Effetto Charlie Hebdo sulle imprese

La strage al settimanale parigino Charlie Hebdo non ha sconvolto solo tutto il mondo in generale ma, in Italia, anche il mondo dell’impresa. Dopo i fatti di Parigi e la carneficina a Charlie Hebdo, cresce infatti l’insicurezza tra le imprese italiane, sempre più multietniche. Non si tratta certamente di allarme, ma gli imprenditori di casa nostra qualche domanda cominciano a farsela.

Subito dopo l’attacco a Charlie Hebdo, la Camera di commercio di Milano ha sentito oltre 300 persone nelle imprese e nel mondo lavoro: il risultato del sondaggio è che il 28% di loro si sente molto meno sicuro di prima, il 31% meno sicuro, il 26% sicuro come prima. Gli stranieri sono apprezzati nelle imprese: circa una su due ha addetti nati all’estero. Scelti per motivi culturali e per la maggiore disponibilità.

I lavoratori stranieri sono aiutati dalle imprese per la documentazione, per l’inserimento sociale, perché nei titolari e nei colleghi trovano un amico e perché riconoscono le loro feste. Si integrano meglio gli europei, soprattutto dell’est e i sudamericani. Per chi lavora, in azienda i simboli religiosi vanno tutti tollerati, alla faccia degli assassini di Charlie Hebdo. Per favorire l’integrazione chiedono controllo degli ingressi clandestini, corsi ed esami di lingua e cultura per stranieri, luoghi di aggregazione con i concittadini.

Le rilevazioni della Camera di commercio, effettuate sui dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2014 e al 2013, si innestano in un tessuto di imprese straniere che a Milano sono circa 38mila e crescono del +8%. I titolari sono soprattutto egiziani, cinesi, marocchini e rumeni.

Estendendo lo sguardo alla regione, le imprese straniere in Lombardia sono circa 88mila, +5% rispetto al 2013. Milano è prima per presenza straniera, seguita da Brescia (11mila imprenditori, +0,9%), Bergamo (circa 8mila, +3,2%), Varese (6mila, +4,2%), Monza (5.400 circa, +8%). Anche qui, come a Milano, i titolari sono soprattutto egiziani, cinesi, marocchini e rumeni. E cominciano a guardarsi le spalle: perché anche loro sono Charlie Hebdo.

Natale al ristorante? È multietnico

Quando si tratta di fare business, non c’è religione che tenga, anche e soprattutto a Natale e soprattutto quando si tratta di Natale al ristorante.

Secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al secondo trimestre 2014 e 2013 relativi alle sedi di impresa e, per le nazionalità, ai titolari di impresa individuale nati all’estero, i locali in città sono sempre più stranieri e l’offerta per passare Natale al ristorante spesso non parla italiano.

Milano è il cuore di questo fenomeno, con un peso pari al 13,2% sul totale nazionale, seguita a livello italiano da Roma con 2.086 imprese (10,7%) e Torino (1.082, 5,5%). La città di Milano, da sola, concentra oltre l’8% dei ristoratori stranieri che lavorano in Italia e che possono presentare una variegata offerta per il Natale al ristorante.

A Milano città si può contare su un’offerta tra ristoranti e asporto di oltre 4.500 imprese, +6,4% rispetto al 2013. Circa un’impresa della ristorazione su tre (1.607) a Milano città è straniera, con i ristoratori stranieri che crescono del 9,3% in un anno, una velocità quasi doppia rispetto alla crescita delle imprese italiane (+4,8%). La metà degli stranieri fa anche la pizza, anche se non è indicatissima come menù di Natale al ristorante.

In generale, in Italia, in Lombardia e a Milano cresce la ristorazione, rispettivamente +2,4%, +2,6% e +5,5%. A Milano ci sono nel settore 7.817 imprese, in Lombardia 23.712, in Italia 171.313. Traina la crescita la ristorazione internazionale che in media cresce dell’8% in un anno e costituisce il 32,9% del settore a Milano, il 22,8% in Lombardia e l’11,4% in Italia. Nel 2014 sono circa 2.600 le imprese straniere attive tra ristorazione con e senza somministrazione a Milano e provincia, 5.400 in Lombardia e quasi 20mila in Italia.

