Imprenditori immigrati, salvezza dell’economia

In un momento in cui i flussi dell’immigrazione in Europa hanno toccato livelli da esodo storico, con anche tragedie che toccano da vicino e scuotono le coscienze, in Italia è sempre più chiaro che gli imprenditori immigrati rappresentano un’ancora di salvezza per l’economia nazionale. Si tratta di una verità della quale abbiamo scritto più e più volte e per la quale, ora, arriva l’ennesima conferma da uno studio Unioncamere-InfoCamere sulla base dei dati degli ultimi tre anni del registro delle imprese, dal quale risulta che gli imprenditori immigrati che hanno aperto un’attività in Italia tra il 30 giugno 2012 e il 30 giugno 2015 sono 86mila in più su un totale di aziende etniche di circa 540mila, pari all’8,9% del tessuto produttivo nazionale.

Secondo lo studio, il maggior numero di imprenditori immigrati attivi in Italia si concentra nei settori delle costruzioni, nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, nel noleggio, nelle agenzie di viaggio e servizi alle imprese e nella ristorazione e alloggio. Nel complesso, in numero di aziende registrato da Unioncamere è cresciuto di 70mila unità nei tre anni oggetto dello studio.

La maggior parte degli imprenditori immigrati che aprono un’attività in Italia sceglie come forma societaria quella dell’impresa individuale, con un totale di circa 432mila, pari al 13,3% del totale delle imprese registrate con questa forma giuridica. Marocco (66.273), Cina (48.116) e Romania (47.677) i principali Paesi di provenienza degli imprenditori.

Spacchettando i settori produttivi e confrontandoli con la provenienza degli imprenditori stranieri, si nota che nella confezione di articoli di abbigliamento le imprese individuali straniere, principalmente cinesi, sono il 45% del totale. Gli immigrati sono il 43% anche delle 7mila imprese individuali nel campo nelle telecomunicazioni; Bangladesh, Pakistan e Marocco sono i principali Paesi di provenienza dei titolari. Nel campo delle costruzioni, gli imprenditori immigrati sono soprattutto romeni e albanesi

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, che ha commentato questi dati sugli imprenditori stranieri, “la via dell’impresa si conferma una delle modalità attraverso le quali, gli stranieri giunti in Italia, possono integrarsi nel nostro sistema economico e sociale. Oggi ci confrontiamo con imponenti flussi migratori, e vale allora la pena di ricordare che oltre alle politiche di accoglienza, vanno messi in campo strumenti e politiche di integrazione a basso costo per il nostro Paese. Tra queste quelle di supporto all’avvio dell’attività imprenditoriale, dove le Camere di Commercio giocano un ruolo importante per chi vuole aprire una nuova impresa”.

Natale al ristorante? È multietnico

Quando si tratta di fare business, non c’è religione che tenga, anche e soprattutto a Natale e soprattutto quando si tratta di Natale al ristorante.

Secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al secondo trimestre 2014 e 2013 relativi alle sedi di impresa e, per le nazionalità, ai titolari di impresa individuale nati all’estero, i locali in città sono sempre più stranieri e l’offerta per passare Natale al ristorante spesso non parla italiano.

Milano è il cuore di questo fenomeno, con un peso pari al 13,2% sul totale nazionale, seguita a livello italiano da Roma con 2.086 imprese (10,7%) e Torino (1.082, 5,5%). La città di Milano, da sola, concentra oltre l’8% dei ristoratori stranieri che lavorano in Italia e che possono presentare una variegata offerta per il Natale al ristorante.

A Milano città si può contare su un’offerta tra ristoranti e asporto di oltre 4.500 imprese, +6,4% rispetto al 2013. Circa un’impresa della ristorazione su tre (1.607) a Milano città è straniera, con i ristoratori stranieri che crescono del 9,3% in un anno, una velocità quasi doppia rispetto alla crescita delle imprese italiane (+4,8%). La metà degli stranieri fa anche la pizza, anche se non è indicatissima come menù di Natale al ristorante.

In generale, in Italia, in Lombardia e a Milano cresce la ristorazione, rispettivamente +2,4%, +2,6% e +5,5%. A Milano ci sono nel settore 7.817 imprese, in Lombardia 23.712, in Italia 171.313. Traina la crescita la ristorazione internazionale che in media cresce dell’8% in un anno e costituisce il 32,9% del settore a Milano, il 22,8% in Lombardia e l’11,4% in Italia. Nel 2014 sono circa 2.600 le imprese straniere attive tra ristorazione con e senza somministrazione a Milano e provincia, 5.400 in Lombardia e quasi 20mila in Italia.

