Donne imprenditrici sempre più numerose e innovative

Le donne hanno risorse infinite, non solo nella gestione della vita quotidiana, ma anche quando si tratta di lavoro, e se qualcuno aveva ancora qualche dubbio, ecco una serie di dati e cifre che confermano le ottime performance delle imprese femminili.

In tempi di crisi, soprattutto, le aziende in rosa hanno dimostrato di reggere i ritmi, a volte anche meglio rispetto a quelle condotte da uomini, e non è ancora tutto.
Nel focus di Censis – Confcooperative “Donne al lavoro, la scelta di fare impresa”, fra il 2014 e il 2016 l’incremento è stato dell’1,5%, il triplo rispetto alla crescita del sistema imprenditoriale che non è andato oltre lo 0,5%. Proprio in questo periodo, inoltre, hanno registrato una notevole impennata i settori considerati tipicamente maschili, appartenenti all’area dell’energia e delle costruzioni, dove la crescita è stata del 2,6%, a fronte di una diminuzione del comparto del 2,1%.

Nei settori fondamentali del Made in Italy, che sono moda, turismo e agroalimentare, le imprese femminili stanno aumentando costantemente dal 2014, con un tasso superiore a quanto si registra sul totale delle imprese in questi comparti: si colloca abbondantemente sopra all’1% la parte di imprese femminili impegnate nel turismo (+5,1%, ma raggiunge l’11,5% nelle attività di accoglienza), nei servizi per la ristorazione (+4,4%) e nell’industria alimentare (+4,0%).

L’incremento delle imprese rosa è maggiore nelle regioni centrali (+2,0%) e al Sud (+1,8%), mentre il Nord Ovest e il Nord Est presentano crescita più contenuta(1% circa). Le regioni a più alto tasso di crescita sono il Lazio e la Calabria (entrambe con un +3,1%), mentre, all’opposto, Piemonte, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Marche segnalano una dinamica negativa.

Ma le donne imprenditrici sanno essere anche innovative, se, dalle recenti iniziative proposte dal Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, su 2.184 nuove imprese finanziate nel 2016, il 43% (940) è costituito da imprese femminili.
Inoltre il 91% delle imprese finanziate e guidate da donne ha sede nel Mezzogiorno, avendo le diverse iniziative di finanziamento e agevolazione diretto la propria azione soprattutto nelle regioni meridionali.

In particolare, nel progetto Smart & Start, che finanzia le startup innovative, a giugno di quest’anno il numero delle imprese finanziate ha raggiunto la quota di 761, con 242 milioni di euro in investimenti attivati e 230 milioni di agevolazioni concesse.
Tra i settori innovativi, spicca quello delle web technologies, che copre il 45% delle imprese, mentre gli altri settori come bioscienze, smart cities ed energia si aggirano intorno al 10%.

Tra gli startupper, ancora oggi domina la presenza maschile, al 75,5%, con le donne al 24,5%, ma si tratta di un dato che sale al 31,4% nel segmento più giovane. Inoltre, tra gli under 36, si sale a 46,7%, superando gli uomini che si fermano a 36,4%.

Maurizio Gardini, presidente Confcooperative, ha commentato questi dati: “Le donne hanno avuto il talento di trasformare fattori di svantaggio, tra pregiudizi e retaggi culturali, in elementi di competitività, riuscendo ad anticipare i fattori di novità del mercato, tanto che la ripresa è trainata dalle imprese femminili. Nelle cooperative, fanno meglio. Perché 1 su 3 è a guida femminile, è donna il 58% degli occupati e la governance rosa si attesta al 26%. Le donne hanno trovato nelle cooperative le imprese che più si prestano a essere ascensore sociale ed economico perché sono le imprese che coniugano meglio di altre vita e lavoro. La conciliazione resta il prerequisito per accrescere la presenza delle donne nelle imprese e nel mondo del lavoro”.

Vera MORETTI

Imprenditrici, ricchezza d’Italia

E meno male che ci sono loro, le imprenditrici, a tenere alta la bandiera dell’impresa italiana. Sì, perché stando ai dati diffusi dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere e InfoCamere, le imprenditrici in Italia hanno sfondato il tetto del milione e 300mila unità.

A fine giugno, sottolinea l’Osservatorio, sono infatti 1.306.214 le imprese iscritte al Registro delle Camere di commercio che hanno una donna al vertice o una partecipazione femminile maggioritaria. Queste realtà guidate da imprenditrici costituiscono il 21,6% del totale delle imprese italiane.

L’Osservatorio rileva anche un altro dato importante: le attività che queste imprenditrici portano avanti, sono inserite in molti dei settori chiave dell’economia italiana come, per esempio, l’industria della vacanza e del tempo libero che produce occupazione e fatturato non solo in questo periodo estivo.

