Proposte di Padoan per l’imprenditoria

In occasione della conferenza della Bei appena svoltasi a Napoli, Pier Carlo Padoan ha fatto una dichiarazione che potrebbe dare una notevole scossa all’imprenditoria italiana.

Il ministro dell’Economia ha, infatti, affermato che il 14 novembre ha intenzione di proporre alla task force europea sugli investimenti “più di mille progetti concreti di investimento sostenibili e realizzabili nel prossimo triennio per un valore superiore ai 10 miliardi”.

Le iniziative per le quali si è accennato riguardano alcuni settori tra i più in fermento in questo periodo, ovvero: la banda ultralarga nelle zone “bianche” (specie al Sue); la messa in sicurezza della rete stradale; l’efficentamento energetico degli edifici pubblici; il credito agevolato per sostenere lo sviluppo delle Pmi; il finanziamento delle reti di impresa per favorire l’aggregazione e la crescita dimensionale.

Questi progetti saranno finanziati da risorse sia pubbliche sia private, e una prima lista di interventi da avviare verrà redatta già dalla prossima settimana.
Ovviamente, tutti i progetti verranno vagliati da Bei e dalla Commissione Ue, con una presentazione prevista a dicembre davanti all’Ecofin.

Vera MORETTI

Fare impresa in Italia? Lascia stare…

di Davide PASSONI

Noi di Infoiva lo sosteniamo da sempre: fare l’imprenditore, in Italia, è una missione oltre che una vera guerra. Gli imprenditori di casa nostra meriterebbero statue e medaglie e invece si trovano presi a pesci in faccia dallo Stato e dal fisco, che non ne riconoscono, se non a parole, il valore sociale sancito anche dalla nostra Costituzione.

Una conferma di come l’imprenditoria sia davvero una missione ci arriva anche da Mediobanca, che tramite il suo Ufficio Studi ci fa sapere che fare impresa, in Italia, non è remunerativo perché il guadagno non è sufficiente a ripagare il costo del capitale: lo dimostra il fatto che nelle attività industriali c’è stata una distruzione di ricchezza pari a 1,4 punti. Questo secondo l’indagine 2012 “Dati cumulativi di 2.032 imprese italiane“. redatta dall’istituto di via dei Filodrammatici.

Secondo Mediobanca, i grandi gruppi visti nella loro dimensione italiana hanno sofferto di più, mentre è stata più contenuta la sofferenza delle medio e grandi imprese. Le imprese a controllo estero si sono salvate dalla distruzione di valore, grazie alla elevata redditività del capitale.

Se vogliamo parlare di numeri nel 2011, le esportazioni si sono mosse a velocità più che tripla rispetto alle vendite domestiche (+18,3% contro +5,5%): è cresciuto il fatturato dei settori che hanno beneficiato degli aumenti dei prezzi delle commodities di riferimento (metallurgia +20,2%; energetico +17,6%) e di quelli che hanno agganciato la domanda estera (gomma e cavi +20,2%). Anno negativo per elettrodomestici (-3,4%), stampa editoria (-1,7%), farmaceutico e cosmetico (-0,7%). In sostanza, l’industria italiana ha segnato nel 2011 un’ulteriore ripresa del fatturato (+9,2% sul 2010) ma non è sufficiente a raggiungere, seppure di poco, il livello pre-crisi del 2008 a causa della forte flessione del 2009. Ovvero, fare impresa non conviene.

Che cosa deve pensare di fronte a questi dati chi, invece, l’impresa la fa? Per vocazione – tanti, forse la maggior parte -, o per necessità – molti, soprattutto a causa della crisi che li ha sbattuti fuori dal mercato del lavoro come dipendenti? Che sono dei visionari, degli illusi, gente destinata al fallimento personale o professionale? Noi crediamo invece che dovrebbero pensare di essere dei privilegiati, gente che ha un’opportunità unica: quella di dare una direzione diversa al proprio destino contando quasi solo sulle proprie forze e il proprio ingegno. Resta da capire se e quanto lo Stato darà loro la possibilità di imboccare questa direzione diversa. Per ora, ci sembra, c’è ancora molto da fare…

Se l’imprenditoria italiana ha i capelli bianchi

di Alessia CASIRAGHI

Imprenditori italiani sempre più vecchi. Nonostante le recenti manovre del governo a sostegno dell’imprenditoria giovanile e della creazione di nuove start up – anche con 1 euro si può fare impresa -, il tessuto imprenditoriale italiano diventa sempre più vecchio.

