Intesa Sanpaolo per l’imprenditoria femminile

Intesa Sanpaolo ha destinato 600 milioni di euro per l’imprenditoria femminile, per incentivare sia l’avvio di nuove attività sia il rilancio di quelle già esistenti.

L’imprenditoria femminile soffre la crisi tanto quanto l’imprenditoria maschile, ma a volte riesce a resistere meglio ai morsi della recessione, come deve aver capito Intesa Sanpaolo. Tuttavia la donna, imprenditrice o lavoratrice che sia, spesso ha bisogno di maggiori tutele, come, per esempio, delle garanzie in caso di eventi come la maternità o la cura di familiari malati.

Grazie a Intesa Sanpaolo, le imprenditrici già attive o le donne che desiderano aprire un’attività e intendono accedere ai prestiti, possono fare domanda entro il 31 dicembre 2015. Il sostegno all’imprenditoria femminile si prolungherà comunque oltre la fine del prossimo anno, perché Intesa Sanpaolo ha predisposto un prestito destinato all’imprenditoria femminile, “Business Gemma”, che resterà nel pacchetto di offerta della banca.

Pordenone, la Camera di Commercio promuove l’imprenditoria femminile

Come l’anno scorso, la Camera di Commercio di Pordenone promuove l’edizione 2014 di Voglia d’impresa, il concorso a premi destinato alle imprese rosa del territorio. A ricevere i premi in denaro da 4mila euro saranno le piccole e medie imprese a gestione rigorosamente femminile che si saranno distinte favorendo il benessere dei lavoratori dipendenti mettendo in atto strategie e iniziative mirate a potenziare la soddisfazione della forza lavoro presente in azienda.

Per l’edizione di quest’anno è stata istituita una “Menzione speciale” della Consigliera di parità provinciale che verrà assegnata all’impresa giudicata più attenta agli aspetti della conciliazione dei tempi vita/lavoro.

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JM

Parenti: “L’imprenditoria femminile motore fondamentale per la crescita “

 

A Torino l’1 e 2 ottobre si terrà la sesta edizione del Salone Nazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile dal titolo Come cambia l’Italia? I modelli imprenditoriali emergenti, organizzato dall’Associazione GammaDonna in collaborazione con la Camera di Commercio di Torino e al suo Comitato per l’Imprenditoria Femminile. Per concludere questa nostra settimana dedicata alle imprese rosa, oggi abbiamo incontrato Mario Parenti, presidente dell’associazione che da ormai un paio d’anni promuovere la crescita del ruolo delle donne e dei giovani nel mondo delle imprese e delle professioni.

Dott. Parenti, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (circa 1,3 milioni su un totale di 6). Come leggere questi dati?
Il dato percentuale – che comunque a me risulta però del 23,6% nel 2013 (fonte Unioncamere) – ci vede ben sotto alla media europea che è attorno al 30%. Per contro, se la crescita tendenziale degli ultimi anni continuasse al ritmo attuale, potremmo raggiungere il livello europeo nel medio periodo.

Tuttavia, le nuove imprese a guida femminile nascono a un ritmo superiore alla media: +0,73%. La creatività e l’intraprendenza “rosa” possono essere tra gli ingredienti principali della ripresa economica?
E’ stato stimato da numerosi economisti che un migliore e più esteso utilizzo della “risorsa” donna nell’economia potrebbe accrescere il PIL di almeno 2 punti percentuali. Il che, oltre a riequilibrare socialmente il nostro Paese, ci porterebbe di fatto fuori dalla crisi. Il 2013 ha fatto registrare 3.415 imprese femminili in più rispetto all’anno precedente: il maggior incremento si è registrato nel turismo e nelle agenzie di viaggio, ma sono cresciute anche le attività finanziarie e assicurative e i servizi alle imprese, settori questi tradizionalmente maschili. A fronte di queste notizie incoraggianti, va osservato che per il 60% le imprese femminili sono individuali, sottocapitalizzate e pertanto più vulnerabili alla crisi. Anche qui il dato confortante, che speriamo tenda a rafforzarsi in futuro, è che le società di capitali nel 2013 sono cresciute di 10.000 unità sul 2012.

