Le imprese green continuano a tirare

In un quadro generale di crisi e stagnazione che non sembra trovare ancora sbocchi, c’è un settore, quello delle imprese green, il cui numero è in continuo aumento in tutta Italia. C’è comunque una regione, la Lombardia, che sulla crescita delle imprese green sta puntando molto.

Secondo quanto rilevano la Camera di Commercio di Milano e Unioncamere Lombardia, in un anno nella regione la crescita di imprese green è stata del 6% e le imprese green sono oltre 9mila. In cinque anni il settore ha visto un incremento regionale del 64%. Imprese green più diffuse a Milano (3.695), Brescia (1.212), Bergamo (1.034), mentre tra le province lombarde quella dove il settore green cresce maggiormente è Lecco (+14%), seguita da Bergamo e Monza (+8%).

Il settore green produce occupazione in tutta Italia: sono 48mila le imprese green nel nostro Paese e oltre 470mila gli addetti. Forte la concentrazione del settore in Lombardia, con un totale di 79mila addetti, che pesa un quinto di tutta Italia, di cui oltre 35mila addetti solo in imprese green a Milano.

Proprio per questo motivo, nei giorni scorsi nel capoluogo lombardo Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia e Camera di commercio hanno presentato l’iniziativa “Green Know-How Community”, un pacchetto integrato di interventi e politiche a favore di imprese green e professionisti della Green Economy. Si tratta di azioni per favorire la nascita, lo sviluppo e il consolidamento di imprese e studi professionali in questo ambito attraverso il coordinamento di misure e di progetti in collaborazione con istituzioni del territorio in tema di ambiente e sviluppo sostenibile e la creazione di occasioni di business per le imprese green.

Il settore delle imprese green – ha dichiarato Claudio De Albertis membro di giunta della Camera di commercio di Milano e Presidente Assimpredil Ance – si sta sviluppando fortemente negli ultimi anni nonostante la crisi. Questo vale anche per l’edilizia, dove si sta affermando una nuova modalità di costruire, nella direzione di una maggiore visibilità e attenzione al verde, all’ambiente e al risparmio energetico”.

Sempre più lavoro dalla green economy

Le buone notizie, per le imprese italiane, arrivano dall’ultimo rapporto Greenitaly, realizzato da Unioncamere e Symbola.

Il fatturato estero dell’industria italiana tra ottobre 2008 e giugno 2012, infatti, è cresciuto più di quello francese e tedesco.
Cosa significa ciò? Che sempre più stranieri scelgono il Made in Italy, anche al di fuori dei settori ormai noti come l’enogastronomia e il lusso.

Per fare un esempio concreto, il tessile tecnico italiano è quello maggiormente scelto in Cina. Le imprese locali, infatti, per centrare gli obiettivi imposti dal piano quinquennale del governo cinese sul risparmio energetico, acquistano macchinari progettati e assemblati nel Belpaese.

Secondo i dati del rapporto Greenitaly, le medie e grandi industrie italiane sono le più brave ad adattarsi velocemente alle esigenze dei clienti, e anche le più attente ai consumi.
Il mondo della green economy rappresenta, ad oggi, uno dei motori principali da cui ripartire per avviare una concreta ripresa.

Dal 2008 a oggi, sono 327mila, pari al 22% del totale, le aziende italiane che hanno scelto di investire nelle tecnologie green per ridurre il loro impatto ambientale e risparmiare energia.
Ciò porta a fare affari con l’estero, come accade alle imprese manifatturiere: il 42% delle imprese manifatturiere che hanno investito in eco-sostenibilità esportano, contro il 25 per cento di quelle che non lo fanno.

Ad essere maggiormente penalizzate sono le piccole realtà, perché la diffusione delle pratiche green è direttamente proporzionale alla capacità di investimento e alla facilità di accedere al sistema creditizio. Per questo motivo, si passa dal 18% delle micro-imprese con meno di dieci dipendenti, al 66% di quelle con più di cinquecento addetti.