In Lombardia, dopo il capoluogo, che pesa circa la metà della ristorazione “etnica” regionale, vengono Brescia con l’11,7%, Bergamo (7,7%) e Monza e Brianza (7,4%), con un’ampia offerta per passare il Natale al ristorante.

Andando nel dettaglio delle varie nazionalità, la ristorazione straniera a Milano e in Lombardia è soprattutto degli egiziani, tra pizza e kebab, (il 43% a Milano, 39,5% in regione) seguiti dai cinesi, che tra involtini primavera, sushi e pizza, pesano il 28% a Milano e il 20,5% in Lombardia. Vengono poi i turchi specializzati in kebab. In Italia, invece, se il 17% delle attività è gestito da egiziani o cinesi, il 6% è di rumeni. Insomma, per scegliere il pranzo di Natale al ristorante, è bene imparare qualche lingua…

Attività commerciali: la ripresa dov’è?

Provate a parlare di ripresa a chi ha un’attività commerciale. Nella migliore delle ipotesi, vi risponderà con una sonora risata, nella peggiore vi tirerà addosso il mazzo di chiavi con il quale ha dovuto chiudere il proprio negozio.

Il recente meeting di Confesercenti che si è tenuto in Umbria ha infatti messo bene in chiaro una cosa: la crisi non allenta la presa sul commercio. Nonostante segnali di miglioramento rispetto al 2012, l’estate 2013 ha segnato un altro momento nero del settore. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Confesercenti, tra luglio e agosto hanno aperto 2.656 nuove imprese commerciali in sede fissa e hanno cessato l’attività 5.574, per un saldo negativo di 2.918 unità.

Il risultato del IV bimestre 2013 è lievemente migliore (+332 imprese) di quello registrato lo scorso anno nello stesso periodo (-3.250 esercizi), ma si è annullata la “ripresina” messa a segno nel bimestre maggio-giugno 2013 quando hanno aperto 7.546 nuove imprese, 3.532 in più rispetto a marzo-aprile.

Complessivamente, nei primi otto mesi dell’anno si registra un saldo negativo di 14.246 imprese nel commercio al dettaglio (18.208 nuove aperture e 32.454 chiusure). Si tratta comunque di un miglioramento, anche se debole, rispetto al saldo dei primi otto mesi del 2012, negativo per 15.772 esercizi. Il risultato è dovuto principalmente all’aumento delle nuove iscrizioni (+2.015), dato che compensa il più lieve incremento delle chiusure (+489).

Il rapporto di Confesercenti sottolinea che la percentuale di imprenditori stranieri nel settore è arrivata al 67%: “un fenomeno socio-economico che meriterebbe un approfondimento”. Molto importante anche il ruolo delle imprese giovanili, il 38,2% delle nuove iscritte, e significativo il peso delle imprese femminili (30%) e di quelle straniere (22,1%). In termini di peso sul totale delle cessazioni, appare critica la situazione delle imprese femminili, che compongono la percentuale maggiore (35%). Male anche quelle giovanili, che rappresentano il 20% delle chiusure. Resistono meglio gli imprenditori stranieri (11,9%).

La recessione, tecnicamente, sta per finire. Purtroppo non si può dire altrettanto della crisi del commercio e di quella del turismo”, dice il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni. “Ormai è chiaro a tutti che le liberalizzazioni delle aperture non servono ad agganciare la ripresa: il miglioramento dei dati 2013 sul 2012 è così lieve da sembrare più che altro un rimbalzo”.

Secondo Bussoni è “particolarmente preoccupante” la situazione di donne e giovani: “Intraprendono l’avventura imprenditoriale per crearsi un lavoro, ma la domanda interna è ancora bassissima, e il mercato asfittico”.