Quali sono le difficoltà che una donna dove “mettere in conto” prima di aprire un’attività propria?
I dati che fornisco provengono da sondaggi effettuati periodicamente dall’Osservatorio GammaDonna sulle imprese femminili.
Le esigenze più sentite riguardano, nell’ordine, il finanziamento dell’azienda, il reperimento di personale qualificato, la scelta di partner, consulenza tecnico-amministrativa, il mentoring. Le maggiori difficoltà incontrate riguardano la burocrazia, il credito e la carenza di reti relazionali. La crescita dell’autostima è la soddisfazione più grande, seguita dalla possibilità di conciliare lavoro e famiglia, e dal raggiungimento dell’autonomia economica.

In Italia siamo molto indietro rispetto all’Europa e al resto del mondo, è solo una questione culturale?
E’ principalmente una questione culturale, con profonde radici storiche a cui si aggiunge una forte resistenza al cambiamento. Altrimenti non si spiegherebbe la resistenza del sistema ad adeguare legislazione e strutture organizzative e di assistenza ai livelli europei.

Donna, spesso moglie e madre, e imprenditrice di successo. Quant’è difficile riuscire a conciliare tutto?
Difficile ma possibile e con soddisfazione di tutta la famiglia. Lo dicono i nostri sondaggi che segnalano la collaborazione fattiva del partner nel 75% dei casi e, dato entusiasmante, che la totalità delle imprenditrici intervistate rifarebbe l’esperienza di costruirsi la propria impresa.

JM

Bernardini: “L’imprenditoria femminile è più creativa e flessibile”

Dopo aver ascoltato ieri Salma Chiosso, giornalista de La Stampa e presidente distrettuale della Fidapa, per continuare ad occuparci di imprenditoria femminile oggi abbiamo incontrato Patrizia Bernardini, responsabile del servizio Nuova Impresa di Vicenza e coordinatrice del Programma Regionale per la Promozione dell’Imprenditoria Giovanile e Femminile in Veneto.

Dott.ssa Bernardini, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (circa 1,3 milioni su un totale di 6). Come leggere questi dati?
Questa percentuale non elevata di donne imprenditrici rispecchia la bassa partecipazione delle donne al mondo del lavoro in Italia, percentuale inferiore rispetto agli altri paesi europei (una media di 12 punti in percentuale sotto media UE). Sebbene le linee guida europee della politica occupazionale (proposte prima dal Vertice di Lisbona e poi nel documento Europa 2020) continuino a considerare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro come uno degli obiettivi prioritari, grazie anche ad un maggior utilizzo di politiche di conciliazione, i passi fatti dall’Italia sono stati molto lenti.
In Italia un elemento che condiziona notevolmente l’occupazione femminile (dipendente e autonoma) è la presenza ed il numero dei figli. Così i tassi di occupazione sono inversamente proporzionali al numero di figli e le donne con figli piccoli hanno una probabilità di lavorare inferiore del 30% rispetto alle donne senza figli.

Tuttavia, le nuove imprese a guida femminile nascono a un ritmo superiore alla media: +0,73%. La creatività e l’intraprendenza “rosa” possono essere tra gli ingredienti principali della ripresa economica?
Cresce l’occupazione femminile, e crescono anche le imprese femminili. Le motivazioni alla creazione d’impresa sono diverse: talvolta è la ricerca di un reddito e di auto-occupazione, come soluzione al problema della disoccupazione. Altre volte è proprio la ricerca di una maggiore flessibilità di tempo e di una migliore possibilità di conciliare lavoro e famiglia che spinge le donne a creare una propria attività autonoma. Sempre più spesso è la volontà di mettere in gioco le proprie competenze e abilità personali, soprattutto in termini di relazioni umane e di creatività, così molte donne aprono nel settore terziario. Come indica il rapporto di Unioncamere il 70,5% delle imprese di donne si concentra nei settori dei servizi alla persona, della sanità, dell’istruzione, dell’agricoltura, del commercio e turismo, dell’intrattenimento.
Alcune indagini (ad esempio “Straordinarie imprenditrici comuni” realizzata in Veneto nel 2009) evidenziano che le imprese di donne sono state in grado di rispondere meglio alla crisi economica. Così le piccole dimensioni dell’impresa, la bassa propensione al rischio, il lavorare nel settore terziario, spesso considerate dei limiti delle imprese femminili, hanno consentito di rimanere sul mercato.

In Italia siamo molto indietro rispetto all’Europa e al resto del mondo, è solo una questione culturale?
Si principalmente culturale, che si snoda su queste questioni non risolte:
– la scarsa condivisione del lavoro di cura tra uomo e donna;
– la limitata presenza di servizi di cura, sia per i piccolissimi che per gli anziani non autosufficienti e il costo elevato di questi servizi;
– un’organizzazione del lavoro poco incline a favorire la conciliazione vita e lavoro; si potrebbe modificare il modello attraverso una maggiore flessibilità degli orari, un ampliamento dell’utilizzo del part time etc..