Solo nei settori dove esistono norme o interessi particolarmente rilevanti per investire nel green, come quello chimico-petrolifero o della gomma plastica, si arriva al 30% anche tra le micro.
Piuttosto attive anche le piccole imprese di trasporti, logistica e comunicazione.
Tra i grandi, i valori di adesione superano il 90% nel settore cartario, chimico e metallurgico, anche se i settori più dinamici rimangono legno-arredo, tessile, ceramica, automotive, meccanica e chimica.

Ad oggi, coloro che svolgono un lavoro “green” sono più di 3 milioni, e anche quest’anno sono previsti ulteriori incrementi: su un totale di 563.400 assunzioni programmate nell’industria e nei servizi, circa 216.500 saranno nel settore green.
Nel 2013 le assunzioni “verdi“ sono state circa 52mila, più del 9 per cento del totale. Di queste circa 47mila non hanno carattere stagionale, mentre l’incidenza delle assunzioni a tempo indeterminato è del 52%.

Secondo il rapporto Greenitaly, nonostante la crisi abbia colpito tutti i profili professionali, le imprese cercano di salvare i posti di lavoro legati alla green economy, perché sono quelli “capaci di dare slancio all’attività, stare al passo con i tempi e permettere all’impresa di arricchire la propria immagine e la qualità dei servizi offerti“.

Tra i profili più richiesti, secondo i dati raccolti dal sistema informativo Excelsior, spiccano analisti e progettisti di software, che hanno il compito di predisporre i sistemi informatici necessari per gestire i sistemi ambientali ed ecologici.
Seguono gli operai specializzati in tecniche eco-sostenibili, come elettricisti delle costruzioni civili, meccanici, montatori di macchinari industriali e idraulici.

Altri profili invece sono più difficili da trovare: mancano all’appello specialisti in scienze economiche e ingegneri civili e meccanici.

Si iniziano anche a delineare le professioni più richieste del futuro, come l’ingegnere energetico e l’esperto di acquisti verdi, specializzato nell’individuazione di servizi a basso impatto ambientale, carpentieri del legno, bioarchitetti e chimici ambientali.

Vera MORETTI

Sostenibilità, la chiave per lo sviluppo delle Pmi

 

di Davide PASSONI

Il tema della sostenibilità nelle Pmi è molto sentito non solo in Italia, ma anche in ambito europeo. La dimostrazione arriva dal recente report del Network for Business Sustainabilty che ha fatto il punto sulle sfide attuali delle Pmi in tema di sostenibilità.

Il Network for Business Sustainabilty è un’organizzazione canadese che ha come scopo la creazione di una rete di esperti accademici internazionali e dirigenti d’azienda impegnati in maniera attiva nella cosiddetta Csr, Corporate Sociale Responsibility, ossia l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa, per gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico all’interno dell’impresa e nelle sue zone di attività.

Il report è annuale e in questo 2013 il Consiglio per le PMI del Network for Business Sustainabilty con il report “SME Sustainability Challenges 2013” ha puntato la propria attenzione sull’importanza delle interazioni con la società, che interessano i rapporti che ciascuna azienda ha con gli elementi della sua catena del valore, i politici, i ricercatori, le ONG e i clienti. L’obiettivo delle piccole e medie imprese è fare in modo che la sostenibilità sia efficace grazie a un alto grado di collaborazione e di qualità di queste interazioni.

Ecco dunque le otto domande che il Network ha individuato per definire efficacemente le sfide di sostenibliltà delle Pmi:

  1. Come possono gli investimenti delle PMI in materia di sostenibilità portare concreti risultati finanziari?
  2. Come promuovere la creazione di regole di sostenibilità coerenti ed efficaci?
  3. Come innovare per mantenere la competitività e contribuire alla sostenibilità?
  4. Come sensibilizzare l’opinione pubblica sui tre pilastri della sostenibilità?
  5. Come incorporare le azioni di sostenibilità nella loro cultura organizzativa?
  6. Come preparare la successione d’impresa e garantire continuità?
  7. Come possono le PMI manifatturiere coinvolgere i rivenditori nella promozione dei loro prodotti sostenibili?
  8. Come aumentare la competitività contro i chi pratica greenwashing?

