoscere al mondo i nostri artigiani di qualità, digitalizzare le Pmi d’eccellenza è il modo più semplice ed economico per prendere al volo questa voglia mondiale e trasformarla in un motore potentissimo per la nostra economia”.

Italiani popolo hi-tech

Qualche dubbio già ce l’avevamo: gli italiani sono sempre più propensi ad utilizzare dispositivi digitali o, più generalmente, hi-tech.
E, a guardare cosa accade nelle strade delle nostre città, dove la maggior parte dei passanti ha in mano, o in tasca, o in borsa, smartphone e tablet, non si stenta a crederci.

Ora è stato presentato anche uno studio che attesta questa tendenza.
L’indagine, Accenture Digital Consumer Tech Survey 2014, ha coinvolto 23.000 persone in 23 Paesi, Italia inclusa.

Concentrando l’attenzione sul consumatore italiano, emerge un profilo attirato dai dispositivi digitali, anche più di uno a seconda dell’uso.
Qualche esempio? In media, gli italiani possiedono, oltre all’immancabile smartphone, almeno un televisore, una console per giochi e un GPS in auto.

La percentuale maggiore, il 77%, riguarda proprio lo smartphone, mentre il 58% possiede un televisore ad alta definizione. Si tratta, in entrambi i casi, di percentuali maggiori rispetto alla media mondiale, del 5 e del 6%.
Il 47% dichiara di possedere una game console che consente l’accesso ad Internet (e il 57% di loro la usa appunto per connettersi) ed il 45% di avere a bordo della propria auto un dispositivo GPS.

Il tablet sta diventando sempre più diffuso, tanto che è il 39% della popolazione a possederne uno e un ulteriore 14% ha intenzione di acquistarne uno a breve.
Il pubblico maggiormente interessato in questo caso è quello più giovane, appartenente, per il 46% dei casi, alla fascia di età 14-34 anni. La percentuale scende a 41% per i 34-54enni e al 13% gli over 55.

Il 31% possiede un dispositivo di gioco portatile e il 19% ha un lettore eBook.
Fanalino di coda (12%) si attestano i dispositivi di intrattenimento a bordo delle automobili.

Uno dei dati che certamente colpisce di più è che i consumatori italiani, per il 60% dei casi, usa più dispositivi contemporaneamente, contro il 49% della media globale ed ovviamente questa tendenza appartiene di più ai giovani.
Secondo Massimo Morielli, Responsabile Media & Entertainment di Accenture, “Every consumer is a digital consumer. Ogni persona è oggi naturalmente un consumatore digitale e questo è particolarmente vero per gli italiani: il nostro mercato mostra infatti un forte interesse nei confronti delle tecnologie più innovative e dei servizi di intrattenimento digitali. La tempestività con cui le aziende del settore media rendono disponibili contenuti e servizi di qualità sui vari device è sempre più un fattore critico di successo”.

Inoltre gli italiani sembrano essere più tech savvy rispetto alla media mondiale: il 43% si considera “innovatore” o early adopter, con una spiccata propensione a provare prodotti e servizi di ultima generazione, contro solo il 34% degli intervistati a livello globale.
Fra gli innovatori le differenze di genere sono sempre meno evidenti: si percepiscono tali il 56% degli uomini ed il 44% delle donne.
Una correlazione più diretta si può stabilire fra la propensione all’adozione di nuovi dispositivi tecnologici e il reddito disponibile: il 30% degli innovatori si colloca nella fascia di reddito più elevata (più di 35.000€ all’anno).
La stessa correlazione si ritrova nella fascia di età dei più giovani (14-34 anni).

Circa le motivazioni alla base dell’utilizzo di servizi e device digitali: il 90% ritiene che diano la possibilità di fare le cose più velocemente, il 87% che rendano la vita più piacevole, il 83% che contribuiscano a mantenere i contatti con il proprio giro di amici e parenti, il 72% che offrano nuove opportunità per esprimere la propria creatività, mentre è relativamente bassa la percentuale di coloro che percepiscono un rischio per la privacy, il 56%.
Per quanto riguarda le motivazioni, non ci sono differenze sostanziali a seconda delle diverse fasce di età.

Hi-tech, il tesoro nascosto

 

Ormai da qualche giorno non si parla altro che di Raee, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, e dell’enorme potenziale economico derivanti dal loro recupero. Ogni anno, infatti, si producono nel mondo dai 20 ai 50 milioni di tonnellate di rifiuti derivanti dal mondo dell’hi‐tech che contengono 320 tonnellate d’oro e 7.200 d’argento per un valore di oltre 15 miliardi di euro. Secondo i dati forniti dall’Onu, solo il 15% di questo (immenso) tesoro viene recuperato. Solo nel vecchio continente, innalzando la percentuale di riciclo dall’attuale 33% all’80% delle circa 10 milioni di tonnellate di Raee prodotte ogni anno, ci sarebbero potenzialità economiche per almeno 1 miliardo di euro.