Donna, spesso moglie e madre, e imprenditrice di successo. Quant’è difficile riuscire a conciliare tutto?
Le donne vogliono studiare e lavorare senza rinunciare alla maternità. La conciliazione tra tempi di vita e di lavoro é difficile anche per le imprenditrici, soprattutto per quelle autonome, per le quali pesa anche la difficile sostituibilità della loro presenza, in caso di maternità.
E’ pur vero che talvolta l’attività imprenditoriale è vissuta essa stessa come un tempo di vita, che grazie ad una maggiore flessibilità rispetto al lavoro dipendente riesce ad attivare modalità nuove di gestione del lavoro di cura e lavoro in azienda. Un tempo conciliato grazie alla capacità delle imprenditrici di trattare la complessità del lavoro, aggiornando continuamente le priorità, e sviluppando molta creatività.
Questo continuo mettersi in gioco e lavoro sulle relazioni fa emergere un “modo femminile di fare impresa”, attento alle persone, ai legami sociali, all’ambiente e alla sostenibilità. E molte imprenditrici operano proprio su questi settori. Imprese di donne in grado di affrontare la difficile congiuntura economica opponendo creatività, flessibilità, reattività, empatia, sensibilità al sociale e all’ambiente.

Jacopo MARCHESANO

Chiosso: “L’imprenditoria femminile antidoto efficace contro la crisi”

Nonostante le imprese femminili rappresentino soltanto un quinto del totale nazionale, il fenomeno dellimprenditoria rosa rimane uno dei temi di maggior discussione degli ultimi mesi. Per una breve chiacchierata in merito, oggi abbiamo incontrato Salma Chiosso, giornalista de La Stampa e presidente distrettuale della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari), l’associazione appartenente all’International Federation of Business and Professional Women che da anni lotta per il miglioramento della vita, anche lavorativa, delle donne.

Dott.ssa Chiosso, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (circa 1,3 milioni su un totale di 6). Come leggere questi dati?
A mio avviso le imprese in rosa sono solo il 21,4 % perché le donne ritengono che il business sia soprattutto un ambito maschile. La Leadership femminile è più cultura e meno affari e quindi meno imprese. Ma quando le donne in questo campo sono attive le aziende difficilmente chiudono perché le scelte sono più ponderate e c’è più propensione a innovare. C’è un dato particolare che conferma questa tendenza: ci sono molti suicidi di imprenditori ma pochi di imprenditrici. E ciò significa più capacità di reagire e interagire con la realtà.

Tuttavia, le nuove imprese a guida femminile nascono a un ritmo superiore alla media: +0,73%. La creatività e l’intraprendenza “rosa” possono essere tra gli ingredienti principali della ripresa economica?
Certamente sì: la creatività è insita nell’animo femminile. Le donne danno la vita è nel loro dna creare. Poi le donne sanno adattarsi e inventarsi la vita, anche quella lavorativa con ciò che hanno anche questo è tipicamente femminile.

Quali sono le difficoltà che una donna dove “mettere in conto” prima di aprire un’attività propria?
La prima difficoltà è l’accesso al credito. Le banche non credono molto nel business delle donne. Preferiscono fare credito agli uomini. La seconda difficoltà è la mancanza di strutture adeguate ( asili ad esempio ma anche assistenza domiciliare per bimbi e anziani di cui sempre più spesso le donne devono prendersi cura ) che permettano alle donne di dedicarsi serenamente lla carriera e questo è valido per tutti i campi non solo quello imprenditoriale.

In Italia siamo molto indietro rispetto all’Europa e al resto del mondo, è solo una questione culturale?
La cultura non ha sesso. In Italia stiamo assistendo ad un globale imbarbarimento del lessico e della cultura. Siamo indietro su tutto: basta guardare alle sanzioni e ai richiami della Corte europea, i soldi che vengono gettati via perché non ottemperiamo alle direttive. A fronte di questo quadro l’imprenditoria femminile viene fortemente penalizzata.

Donna, spesso moglie e madre, e imprenditrice di successo. Quant’è difficile riuscire a conciliare tutto?
Con una buona dose di fortuna, una stupefacente preparazione, un buon reddito di partenza, no. Rispetto agli uomini le imprenditrici di successo hanno una carta in più: sanno che non è tanto la quantità ma la qualità del tempo che si dedica al lavoro quello che conta. Mi spiego meglio: non è lavorando 12 ore al giorno che una donna diventa “brava” e fa carriera. Ne bastano 5 ma di sostanza. E ancora più prezioso e di qualità deve essere il tempo che si dedica ai figli. Meglio una mamma manager o comunque di successo, gratificata e serena anche se con poco tempo che una mamma sempre presente e stanca.