Con queste domande la relazione del Network punta a individuare le otto principali sfide di sostenibilità delle piccole e medie imprese, che hanno l’obiettivo di migliorare le performance organizzative e l’integrazione nella società. Per raggiungere l’obiettivo, le aziende devono trovare un equilibrio tra i capisaldi dello sviluppo sostenibile, l’innovazione, e la business continuity. Fondamentale è anche la realizzazione di collegamenti tra le Pmi e i governi in modo da coordinare gli sforzi di sostenibilità, migliorare la comunicazione e coinvolgere il pubblico.

A testimonianza del fatto che non si tratta di discorsi né di obiettivi fumosi, le sfide del report sono state definite da un consiglio al cui interno trovano posto amministratori di piccole e medie imprese, oltre a rappresentanti di organizzazioni pubbliche e governative. Ogni partecipante rappresenta un settore diverso ed è riconosciuto per il suo impegno nella sostenibilità, in modo da coprire l’intero arco di influenza delle Pmi.

Pmi e cultura green oggi, non c’è tempo da perdere

 

di Davide PASSONI

Ci stiamo lasciando alle spalle un altro anno difficile, nel quale qualche piccolo segnale di ottimismo ha cominciato a mostrarsi. Quello che comincerà tra un paio di mesi, prenderà comunque il via sotto il segno dell’incertezza, specialmente in ambito economico.

Insomma, un altro anno tutto da decifrare per le piccole imprese italiane, ma con qualche piccola certezza. Una di queste riguarda alcuni settori che, nella crisi, si sono difesi e si stanno difendendo meglio di altri. Il settore del green, per esempio. Un ambito che, come evidenziato dall’ultimo rapporto GreenItaly relativo al 2012, ha un alto tasso di imprese che assumono, si sviluppano, crescono a due cifre ma, soprattutto, producono innovazione e creano ricchezza in modo quasi uniforme sul territorio italiano, dal Nord al tanto bistrattato Sud, dove pare così difficile fare impresa.

Bisogna però fare attenzione a non interpretare il green in azienda solo come una moda o come un’esclusiva chiave di business. Essere green, oggi, per una piccola azienda o un laboratorio artigiano non significa solo realizzare prodotti e manufatti ecocompatibili o creati con materiali di recupero; certo, dal punto di vista del profitto questo è  ciò che porta fatturato, ma che senso ha realizzare prodotti altamente ecologici quando in azienda, magari, non si effettua la raccolta differenziata, non si spengono i computer in pausa pranzo, non si utilizza carta riciclata per copie e documenti?

Durante questa settimana cercheremo di fare il punto su come  messa la Pmi green in Italia, quali sono gli ambiti maggiormente promettenti per creare un business verde di successo e, soprattutto, quali gli errori da non fare per evitare che il sogno di lavorare nel campo delle tecnologie verdi diventi un incubo con la prospettiva del fallimento. Perché, lo ripetiamo, riempirsi la bocca con il green non ha senso se non si  in possesso di una chiara idea di business.

Lo dicono gli italiani: avanti con la green economy

Lo dicono anche i sondaggi, non solo i trend economici: il green fa bene all’ambiente e al sistema Paese. Una recente indagine ha infatti rivelato che l’80% degli italiani crede che si possa uscire dalla crisi economica che ci stritola, puntando sullo sviluppo delle produzioni verdi di luce e gas. Una certezza e una coscienza che nasce dalla consapevolezza e dalla conoscenza delle problematiche legate all’inquinamento e all’effetto serra, propria dell’84% degli italiani.

I numeri escono da un sondaggio commissionato dal Partito Democratico Europeo e realizzato da Ipr Marketing, che ha rivelato come l’81% del campione intervistato è consapevole del fatto che lo sviluppo produttivo dissennato e per nulla sostenibile operato dall’uomo, unitamente allo sfruttamento delle risorse ambientali operato con poca misura sono alla base della situazione critica in cui versa l’ecosistema. Ragion per cui, c’è ancora più spazio per uno sviluppo favorevole e potente della green economy.

Imprenditori sugli scudi come possibili paladini della green economy. Dal sondaggio emerge infatti che le persone hanno scarsa fiducia nella capacità delle istituzioni e della politica di promuovere iniziative legate alla green economy: il 19% degli intervistati spera nell’Europa, solo il 6% nel Governo tecnico e un ridicolo 1% ai partiti. Scollamento sempre più evidente tra popolo e politica.