In Italia, manco a dirlo, scarseggia – come dimostrato nell’incontro organizzato dall’Associazione italiana per la ricerca industriale (Airi) in sinergia con l’Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere) – una vera progettazione finalizzata al recupero del Raee e i vuoti della legislazione comunitaria e nazionale la rendono praticamente dipendente dai grandi impianti di trattamento esteri. Durante l’incontro le imprese interessate hanno avuto l’occasione di entrare in contatto con gli esperti provenienti dalla ricerca pubblica e privata e con i tecnici del settore aggiornandosi sulle nuove tecnologie per recupero di Raee. Che possa nascere un nuovo settore di business per il bene dell’ambiente e dell’economia?  

JM

Startup hi-tech, ecco il paradiso

 

Gli Stati Uniti, la Cina, l’Italia? No, il vero paradiso per investitori e startupper nel mondo dell’hi-tech per i World Startup Report, mini guide che offrono una panoramica essenziale su mercato, popolazione, sbocchi, incubatori e opportunità di investimento in tutti i Paesi del mondo, sarebbe il Pakistan.

Nello Stato dell’Asia meridionale sono oltre 30 milioni le connessioni Web su 180 milioni di abitanti che fanno del Paese il sesto più popoloso del mondo, di cui più del 60% ha un età che va dai 15 ai 45 anni, una fascia di utenti ideale per diffondere smatphone e servizi web. Inoltre, secondo le previsioni, entro il 2019 i fruitori di banda 3 e 4g arriveranno a 110 milioni.

Nonostante la maggioranza popolazione pakistana viva con meno di 2 dollari al giorno e risultino tuttora inutilizzabili siti e social network come Twitter e YouTube, nel Paese si possono contare 32 poli accademici e Lahore, con altre 30 università, ospita anche il principale hub tencologico del Paese: l’Arfa Software Technology Park.

Una Silicon Valley in salsa islamica…

JM

Il 20 giugno a Cesena, il Confartigianato Day

Al prossimo Confartigianato Day che si terrà il 20 giugno a Cesena, si parlerà di fablab, smart cities, innovazione digitale, nuovi scenari tecnologici, senza dimenticare le sfide del territorio per lo sviluppo con un diverso approccio al rapporto tra scuola, università e imprese e un sistema dell’istruzione più rispondente alle esigenze del mondo del lavoro.

L’evento, organizzato da Confartigianato Federimrpesa Cesena, ha come tema, dunque, “La Rivoluzione Artigeniale. Tradizione, Innovazione e Tecnologia per disegnare nuovi confini dello sviluppo“.

Ad introdurre i lavori sarà Stefano Bernacci, segretario di Confartigianato Federimpresa Cesena, il quale avvierà il dibattito con Paolo Manfredi, responsabile innovazione Confartigianato Imprese; Mauro Colombo, segretario Confartigianato Varese dove è stata condotta una esperienza pioneristica sul fablab; Andrea Vaccari, responsabile FabLab Romagna e gli imprenditori Matteo Bacchi, Alex Mancini e Nicola Pippi che illustreranno esperienze all’avanguardia nel settore dell’innovazione.

Bernacci ha dichiarato, a proposito dell’iniziativa: “Siamo convinti che le imprese artigiane e le piccole imprese possono svolgere un ruolo fondamentale nell’innovazione del territorio e dell’economia a condizione di superare gli approcci che partono dalla tecnologia rispetto ai bisogni da soddisfare.Questo non significa sottovalutare l’importanza di avere reti telematiche ad alta velocità e disponibili su tutto il territorio o la digitalizzazione della pubblica amministrazione per la semplificazione dei rapporti con cittadini ed imprese. Riflettere sul modello di sviluppo delle città prima della loro informatizzazione significa tuttavia avere la consapevolezza che senza connettere l’ultimo miglio nessuna tecnologia smart potrà funzionare. Significa coinvolgere le imprese, ad esempio in settori come l’edilizia, l’impiantistica, l’energia, la mobilità, la cultura ed i servizi socio-assistenziali, nell’implementazione delle soluzioni che la tecnologia offre. Confartigianato ha posto il tema delle smart cities fra quelli più importanti della propria agenda di accompagnamento al mercato delle imprese“.

Vera MORETTI

In Toscana imprese hi-tech in aumento

Uno studio effettuato dall’Osservatorio di Unioncamere Toscana e Scuola Superiore Sant’Anna relativo alle imprese hi-tech ha messo in luce il fermento che caratterizza le piccole e medie imprese, in crescita soprattutto se operanti nel settore dei servizi (+2,6%) mentre le aziende di grandi dimensioni puntano decisamente all’export.

La crescita delle imprese toscane riguarda soprattutto le produzioni a carattere innovativo e le politiche di marketing mirate alla diversificazione dei mercati di sbocco e che hanno registrato un continuo aumento dal 2013 (+0,7%) fino ad oggi (+1,4%).
Al contrario, numeri negativi per il settore manifatturiero (-0,6%), dovuti agli andamenti della meccanica.