In Lombardia, dopo il capoluogo, che pesa circa la metà della ristorazione “etnica” regionale, vengono Brescia con l’11,7%, Bergamo (7,7%) e Monza e Brianza (7,4%), con un’ampia offerta per passare il Natale al ristorante.

Andando nel dettaglio delle varie nazionalità, la ristorazione straniera a Milano e in Lombardia è soprattutto degli egiziani, tra pizza e kebab, (il 43% a Milano, 39,5% in regione) seguiti dai cinesi, che tra involtini primavera, sushi e pizza, pesano il 28% a Milano e il 20,5% in Lombardia. Vengono poi i turchi specializzati in kebab. In Italia, invece, se il 17% delle attività è gestito da egiziani o cinesi, il 6% è di rumeni. Insomma, per scegliere il pranzo di Natale al ristorante, è bene imparare qualche lingua…

Un premio per gli imprenditori stranieri eccellenti

di Davide PASSONI

Che gli imprenditori stranieri siano bravi, noi di Infoiva lo abbiamo ripetuto più volte. Che questa bravura meriti un premio e un riconoscimento è un’idea che è venuta ad altri, nello specifico a MoneyGram, leader globale nel settore dei trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Il gruppo ha istituito quattro anni fa MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia, proprio per dare un riconoscimento agli immigrati che hanno saputo distinguersi nell’imprenditoria. Ce ne parla Alessandro Cantarelli, Marketing Director MoneyGram Balkans, Italy, Greece and Cyprus

Come nasce l’idea del MoneyGram Award?
L’idea del MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia è nata nel 2009 con la volontà di promuovere l’eccellenza tra le aziende gestite e fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese. Il Premio ha l’obiettivo di raccontare e valorizzare le storie di successo dell’imprenditoria immigrata e l’integrazione tra tradizioni lavorative e culturali diverse. La nostra azienda è da sempre molto attenta al valore dell’integrazione sociale degli immigrati, che, abbiamo notato, passa sempre più spesso da un’integrazione economica, attraverso lo sviluppo di nuovi business nel nostro sistema economico.

In che cosa consiste il premio?
Il MoneyGram Award, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, è un riconoscimento alla capacità imprenditoriale e all’impatto importante e positivo del lavoro degli immigrati sull’economia italiana. L’iniziativa è dedicata ai più brillanti imprenditori immigrati che durante l’anno hanno saputo dimostrare capacità di visione, coraggio e leadership nel fondare o condurre le proprie aziende. Il Premio prevede un riconoscimento assoluto intitolato “MoneyGram Award all’Imprenditore Immigrato dell’Anno” ed è assegnato al titolare dell’azienda che risulta eccellente in tutte le categorie di valutazione e che ha favorito l’integrazione tra la cultura nativa e quella del paese ospitante. Ci sono poi 5 Premi di categoria a seconda che l’imprenditore si sia distinto per la Crescita del Fatturato, per l’Innovazione, l’Occupazione, l’Imprenditoria Giovanile e per la Responsabilità Sociale. 

Da quali Paesi provengono, dal vostro punto di vista, gli imprenditori con maggior entusiasmo, idee e coraggio?
Nelle passate edizioni del Premio abbiamo potuto apprezzare doti manageriali in diverse nazionalità di immigrati. Non c’è un Paese particolare nel quale posso dire di aver visto imprenditori più bravi in assoluto. Sudamericani, albanesi, rumeni, marocchini, ma anche cinesi, iraniani e africani, tutti quanti, con le loro peculiarità, hanno dimostrato e continuano a dimostrare un grande impegno e forza di volontà nel portare avanti i loro progetti in Italia, superando tutti i problemi legati ai pregiudizi, che spesso ancora noi italiani abbiamo nei loro confronti.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
I dati che fotografano il fenomeno dell’imprenditoria immigrata parlano chiaro: le imprese straniere, nonostante la crisi, hanno chiuso il 2011 con un saldo positivo di oltre 26mila unità, nello stesso periodo quelle italiane sono diminuite di 28mila unità. Siamo di fronte ad un fenomeno in crescita, che ci mostra come gli stranieri siano in grado di rispondere meglio alla crisi economica, adattandosi al cambiamento del mercato e, forse, rischiando di più.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Coraggio, spirito di sacrificio e tenacia, sono sicuramente valori importanti, ma anche una propensione al rischio più elevata è molto importante.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
Sicuramente la globalizzazione ha aiutato questo fenomeno ma c’è di più: c’è anche la voglia, da parte degli immigrati, di riscattarsi e di avere una seconda possibilità.