Alla prova dei fatti, la quasi totalità degli intervistati è convinta che avere abitudini di consumo più sobrie aiuterebbe, oltre all’ambiente, anche l’economia e la creazione di politiche di sviluppo verdi: dall’energia ai trasporti, dall’edilizia al trattamento dei rifiuti. Insomma, se lo dice anche la gente… avanti tutta con la green economy.

Vincere nel green? Determinazione, innovazione, specializzazione

di Davide PASSONI

Sarà un caso che la rete promossa da Assolombarda per mettere in contatto imprese operanti nel settore della sostenibilità ambientale si chiama Green Economy Network. Fatto sta che nel nome c’è una parola fondamentale usata anche dal presidente di Unioncamere Dardanello nell’intervista che ci ha rilasciato: network. Perché la rete fa la forza, anche nel green. Ne è convinto l’ing. Roberto Testore, Presidente del Consiglio Direttivo del Comitato Promotore del Green Economy Network.

Secondo il rapporto Greenitaly 2012, curato da Unioncamere e da Symbola, per l’Italia l’economia verde sta rappresentando una chiave straordinaria per sostenere la piena affermazione di un nuovo modello di sviluppo nel sistema imprenditoriale. Quali i fattori alla base di questa tendenza?
Opinione di molti è che l’attuale peggioramento economico finanziario rappresenti il fallimento del tradizionale modello economico (la cosiddetta brown economy). La green economy, riconoscendo i limiti del nostro pianeta, evidenzia i margini all’interno dei quali deve svilupparsi il nuovo modello economico fondato su un uso sostenibile delle risorse. In questo senso la green economy deve essere vista come un modello economico di sviluppo stabilmente sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Ma per compiere questa transizione è necessaria l’esistenza di condizioni specifiche quali un assetto normativo adeguato, politiche di sostegno e investimenti che ridefiniscano una nuova governance comune. L’accresciuta sensibilità ambientale delle imprese, legata alle potenzialità di sviluppo delle tecnologie e prodotti sostenibili, ha contribuito alla crescita degli investimenti nel settore e all’aumento dell’export verso paesi in via di sviluppo con ampi margini di crescita.

In che cosa consiste, precisamente, il Green Economy Network di Assolombarda?
Il Green Economy Network (GEN) è una rete promossa da Assolombarda per stimolare nuove alleanze tra le imprese che offrono prodotti, tecnologie e servizi per la sostenibilità ambientale ed energetica, al fine di dare visibilità alle loro competenze attraverso un ampio insieme di iniziative, tra le quali un Repertorio on-line liberamente consultabile dagli interessati.

Vi sono altre regioni che seguono il vostro modello?
Il GEN non è legato a una logica strettamente territoriale identificata con un distretto o con una regione, anche se ha il proprio baricentro centrato nell’area metropolitana milanese. Il Network come tale non ha confini e pertanto l’adesione al progetto è aperta a tutte le imprese operanti nei settori legati all’ambiente e all’energia situate nel territorio italiano e appartenenti a Confindustria. Ad oggi vi sono molte altre associazioni territoriali e di categoria in Italia che condividono le finalità del progetto da noi promosso.

Com’è la sensibilità su queste tematiche da parte degli imprenditori lombardi?
La gestione dei temi legati all’ambiente e all’energia da parte delle imprese ha assunto una valenza strategica ed è cresciuta in modo significativo negli ultimi decenni. Questa è la dimostrazione che nel nostro territorio si sta procedendo nella giusta direzione, quella di un futuro più sostenibile, in relazione anche alla grande sfida che ci vedrà impegnati tra pochi anni: l’Expo 2015. Assolombarda è impegnata da molti anni in iniziative di formazione e di comunicazione sull’ambiente rivolte alle imprese associate, ma anche ai lavoratori, ai giovani e alla comunità, promuovendo la capacità dell’industria di essere efficiente, proponendo tecnologie a più basso impatto ambientale e ad alta efficienza energetica.