Senza puntare sulla formazione dei nuovi imprenditori e sull’informatizzazione delle nuove imprese – dice ancora Bussoni – non si può più sperare che il commercio continui a rivestire il ruolo di shock absorber della disoccupazione. Non è tenendo aperto sempre che si aiuta il settore: c’è bisogno di un cambiamento di mentalità e di passo. Non ci si può più improvvisare imprenditori. Ora il governo dia risposte nuove e convincenti”.

Già, sempre il governo…

Un premio per gli imprenditori stranieri eccellenti

di Davide PASSONI

Che gli imprenditori stranieri siano bravi, noi di Infoiva lo abbiamo ripetuto più volte. Che questa bravura meriti un premio e un riconoscimento è un’idea che è venuta ad altri, nello specifico a MoneyGram, leader globale nel settore dei trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Il gruppo ha istituito quattro anni fa MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia, proprio per dare un riconoscimento agli immigrati che hanno saputo distinguersi nell’imprenditoria. Ce ne parla Alessandro Cantarelli, Marketing Director MoneyGram Balkans, Italy, Greece and Cyprus

Come nasce l’idea del MoneyGram Award?
L’idea del MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia è nata nel 2009 con la volontà di promuovere l’eccellenza tra le aziende gestite e fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese. Il Premio ha l’obiettivo di raccontare e valorizzare le storie di successo dell’imprenditoria immigrata e l’integrazione tra tradizioni lavorative e culturali diverse. La nostra azienda è da sempre molto attenta al valore dell’integrazione sociale degli immigrati, che, abbiamo notato, passa sempre più spesso da un’integrazione economica, attraverso lo sviluppo di nuovi business nel nostro sistema economico.

In che cosa consiste il premio?
Il MoneyGram Award, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, è un riconoscimento alla capacità imprenditoriale e all’impatto importante e positivo del lavoro degli immigrati sull’economia italiana. L’iniziativa è dedicata ai più brillanti imprenditori immigrati che durante l’anno hanno saputo dimostrare capacità di visione, coraggio e leadership nel fondare o condurre le proprie aziende. Il Premio prevede un riconoscimento assoluto intitolato “MoneyGram Award all’Imprenditore Immigrato dell’Anno” ed è assegnato al titolare dell’azienda che risulta eccellente in tutte le categorie di valutazione e che ha favorito l’integrazione tra la cultura nativa e quella del paese ospitante. Ci sono poi 5 Premi di categoria a seconda che l’imprenditore si sia distinto per la Crescita del Fatturato, per l’Innovazione, l’Occupazione, l’Imprenditoria Giovanile e per la Responsabilità Sociale. 

Da quali Paesi provengono, dal vostro punto di vista, gli imprenditori con maggior entusiasmo, idee e coraggio?
Nelle passate edizioni del Premio abbiamo potuto apprezzare doti manageriali in diverse nazionalità di immigrati. Non c’è un Paese particolare nel quale posso dire di aver visto imprenditori più bravi in assoluto. Sudamericani, albanesi, rumeni, marocchini, ma anche cinesi, iraniani e africani, tutti quanti, con le loro peculiarità, hanno dimostrato e continuano a dimostrare un grande impegno e forza di volontà nel portare avanti i loro progetti in Italia, superando tutti i problemi legati ai pregiudizi, che spesso ancora noi italiani abbiamo nei loro confronti.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
I dati che fotografano il fenomeno dell’imprenditoria immigrata parlano chiaro: le imprese straniere, nonostante la crisi, hanno chiuso il 2011 con un saldo positivo di oltre 26mila unità, nello stesso periodo quelle italiane sono diminuite di 28mila unità. Siamo di fronte ad un fenomeno in crescita, che ci mostra come gli stranieri siano in grado di rispondere meglio alla crisi economica, adattandosi al cambiamento del mercato e, forse, rischiando di più.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Coraggio, spirito di sacrificio e tenacia, sono sicuramente valori importanti, ma anche una propensione al rischio più elevata è molto importante.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
Sicuramente la globalizzazione ha aiutato questo fenomeno ma c’è di più: c’è anche la voglia, da parte degli immigrati, di riscattarsi e di avere una seconda possibilità.

