In Lombardia le piccole imprese sono sempre più in difficoltà

Per la prima volta, in 4 anni di crisi, il saldo tra le imprese nate e quelle chiuse in Lombardia è negativo di quasi 2000 unità. Senza contare i ritardati pagamenti, il vincolo del patto di stabilità e l’annosa difficoltà di avere credito. Per le piccole imprese, insomma, il momento è davvero critico e  CNA Lombardia esprime grande preoccupazione.

Nonostante i tanti annunciati interventi da parte di Regione Lombardia sullo sviluppo, c’è un allarmante calo dell’11% degli investimenti previsti nel 2012. Inoltre, le spese regionali per l’area economica rappresentano appena lo 0,7% del bilancio.

Ancora nei giorni scorsi il Presidente Formigoni ha diffuso un lungo elenco di attività e provvedimenti dei primi sei mesi di governo del 2012, sull’impatto dei quali occorre però fare una valutazione onesta e responsabile, con particolare riferimento agli strumenti agevolativi varati a favore del tessuto produttivo.

CNA Lombardia richiama la necessità una migliore tracciabilità della spesa regionale in materia di competitività. Di quanto elencato da Regione Lombardia sarebbe utile vedere i monitoraggi dell’efficacia, per esempio sul sistema delle doti o sulle spese di funzionamento delle oltre venti società del sistema regionale beneficiate delle commesse citate nel documento.

CNA Lombardia ha inoltre commissionato a un ente terzo uno studio, i cui risultati saranno pronti a settembre, sul rapporto tra fisco, finanza pubblica e federalismo e imprese. Questo studio, che darà poi il via a un Osservatorio permanente sul Federalismo, cercherà di comprendere se i criteri di autonomia e responsabilità alla base dell’attuazione del federalismo andranno a impattare sul sistema economico-produttivo attraverso ulteriori misure restrittive a scapito della competitività.

Da quanto ci è possibile anticipare all’interno dell’area “Competitività”, che costituisce solo il 2,3% degli impegni di spesa registrati nel Rendiconto generale per l’anno 2010 della Regione Lombardia, le spese destinate al sistema agroalimentare/forestale evidenziano una robusta crescita (+65%); diversamente, le uscite per “Industria e PMI” registrano delle flessioni nell’ordine del 27% mentre per Artigianato e Servizi la flessione arriva addirittura al 43%.

Solo per l’amministrazione di beni mobili e immobili regionali nel 2012 si spenderanno 61 milioni di euro, ai quali si devono aggiungere 46 milioni di euro per il patrimonio immobiliare regionale e il sistema delle sedi, mentre la spesa per trasferimenti agli enti dipendenti della Regione Lombardia (ARPA, ERSAF, ARIFL, Eupolis) supererà i 121 milioni di euro.

A tale proposito, potrebbero essere recuperate risorse preziose da destinare allo sviluppo economico e al mondo imprenditoriale attraverso una vera e propria spending review regionale. Dai documenti di bilancio della Regione Lombardia (Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 e Bilancio pluriennale 2012 – 2014 seduta di Giunta del 9 novembre 2011, e Documento tecnico di accompagnamento al Bilancio regionale del 29 dicembre 2011), si evidenziano rilevanti giacenze che potrebbero essere rimesse in circolo a beneficio della competitività delle piccole imprese.

Il Centro Studi di CNA Lombardia stima infatti circa 100 milioni di residui sui principali bandi regionali (Frim Fesr + Miur – Regione, Espressioni di interesse per soggetti privati, Fondo Seed, bando Accordi Istituzionali).

Secondo Fausto Cacciatori, Presidente di CNA Lombardia “questo quadro mostra come sia necessario rimettere al centro efficaci politiche di sviluppo per la piccola impresa. Siamo una regione di imprenditori. Ridiamo centralità alle imprese nelle politiche per la competitività. Le risposte che verranno messe in campo incideranno sulla tenuta complessiva del Paese e della sua coesione sociale”.

Siamo in guerra? E allora combattiamo!

di Davide PASSONI

C’è chi ancora confonde l’essere pessimisti con l’essere realisti. Brutto segno, specialmente in un periodo come questo. Di sicuro, notizie positive dai mercati e per le piccole imprese ne arrivano pochine, anche da Confindustria. Di solito Viale dell’Astronomia non è solito usare toni allarmistici o catastrofici, ma quanto emerge dal Centro studi di Confindustria non lascia spazio alla poesia: per il prossimo biennio il Pil è visto in calo del 2,4% (2012) e dello 0,3% (2013), con un ritocco al ribasso di quanto previsto nel dicembre dello scorso anno (-1,6% per il 2012, +0,6% nel 2013). “Siamo in piena recessione e non ne usciremo tanto rapidamente“, ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.

Il 90% dell’arretramento di quest’anno è già acquisito nel secondo trimestre 2012 (-2,1)“, scrivono gli economisti del Csc, ricordando non solo le conseguenze innescate dall’esito incerto delle elezioni in Grecia, la crisi delle banche spagnole ma anche il fatto che “le istituzioni europee non sono riuscite a trovare una soluzione praticabile e credibile a causa della conyrapposizione degli interessi nazionali dei singoli stati“.

E qui arrivano le parole pesanti. Per il Centro studi di Confindustrianon siamo in guerra: ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto“. Come in un conflitto, sono colpite a morte “le parti più vitali e preziose del sistema Italia“: industria manifatturiera e giovani. “L’aumento e il livello dei debiti pubblici sono analoghi in quasi tutte le economie avanzate a quelli che si sono presentati al termine degli scontri bellici mondiali“, proseguono, tanto per chiarire come siamo messi.