Jacopo MARCHESANO

Imprese femminili, c’è ancora molta strada da fare

Quando si parla di pari opportunità, parità di genere e imprese femminili, spesso il mondo dell’imprenditoria, ancor più se piccola o media, ha ancora parecchia strada da fare. Una conferma arriva dai dati dell’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere – aggiornati a fine giugno 2014 – e dalle indicazioni del Sistema informativo Excelsior, di Unioncamere e ministero del Lavoro. Dallo studio appare chiaro che a pesare maggiormente sulle prospettive delle imprese femminili, restano le difficoltà legate alla solitudine decisionale in cui spesso le imprenditrici si trovano a operare, insieme alla frequente insostituibilità della figura dell’imprenditrice stessa nei processi di lavoro e nei rapporti con il mercato.

Secondo quanto emerge da questi dati, ancora a metà del 2014 le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (sono circa 1,3 milioni su un totale di poco più di 6) e danno lavoro al 45,23% degli occupati dipendenti, 7,6 milioni sul 16,6.

La notizia incoraggiante, invece, è che le imprese femminili stanno affrontando la crisi con decisione e creatività. Intanto, creano nuove imprese a un ritmo superiore alla media: +0,73% l’aumento del numero di imprese femminili registrato nel periodo aprile-giugno 2014, contro una variazione media complessiva dello 0,42%.

Inoltre, nel 2014 si è ampliata la quota di assunzioni per le quali i datori di lavoro considerano irrilevante il genere del candidato: 52,8% rispetto al 48,5% del 2010. Questo significa che le donne lottano ad armi pari con gli uomini per entrare nel mercato del lavoro.

Il 70,5% delle imprese femminili (912.664 su 1.294.880) si concentra nei settori dei servizi alla persona, sanità, istruzione, agricoltura, commercio e turismo, intrattenimento. Costruzioni, fornitura di energia elettrica, trasporti ed estrazione di minerali fanno registrare invece un tasso di femminilizzazioni inferiore al 10%.

Parlando di territorio, le imprese femminili si concentrano prevalentemente al Sud: Molise, Basilicata e Abruzzo hanno un tasso di femminilizzazione superiore al 25%, mentre i valori più bassi si registrano in quattro regioni del Centro-Nord (meno del 20% del totale). La provincia più rosa è quella di Benevento, con il 30,52% di imprese guidato da donne, quella meno rosa è Milano (16,3%).

Parlando di età delle imprese femminili, il 65,7% di loro è nato dopo il 2000 (contro il 60,3% della media complessiva), e solo il 12,4% è nato prima del 1990 (contro il 16,6% della media). Il 65,5% delle attività è impresa individuale e il 69,5% conta unicamente sulla titolare o al massimo un addetto e il 94,2% non supera la soglia dei 5 addetti.

Secondo il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “l’impresa femminile si conferma meno strutturata e più sottodimensionata rispetto alla media, e per questo ha ampi margini di sviluppo che vanno colti per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. Va sostenuto e promosso il desiderio di tante donne, capaci e qualificate, che guardano all’impresa e al mercato come un’opportunità per essere protagoniste del proprio progetto di vita. Il sistema camerale mette a disposizione strumenti mirati allo sviluppo di questi progetti con iniziative per la formazione, l’accesso al credito, l’internazionalizzazione”.

Il turismo è donna, boom di imprese rosa

In occasione della Dodicesima Giornata dell’Economia, l’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Roma, per controbilanciare i drammatici dati resi noti dall’Osservatorio Confesercenti nei giorni scorsi, ha diffuso i dati della situazione regionale. Resta preoccupantemente alto il tasso di disoccupazione, mentre perdura la difficoltà di accesso al credito per le imprese (come abbiamo già specificato ieri), con una marcata contrazione dei prestiti da parte degli Istituti di credito. In controtendenza rispetto ai dati a livello nazionale, cresce il numero delle imprese: al 31 dicembre 2013 erano 465mila e di queste oltre 100mila sono femminili.

