Credito? No, grazie, sei imprenditrice

Avere credito per le imprese è sempre più complesso e costoso. A maggior ragione per le imprese in rosa, che sono un vanto del nostro tessuto produttivo in quanto a vitalità e varietà.

Lo dicono i dati, lo dice Rete Imprese Italia Imprenditoria Femminile, che ha condotto un’indagine congiunturale sulle piccole e sulle micro imprese femminili e ha constatato che, nei primi tre mesi del 2013, è calato drasticamente il numero di quelle che sono riuscite a ottenere un prestito o un finanziamento.

La crescita della aziende in rosa rimaste a secco di finanziamenti è stata dell’8% (dal 54 al 62%) e parallelamente è sceso il numero di quelle che sono riuscite a farsi accordare un prestito, passate dal 23,8% del 2012 al 17%. Come se non bastasse, è salito il numero delle imprese che hanno sì ottenuto un finanziamento, ma di importo minore rispetto a quello richiesto all’istituto di credito: sono il 62%.

A peggiorare la situazione, il fatto che le imprenditrici interpellate che sono riuscite ad accedere al credito si sono trovate a dover scontare anche in banca il fatto… di essere donne. Buona parte di loro ha infatti dovuto fare i conti con una sorta di pregiudizio nella concessione di garanzie, tassi, costi d’istruttoria con condizioni più svantaggiose rispetto a quelle garantite agli imprenditori uomini. Un atteggiamento che ha scoraggiato molte di loro dal recarsi negli istituti di credito  La disparità di trattamento è in particolare evidente dalla riduzione del numero di imprenditrici che da gennaio 2013 si sono recate in banca a richiedere un prestito.

Ma coloro che ce l’hanno fatta, come hanno impiegato il credito ottenuto. La quasi totalità delle imprenditrici che hanno avuto un prestito (80%) lo ha utilizzato per sopperire a delle necessità di liquidità e cassa, mentre il 16,5% di loro ha utilizzato i fondi ottenuti per reinvestirli e solo  il 3,4% se n’è servito per ristrutturare i debiti aziendali. Sia quello che sia, se essere donna oggi è anche un ostacolo per avere un credito d’impresa, il Paese ha di che riflettere.

Nelle mani degli strozzini

Non ci vuole certo un genio per capirlo. Se da una parte le banche chiudono i cordoni della borsa e dall’altra le aziende devono in qualche modo evitare il fallimento, da qualche parte il denaro è necessario che lo trovino. Trovarlo in uno scenario come quello certificato da Bankitalia, che ha messo nero su bianco come le piccole e medie imprese e le famiglie siano soffocate dalla mancanza di denaro, è ancora più difficile. Almeno per le vie legali…

Ecco allora ampliarsi il fenomeno strisciante e schifoso dell’usura. Secondo i dati diffusi da Sos Impresa e Contribuenti.it, l’usura è in preoccupante ascesa: siamo a una crescita del 155% in un anno, con il picco del 183, 2% della Campania. Secondo questi dati, nel 2013 rischieranno di finire nelle mani dei “cravattari” 3 milioni di famiglie e 2 milioni e mezzo di imprese. Ecco perché Sos Impresa ha messo a disposizione delle aziende un numero verde da chiamare per denunciare e chiedere aiuto: 800.900.767.

Nel rapporto di Sos Impresa, Roma risulta la capitale degli usurai, che si manifestano in un ventaglio di tipologie piuttosto completo: si va dagli insospettabili professionisti o pensionati ai racket criminali organizzati. Sos Impresa sottolinea come spesso la cifra iniziale richiesta agli strozzini sia piuttosto modesta (tra i 5 e i 20mila euro) con interessi che però lievitano fino al 20% mensile. Preoccupante anche il fenomeno dell’usura lampo, gente che chiede soldi alla mattina per restituirli entro la giornata: il ricarico arriva anche al 10%.