Rispetto al 2010, l’incidenza delle imprese giovanili scende dall’11,8% del 2010 all’11,4% del 2011. E’ quanto rivela uno studio condotto dall’Osservatorio di Unioncamere sull’imprenditorialità giovanile, elaborando i dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio.

Per imprese giovanili si intendono le ditte individuali il cui titolare abbia meno di 35 anni, o le società di persone in cui oltre il 50% dei soci abbia meno di 35 anni, o ancora società di capitali in cui la media dell’età dei soci e degli amministratori sia inferiore al limite d’età di 35 anni.

L’indagine ha evidenziato come le attuali 700mila imprese di under 35 hanno registrato un calo del 3,6% rispetto al 2010, contando al netto 26mila unità in meno.

Ma qual è la causa dell’innalzamento d’età dell’imprenditoria made in Italy? La riduzione delle aziende under 35 si spiega sia con il graduale superamento della soglia dei 35 anni da parte di un elevato numero di imprenditori. Dall’altro lato si evidenzia un netto rallentamento delle iscrizioni di imprese giovanili, soprattutto nella seconda metà del 2011.

Lo scorso anno solo 135mila giovani, nonostante uno scenario economico reso difficile dalla crisi e dalla difficoltà di ottenere finanziamenti, hanno deciso di avviare una nuova impresa.

E-commerce: il web seduce le microimprese

di Alessia CASIRAGHI

Piccole e medie imprese italiane sempre più virtuose e soprattutto virtuali. Vendere o acquistare prodotti e servizi online non è più un tabù per l’imprenditoria made in Italy, ma rischia di diventare un vero e proprio trend.

E’ quanto rivela l’indagine annuale condotta da Epson Micro business sulle Pmi Italiane, nell’ambito del settore Epson Business Council. I dati sono eloquenti: il 94% delle piccole imprese da 1 a 10 dipendenti utilizza e-commerce e siti vetrina per vendere i propri prodotti e servizi, mentre l’89% dichiara di acquistare online.

Ma le nuove tecnologie (dal web, all’e-commerce, ai social network) come influenzano il business delle piccole e medie imprese italiane?

La rete, conferma Epson Micro business, è uno strumento vantaggioso e dalle potenzialità estreme per la piccola realtà imprenditoriale italiana: fare business online con strategie Web mirate, o di marketing online, che punti alla visibilità dell’azienda anche sui social network, rappresenta un’occasione unica per le aziende.

Già molte Pmi si rivolgono a servizi di consulenza e Web agency per migliorare e ottimizzare la propria visibilità online, realizzando siti internet vetrina, e-commerce e blog aziendali per rafforzare la presenza e l’identità del proprio brand in rete.

Andrea Granelli, rappresentante italiano Epson Business, ha sottolineato poi come l’adozione di strategie a lungo termine, con una particolare attenzione all’evoluzione degli strumenti di Marketing online, risulta vincente e più redditizia dal punto di vista economico rispetto alle strategie di crescita aggressiva e direttiva normalmente impiegata da molte aziende.

Ritardi nei pagamenti: prima causa di fallimento

In Italia un fallimento su tre nel solo 2011 ha avuto come causa il ritardo nei pagamenti. La sentenza arriva da un’indagine condotta dalla Cgia di Mestre.

Ecco i dati emersi: nel 2011 circa 3.600 imprenditori italiani, su un totale di 11.615 che hanno portato i propri libri contabili in Tribunale (vale a dire il 31%), hanno dichiarato di averlo fatto a causa dell‘impossibilita’ di incassare in tempi ragionevoli le propri espettanze.

Secondo i dati Intrum Justitia, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardati pagamenti e’ pari al 25% del totale. Questo significa che la situazione italiana non ha eguali in Europa, arrivando a quota 31%, ben 6 punti percentuali in più rispetto alla media UE.

Ma come si è arrivati a questa situazione di insolvenza? In Italia i ritardi nei pagamenti superano la media europea di circa 26 giorni, vale a dire oltrepassa il 30% del totale. Qualche esempio? Se il committente è la Pubblica Amministrazione si arriva in media alla soglia dei180 giorni, mentre se si tratta di un’azienda privata il periodo scende a 103 giorni.

