Piacere, Mohamed Brambilla

La diffusione di imprese guidate da extracomunitari è ormai una tendenza in atto da tempo, grazie all’ingrandirsi dei fenomeni migratori. Una diffusione che porta anche ad alcuni fenomeni curiosi.

Secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese relativi alle imprese individuali, con sede nel territorio metropolitano di Milano, iscritte nel periodo 1 gennaio-31 agosto 2016, in questo periodo Mohamed è il nome più diffuso tra i titolari di impresa a Milano.

Oltre un imprenditore su 40, tra quelli che hanno aperto un’attività iscrivendola in Camera di commercio, nei primi 8 mesi del 2016 si chiama Mohamed. Sono 209 su quasi 7.200 titolari di imprese individuali nate nell’area di Milano.

Tra gli stranieri, oltre a Mohamed, sono molto presenti anche Ahmed (78 titolari) e Ibrahim. Tra i cognomi cinesi, invece, il più diffuso è Hu, con 64 titolari, seguito da Chen (42) e Wang (24), Zhang, Liu e Zhou (22).

Oltre ai Mohamed, ai Pedro e agli altri, vi sono anche, naturalmente, molti imprenditori dal nome italiano. Tra i nomi più diffusi vi sono, Andrea (155 titolari), Marco (131 titolari), Francesco (119 titolari), Luca e Alessandro (114 titolari). Maria è il primo nome femminile in classifica, presente 108 volte.

Per quanto riguarda i cognomi italiani, vi sono 15 Colombo che hanno aperto un’impresa individuale, 12 Rossi, 11 Cattaneo, 10 Russo, 6 i Bianchi e 6 Barbieri.

E il mitico Brambilla? Solo in 7 hanno aperti un’impresa a Milano nel 2016. Aspettando il primo Mohamed Brambilla…

Stranieri, che boom per l’economia italiana

Gli stranieri stanno aiutando il tessuto produttivo dell’Italia a non collassare. Secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano su dati del registro imprese al terzo trimestre 2015, lo scorso anno in Italia. In Italia c’è stato un saldo negativo di 10mila imprese, -0,2%. Sono 35mila quelle in meno degli italiani, -0,7%, compensate dalle +25mila degli stranieri.

In quattro anni gli stranieri hanno attivato 79mila imprese in più e hanno bilanciato la perdita di imprese che si è fermata al -2,6%, anche se le imprese di italiani hanno fatto segnare un -4,4%. A Roma le imprese sono cresciute dell’1% in un anno, 3.500 in più delle quali ben 2.900 aperte da stranieri. A Napoli la crescita è stata dell’1,6%, +3.600 imprese e 3.300 di stranieri.

La Camera di commercio di Milano ha naturalmente fissato la propria attenzione sull’andamento delle imprese di italiani e di stranieri in Lombardia, in città e nelle province lombarde. Ha scoperto che in quattro anni in Lombardia le imprese hanno tenuto, grazie agli stranieri che hanno creato 16mila imprese in più, +21%. Se fosse per gli imprenditori italiani le imprese sarebbero 30mila in meno, -4,1%. Le imprese straniere contengono il calo a un -1,7%.

Anche nell’ultimo anno il trend è confermato, con 5mila imprese straniere in più in regione che hanno controbilanciato le 4mila italiane in meno e hanno fatto chiudere la regione col dato positivo di 1000 in più. Si è attestata a +0,2% la crescita delle imprese lombarde, grazie al +6,1% degli stranieri, altrimenti ci sarebbe stato un -0,6%.

Milano, Monza, Bergamo e Varese hanno avuto i maggiori benefici nel 2015 dal saldo italiani-stranieri: a Milano la crescita degli italiani del +0,4% è diventata un aumento dell’1,6%, a Monza il calo italiano di -0,3% è diventato un +0,4%, Bergamo ha chiuso in parità anziché calare del -0,8%, Varese è rimasta stabile invece di perdere lo 0,6%.

Secondo l’indagine della Camera di commercio, effettuata a fine 2015 su circa 400 imprenditori, gli stranieri sono apprezzati nelle imprese e circa 1 su 2 ha addetti nati all’estero. Scelti per la maggiore disponibilità e adattabilità, sono aiutati dalle imprese per la documentazione, per l’inserimento sociale, perché nei titolari e nei colleghi trovano un amico e perché riconoscono le loro feste. Si integrano meglio gli europei, soprattutto dell’Est, e i sudamericani, gli africani, i nord americani, gli asiatici e infine gli arabi.