“Imprenditori immigrati, risorsa per la nostra economia”

di Davide PASSONI

Le cifre le hanno presentate loro alla fine della scorsa settimana e da lì siamo partiti per approfondire il discorso su Infoiva. Parliamo di Unioncamere e del rapporto presentato su dati Movimprese e relativo alle imprese italiane guidate da stranieri, che sfiorano ormai le 480mila unità. Oggi abbiamo chiesto direttamente al presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, di commentare con Infoiva questo fenomeno inarrestabile.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
Per molte persone che provengono da altri Paesi, soprattutto da quelli in via di sviluppo, l’impresa rappresenta la strada maestra per crearsi una occupazione, magari mettendo a frutto l’esperienza acquisita lavorando precedentemente come dipendente presso altre aziende. Sono spesso giovani e molto motivati, capaci anche di grandi sacrifici, come del resto lo sono i tanti giovani neoimprenditori italiani che anche in questa fase di crisi hanno scelto di mettersi in proprio.

In molti casi la parabola degli imprenditori stranieri ricorda quella di tanti italiani che, dopo la guerra, hanno trovato il riscatto sociale nell’imprenditoria. Concorda? Perché?
Credo che le due esperienze siano in molti punti assimilabili. Anche noi italiani abbiamo un passato da emigranti in cerca di lavoro e di fortuna in tanti Paesi del mondo. E, come avviene ora per l’imprenditoria immigrata, anche noi abbiamo creduto (e, fortunatamente, crediamo anche oggi) nel valore dell’impresa, quale scelta di vita, opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e di valorizzare i propri talenti.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Oltre l’80% delle imprese gestite da immigrati sono ditte individuali, la forma giuridica meno strutturata e quindi più soggetta alle oscillazioni del mercato e dell’economia. La loro fragilità è del tutto analoga a quella delle imprese individuali gestite da italiani, le quali però, in rapporto al totale, sono molto meno numerose grazie anche alla sensibile crescita delle società di capitali verificatasi negli ultimi anni. La differenza in questo ambito, semmai, la fa l’anagrafe. Molte imprese individuali gestite da italiani hanno come titolare persone di età avanzata, mentre i titolari immigrati sono mediamente più giovani.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
La globalizzazione certo, ma anche i fenomeni migratori che stanno portando verso l’Occidente più ricco e industrializzato tante persone provenienti da Paesi poveri.

Che cosa risponde Unioncamere a chi teme che questi imprenditori “rubino” mercato agli italiani?
Che gli imprenditori immigrati che operano rispettando le regole del mercato e della concorrenza non sono una minaccia ma una risorsa per la nostra economia.

Imprenditori stranieri: capacità, volontà ma anche formazione

Se in Italia il numero delle imprese guidate da stranieri veleggia serenamente verso il mezzo milione, come reso noto da Unioncamere, il merito è senza dubbio degli imprenditori stessi ma anche delle molte iniziative che, sull’intero territorio italiano, tendono a valorizzarne le capacità.

Una di queste è il progetto “INTERLAB – Laboratorio di mestieri e di impresa“, organizzato dalla Provincia di Firenze, che intende favorire l’occupabilità dei cittadini stranieri, in particolare donne, attraverso azioni di accompagnamento alla creazione di attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, promuovendo inoltre la nascita e lo sviluppo di attività economiche sostenibili in campo artigianale, avviate da imprenditori o lavoratori autonomi stranieri, anche in rete con altre imprese italiane.

Un progetto in due fasi, la prima delle quali si è conclusa e ha puntato a elevare la cultura di impresa dei cittadini stranieri. In particolare, è stata realizzata una ricerca-azione delle opportunità imprenditoriali offerte dal territorio, attraverso l’acquisizione di informazioni socio-economiche di base e uno studio documentale realizzato con l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio di Firenze.