A ciò va aggiunto il peso della crisi economica che grava sulle aziende: il trend dei ritardi negli ultimi 4 anni è quasi raddoppiato (+97,5 %). Dati imbarazzanti se si pensa che nel 2008 la media per incassare i propri crediti era di 27 giorni, mentre lo scorso anno gli imprenditori italiani sono stati pagati con 53 giorni di ritardo.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre invita il Governo attuale a elaborare quanto prima un provvedimento affinchè venga rispettata la Direttiva Europea sui ritardi nei pagamenti: “Tra il 2008 ed il 2011 hanno fallito oltre 39.500 aziende – ha sottolineato Bortolussi. – La mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli ‘sfiduciati’, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso, nonostante i grossi problemi che si sono accumulati in questi ultimi anni, di non ricorrere all’aiuto di una banca. E’ un segnale preoccupante che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito”.

Il pericolo più evidente per l’ imprenditoria italiana è l’aumento dell’usura: molte aziende, per far fronte al ritardo sempre più crescente nei pagamenti, potrebbero decidere di rivolgersi a strozzini e associazioni malavitose alla ricerca disperata di un prestito.

Un ultimo dato: a livello territoriale è la Lombardia la Regione che ha subito il numero più elevato di fallimenti, tra il 2008 e il 2011, sia in termini assoluti, sia prendendo in considerazione l’incidenza ogni 10.000 imprese attive. Secondo la Cgia di Mestre nel solo 2011 ci sono stati 31,5 fallimenti ogni 10.000 aziende attive.

L’imprenditoria italiana trasloca in Ticino

Non solo depositi bancari: almeno 150 imprenditori italiani in pochi anni si sono trasferiti in Ticino ma portandosi dietro azienda, famiglia e casa d’abitazione. E il fenomeno della delocalizzazione è in crescita, complice anche la comodità logistica, un’ora da Milano e Malpensa e l’efficienza dei mezzi pubblici elvetici.

La Svizzera sta offrendo, al di la dei già noti conti cifrati e salvagenti fiscali, opportunità ben diverse rispetto alle prestazioni bancarie tradizionali e sa dare tutte le cose da sempre invocate dagli imprenditori italiani. Da mesi, dopo gli scudi fiscali, è aumentata la pressione fiscale nei confronti degli imprenditori italiani, con le minacce di patrimoniale e un clima politico-sindacale sempre più incerto. Il governo sembra orientato ad accaparrarsi in qualche modo i beni scudati, si intensificano i pignoramenti del fisco e la tentazione di fuga aumenta.

Dal 1997 al 2010, con il programma cantonale Copernico del Dipartimento delle finanze e dell’economia per l’incentivazione all’innovazione economica e le agevolazioni fiscali, sono state costituite in Ticino 219 nuove imprese. Di queste, la gran parte dall’Italia, una decina ciascuno da Germania e USA, 11 aziende si sono trasferite dal resto della Svizzera e 60 sono state create da residenti in Ticino.

Ma perchè la Svizzera? Tanti i lati positivi e le facilitazioni che derivano dallo stabilirsi oltreconfine: tassazione bassa, circa 20% contro il 75% dell’Italia, efficienza ed equità fiscale. Il fisco è un interlocutore, non un nemico; c’è poi la posizione strategica nel continente europeo, veloci e affidabili infrastrutture logistiche e dei trasporti e spedizioni, efficienza e rapidità dell’autorità doganale, efficienza della pubblica amministrazione, burocrazia snella e chiara, funzionalità delle norme locali nella registrazione, gestione e degli adempimenti relativi ai soggetti giuridici. Stabilità politica, pace sociale, economia sana, finanze pubbliche ben gestite dal livello comunale a quello federale, grande mobilità del lavoro, flessibilità nelle relazioni sindacali, tasso medio di assenteismo tra i più bassi d’Europa; da aggiungere poi l’ottima qualità, rapidità ed efficienza delle organizzazioni bancarie, finanziare e professionali insediate nel territorio e strutture medico-sanitarie e scolastico-educative ai massimi livelli.

Inoltre nel Ticino in una settimana si apre un’azienda e il costo del lavoro in Svizzera è minore che da noi. Va detto poi che se il salario netto è più alto che in Italia, i costi sociali sono enormemente più bassi. Attenzione però: l’impresa deve avere un mercato di vendita a livello internazionale e deve essere strutturata per avviare un’attività all’estero. 

Tra i nuovi insediamenti prevale il settore dell’elettronica, seguito da chimica-farmaceutica-medicale, servizi e logistica, abbigliamento, informatica, meccanica di precisione e metallurgia, materie plastiche, ma anche società di metalli preziosi e alimentari. Questa zona svizzera è poi particolarmente attrattiva anche per aziende commerciali, finanziarie, di gestione, di consulenza, di marketing, di engineering e per gli headquarters di aziende internazionali.

E’ finita l’epoca in cui della Svizzera l’italiano amava solo la cioccolata e la puntualità.

Marco Poggi