Secondo i dati in vostro possesso, quante sono le imprese lombarde che operano nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie green?
La stima delle dimensioni economiche del comparto delle clean tech non è un esercizio immediato perché vi sono vari studi “indipendenti” che cercano di rilevare l’ampiezza del comparto della green economy. Assolombarda ha censito e mappato le proprie associate nelle aree di competenza (le province di Milano, Lodi, Monza e Brianza) che operano nei diversi comparti della green economy e dal risultato è emerso come il questo territorio sia un contesto di rilievo per quanto riguarda le tematiche di carattere ambientali ed energetiche: circa 400 imprese attive in svariati settori (partecipanti ad oggi al progetto), con un fatturato globale di oltre 50 miliardi di euro e oltre 25.000 addetti solo in provincia di Milano.
L’indagine, inoltre, ha mostrato come le molteplici competenze nell’ambito dei diversi segmenti della green economy possano essere valorizzate incoraggiando la loro organizzazione in filiere. Questa potenzialità di aggregazione è una richiesta che emerge dalle stesse imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, che sottolineano l’utilità di azioni di sistema che supportino lo sviluppo, l’innovazione e l’internazionalizzazione.

Che cosa serve a un’impresa affinché il green non resti solo una moda ma diventi un asset strutturale?
Sicuramente la determinazione, così come in ogni attività imprenditoriale. Operare in un settore in forte espansione può rappresentare un’opportunità, ma sono necessarie grandi competenze e elevate capacità di innovazione e specializzazione.
Data l’attuale situazione italiana, è necessario un coordinamento tra le iniziative statali e quelle degli enti locali per far sì che ai diversi livelli istituzionali non vengano elaborati programmi contraddittori dal punto di vista dei contenuti e delle priorità. Lo stato può, ad esempio, favorire la collaborazione tra le imprese e università ed enti di ricerca, oltre a supportare le iniziative rivolte all’internazionalizzazione del business green.

Quanto può diventare anticiclico un settore come quello delle rinnovabili, in un periodo di crisi profonda come quello che stiamo vivendo?
In un contesto complesso e critico come quello attuale è difficile poter dare una risposta certa. Indubbio è che il settore delle energie da fonte rinnovabile, anche per via del sistema incentivante  promosso ed attuato presso molti paesi europei, vive un momento di importante sviluppo rafforzato peraltro dal notevole interesse degli utilizzatori finali nell’investire in questo affascinante settore. La nostra Associazione industriale ha più volte ribadito, però, come debba essere mantenuto il principio dello sviluppo delle FER secondo principi di sostenibilità economica per evitare forti anomalie, come avvenuto nel settore del fotovoltaico, e privilegiare tecnologie che portino alla sviluppo delle migliori imprese sul territorio nazionale in quanto la concorrenza di paesi esteri è molto agguerrita.

Un consiglio a un piccolo imprenditore che vorrebbe operare nel ramo “verde”
In questi periodi di difficoltà, suggerisco agli imprenditori e ai manager di essere coraggiosi, di ragionare in termini di “sistema” e di guardare oltre i confini tradizionali, ai mercati che offrono maggiori potenzialità.
Capacità di far rete e innovazione continua di prodotti, servizi e processi rappresentano elementi fondamentali soprattutto in settori ad alto contenuto tecnologico e in forte espansione.
Tutti obiettivi che il Network con le sue attività persegue da tempo, con successo e convinzione.

“Imprese verdi, puntate a fare network”

di Davide PASSONI

Se c’è una realtà che, come poche altre, ha il polso della situazione del green in Italia, questa è Unioncamere. Non solo perché ha contribuito in maniera fondamentale alla realizzazione del rapporto GreenItaly 2012, ma perché quotidianamente si confronta con la realtà di quelle imprese che, nel nostro Paese, hanno scommesso sull’economia verde e hanno vinto. Ecco perché Infoiva ha sentito il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello.

Secondo il rapporto Greenitaly 2012, curato da Unioncamere e da Symbola, per l’Italia l’economia verde sta rappresentando una chiave straordinaria per sostenere la piena affermazione di un nuovo modello di sviluppo nel sistema imprenditoriale. Quali i fattori alla base di questa tendenza?