È ora in corso di attuazione la seconda fase di progetto, relativa all’inserimento lavorativo dei migranti attraverso l’autoimprenditorialità. Sono stati infatti selezionati 25 cittadini stranieri che hanno preso parte al percorso di orientamento e formazione laboratoriale di 56 ore volto alla messa a punto del progetto imprenditoriale. Sono invece 10 i migranti che sono stati selezionati per le attività di orientamento professionale della durata di 6 mesi, per un totale complessivo di 480 ore, in settori quali pelletteria, sartoria, vetreria.

A coronamento del progetto è stato, realizzato il sito www.progettointerlab.org, che raccoglie i materiali promozionali realizzati, insieme a una video-intervista nella quale gli aspiranti imprenditori e lavoratori autonomi raccontano la loro idea di impresa, in attesa di iniziare la formazione in bottega o di mettere a punto il loro business plan. Una importante azione di supporto alla imprenditorialità straniera in una regione come la Toscana, da sempre attenta al valore della formazione e della imprenditorialità.

I nuovi imprenditori? Stranieri e rampanti

I dati sono di quelli che fanno riflettere. Per fortuna, almeno per una volta, in senso positivo. Le imprese che, in Italia, sono guidate da cittadini stranieri si avviano di gran carriera verso il mezzo milione. Nello specifico, sono poco meno di 480mila, con un aumento di 24.329 nel 2012, +5,8%. I dati sono stati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da Infocamere. Per le imprese individuali il Paese leader rimane il Marocco, con 58.555 titolari. A seguire Cina (42.703) e Albania (30.475). In termini assoluti sono aumentati di più gli imprenditori del Bangladesh (+3.180 imprese) e in termini relativi quelli Kosovo (+37,6%).

Numeri di tutto rispetto, la cui importanza non è sfuggita a Unioncamere. Secondo l’associazione, il contributo degli imprenditori immigrati alla crescita delle imprese nel 2012 “si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità)“.

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “la geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società. Sono per lo più forze giovani, con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali“.

Scendendo più nel dettaglio dei dati, alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano il 7,8% del totale, con punte superiori al 10% in due regioni, Toscana (11,3%) e Liguria (10,1)%, ed in dodici province tra cui spiccano Prato (23,6%), Firenze (13,6%) e Trieste (13,2%). In termini assoluti, le attività più presidiate sono quelle del commercio al dettaglio (129.485 attività) e dei lavori di costruzione specializzati (101.767). Molto distante il numero delle attività in ristorazione (31.129) e commercio all’ingrosso (29.646).

In termini di incidenza percentuale, le attività alla cui guida ci sono cittadini immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (24%), nei lavori di costruzione specializzati (18,9%). Dal punto di vista della struttura organizzativa, come è lecito aspettarsi, nella grande maggioranza (385.769 imprese, l’80,8% del totale) le attività degli imprenditori immigrati sono costituite da imprese individuali, le più semplici, mentre le società di capitale (46.239 unità) sono il 9,7%. Interessante il dato della società cooperativa, strumento che comincia a diffondersi: sono quasi 8mila, cresciute nel 2012 al ritmo dell’8,2%.

Hanno più fame e sono più “incoscienti” di noi. Gli imprenditori immigrati ci salveranno

di Davide PASSONI

Ce lo sentiamo ripetere ormai da anni: l’Italia sarà salvata dagli stranieri. No, nessun nuovo Piano Marshall per il nostro Paese, disastrato dalle tasse, dalla mala politica, dalla burocrazia. Parliamo del fenomeno, silenzioso ma inarrestabile, degli immigrati che assumono un peso sempre più rilevante nella vita sociale ed economica italiana.

Siamo a crescita quasi zero dal punto di vista demografico e, allora, ci pensano gli stranieri molto più prolifici di noi ad aumentare la media di nuovi nati. Le imprese italiane chiudono a mazzi, strette tra crisi, fisco, folle burocrazia e allora ecco che, anche in questo caso, ci vengono in soccorso le imprese costruite e gestite da immigrati, che nascono senza paura e vivono anche più a lungo di quelle a guida italiana.