Quello che, però, fa più male è che tanto più crescono le vittime, tanto più cala il numero delle denunce: nel 2009 erano stati 369, nel 2011 sono scese a 230. Un calo dovuto alla paura e all’omertà da parte delle vittime ma a anche a una legge antiusura, la 108 del 1996, assolutamente inadeguata. Il suo iter burocratico, secondo quanto dichiara Lino Busà, presidente di Sos Impresa, rende il risarcimento “una pura chimera“, con un percorso giudiziario che dura parecchi anni. Sempre che si abbia la fortuna di arrivare a un risarcimento.

No grande azienda, no credito

Si chiameranno anche piccole imprese, ma questo non significa che il fatto non essere grandi debba metterle nelle condizioni di beccarsi sempre e solo fregature. Prendiamo ancora una volta l’esempio dell’accesso al credito. Oltre a essere problematico per la maggior parte delle Pmi, questo fa rilevare anche una palese e sconcertante asimmetria. Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, l’81% circa degli oltre 1.335 miliardi di prestiti che vengono erogati dalle banche agli italiani è concesso al primo 10% degli affidati, vale a dire alla clientela a loro avviso migliore. Il 19% che resta è distribuito alle famiglie, alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi che, in realtà, costituiscono la quasi totalità (90%) dei clienti delle banche.

Secondo l’associazione mestrina questa anomalia grida vendetta soprattutto in questa fase di “credit crunch” e Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, non ha dubbi: “Al di là delle difficoltà legate alla crisi, il nostro sistema creditizio presenta dei nodi strutturali che vanno assolutamente affrontati. E’ chiaro a tutti che questo 10% di maggiori affidati non è costituito da piccoli imprenditori, da famiglie o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali. In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questo 10% fosse costituito da soggetti solvibili. Invece, dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza emerge che il 78,3% è concentrato nelle mani del 10% dei migliori affidati. In buona sostanza, nei rapporti tra banche e imprese tutto è clamorosamente rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta livelli di affidabilità bassissimi, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce“.

I dati sono corroborati da una elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia mestrina, dalla quale risulta che il primo 10% degli affidatari riceve l’80,9% del totale dei prestiti erogati dalle banche e tecnicamente definiti come finanziamenti per cassa. Una tipologia di finanziamento che copre quasi il 70% del totale dei finanziamenti erogati dal sistema bancario italiano e che, nel caso delle grandi imprese rappresentano una generosità non ricambiata: le sofferenze a carico di questi clienti è pari al 78,3% del totale. Pur non essendo dei buoni pagatori, continuano a essere premiati dalle banche.

Se è vero che le sofferenze totali sono in forte aumento e si attestano attorno ai 115 miliardi di euro, “tuttavia – secondo Bortolussiil comportamento delle nostre banche è quanto meno sorprendente. Ricevono più soldi dalla clientela, ne erogano sempre meno, ma privilegiano i grandi capitani di industria a scapito delle famiglie e delle piccole imprese. Oggettivamente c’è qualcosa che non va“.

Nasce Confagricoltura Donna

Dare voce alle imprenditrici in agricoltura, far sentire le loro esigenze e diffondere tutto quello che a livello comunitario, nazionale, regionale e provinciale è rivolto alle donne è l’intento di Marina Di Muzio in occasione della costituzione dell’Associazione Confagricoltura Donna.

La presidente è Marina Di Muzio, che si occupa dell’azienda agricola Giansanti di Malandriano e ha un’azienda nel Lazio a indirizzo ovino, bovino, bufalino e di coltivazione dei cereali.
Ad affiancarla per il prossimo triennio saranno due vicepresidenti: Gabriella Poli, che conduce un allevamento suinicolo, e Paola Granata, che possiede un’azienda nell’altopiano della Sila dove ha impiantato una vigna in alta quota, coltiva frutti di bosco e alberi pregiati e ha in progetto una fattoria didattica.