L’occupazione è il fronte più colpito dal “conflitto”: si prevede che il 2013 chiuderà con 1 milione e 482mila posti di lavoro in meno rispettp a inizio 2008. La disoccupazione prosegue a galoppare e a fine 2013 potrebbe toccare il 12,4% dal 10,9% di fine 2012.

Anche sul lato dei consumi siamo messi maluccio: -2,8% nel 2012 e -0,8% nel 2013 con i consumi reali a -4,5% rispetto alla media 2007. Tradotto in soldini, nel 2013 il livello di benessere degli italiani sarà del 10% più basso rispetto alla media 2007, quasi 2.500 euro in meno a prezzi costanti.

L’inflazione nel 2012 dovrebbe salire dal 2,8% del 2011 al 3,1% (opinabile…) per tornare al 2,6% nel 2013 mentre, sempre nel 2013, il deficit pubblico scenderà dal 2,6% del 2012 all’1,6% del Pil, ben lontano dal pareggio di bilancio, come richiesto dal “fiscal compact” e dalla modifica dell’articolo 81 della Costituzione: 1,1% del Pil nel 2012 e 0,4% nel 2013.

Insomma, trovateci una bella notizia, se ci riuscite. Noi ci proviamo e proviamo a guardare dentro quell’Italia produttiva che fa i miracoli soprattutto con l’export, nonostante uno stato miope e rapace; dentro a quella piccola impresa strozzata da tasse e burocrazia che, però, alza la saracinesca ogni mattina convinta di essere se stessa la prima risposta alla crisi; dentro a tutte le realtà produttive che non si rassegnano all’idea di morire per colpe non loro e che ce la vogliono fare. Insomma, cara Confindustria, siamo in guerra? E allora combattiamo. Non per morire con onore ma per vincere, con orgoglio.

2012, la moria delle imprese. Fermiamo la strage

di Davide SCHIOPPA

Fermiamo la strage. I dati messi in fila dalla Cgia di Mestre sulla mortalità delle imprese italiane in questo momento difficile sono tutt’altro che incoraggianti. Secondo l’associazione mestrina, in Italia muoiono oltre 1.600 imprese ogni giorno. 66 e rotti ogni ora, più di una al minuto, diciamo noi. Nei primi tre mesi del 2012, infatti, sono cessate 146.368 imprese, a voler essere precisi 1.626 al giorno.

Se la differenza tra le nuove iscrizioni alla Camera di commercio e le cessazioni nel periodo gennaio-marzo 2012 è stato negativo (-26.090), quello che preoccupa la Cgia non è tanto questo segno meno (storicamente, infatti, il primo trimestre di ogni anno presenta quasi sempre un valore negativo) quanto il fatto che ad iscriversi sono aziende che hanno dimensioni occupazionali minori di quelle che abbassano la saracinesca.

Rispetto al primo trimestre 2011 la situazione della nati-mortalità delle imprese italiane è comunque peggiorata. Se le cessazioni erano state più contenute di quest’anno (134.909), il saldo presentava però un dato meno negativo di quello del 2012: -9.638. Una differenza che, secondo la Cgia, è riconducibile alla classe dimensionale riferita alle partita Iva senza dipendenti: se quest’anno, per questo comparto, la differenza tra la natalità e la mortalità è stata di +3.987, l’anno scorso aveva superato le 19mila unità (+19.369).

Se tra le aziende fino a un addetto c’è una evidente supremazia dei neoimprenditori – sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestrequello che preoccupa è che nelle classi dimensionali superiori il saldo è sempre negativo. Insomma, se a chiudere sono le imprese più strutturate che solo in parte vengono rimpiazzate con altre aventi livelli dimensionali più contenuti, ciò comporta un evidente aumento dei senza lavoro“.

Come fare per fermare la mattanza? Inutile nasconderlo, molto spesso un’impresa cessa per la leggerezza imprenditoriale da parte di chi l’ha creata: business plan sbagliati, errata conoscenza del mercato, scarsa vena imprenditoriale, metteteci quello che volete… Il più delle volte, però, a decretare la morte dell’impresa è chi l’impresa la dovrebbe tutelare, a partire dalla Costituzione: lo Stato. Ditelo a tutti coloro che hanno dovuto chiudere e mandare a casa gente perché hanno lavorato più per pagare le tasse che per creare ricchezza per gli altri e per sé. Ditelo a tutti coloro che hanno ricevuto cartelle esattoriali a 4 zeri per sviste o mancati versamenti di poche decine di euro. Ditelo a tutti coloro che si sono trovati vincoli paradossali per assumere persone e veti e giudici che hanno loro impedito di privarsi dei dipendenti poco onesti.

Perché, non nascondiamoci: l’Italia non cresce da ben prima della crisi, lo spread e la Merkel sono solo i capri espiatori per chi ha mentito sapendo di mentire. Al Paese, alle imprese, ai cittadini. E anche se ora siamo qui a contare i “morti”, non smettiamo di invocare politiche fiscali e occupazionali capaci di dare agli imprenditori una ragione per continuare a credere che fare impresa sia una delle attività più belle, alte e gratificanti per l’uomo che si sente di dare qualcosa. Se uccidete le imprese, vi preghiamo, non uccidete anche la speranza.