Nelle analisi che abbiamo realizzato in questi anni, è emerso che quote rilevanti di imprese sia manifatturiere sia dei servizi hanno intrapreso percorsi di sostenibilità. Questo nuovo modello di sviluppo si fonda sui valori tradizionali dei territori e dei sistemi produttivi italiani della piccola impresa, fatti di qualità, innovazione, eco-efficienza, rispetto dell’ambiente. Una ricetta che oggi dimostra di saper sposare i valori etici alla competitività e che ha il grande merito di favorire la coesione tra i territori. Una coesione che coinvolge migliaia di piccole e medie imprese, sempre più spesso operanti in rete tra loro, nel dare vita a questo che è ormai un vero e proprio “laboratorio verde” dell’Italia di domani.

Come sono messe le imprese italiane in quanto a orientamento al green?
Il modello green risulta, nel tempo, sempre più diffuso nei diversi settori e nei diversi territori del Paese. Le analisi evidenziano un processo di “ecoconvergenza” nel nostro sistema, ovvero una tendenza virtuosa ad incrementare i livelli di eco-efficienza laddove gli impatti ambientali delle attività economiche appaiono più accentuati. Tranne poche eccezioni, sono infatti molti i settori manifatturieri che registrano riduzioni sul versante degli input energetici adottati, delle emissioni atmosferiche generate e dei rifiuti prodotti, sempre più riciclati: in sintesi, una eco-tendenza positiva.

Secondo i dati Unioncamere, quante sono le imprese italiane che operano nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie green?
Il Rapporto GreenItaly di quest’anno quantifica in quasi 360mila le imprese (il 23,6% del totale) che hanno realizzato negli ultimi tre anni o realizzeranno quest’anno, investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto ambientale. Una su quattro: non poche quindi. Inoltre,  se consideriamo le 103mila vere nuove imprese nate nel 2012, scopriamo che il 14% di esse ha già realizzato nella prima parte dell’anno o realizzerà  entro il 2013 investimenti green. Questi nostri dati, uniti a quanto ha certificato l’Ocse nel recente rapporto sull’innovazione in cui l’organizzazione afferma che nell’ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente hanno sviluppato nel nostro paese una vera e propria specializzazione, dicono molto sulla situazione italiana e sulla crescente sensibilità messa in campo dal suo sistema produttivo.

Che cosa serve a un’impresa affinché il green non resti solo una moda ma diventi un asset strutturale?
Ricerca, innovazione costante, capacità di investimento, collaborazione con altre imprese nelle filiere e nelle reti.

Quanto può diventare anticiclico un settore come quello delle rinnovabili, in un periodo di crisi profonda come quello che stiamo vivendo?
Il nostro Paese si è posto degli obiettivi molto seri in materia di energia e, in particolare, di ricomposizione delle fonti di approvvigionamento. La nuova Strategia energetica nazionale dell’ottobre 2012 prevede un superamento dell’obiettivo del 17% fissato per il 2020 arrivando a una quota di copertura dei consumi finali di energia attraverso le rinnovabili pari al 20% del totale. Ciò dovrebbe portare quindi ad un ulteriore incremento del settore. Questa prospettiva se comporterà incrementi dell’occupazione e contribuirà al contenimento dei costi energetici per cittadini e imprese, potrebbe in effetti produrre un andamento anticiclico sicuramente salutare per la nostra economia.

Un consiglio a un piccolo imprenditore che vorrebbe operare nel ramo “verde”…
Guardare all’esperienza degli altri, mettersi in rete, alimentare la collaborazione con altre imprese. Nello sviluppo di comportamenti virtuosi in campo green, sia sul versante degli investimenti che dell’occupazione, abbiamo constatato che una leva sempre più utilizzata dalle imprese è quella dello sviluppo di una progettualità comune, secondo una logica di network e di integrazione di filiera. Lo dimostra il diffuso utilizzo del contratto di rete: a metà settembre di quest’anno un contratto di rete su cinque (87 dei 458 esistenti) può essere considerato “green”.