“E’ bello vedere tanta determinazione associativa in casa nostra, proprio quando la rappresentanza attraversa un momento di difficoltà – sottolinea il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi – Nella nostra organizzazione la costituzione dell’associazione femminile è un tassello importante che finora mancava”.

Francesca SCARABELLI

Sorelle d’Italia, l’Italia s’è impresa

Finalmente una buona notizia nella valle di lacrime della crisi economica. Tra imprese che chiudono, imprenditori che si uccidono, operai che perdono il lavoro l’Italia dell’impresa, se non si scopre un Paese per giovani si scopre un Paese per donne. Secondo il rapporto sull’imprenditoria dell’Ocse, basato su dati del 2009 riferiti a 40 Stati, l’Italia è al secondo posto in Europa per donne imprenditrici.

I dati dicono infatti che nel nostro Paese il 16% delle donne impiegate è imprenditrice o lavoratrice autonoma. Un dato che si posiziona ben al di sopra della media europea, ferma al 10%, e che stacca di brutto quello di Paesi ben più avanti del nostro in termini di politiche del lavoro al femminile come la Francia, il Regno Unito e la saccentella Germania (tra il 6 e l’8%).

Altro dato incoraggiante, il 26,8% delle imprese italiane con proprietario singolo e almeno un dipendente fa capo a una donna. Ma quali sono i settori che più attraggono le energie, gli investimenti e la creatività delle imprenditrici italiane? Trasporti, accoglienza e commercio la fanno da padrone, settori nei quali le aziende rosa sono di più e longeve quasi quanto quelle guidate da maschi: il tasso di sopravvivenza a tre anni dalla nascita delle imprese femminili è risultato del 37,6% contro il 37,8% di quelle dei maschietti. E se durano più o meno per lo stesso tempo, le donne battono gli uomini in termini di natalità – 13,7% contro 10,7% – mentre sul tasso di crescita non c’è proprio partita: 10,7% contro 0,2%.

La nota dolente dell’Ocse, però, arriva quando si parla di quote rosa nei Cda, per le quali l’Italia è ben al di sotto della media dei Paesi avanzati. In Italia, le donne nei consigli d’amministrazione sono il 13,8%, dato che si dimezza al 7% nelle società quotate, contro una media Ocse che è al 10%. Un dato che ci fa sprofondare in classifica al 26esimo posto su 40. Consoliamoci: se la graduatoria è guidata dall’Ungheria (35,5%), la virtuosa Germania è 38esima, con il 5,7%. Aufwiedersehen, frau Merkel!

In Abruzzo l’imprenditoria rosa si fa in tre

di Alessia CASIRAGHI

La crescita è donna, almeno in Abruzzo. La Regione ha stanziato un fondo di intervento a favore dell’imprenditoria femminile, con un plafond da oltre 3 milioni di euro destinati alla aspiranti imprenditrici.

Il progetto è stato denominato, non a caso, La crescita è donna”: si tratta di un’ iniziativa promossa nell’ambito degli interventi previsti dal Piano Operativo 2009/10/11 del Fondo Sociale Europeo 2007/13.

L’iniziativa in rosa prevede tre diversi piani di intervento:

  • più imprenditrici, destinato alle aspiranti imprenditrici
  • più professioniste, rivolto alle titolari di imprese già avviate con possibile ruolo di “mentors”
  • Voucher Family, che prevede invece un sostegno ad hoc alle donne lavoratici allo scopo di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia

Lo scopo del progetto “La crescita è donna” è finalizzato a valorizzare il ruolo delle donne nell’economia della Regione Abruzzo, tenendo conto però anche dell’impatto che la crescita regionale può avere sull’industria nazionale e sulla crescita del Pil italiano.