Le aziende registrate a fine 2013 si attestano a 464.986 unità (7,7% della base produttiva nazionale). Nel 2013 le iscrizioni sono state 31.598 a fronte di 23.637 cessazioni (escluse le cancellazioni d’ufficio). Il saldo risulta positivo e pari a +7.961 imprese, con un tasso di crescita del +1,7%, il terzo più alto tra tutte le province italiane e nettamente superiore alla media nazionale (+0,2%), ma in costante flessione rispetto ai valori registrati nel biennio precedente (+2,3% nel 2011 e +1,9% nel 2012).

I numeri più positivi, comunque, si registrano per le imprese “rosa”: alla CCIAA capitolina risultano più di 100mila imprese femminili, pari al 7% della base produttiva “femminile” nazionale, con un tasso di femminilizzazione del sistema produttivo provinciale pari al 21,7% (Italia: 23,6%). Nonostante l’impresa individuale rappresenti ancora la soluzione organizzativa prevalente tra le imprenditrici romane (45,3% del totale), sono le società di capitale gestite da donne a far rilevare il dinamismo maggiore: con un incremento pari al 3,4%.

Jacopo MARCHESANO

Niente crisi per le imprese femminili toscane

Le aziende femminili non conoscono crisi o, almeno, riescono ad affrontarla in modo più risoluto e creativo.
In particolare, l’imprenditoria femminile toscana sta vivendo un periodo di particolare fermento, come i dati confermano.

A fine settembre 2013, infatti, le imprese in rosa erano 101.115, pari al 24,4% delle imprese registrate nei registri camerali toscani, con un incremento dello 0,9% rispetto a settembre 2012.
Al contrario, le imprese condotte da uomini è rimasta ai valori dell’anno precedente.

Grazie a questi dati, la Toscana si conferma una delle regioni più dinamiche d’Italia per quanto riguarda lo sviluppo dell‘imprenditoria femminile, tenendo il passo con Lazio (+1,1%) e Lombardia (+1,0), le prime della classe.

Il bilancio positivo dell’imprenditoria femminile regionale è legato in buona parte alla vitalità delle straniere: +858 unità in dodici mesi (+7,4%), un incremento superiore alla media nazionale (+6,2%). Sono soprattutto le imprenditrici non comunitarie a crescere (raggiungendo le 9.330 unità), ma in sensibile crescita sono anche le imprenditrici comunitarie (3.000 imprese).

Meno dinamico della media italiana è invece lo sviluppo dell’imprenditoria straniera non femminile (+3,5% in Toscana contro il 4,4% nazionale).
Gli ambiti settoriali in cui le imprenditrici straniere hanno trovato più ampi spazi di sviluppo, nel corso dei dodici mesi presi in esame, sono l’industria (+300 unità) e il commercio (+240).

Vasco Galgani, presidente di Unioncamere Toscana, ha dichiarato: “In Toscana la crescita del numero delle aziende femminili è guidata da imprenditrici straniere ma anche fra le imprenditrici italiane ci sono segnali incoraggianti: diminuiscono le ditte individuali e crescono le società di capitali, segno evidente che i percorsi delle imprenditrici sono oggi più strutturati e qualificati rispetto al passato. Il Sistema camerale toscano, insieme alle altre istituzioni pubbliche, ha spinto molto per questo salto di qualità e oggi arrivano le prime conferme. Naturalmente, c’è ancora tanto da fare per assicurare la promozione del talento femminile e la propensione imprenditoriale delle donne, a iniziare dal favorire l’acquisizione di competenze e capacità adeguate ad affrontare le nuove sfide che il mercato ci pone davanti“.

Nel tessuto imprenditoriale femminile si registra una discreta espansione delle società di capitali (+673 unità pari al +4,5%), dovuta in massima parte alle imprenditrici italiane. Le straniere, viceversa, preferiscono forme organizzative più elementari (+709 ditte individuali con titolare straniera, contro -584 imprese individuali con titolare italiana).

Circa due terzi delle aziende in rosa (per un totale di 66.029 unità) operano nel settore dei servizi: 27.670 di queste operano nel commercio e 10.145 nel turismo (ricettività e ristorazione), e proprio verso quest’ultimo segmento di mercato si è prevalentemente orientato il “fare impresa” delle donne nel periodo in esame (attività turistiche di alloggio e ristorazione +279 unità).

Ma qualcosa si muove anche nei settori fino a poco tempo fa considerati non propriamente femminili, come l’industria (+245 unità) e l’edilizia (+57).
Nell’ambito del manifatturiero, che conta 12.800 aziende femminili, l’incremento è legato soprattutto alla positiva dinamica della filiera abbigliamento-calzature (circa +200 imprese femminili).