Il cuore verde delle Pmi italiane

Le piccole imprese italiane hanno sofferto maledettamente la crisi, specialmente nel 2012. Ce ne sono alcune, però, che hanno avuto la lungimiranza e le capacità imprenditoriali per attecchire in un settore che si sta invece dimostrando fortemente anticiclico: quello del green.

Sono diverse le realtà che operano in questo campo: si va dalle aziende che producono manufatti a basso impatto ambientale o soluzioni tecnologiche al servizio dell’ambiente, a quelle che realizzano i loro prodotti con materiali di recupero. Il fattore che le accomuna tutte, però, è l’andamento positivo del settore, come testimonia il rapporto GreenItaly 2012, presentato nel novembre scorso e realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere.

Come messo in luce dal rapporto, tante sono le declinazioni della green economy italiana: dalla chimica alla farmaceutica, dal legno-arredo all’hi-tech, dalla concia alla nautica, dall’agroalimentare all’industria cartaria, tessile, edilizia, fino ai i servizi. Oltre che ai settori delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della protezione della natura.

La peculiarità della green economy italiana sta nella riconversione in chiave ecosostenibile anche dei comparti tradizionali dell’industria di punta. Il Paese ha sviluppato in maniera diffusa nelle sue imprese e nei territori una reinterpretazione della green economy del tutto particolare, che mette a fattor comune le vocazioni delle comunità con la tecnologia e la banda larga, la filiera agroalimentare di qualità legata al territorio con il made in Italy e la cultura. Nell’ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente hanno sviluppato per l’Italia una specializzazione che ha avuto riflessi positivi sulla creazione di nuova occupazione: circa il 30% delle assunzioni non stagionali programmate complessivamente dalle imprese del settore privato per il 2012 è stato per figure professionali legate alla sostenibilità.

L’Italia green, secondo il rapporto GreenItaly 2012, vive una rivoluzione verde che interessa il 23,6% delle imprese industriali e terziarie con almeno un dipendente, che tra il 2009 e il 2012 hanno investito in tecnologie e prodotti green. E che attraversa il Paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate da quattro regioni del Nord e sei del Centro-Sud.

Le imprese della green Italy, inoltre, sono quelle che hanno la maggiore propensione all’innovazione: il 37,9% delle imprese che investono in eco-sostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011, contro il 18,3% delle imprese che non investono green. Allo stesso modo, tra le imprese green è più forte la propensione all’export: il 37,4% di esse vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non investono nell’ambiente.

Un quadro più che incoraggiante, che testimonia come il campo della green economy sia ormai arrivato oltre le mode e sia una vera terra promessa del business.

Pmi e green economy, un matrimonio che s’ha da fare. Ma niente improvvisazione

di Davide PASSONI

Un anno difficile ce lo siamo lasciati alle spalle, ma quello che è appena cominciato ha preso il via sotto il segno dell’incertezza, specialmente in ambito economico. C’è chi parla di ripresa nel secondo semestre, chi ipotizza invece un 2013 ancora con il segno meno, chi si spinge a prevedere un’economia in crescita non prima del 2014.

Insomma, un anno ancora tutto da decifrare per le piccole imprese italiane, ma con qualche piccola certezza. Una di queste riguarda alcuni settori che, nella crisi, si sono difesi e si stanno difendendo meglio di altri. Il settore del green, per esempio. Un ambito che, come ben evidenziato dal recente rapporto GreenItaly 2012, ha un alto tasso di imprese che assumono, si sviluppano, crescono a due cifre ma, soprattutto, producono innovazione e creano ricchezza in modo quasi uniforme sul territorio italiano, dal Nord al tanto bistrattato Sud, dove pare così difficile fare impresa.

Bisogna però fare attenzione a non interpretare il green in azienda solo come una moda o come un’esclusiva chiave di business. Essere green, oggi, per una piccola azienda o un laboratorio artigiano non significa solo realizzare prodotti e manufatti ecocompatibili o creati con materiali di recupero; certo, dal punto di vista del profitto questo è ciò che porta fatturato, ma che senso ha realizzare prodotti altamente ecologici quando in azienda, magari, non si effettua la raccolta differenziata, non si spengono i computer in pausa pranzo, non si utilizza carta riciclata per copie e documenti?