“L’aumento del Pil in Italia può essere un obiettivo possibile solo se saremo capaci di portare la professionalità e l’entusiasmo delle donne nel perimetro del mercato del lavoro, della produzione, delle professioni – ha commentato l’assessore al Lavoro della Regione Abruzzo Paolo Gatti – consideriamo indispensabile l’apporto delle donne alla crescita del sistema Italia e del sistema Abruzzo”.

Roma: arriva “Percorsi imprenditoriali al femminile”

Si chiama “Percorsi imprenditoriali al femminile: cultura d’impresa e mentoring” il progetto della Camera di Commercio di Roma e del Comitato Imprenditoria Femminile finalizzato alla promozione e al sostegno dell’imprenditorialità, della creazione e dello start-up di nuove imprese, attraverso l’attivazione di servizi integrati di informazione, orientamento, formazione, assistenza tecnica e accompagnamento gratuiti, con l’ulteriore scopo di promuovere e diffondere l’attività di “orientamento al ruolo imprenditoriale” sin dall’educazione scolastica.

Obiettivo principale dell’iniziativa, infatti, è quello di individuare nel territorio di Roma e provincia dieci aspiranti imprenditori/imprenditrici e/o neo imprenditori/imprenditrici in possesso dei seguenti requisiti:

– Per gli aspiranti imprenditori/imprenditrici, i partecipanti devono dimostrare di aver compiuto 18 anni di età e di non aver raggiunto l’età pensionabile secondo la legislazione italiana; i cittadini extracomunitari (non appartenenti ad uno dei Paesi dell’Unione Europea e che non abbiano passaporto italiano), devono essere in possesso di regolare permesso di soggiorno, con validità di almeno 6 mesi; i partecipanti devono impegnarsi a prendere parte gratuitamente e senza alcun rimborso a tutte le attività del progetto.

– Per i neoimprenditori, invece, è necessario essere titolari o amministratori di una o più imprese da non più di 12 mesi; impegnarsi a partecipare gratuitamente e senza alcun rimborso a tutte le attività del progetto.

Le domande vanno inviate entro le ore 12 del 15 febbraio 2012Per ulteriori informazioni e per scaricare il modulo di partecipazione è possibile consultare il portale della CdC di Roma.

Fonte: camcom.gov.it

Confesercenti, più attenzione alle imprese in rosa

Confesercenti conferma la sua attenzione all’imprenditoria femminile con il convegno su Donne, mercato del lavoro e imprenditoria, promosso a Roma da Impresa donna, il Coordinamento nazionale delle imprenditrici di Confesercenti. Nell’aprire i lavori, il presidente Marco Venturi ha osservato che “il lavoro, l’impresa al femminile rappresentano una vera e propria opportunità per il Paese. Non si dimentichi che la marginalità delle donne equivale a marginalità del Paese perché si rinuncia ad utilizzare buona parte del nostro potenziale di crescita”. Dal canto suo, Patrizia De Luise, Presidente CNIF, ha dichiarato che “l’imprenditoria femminile, oltre a dover fronteggiare i numerosi impegni ed i problemi legati all’attività imprenditoriale, deve fare i conti con la posizione della donna nel contesto socio-economico“.

Il Coordinamento nazionale dell’imprenditoria femminile di Confesercenti pone al centro del proprio impegno proprio il sostegno alle imprenditrici e lavoratrici autonome attraverso una serie di importanti obiettivi, come la rappresentanza delle imprese femminili associate presso le sedi governative, il Ministero delle Pari Opportunità ed il Ministero del Lavoro, il raccordo con Unioncamere per la gestione dei comitati imprenditoria presso le Camere di commercio e la messa in campo di azioni politico, sindacali volte a favorire il conseguimento delle pari opportunità e l’individuazione degli strumenti necessari per rispondere alle esigenze delle imprenditrici associate.
Inoltre, ha sottolineato la De Luise, il Coordinamento mira alla promozione di tutte quelle attività formative e informative affinché le imprenditrici possano gestire al meglio le proprie attività imprenditoriali.