Per quanto riguarda l’occupazione, registrata in aumento, deve i suoi dati positivi ancora una volta ai comparti riguardanti l’alta tecnologia (+2,6%, +1,0% il manifatturiero high-tech), ma il 2014 appare buono per tutte le tipologie di impresa.

Le migliori prospettive di crescita si registrano per le filiere life sciences, in particolare nel segmento della farmaceutica (+4,9%), Ict (+4,1%) e meccanica avanzata (+1,9%), ma un miglioramento decisivo si prevede per elettronica (+3,0%), servizi per l’innovazione (+2,6%), energia e ambiente (+1,1%).

Tali aspettative, legate all’andamento della domanda internazionale, riguardano soprattutto medie e grandi imprese (+3,2%), ed in parte anche le piccole (+2,5%) e micro-dimensioni (+0,4%).

I numeri, quasi sempre positivi, erano cominciati già nel 2013, quando è stato rilevato da una
intensificazione degli investimenti in ricerca e sviluppo (+2,2% l’andamento della spesa, positivo per tutti i settori e le tipologie di impresa): mediamente ogni impresa investe in R&S il 22% del proprio fatturato ed impiega il 39% del personale complessivo.
In crescita a ritmi superiori rispetto a quelli dell’occupazione complessiva anche le assunzioni di addetti high-skilled (+2,1%); nel 2013 il 47% degli addetti delle imprese high-tech sono ingegneri.

L’Osservatorio di Unioncamere Toscana-Scuola Superiore Sant’Anna in cinque anni ha censito 1.560 localizzazioni high-tech sul territorio regionale; un universo in decisa crescita (+6,3%) rispetto a quello risultante dalla precedente rilevazione (inizio 2013), grazie ad un saldo positivo tra uscite (-64 unità) e nuovi ingressi nella popolazione di riferimento (+157).

Oltre un terzo delle unità locali è concentrato nel territorio di Firenze (34,4%), seguita da Pisa (18,0%) e Siena (7,8%). Lucca ed Arezzo pesano per oltre il 7% sul totale regionale, in ragione di una discreta evoluzione nella numerosità dell’imprenditoria high-tech a livello locale.

Sono ormai oltre 45.000 gli addetti che operano nel settore hi-tech su territorio regionale, e a questo proposito un ruolo importante è quello ricoperto dalle medie imprese ad alta tecnologia, attive sia nel manifatturiero che dei servizi e particolarmente presenti nei territori di Firenze, Lucca, Pisa e Arezzo.

In questo ambito sono alcune filiere ad elevata intensità di scala, tra cui elettronica e Life Sciences (in particolare, farmaceutica), quelle in cui la propensione ad investire appare più pronunciata (oltre 3 imprese su 4 prevede investimenti per il periodo 2014-2016). Beni materiali (27% delle imprese con investimenti) e beni immateriali (21%, in prevalenza diritti di proprietà intellettuale) assumono una uguale rilevanza in termini di tipologia di investimenti in programma: nel prossimo triennio, oltre il 50% delle imprese high-tech investirà in Ricerca di base, e ben il 20% lo farà in collaborazione con partner esterni.

Vera MORETTI

A Ravenna Festival ecologico hi-tech

La settimana scorsa, dal 21 al 23 maggio, Ravenna è stata capitale dell’alta sostenibilità, con una serie di eventi e di presentazioni a tema.

Questo festival ecologico hi-tech è stato organizzato, per la settima volta consecutiva, da labelab, il network di professionisti guidato da Giovanni Montresori e Mario Sunseri.

La manifestazione ha avuto luogo in 12 sale attrezzate in piazza del Popolo e nelle principali vie del centro, con una serie di conferenze, seminari di formazione e workshop per sensibilizzare i cittadini sul rispetto per l’ambiente.

Giovanni Montresori e Mario Sunseri, co-direttori dell’evento, hanno sottolineato l’importanza dell’hi-tech in campo ambientale: “E’ nel campo ambientale che l’utilizzo dell’hi-tech può permettere lo sviluppo delle aziende italiane del nostro settore creando soluzioni innovative. Il nostro network e l’evento ravennate permettono la promozione, la continua ricerca e la divulgazione delle migliori pratiche che emergono nei servizi ambientali”.

La giornata di conclusione del festival è stata quella più ricca di eventi, a cominciare dalla conferenza sul trattamento e lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto.
Con la partecipazione di illustri relatori del panorama giuridico – tecnico e scientifico italiano è stata affrontata la problematica della dismissione delle 32 milioni di tonnellate di “eternit” ancora presenti sul nostro territorio.

A seguire, è stato dato il via al tradizionale labeCamp, una sorta di non-conferenza con la partecipazione di blogger, giornalisti, esperti ed appassionati di ecologia, tutti accomunati dalla voglia di praticare conversazioni sostenibili.

In chiusura, presso Ravenna Yacht Club, “Luci e ombre sulla gestione del ciclo di vita di uno scafo”, un’iniziativa che è stata definita come un vero e proprio festival formativo che ha coinvolto direttamente e materialmente tutti gli attori.

Vera MORETTI