Le imprese tornano a crescere nel 2015

Finalmente le imprese, in Italia, sono tornate a fare quello per cui esistono, oltre che produrre: crescere e far crescere l’economia. Secondo un’analisi sulla nati-mortalità delle imprese italiane diffusa da Unioncamere – InfoCamere, nel 2015 queste hanno toccato quota 6 milioni e 57mila unità, grazie a un saldo finalmente positivo tra aziende aperte e chiuse pari a 45mila unità: 372mila contro 327mila cancellazioni.

Si tratta di un ritmo di crescita tornato sui livelli precrisi, +0,75%, che, nonostante sia decisamente presto per cantare vittoria, fa ben sperare, specialmente per l’apporto dato alla crescita dalle imprese create da donne, stranieri e giovani. Si va infatti dalle 14.300 imprese femminili, alle 32mila di imprenditori stranieri fino alle oltre 66mila create da under 35.

Sempre l’analisi di Unioncamere – InfoCamere rivela che nel 2015 hanno faticato ancora le imprese manifatturiere (-2.416 unità), le agricole (-5.460) e, soprattutto, quelle edili (-6.055). Buone le performance delle imprese commerciali (+11.990), turistiche (+11.263) e di servizi alle imprese (+9.409), tre comparti che, da soli, totalizzano i due terzi della crescita registrata lo scorso anno.

Soddisfatto il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello: “La vivacità con la quale il sistema imprenditoriale ha ricominciato a crescere ci fa capire che i momenti più difficili della lunga crisi che ha attraversato il Paese sono probabilmente alle spalle. È bello soprattutto constatare che nel 2015 quasi 120mila giovani under 35 hanno scelto di scommettere sulle proprie capacità, dando vita a una nuova impresa. Il sistema camerale intende lavorare per fare in modo che tutte queste nuove realtà, molte delle quali sono sicuramente innovative e promettenti, superino con successo la delicata fase di start up e si affermino sul mercato“.

Imprenditori stranieri, qualche cifra

Come stanno messe le imprese italiane guidate da imprenditori stranieri? Una fotografia aggiornata l’ha scattata CRIF, società specializzata in sistemi di informazioni creditizie, business information e soluzioni per la gestione del credito, utilizzando le informazioni del CRIF Information Core per analizzare l’andamento tendenziale e le specificità delle aziende gestite da imprenditori stranieri.

CRIF ha rilevato come in Italia siano quasi 500mila le imprese guidate da imprenditori stranieri, la maggioranza delle quali è costituita da ditte individuali (74,1%), seguite da società di capitali (16,1%) e società di persone (meno del 10%).

CRIF ha anche analizzato le percentuali dei Paesi di provenienza degli imprenditori stranieri, rilevando come la maggior parte di loro arrivi dalla Romania (13,7%), seguita dalla Cina (13,3%), dal Marocco (12,9%) e dall’Albania (7,8%).

Il maggior numero di aziende con a capo imprenditori stranieri si concentra nel Nord-Ovest d’Italia, con una quota pari a circa il 33%. La parte del leone, in questo senso, la fa la Lombardia, che è anche la regione dove è più elevato il grado di penetrazione delle imprese con titolare non italiano rispetto al totale delle imprese attive sul territorio regionale.

La preziosa analisi di CRIF ha anche preso in esame la dimensione e l’età di queste aziende guidate da imprenditori stranieri e ha scoperto che il 93,5% di esse ha meno di 6 dipendenti e che sono in generale molto giovani: il 45,7% di loro è stato costituito dopo il 2011. Il 25,3% è guidato da imprenditrici. Per quanto riguarda i settori merceologici, gli imprenditori stranieri hanno fatto più strada nel commercio al dettaglio (36%), nell’edilizia (27%) e nei servizi (15,7%).

Un aspetto importantissimo analizzato da CRIF è relativo alla situazione degli imprenditori stranieri che provengono da Paesi a maggioranza islamica, i quali hanno spesso a che fare con un tipo di finanza particolare, molto attento alle regole della sharia. Un campo pressoché vergine per l’Italia e ricco di opportunità che meritano di essere esplorate.