Durante questa settimana cercheremo di fare il punto su come è messa la Pmi green in Italia, quali sono gli ambiti maggiormente promettenti per creare un business verde di successo e, soprattutto, quali gli errori da non fare per evitare che il sogno di lavorare nel campo delle tecnologie verdi diventi un incubo con la prospettiva del fallimento. Perché, lo ripetiamo, riempirsi la bocca con il green non ha senso se non si è in possesso di una chiara idea di business.

Imprese verdi? Sono le più innovative

La green economy in Italia ha ormai preso piede in tutti i settori lavorativi, tanto che è difficile, ora, trovarne uno che non ne sia stato contaminato.

Una buona notizia, non c’è che dire, che esula dal rispetto per l’ambiente e fa parte di un discorso più ampio, dove dinamicità e innovazione rappresentano i punti cardine di un’economia in cerca di ripresa.

Questo è quanto è emerso dal Rapporto GreenItaly 2012 che Fondazione Symbola e Unioncamere hanno presentato lunedì a Roma.
Ciò che sorprende piacevolmente è come la green economy abbia saputo insinuarsi anche nei comparti più tradizionali, e in ogni ambito è stata reinterpretata a seconda delle diverse esigenze.

L’Ocse, nel suo recente rapporto sull’innovazione nei diversi paesi aderenti all’organizzazione, ha infatti rilevato come, nell’ultimo decennio, le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente abbiano sviluppato per il nostro Paese una vera e propria specializzazione.

E ciò ha influito positivamente anche sull’occupazione, dal momento che circa il 30% delle assunzioni non stagionali programmate complessivamente dalle imprese del settore privato per il 2012 riguarda figure professionali legate alla sostenibilità.
Questo significa che la “rivoluzione verde” in Italia sta facendo passi da giganti e, ad oggi, interessa il 23,6% delle imprese industriali e terziarie con almeno un dipendente, meritevoli di aver investito, tra il 2009 e il 2012, in tecnologie e prodotti green.

In questo caso, inoltre, non c’è divisione tra Nord e Sud, se si considera che le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate da quattro regioni settentrionali e sei del Centro-Sud.

Ma le imprese della green Italy emergono anche per la loro maggiore propensione all’innovazione, perché il 37,9% delle imprese che investono in eco-sostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011, contro il 18,3% delle imprese che non investono green.
Stesso discorso per quanto riguarda le esportazioni: il 37,4% delle imprese green vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non investono nell’ambiente.

Alla presentazione del Rapporto GreenItaly 2012 era presente, tra gli altri, anche Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, il quale ha dichiarato: “Per far ripartire il Paese non basta fronteggiare la crisi. Affrontare i nostri mali antichi: il debito pubblico, l’illegalità e l’evasione fiscale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, il sud che perde contatto, una burocrazia speso soffocante. Serve una visione in grado di mobilitare le migliori energie per affrontare le sfide del futuro. È necessario difendere la coesione sociale non lasciando indietro nessuno, e scommettere sull’innovazione, sulla conoscenza, sull’identità dei territori: su una green economy tricolore che incrocia la vocazione italiana alla qualità e si lega alla forza del made in Italy. È necessario cambiare partendo dai talenti dell’Italia che c’è. Per uscire dalla crisi e trovare il suo spazio nel mondo che cambia, insomma, l’Italia deve fare l’Italia”.

Gli ha fatto eco Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello: “L’economia verde può rappresentare una chiave strategica per superare questa lunga crisi, uscendone più forti e meglio in grado di costruire un futuro diverso, più sostenibile e più ricco di possibilità. Grazie ad un modello di sviluppo che si fonda sui valori tradizionali dei territori e dei sistemi produttivi italiani di piccola impresa: qualità, innovazione, eco-efficienza, rispetto dell’ambiente. Una ricetta che oggi dimostra di saper sposare i valori etici alla competitività e che ha il grande merito di favorire la coesione tra i territori. Una coesione che coinvolge migliaia di piccole e medie imprese, sempre più spesso operanti in rete tra loro, nel dare vita a questo che è ormai un vero e proprio “laboratorio verde” dell’Italia di domani”.

Vera MORETTI