Proprio di questo aspetto vogliamo parlare questa settimana su Infoiva, partendo da una rilevazione di Unioncamere sul numero di imprese costituite e gestite da immigrati nel nostro Paese che fa pensare. Un dato di fatto, certificato dai numeri, che è quello di una grande capacità dello straniero di fare impresa e rischiare del proprio. Certo, molto spesso di tratta di imprese individuali, piccolissime, messe in piedi con un capitale minimo, frutto di risparmi e accantonamenti fatti da dipendente, ma sempre di rischio d’impresa si parla. Un iter che somiglia in molti casi a quello dei nostri padri o dei nostri nonni i quali, decenni fa, stanchi di lavorare “a padrone” e sicuri di far fruttare un capitale di esperienza e di saper fare acquisito in anni di lavoro dipendente, fecero il grande salto, si misero in proprio, allestirono la loro “fabbrichetta” che, negli anni, divenne poi l’azienda di famiglia: vanto, orgoglio, risultato tangibile della voglia di fare e di riscatto sociale.

Ecco, mentre ora centinaia di migliaia di queste chiudono tristemente i battenti, altrettante gestite da immigrati entrano con spavalderia e con un pizzico di sana follia imprenditoriale sul mercato delle imprese italiane, non solo a colmare un buco ma anche a portare una nuova filosofia d’impresa. Durante questa settimana cercheremo di capire i perché di questo fenomeno, se e quanto è destinato a durare e se, in un mondo e in un mercato sempre più globalizzati, ha senso parlare ancora di imprese straniere in Italia o se non sarebbe ora di parlare di imprese in Italia, punto e basta.

L’impresa italiana? La salveranno gli extracomunitari

 

di Davide PASSONI

Qual è la strada maestra da seguire per non far morire l’impresa italiana? Forse ce l’ha indicata Confesercenti con la sua indagine sulle nuove imprese in Italia: affidarsi agli stranieri. Paradossale? No, comprensibile, specialmente alla luce di una tendenza emersa dallo studio; il 44% delle imprese individuali straniere in Italia svolge attività di commercio, il 26% opera nel settore delle costruzioni e il 10% nella manifattura: ebbene, tra questi settori domina il commercio, comparto nel quale gli extracomunitari si sono concentrati su forme di impresa più semplici, nelle quali oneri amministrativi e burocratici in capo all’imprenditore sono minori. Ossia: minore burocrazia, fiscalità meno stringente per produrre maggior reddito e maggiori margini.

Analizzando le fredde cifre di Confesercenti, l’80% delle ditte si concentra nei 3 comparti di cui sopra, dove anche la crescita malgrado la crisi è stata sostenuta: +7,3% per le imprese del commercio, + 3% per le imprese edili, +3,6% per la manifattura (le imprese individuali negli stessi comparti registrano variazioni negative: -0.5%, -1.3%, -2.2%). Nei primi nove mesi del 2012, a un saldo positivo (tra iscrizioni e cessazioni) di 13mila imprese individuali con titolare immigrato, ne corrisponde uno negativo di oltre 24mila unità per le restanti. Nel terzo trimestre di quest’anno, le imprese individuali registrano un saldo positivo di 5mila unità di cui l’85% è dato da imprese di immigrati.

In dieci anni, poi, il peso delle imprese con titolare straniero, sul totale delle imprese italiane, è passato dal 2% a quasi il 9%: nel 2012 gli imprenditori immigrati sono circa 300mila, più 120mila soci stranieri. Dato da sottolineare e su cui riflettere: le imprese gestite da stranieri producono circa il 5,7% della ricchezza del Paese.