Basta qualche numero per capire l’entità del fenomeno. Si stima infatti che l’universo legato ai servizi finanziari islamici gestisca fondi per un valore superiore ai 1.800 miliardi di dollari in più di 65 Paesi e che cresca di circa il 10%-15% all’anno. Nel mondo vi sono circa 360 istituti di credito totalmente islamici e oltre 250 fondi d’investimento spirati dai principi della sharia.

Sempre secondo CRIF, a dicembre 2014 il 36,6% dei titolari di impresa non italiani era costituito da imprenditori stranieri provenienti da Paesi a maggioranza islamica, mentre a ottobre 2014 è stato registrato il top di nuove imprese aperte da titolari provenienti da Paesi a maggioranza islamica, con più di 2mila nuove aperture. I Paesi di maggior provenienza di questi imprenditori sono Marocco, Bangladesh ed Egitto.

Tanto basta per inquadrare il fenomeno degli imprenditori stranieri come qualcosa di cui l’economia del nostro Paese non potrà più fare a meno con il passare degli anni.

Gli imprenditori stranieri in Italia

Gli imprenditori stranieri in Italia sono una benzina importantissima per il motore della piccola e media impresa. Se nel 2014 risultavano oltre 335mila imprese individuali registrate da imprenditori stranieri, capiamo bene come i flussi migratori non generino solo tragedie, frustrazione e povertà, ma anche ricchezza.

Quali sono, però, gli imprenditori stranieri che hanno davvero trovato l’America in Italia? Ce lo racconta sempre l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere, dalla quale emerge che Marocco, Cina, Albania e Bangladesh sono i Paesi d’origine del maggior numero di imprenditori stranieri operanti in Italia.

Gli imprenditori stranieri arrivati dal Marocco, le cui imprese rappresentano il 19,1% del totale delle ditte individuali guidate da extracomunitari in Italia, dominano in 11 regioni su 20, e sono i padroni assoluti nei settori dei trasporti e del commercio.

Dalla Cina arrivano invece 47mila imprenditori individuali, stando alle stime relative a dicembre 2014. La maggior parte di queste comunità di imprenditori stranieri si è stabilita in Toscana e Veneto, dove si dedicano principalmente alla loro vocazione manifatturiera (in special modo tessile), ma sono anche molto attivi nella ristorazione, nell’ospitalità e nei servizi alle persone.

Se un tempo, poi, almeno al Nord Italia muratore era sinonimo di bergamasco, ora gli orobici cedono il posto agli albanesi. Dal Paese delle aquile provengono infatti più di 30mila imprenditori stranieri, molti dei quali operanti nel settore delle costruzioni.

La Top 4 si chiude con gli imprenditori stranieri provenienti dal Bangladesh, titolari di quasi 26mila imprese, la maggior parte delle quali nel Lazio, che la fanno da padroni soprattutto nel settore del commercio (con più di 16mila imprese), ma non disdegnano, secondo Unioncamere, nemmeno i settori delle Tlc, dell’informatica, delle agenzie di viaggio e dei servizi alle imprese.

Meno numerosi ma comunque in forte crescita, sempre secondo Unioncamere, gli imprenditori stranieri provenienti da Pakistan (10.742 imprese, +1.490 sul 2013), Nigeria (10.563, +1.437), Senegal (18.192, +1.299) e India (4.730, +860). Insomma, per i migranti, oltre il Canale di Sicilia c’è di più, se il destino o la barbarie degli scafisti non decidono diversamente.

Immigrati: quanto versano al fisco?

Mentre alcuni Paesi dell’Unione Europea sembrano avere aperto gli occhi sulla questione immigrati e deciso di effettuare un cambio di passo nelle politiche dell’accoglienza, chi in Italia ha messo radici da anni continua a dare una grossa mano all’economia del Paese.

Abbiamo visto ieri il contributo dato dagli immigrati alla nascita di nuove imprese nel nostro Paese, in anni nei quali la crisi economica ha continuato a mordere e a fare strage delle aziende italiane. Oggi vediamo un altro indicatore importante, quello del gettito fiscale che, ogni anno, gli immigrati riversano nelle casse dello Stato.

È una cifra consistente, pari a 6,8 miliardi di euro che ogni anno finisce nelle casse dell’Agenzia delle entrate. Sì, perché tra i 5 milioni di immigrati regolari si cela un popolo di contribuenti: 3 milioni e mezzo di persone, che dichiarano al fisco oltre 45 miliardi di euro l’anno.