“Imprenditori immigrati, risorsa per la nostra economia”

di Davide PASSONI

Le cifre le hanno presentate loro alla fine della scorsa settimana e da lì siamo partiti per approfondire il discorso su Infoiva. Parliamo di Unioncamere e del rapporto presentato su dati Movimprese e relativo alle imprese italiane guidate da stranieri, che sfiorano ormai le 480mila unità. Oggi abbiamo chiesto direttamente al presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, di commentare con Infoiva questo fenomeno inarrestabile.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
Per molte persone che provengono da altri Paesi, soprattutto da quelli in via di sviluppo, l’impresa rappresenta la strada maestra per crearsi una occupazione, magari mettendo a frutto l’esperienza acquisita lavorando precedentemente come dipendente presso altre aziende. Sono spesso giovani e molto motivati, capaci anche di grandi sacrifici, come del resto lo sono i tanti giovani neoimprenditori italiani che anche in questa fase di crisi hanno scelto di mettersi in proprio.

In molti casi la parabola degli imprenditori stranieri ricorda quella di tanti italiani che, dopo la guerra, hanno trovato il riscatto sociale nell’imprenditoria. Concorda? Perché?
Credo che le due esperienze siano in molti punti assimilabili. Anche noi italiani abbiamo un passato da emigranti in cerca di lavoro e di fortuna in tanti Paesi del mondo. E, come avviene ora per l’imprenditoria immigrata, anche noi abbiamo creduto (e, fortunatamente, crediamo anche oggi) nel valore dell’impresa, quale scelta di vita, opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e di valorizzare i propri talenti.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Oltre l’80% delle imprese gestite da immigrati sono ditte individuali, la forma giuridica meno strutturata e quindi più soggetta alle oscillazioni del mercato e dell’economia. La loro fragilità è del tutto analoga a quella delle imprese individuali gestite da italiani, le quali però, in rapporto al totale, sono molto meno numerose grazie anche alla sensibile crescita delle società di capitali verificatasi negli ultimi anni. La differenza in questo ambito, semmai, la fa l’anagrafe. Molte imprese individuali gestite da italiani hanno come titolare persone di età avanzata, mentre i titolari immigrati sono mediamente più giovani.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
La globalizzazione certo, ma anche i fenomeni migratori che stanno portando verso l’Occidente più ricco e industrializzato tante persone provenienti da Paesi poveri.

Che cosa risponde Unioncamere a chi teme che questi imprenditori “rubino” mercato agli italiani?
Che gli imprenditori immigrati che operano rispettando le regole del mercato e della concorrenza non sono una minaccia ma una risorsa per la nostra economia.

Imprenditori stranieri: capacità, volontà ma anche formazione

Se in Italia il numero delle imprese guidate da stranieri veleggia serenamente verso il mezzo milione, come reso noto da Unioncamere, il merito è senza dubbio degli imprenditori stessi ma anche delle molte iniziative che, sull’intero territorio italiano, tendono a valorizzarne le capacità.

Una di queste è il progetto “INTERLAB – Laboratorio di mestieri e di impresa“, organizzato dalla Provincia di Firenze, che intende favorire l’occupabilità dei cittadini stranieri, in particolare donne, attraverso azioni di accompagnamento alla creazione di attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, promuovendo inoltre la nascita e lo sviluppo di attività economiche sostenibili in campo artigianale, avviate da imprenditori o lavoratori autonomi stranieri, anche in rete con altre imprese italiane.

Un progetto in due fasi, la prima delle quali si è conclusa e ha puntato a elevare la cultura di impresa dei cittadini stranieri. In particolare, è stata realizzata una ricerca-azione delle opportunità imprenditoriali offerte dal territorio, attraverso l’acquisizione di informazioni socio-economiche di base e uno studio documentale realizzato con l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio di Firenze.

È ora in corso di attuazione la seconda fase di progetto, relativa all’inserimento lavorativo dei migranti attraverso l’autoimprenditorialità. Sono stati infatti selezionati 25 cittadini stranieri che hanno preso parte al percorso di orientamento e formazione laboratoriale di 56 ore volto alla messa a punto del progetto imprenditoriale. Sono invece 10 i migranti che sono stati selezionati per le attività di orientamento professionale della durata di 6 mesi, per un totale complessivo di 480 ore, in settori quali pelletteria, sartoria, vetreria.