In Toscana solo l’11,2% delle imprese rosa (11.293 aziende) è guidato da donne giovani (meno di 35 anni), che accusano inoltre una flessione nel periodo considerato (-0,5%) seppur meno marcata rispetto alla media italiana (-1,1%). Il calo registrato è inoltre nettamente inferiore rispetto a quanto rilevato per le imprese giovanili non femminili (-5,7% per quelle guidate da uomini under 35, contro una media nazionale del -3,6%).

Vera MORETTI

Imprenditoria femminile a Belluno

 

Giovedì 3 ottobre, dalle 9 alle 18, si terrà a Belluno l’Open Day per l’autoimprenditorialità femminile e giovanile organizzato dalla CdC di Belluno, presso la propria sede: in programma 10 ore di consulenze e seminari gratuiti non stop, seminari e workshop rivolti ai futuri imprenditori, giovani e donne.

Per chi lo desiderasse, le iscrizioni possono essere effettuate per tutti i workshop, seminari, convegni e consulenze, così come anche ad uno solo di essi: la scelta di quanti e quali eventi seguire andrà fatta in base alle proprie esigenze conoscitive e interessi..

Attività commerciali: la ripresa dov’è?

Provate a parlare di ripresa a chi ha un’attività commerciale. Nella migliore delle ipotesi, vi risponderà con una sonora risata, nella peggiore vi tirerà addosso il mazzo di chiavi con il quale ha dovuto chiudere il proprio negozio.

Il recente meeting di Confesercenti che si è tenuto in Umbria ha infatti messo bene in chiaro una cosa: la crisi non allenta la presa sul commercio. Nonostante segnali di miglioramento rispetto al 2012, l’estate 2013 ha segnato un altro momento nero del settore. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Confesercenti, tra luglio e agosto hanno aperto 2.656 nuove imprese commerciali in sede fissa e hanno cessato l’attività 5.574, per un saldo negativo di 2.918 unità.

Il risultato del IV bimestre 2013 è lievemente migliore (+332 imprese) di quello registrato lo scorso anno nello stesso periodo (-3.250 esercizi), ma si è annullata la “ripresina” messa a segno nel bimestre maggio-giugno 2013 quando hanno aperto 7.546 nuove imprese, 3.532 in più rispetto a marzo-aprile.

Complessivamente, nei primi otto mesi dell’anno si registra un saldo negativo di 14.246 imprese nel commercio al dettaglio (18.208 nuove aperture e 32.454 chiusure). Si tratta comunque di un miglioramento, anche se debole, rispetto al saldo dei primi otto mesi del 2012, negativo per 15.772 esercizi. Il risultato è dovuto principalmente all’aumento delle nuove iscrizioni (+2.015), dato che compensa il più lieve incremento delle chiusure (+489).

Il rapporto di Confesercenti sottolinea che la percentuale di imprenditori stranieri nel settore è arrivata al 67%: “un fenomeno socio-economico che meriterebbe un approfondimento”. Molto importante anche il ruolo delle imprese giovanili, il 38,2% delle nuove iscritte, e significativo il peso delle imprese femminili (30%) e di quelle straniere (22,1%). In termini di peso sul totale delle cessazioni, appare critica la situazione delle imprese femminili, che compongono la percentuale maggiore (35%). Male anche quelle giovanili, che rappresentano il 20% delle chiusure. Resistono meglio gli imprenditori stranieri (11,9%).

La recessione, tecnicamente, sta per finire. Purtroppo non si può dire altrettanto della crisi del commercio e di quella del turismo”, dice il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni. “Ormai è chiaro a tutti che le liberalizzazioni delle aperture non servono ad agganciare la ripresa: il miglioramento dei dati 2013 sul 2012 è così lieve da sembrare più che altro un rimbalzo”.

Secondo Bussoni è “particolarmente preoccupante” la situazione di donne e giovani: “Intraprendono l’avventura imprenditoriale per crearsi un lavoro, ma la domanda interna è ancora bassissima, e il mercato asfittico”.

Senza puntare sulla formazione dei nuovi imprenditori e sull’informatizzazione delle nuove imprese – dice ancora Bussoni – non si può più sperare che il commercio continui a rivestire il ruolo di shock absorber della disoccupazione. Non è tenendo aperto sempre che si aiuta il settore: c’è bisogno di un cambiamento di mentalità e di passo. Non ci si può più improvvisare imprenditori. Ora il governo dia risposte nuove e convincenti”.

Già, sempre il governo…