Un calcolo, questo sulle dichiarazioni dei redditi 2014 degli immigrati, fatto dalla Fondazione Leone Moressa, in base al quale risulta che i contribuenti immigrati sono l’8,6% del totale e dichiarano 45,6 miliardi di euro. Spacchettando il dato per etnie, in prima fila ci sono i romeni (6,4 miliardi), seguiti da albanesi (3,2), svizzeri (2,8) e marocchini (2,4).

Sul totale di questi contribuenti immigrati, le donne sono meno il 43,9% rispetto al 48% delle italiane, impiegate prevalentemente come colf e badanti. Mestieri appannaggio soprattutto di alcune nazionalità dell’Est Europa come Ucraina (le cui donne contribuenti sono il 75,9%) e Moldavia (60,7%). Non è tutto.

Interessante anche il dato relativo all’Irpef versata dagli immigrati, nel 2014: 6,8 miliardi, il 4,5% del gettito complessivo, con un’Irpef media pro-capite per i nati all’estero di 3.070 euro, quasi 2mila euro in meno degli italiani.

Significativa, poi, l’analisi effettuata dalla Fondazione Moressa su come le tasse pagate dagli immigrati, tra contributi previdenziali e gettito fiscale, vengono controbilanciate dalla spesa pubblica che li sostiene, per le voci relative a politiche di accoglienza e integrazione, welfare e contrasto all’immigrazione clandestina. Ebbene, il saldo è in attivo di 3,9 miliardi.

Per quanto riguarda invece la distribuzione territoriale, circa un quinto dei contribuenti immigrati vive in Lombardia e oltre il 50% in sole quattro regioni: Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia e Veneto. Tutti dati che, a giudizio della Fondazione Moressa, indicano che “gli immigrati risultano certamente più una risorsa che una minaccia per il Paese“.

Imprenditori immigrati, salvezza dell’economia

In un momento in cui i flussi dell’immigrazione in Europa hanno toccato livelli da esodo storico, con anche tragedie che toccano da vicino e scuotono le coscienze, in Italia è sempre più chiaro che gli imprenditori immigrati rappresentano un’ancora di salvezza per l’economia nazionale. Si tratta di una verità della quale abbiamo scritto più e più volte e per la quale, ora, arriva l’ennesima conferma da uno studio Unioncamere-InfoCamere sulla base dei dati degli ultimi tre anni del registro delle imprese, dal quale risulta che gli imprenditori immigrati che hanno aperto un’attività in Italia tra il 30 giugno 2012 e il 30 giugno 2015 sono 86mila in più su un totale di aziende etniche di circa 540mila, pari all’8,9% del tessuto produttivo nazionale.

Secondo lo studio, il maggior numero di imprenditori immigrati attivi in Italia si concentra nei settori delle costruzioni, nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, nel noleggio, nelle agenzie di viaggio e servizi alle imprese e nella ristorazione e alloggio. Nel complesso, in numero di aziende registrato da Unioncamere è cresciuto di 70mila unità nei tre anni oggetto dello studio.

La maggior parte degli imprenditori immigrati che aprono un’attività in Italia sceglie come forma societaria quella dell’impresa individuale, con un totale di circa 432mila, pari al 13,3% del totale delle imprese registrate con questa forma giuridica. Marocco (66.273), Cina (48.116) e Romania (47.677) i principali Paesi di provenienza degli imprenditori.

Spacchettando i settori produttivi e confrontandoli con la provenienza degli imprenditori stranieri, si nota che nella confezione di articoli di abbigliamento le imprese individuali straniere, principalmente cinesi, sono il 45% del totale. Gli immigrati sono il 43% anche delle 7mila imprese individuali nel campo nelle telecomunicazioni; Bangladesh, Pakistan e Marocco sono i principali Paesi di provenienza dei titolari. Nel campo delle costruzioni, gli imprenditori immigrati sono soprattutto romeni e albanesi

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, che ha commentato questi dati sugli imprenditori stranieri, “la via dell’impresa si conferma una delle modalità attraverso le quali, gli stranieri giunti in Italia, possono integrarsi nel nostro sistema economico e sociale. Oggi ci confrontiamo con imponenti flussi migratori, e vale allora la pena di ricordare che oltre alle politiche di accoglienza, vanno messi in campo strumenti e politiche di integrazione a basso costo per il nostro Paese. Tra queste quelle di supporto all’avvio dell’attività imprenditoriale, dove le Camere di Commercio giocano un ruolo importante per chi vuole aprire una nuova impresa”.