Da dove vengono i “salvatori” della piccola impresa italiana? Principalmente dall’Africa, per motivi storici e geografici: Marocco (57mila imprese), Senegal (circa 16mila), Egitto (circa 13mila), Tunisia (12mila). Poi la Cina (quasi 42mila imprese) e l’Albania (oltre 30mila). Nel Nord Italia si concentrano le attività dell’artigianato e i lavoratori dipendenti dalle imprese; al Centro vincono il settore domestico, quello dell’edilizia e il comparto tessile e abbigliamento; al Sud, commercio e lavoro agricolo.

Insomma, analizzando le cifre e trasformandole in tendenze, traspare chiarissimo un fatto: gli imprenditori extracomunitari si stanno dimostrando più furbi dei nostri, provando a combattere la crisi senza cercare performance esaltanti ma puntando alla sopravvivenza in attesa della ripartenza. Questa crisi sta facendo numerosi morti e feriti gravi (in senso figurato): chi sopravviverà, nel momento in cui l’economia tornerà a girare avrà molto più spazio per crescere e aggredire il mercato. Loro sembra che lo abbiano capito, perché come sostiene Confesercenti, la scelta del commercio assicura la stabilità dell’occupazione anche in periodi di crisi offrendo garanzia alla regolarità del soggiorno e si fa espressione della volontà di riscatto da ruoli subalterni.

Venuti nel nostro Paese per salvare se stessi dalla miseria, gli extracomunitari che si fanno imprenditori di trovano nella situazione di essere loro a salvare l’economia italiana. Viva la globalizzazione.

Parma: sportello “Imprenditori dal Mondo” per assistere gli imprenditori stranieri

Ascom Parma ha presentato un nuovo servizio dedicato alle imprese: lo Sportello “Imprenditori dal Mondo”. Il progetto nasce e si sviluppa con l’obiettivo di soddisfare le esigenze di un target ben definito, l’imprenditore straniero che gestisce o vuole avviare un’attività a Parma.

Sarà possibile trovare assistenza per gli imprenditori stranieri usando la propria lingua di origine. Gli addetti a loro disposizione parlano inglese, francese, arabo, russo, romeno, cinese, albanese e spagnolo. Enzo Malanca, direttore generale Ascom Parma commenta: “Attraverso questo nuovo servizio l’Associazione vuole dare una risposta concreta alle necessità degli imprenditori stranieri che devono continuamente orientarsi fra gli adempimenti normativi obbligatori, le complesse direttive dei settori, i rapporti con la Pubblica Amministrazione, gli aspetti burocratici e soprattutto linguistici relativi ad esempio all’apertura e alla gestione della propria impresa, ma non solo. L’obiettivo è altresì quello di favorire un dialogo trasparente tra questa nuova imprenditoria e le istituzioni locali, nel rispetto delle regole del mercato e dei diritti dell’imprenditore“.

Sono oltre 55.000 i cittadini stranieri residenti nel territorio (anno 2010), pari al 12.6% del totale della popolazione, mentre le aziende straniere attive a Parma costituiscono il 9.4% del totale (anno 2010) e il 36% di queste opera nel settore terziario.

Cristina Mazza, vice direttore generale Ascom Parma spiega: “Si tratta prevalentemente di imprese di piccolissime dimensioni, i cui titolari sono cittadini residenti nel nostro Paese da più di 10 anni e che, dichiarando di conoscere il contesto socio culturale in cui operano, dimostrano una buona propensione all’integrazione sociale. Una consistente fetta è costituita da aziende ancora in fase di start up, un momento estremamente importante per l’ avvio di una nuova attività e lo dimostra il fatto che la totalità di tali aziende abbia espresso il bisogno di assistenza a 360° per la comprensione delle normative locali e l’adempimento degli obblighi inerenti la propria attività. Sono proprio queste le premesse che ci hanno portato alla costituzione dello sportello Imprenditori dal Mondo, un servizio professionale reso possibile grazie alla collaborazione sia di imprenditori stranieri già avviati a Parma che di qualificati studenti stranieri residenti nella nostra città, oggi qui presenti insieme a noi“.