A coronamento del progetto è stato, realizzato il sito www.progettointerlab.org, che raccoglie i materiali promozionali realizzati, insieme a una video-intervista nella quale gli aspiranti imprenditori e lavoratori autonomi raccontano la loro idea di impresa, in attesa di iniziare la formazione in bottega o di mettere a punto il loro business plan. Una importante azione di supporto alla imprenditorialità straniera in una regione come la Toscana, da sempre attenta al valore della formazione e della imprenditorialità.

I nuovi imprenditori? Stranieri e rampanti

I dati sono di quelli che fanno riflettere. Per fortuna, almeno per una volta, in senso positivo. Le imprese che, in Italia, sono guidate da cittadini stranieri si avviano di gran carriera verso il mezzo milione. Nello specifico, sono poco meno di 480mila, con un aumento di 24.329 nel 2012, +5,8%. I dati sono stati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da Infocamere. Per le imprese individuali il Paese leader rimane il Marocco, con 58.555 titolari. A seguire Cina (42.703) e Albania (30.475). In termini assoluti sono aumentati di più gli imprenditori del Bangladesh (+3.180 imprese) e in termini relativi quelli Kosovo (+37,6%).

Numeri di tutto rispetto, la cui importanza non è sfuggita a Unioncamere. Secondo l’associazione, il contributo degli imprenditori immigrati alla crescita delle imprese nel 2012 “si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità)“.

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “la geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società. Sono per lo più forze giovani, con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali“.

Scendendo più nel dettaglio dei dati, alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano il 7,8% del totale, con punte superiori al 10% in due regioni, Toscana (11,3%) e Liguria (10,1)%, ed in dodici province tra cui spiccano Prato (23,6%), Firenze (13,6%) e Trieste (13,2%). In termini assoluti, le attività più presidiate sono quelle del commercio al dettaglio (129.485 attività) e dei lavori di costruzione specializzati (101.767). Molto distante il numero delle attività in ristorazione (31.129) e commercio all’ingrosso (29.646).

In termini di incidenza percentuale, le attività alla cui guida ci sono cittadini immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (24%), nei lavori di costruzione specializzati (18,9%). Dal punto di vista della struttura organizzativa, come è lecito aspettarsi, nella grande maggioranza (385.769 imprese, l’80,8% del totale) le attività degli imprenditori immigrati sono costituite da imprese individuali, le più semplici, mentre le società di capitale (46.239 unità) sono il 9,7%. Interessante il dato della società cooperativa, strumento che comincia a diffondersi: sono quasi 8mila, cresciute nel 2012 al ritmo dell’8,2%.

Hanno più fame e sono più “incoscienti” di noi. Gli imprenditori immigrati ci salveranno

di Davide PASSONI

Ce lo sentiamo ripetere ormai da anni: l’Italia sarà salvata dagli stranieri. No, nessun nuovo Piano Marshall per il nostro Paese, disastrato dalle tasse, dalla mala politica, dalla burocrazia. Parliamo del fenomeno, silenzioso ma inarrestabile, degli immigrati che assumono un peso sempre più rilevante nella vita sociale ed economica italiana.

Siamo a crescita quasi zero dal punto di vista demografico e, allora, ci pensano gli stranieri molto più prolifici di noi ad aumentare la media di nuovi nati. Le imprese italiane chiudono a mazzi, strette tra crisi, fisco, folle burocrazia e allora ecco che, anche in questo caso, ci vengono in soccorso le imprese costruite e gestite da immigrati, che nascono senza paura e vivono anche più a lungo di quelle a guida italiana.

Proprio di questo aspetto vogliamo parlare questa settimana su Infoiva, partendo da una rilevazione di Unioncamere sul numero di imprese costituite e gestite da immigrati nel nostro Paese che fa pensare. Un dato di fatto, certificato dai numeri, che è quello di una grande capacità dello straniero di fare impresa e rischiare del proprio. Certo, molto spesso di tratta di imprese individuali, piccolissime, messe in piedi con un capitale minimo, frutto di risparmi e accantonamenti fatti da dipendente, ma sempre di rischio d’impresa si parla. Un iter che somiglia in molti casi a quello dei nostri padri o dei nostri nonni i quali, decenni fa, stanchi di lavorare “a padrone” e sicuri di far fruttare un capitale di esperienza e di saper fare acquisito in anni di lavoro dipendente, fecero il grande salto, si misero in proprio, allestirono la loro “fabbrichetta” che, negli anni, divenne poi l’azienda di famiglia: vanto, orgoglio, risultato tangibile della voglia di fare e di riscatto sociale.