Imprenditori stranieri in Italia, exploit dei cinesi

Non è una novità il fatto che il tessuto delle imprese italiane deve ringraziare anche il grande numero di imprenditori stranieri se è riuscito a passare senza la bufera della crisi senza morire del tutto. In Italia, infatti, le imprese guidate da imprenditori stranieri (ossia le persone nate all’estero titolari di cariche imprenditoriali all’interno delle imprese registrate nelle Camere di Commercio) continuano a crescere.

Secondo una rilevazione della Cgia, tra il 2013 e il 2014 sono aumentate del 4,1% e hanno superato, in valore assoluto, le 733.500 unità. Quelle condotte da imprenditori stranieri cinesi hanno fatto segnare un boom: +5,1% nell’ultimo anno, poco meno di 70mila (69.500).

Analizzando la provenienza geografica degli imprenditori stranieri, il Marocco è il Paese che ne dà all’Italia di più, 74.520, seguito da Romania (70.104) e Cina (69.401). Rispetto al 2009, anno in cui la crisi economica ha iniziato a mordere davvero, le attività cinesi sono aumentate del 39,2%, contro un incremento medio degli imprenditori stranieri in Italia del 22,5%.

Se l’incidenza degli imprenditori stranieri sui residenti stranieri in Italia è del 14,6%, quelli cinesi sono il 26,1%, presenti maggiormente nei settori del commercio, con quasi 24.571 attività, del manifatturiero, con poco più di 18.450 e della ristorazione-alberghi e bar, con quasi 14.800 attività. In crescita la presenza di imprenditori stranieri cinesi nel settore dei servizi alla persona: sono poco più di 4.100 unità, ma tra il 2013 ed il 2014 l’aumento è stato del 22,4%.

Significativa l’analisi che la Cgia fa sulle rimesse inviate in patria dagli imprenditori stranieri cinesi, ossia quanto denaro inviano al loro Paese d’origine. A causa della crisi economica, negli ultimi tre anni il calo è stato del 69,4%. Se nel 2012 i cinesi inviavano in patria circa 2,67 miliardi di euro, questo valore è sceso a 1,10 miliardi nel 2013 e a 820 milioni nel 2014. Inoltre, mentre nel 2012 le rimesse dei cinesi erano il 39,1% di quelle totali, nel 2013 sono scese al 19,8% e nel 2014 al 15,4%.

Immigrati e ricchezza prodotta: le cifre

Da qualche giorno, sull’onda dell’emozione che le tragedie dell’immigrazione delle ultime settimane provocano in moltissimi italiani, Infoiva ha iniziato un focus dedicato a impresa, lavoro e immigrati nel nostro Paese.

Ci siamo occupati degli imprenditori stranieri in Italia, dei loro settori merceologici, di quanta ricchezza producono i lavoratori immigrati e di questa, quanta viene girata nei rispettivi Paesi d’origine. Oggi, partendo dai dati del Rapporto annuale sull’Economia dell’Immigrazione 2014 della Fondazione Leone Moressa, vogliamo capire se e quanto costano alla nostra economia gli immigrati.

Partiamo dunque dalla notizia: secondo i dati del Rapporto, se si comparano le uscite necessarie per “mantenere” gli immigrati regolari e quelle per tutte le operazioni di soccorso e accoglienza dei clandestini con le entrate derivanti da tasse e contributi versati dagli immigrati regolari, l’Italia è in utile di 3,2 miliardi. Stando ai conti relativi al 2012.

La cifra deriva appunto dalla differenza tra contributi previdenziali e Irpef versati dai cittadini immigrati regolari in Italia (15,6 miliardi, di cui 8,9 di contributi e 6,7 di Irpef), e le spese di welfare per gli immigrati e di remunerazione delle forze dell’ordine impiegate sul campo per combattere l’immigrazione clandestina (12,4 miliardi).

Se si volesse fare un calcolo sull’unità, i numeri della Fondazione Moressa ci dicono che mediamente gli immigrati versano a testa poco più di 7mila euro all’anno tra contributi e Irpef (3800 euro all’Inps e 3250 al fisco, per la precisione), mentre dallo Stato ricevono servizi per un controvalore pari a circa 2500 euro.