Le imprese femminili a fine giugno 2011 risultano essere 430.900, pari al 23% di tutte le imprese registrate presso le Camere di Commercio. L’universo al femminile delle imprese italiane è aumentato in un anno di quasi 10 mila unità con un tasso di crescita pari allo 0,7% contro lo 0,2% dei colleghi maschi. Fra i nodi aperti quello del lavoro, visto che il tasso di attività femminile risulta essere inferiore di alcuni punti a quello europeo. Inoltre il tasso di disoccupazione è attestato al 9% contro il 7,8% nazionale.

Quote rosa: il 60% delle donne-manager è favorevole

Giovanna Boschis, Presidente del Gruppo Donne Confapi (Confapid) ha espresso soddisfazione per “L’approvazione da parte del Governo dell’introduzione delle quote rosa nei Cda delle aziende quotate in borsa è in linea con quello che chiedono anche le donne alla guida delle piccole e medie imprese”. Secondo un recente sondaggio  somministrato a 400 imprenditrici è emerso che per sette su dieci essere donna non ha mai rappresentato un handicap nel corso della propria attività imprenditoriale.

Il 60 % delle nostre imprenditrici sostiene che i ruoli di potere in Italia non siano tutti potenzialmente accessibili alle donne e per questo, la stessa percentuale, si dichiara favorevole all’introduzione delle “quote rosa”” – ha aggiunto la Boschis. Paolo Galassi, Presidente Confapi ritiene che “si stanno facendo passi da gigante verso la strada delle pari opportunità. L’accordo sulla conciliazione firmato nei giorni scorsi da Confapi con il Ministero del Lavoro e le altre parti sociali rappresenta un traguardo importante a sostegno di tutte le donne, protagoniste indiscusse di ogni sistema economico la forza e la creatività delle donne si fanno sentire in ogni contesto; sia in ambito familiare che in quello lavorativo. Per questo l’intesa con il Ministro Sacconi rappresenta la base ideale per l’avvio di politiche economiche e sociali tali da sostenere le donne che decidono di investire in una carriera professionale di tipo manageriale o in una storia imprenditoriale“.

Imprenditoria femminile: Per l’Ue il primato va all’Italia

Le donne possono esultare anche in campo lavorativo. Secondo l’UE il popolo rosa è arrivato a toccare in italia 1,5 milioni di imprenditrici. Un risultato importante che fa vincere all’Italia il primato come stato europeo con il maggior numero di donne impiegate in mansioni manageriali. Secondo l’Ufficio studi di Confartigianato il nostro Paese registra 1.482.200 imprenditrici a fronte di 1.340.900 imprenditrici della Germania, 1.168.300 del Regno Unito, 1.016.800 della Polonia, 938.400 della Spagna e 798.700 della Francia.

In Italia la percentuale di donne occupate ai vertici d’impresa è del 16,2%, di gran lunga superiore al 10,2% della media dell’area Euro. Nel Centro e nel Mezzogiorno sembra sian il lavoro autonomo a fare da trampolino di lancio per carriera femminile. La quota di lavoro indipendente sul totale dell’occupazione femminile nelle regioni meridionali è del 20,9% e in quelle del Centro del 19,6%, in entrambi i casi superiori al Nord.

Sono in particolare le giovani donne a dedicarsi al lavoro autonomo: lo sono il 20,1% delle donne occupate sotto ai 35 anni, contro il 15,2% della media nazionale. In particolare, le 367.819 donne italiane a capo di imprese artigiane stanno occupando ruoli che finora sono stati ad appannaggio dei colleghi maschi: trasporto merci, taxi, autoriparazione, edilizia, produzione di macchine e prodotti in metallo, falegnameria non sono più solo lavori maschili. La prima regione per vocazione delle donne a fare impresa in settori tipicamente maschili è la Sardegna, seguita dall’ Emilia-Romagna, dal Piemonte e dalla Lombardia.

M. Z.