Ecco, mentre ora centinaia di migliaia di queste chiudono tristemente i battenti, altrettante gestite da immigrati entrano con spavalderia e con un pizzico di sana follia imprenditoriale sul mercato delle imprese italiane, non solo a colmare un buco ma anche a portare una nuova filosofia d’impresa. Durante questa settimana cercheremo di capire i perché di questo fenomeno, se e quanto è destinato a durare e se, in un mondo e in un mercato sempre più globalizzati, ha senso parlare ancora di imprese straniere in Italia o se non sarebbe ora di parlare di imprese in Italia, punto e basta.

L’impresa italiana? La salveranno gli extracomunitari

 

di Davide PASSONI

Qual è la strada maestra da seguire per non far morire l’impresa italiana? Forse ce l’ha indicata Confesercenti con la sua indagine sulle nuove imprese in Italia: affidarsi agli stranieri. Paradossale? No, comprensibile, specialmente alla luce di una tendenza emersa dallo studio; il 44% delle imprese individuali straniere in Italia svolge attività di commercio, il 26% opera nel settore delle costruzioni e il 10% nella manifattura: ebbene, tra questi settori domina il commercio, comparto nel quale gli extracomunitari si sono concentrati su forme di impresa più semplici, nelle quali oneri amministrativi e burocratici in capo all’imprenditore sono minori. Ossia: minore burocrazia, fiscalità meno stringente per produrre maggior reddito e maggiori margini.

Analizzando le fredde cifre di Confesercenti, l’80% delle ditte si concentra nei 3 comparti di cui sopra, dove anche la crescita malgrado la crisi è stata sostenuta: +7,3% per le imprese del commercio, + 3% per le imprese edili, +3,6% per la manifattura (le imprese individuali negli stessi comparti registrano variazioni negative: -0.5%, -1.3%, -2.2%). Nei primi nove mesi del 2012, a un saldo positivo (tra iscrizioni e cessazioni) di 13mila imprese individuali con titolare immigrato, ne corrisponde uno negativo di oltre 24mila unità per le restanti. Nel terzo trimestre di quest’anno, le imprese individuali registrano un saldo positivo di 5mila unità di cui l’85% è dato da imprese di immigrati.

In dieci anni, poi, il peso delle imprese con titolare straniero, sul totale delle imprese italiane, è passato dal 2% a quasi il 9%: nel 2012 gli imprenditori immigrati sono circa 300mila, più 120mila soci stranieri. Dato da sottolineare e su cui riflettere: le imprese gestite da stranieri producono circa il 5,7% della ricchezza del Paese.

Da dove vengono i “salvatori” della piccola impresa italiana? Principalmente dall’Africa, per motivi storici e geografici: Marocco (57mila imprese), Senegal (circa 16mila), Egitto (circa 13mila), Tunisia (12mila). Poi la Cina (quasi 42mila imprese) e l’Albania (oltre 30mila). Nel Nord Italia si concentrano le attività dell’artigianato e i lavoratori dipendenti dalle imprese; al Centro vincono il settore domestico, quello dell’edilizia e il comparto tessile e abbigliamento; al Sud, commercio e lavoro agricolo.

Insomma, analizzando le cifre e trasformandole in tendenze, traspare chiarissimo un fatto: gli imprenditori extracomunitari si stanno dimostrando più furbi dei nostri, provando a combattere la crisi senza cercare performance esaltanti ma puntando alla sopravvivenza in attesa della ripartenza. Questa crisi sta facendo numerosi morti e feriti gravi (in senso figurato): chi sopravviverà, nel momento in cui l’economia tornerà a girare avrà molto più spazio per crescere e aggredire il mercato. Loro sembra che lo abbiano capito, perché come sostiene Confesercenti, la scelta del commercio assicura la stabilità dell’occupazione anche in periodi di crisi offrendo garanzia alla regolarità del soggiorno e si fa espressione della volontà di riscatto da ruoli subalterni.

Venuti nel nostro Paese per salvare se stessi dalla miseria, gli extracomunitari che si fanno imprenditori di trovano nella situazione di essere loro a salvare l’economia italiana. Viva la globalizzazione.