Tra gli immigrati, la classifica di coloro che versano più soldi allo Stato italiano riflette da vicino la classifica per etnie di provenienza che abbiamo delineato nei giorni scorsi. I più generosi verso Inps e fisco sono i romeni, che versano il 18,4% del totale e hanno una media pro capite di quasi 1800 euro (1793); vengono poi gli albanesi (7,3%, 1961 euro) e i marocchini (5,7%, 1683 euro).

Come si vede, quindi l’universo degli immigrati regolari in Italia ha sfaccettature diverse, senza contare che per tanti di loro l’avventura in Italia è iniziata proprio da un barcone. E, come riconoscimento per il Paese che li ha ospitati dando loro un futuro, da lavoratori o da imprenditori, gli immigrati contribuiscono per una parte non indifferente alla ricchezza dell’Italia.

Sempre secondo i dati della Fondazione Moressa, i lavoratori immigrati incidono per l’8,8% sul Pil italiano; spacchettata per settori, questa ricchezza arriva per il 45,8% arriva dai servizi, per il 18,4% dal manifatturiero, per il 13,3% dalle costruzioni. Senza contare che le 497mila imprese condotte da stranieri (di cui 335mila imprese individuali) producono un giro d’affari annuo di 85 miliardi, pari al 6,5% del Pil nazionale.

I trasferimenti dei lavoratori stranieri nei Paesi d’origine

Nei giorni scorsi abbiamo visto quanti sono gli imprenditori stranieri in Italia, soprattutto quelli che possiedono una impresa individuale, da quali Paesi vengono e in quali settori merceologici hanno specializzato le loro attività

Tra di essi, ma soprattutto tra i lavoratori stranieri che operano regolarmente in Italia, sono in molti coloro i quali, oltre a generare ricchezza per l’Italia, inviano al Paese d’origine parte del proprio stipendio o dei propri guadagni per mantenere le famiglie o sostenere chi li ha aiutati a trovare fortuna da noi.

Si tratta di un fiume di denaro, che i lavoratori stranieri mandano ogni mese oltre i confini italiani; soldi che il Centro Studi Impresa Lavoro ha provato a contare e, soprattutto, ha provato a vedere dove va a finire. Le cifre che escono sono da questa analisi, condotta su lavoratori stranieri di 176 nazionalità, sono di tutto rispetto.

Secondo le stime elaborate dal Centro Studi Impresa Lavoro, la cifra che i lavoratori stranieri hanno inviato nei rispettivi Paesi d’origine nel periodo 2005-2014 è stata di circa 60 miliardi. Un periodo caratterizzato per la maggior parte dagli effetti della crisi economica che, secondo quanto si legge nel rapporto, ha inciso anche sui trasferimenti monetari dei lavoratori stranieri.

Osservando la ripartizione per anno – scrive il Centro Studi Impresa Lavoro -, si osserva come la crisi economica italiana abbia comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (-7,6%) fino ai 5,533 miliardi del 2014 (-38%)”.

Limitandosi alle cifre dello scorso anno, l’analisi mostra che i lavoratori stranieri che hanno inviato più denaro al proprio Paese di origine sono stati di gran lunga i romeni (876 milioni) e i cinesi (819 milioni). Non c’è paragone con le altre etnie, visto che i terzi, i lavoratori stranieri provenienti dal Bangladesh sono stati più che doppiati (hanno inviato 360 milioni). Seguono poi i lavoratori originari delle Filippine (324 milioni), del Marocco (250), del Senegal (245), dell’India (225), del Perù (193), dello Sri Lanka (173) e dell’Ucraina (144).

Secondo quanto ha rilevato il Centro Studi Impresa Lavoro, il fenomeno dei trasferimenti ai Paesi d’origine riguarda trasversalmente tute le regioni d’Italia, anche se predominano quelle nelle quali la presenza degli stranieri è più massiccia. Sempre stando al 2014, i lavoratori stranieri che hanno trasferito in più denaro sono stati quelli residenti in Lombardia (1 miliardo e 119,4 milioni), nel Lazio (985,1 milioni), in Toscana (587,1), in Emilia-Romagna (459,7), in Veneto (426,3) e in Campania (306,7).

Qualcuno potrà obiettare che si tratta di ricchezza sottratta al Paese o al territorio, ma non bisogna dimenticare la quota di Pil che i lavoratori stranieri producono per l’Italia, numeri che troppo spesso si finge di dimenticare.