Sono molti i segmenti di questo settore nei quali la partecipazione femminile è molto alta e il numero delle imprenditrici tiene testa a quello dei colleghi maschi. Le imprese a guida rosa superano il 40% nelle agenzie di viaggio, negli altri servizi di prenotazione (come quelli che riguardano le guide turistiche), negli alloggi per le vacanze, nelle attività legate ad archivi e biblioteche.

Sempre restando nel settore del turismo e dello svago, le imprenditrici alla guida di realtà proprie sono circa un terzo dei tour operator, degli hotel, delle forniture per catering, dei bar, dei musei, dei parchi divertimento e tematici e degli stabilimenti balneari. Qualcosa meno ma sempre comunque oltre il 25% le imprenditrici che operano nella direzione dei campeggi, nei ristoranti, nelle mense, nelle palestre e in altre attività ricreative e di divertimento.

In ascesa le imprese femminili straniere in Italia

Le percentuali parlano chiaro: le imprese femminili straniere sono cresciute del 20% in quattro anni, con picchi a Roma, dove si contano 10mila imprese condotte da donne, a Milano, dove sono 8mila, e a Torino, 5mila.
La Lombardia, comunque, si dimostra molto attiva, con Bergamo, Brescia, Varese e Mantova in pole position, ovviamente dietro il capoluogo meneghino.

Esaminando i dati nel dettaglio, inoltre, emerge che sono in costante aumento, tanto da essere arrivate ad oggi a 109mila attività e 6mila in più rispetto al 2014, corrispondente al 6%, che diventa 20% considerando gli ultimi quattro anni.

Le più numerose sono le cinesi (21 mila), le rumene (9 mila), le marocchine (7mila), le nigeriane (5 mila), pari alle svizzere (5 mila), seguite dalle tedesche (oltre 4 mila).

Più numerose a Roma (10 mila), Milano (8 mila), Torino (5 mila), Firenze (4 mila), Napoli, Prato (3 mila) e Brescia (oltre 2 mila).
Crescono più velocemente in quattro anni a Reggio Calabria (da 600 a oltre 800, +50%), Ferrara (da 400 a 600, +40%), Ravenna (da 500 a oltre 600, +40%).
Tra le prime anche Napoli (da circa 2 mila a circa 3 mila imprese, + 35%) e Palermo (da 1000 a 1400, + 34%). In mano a donne sono un quarto delle imprese straniere in Italia.

Questo fenomeno è stato analizzato durante un convegno tenutosi ad Expo nello spazio Women for Expo lunedì 6 luglio, durante il quale si è discusso del ruolo delle donne ed organizzato da United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), in cooperazione tra gli altri con Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG), e promosso dalla Camera di commercio attraverso l’azienda speciale Promos per l’internazionalizzazione.

Federica Ortalli, membro di giunta della Camera di commercio di Milano e presidente del Comitato Imprenditoria Femminile, ha dichiarato in proposito: “Le donne hanno un ruolo centrale e sempre crescente nell’economia internazionale. La Camera di commercio con il Comitato sulle imprese femminili è accanto a Women for Expo. La ricchezza di imprese anche di donne straniere in Italia rappresenta un punto di partenza e di confronto anche a livello internazionale”.

Pier Andrea Chevallard, direttore di Promos, azienda speciale della Camera di commercio per l’internazionalizzazione, ha inoltre aggiunto: “Questo appuntamento rappresenta un momento di incontro e riflessione utile anche per il rilancio degli scambi internazionali che trova in Expo un momento importante”.

Vera MORETTI

Volano le imprese femminili in Italia

Le imprese femminili in Italia sono ormai una solida realtà. In un Paese il cui tessuto imprenditoriale è stato fatto a pezzi dalla crisi, le aziende guidate da donne, nel primo trimestre 2015, hanno sfiorato quota 1 milione e 300mila.

Il buono stato di salute delle imprese femminili nel nostro Paese è stato rilevato dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere e InfoCamere, che ha anche registrato come vi siano alcune regioni e alcuni settori merceologici specifici nei quali la media di oltre un’impresa su 5 al femminile è anche più alta

Guardando infatti ai diversi settori, le imprese femminili sono preponderanti in quello dei servizi alla persona (58,63%), dell’assistenza sociale non residenziale (56,88%), della confezione di abbigliamento (42,59%), dei servizi di assistenza sociale residenziale (40,06%) e delle agenzie di viaggio (37,42%).

Per certi versi stupefacente, poi, il caso delle imprese femminili nel settore dell’artigianato in senso lato, dove il 16% delle realtà è in rosa (214.815 imprese) e dove vengono coperti un po’ tutti gli ambiti dell’artigianalità, con percentuali importanti, come nel caso del comparto tessile, dove il 42,3% del tessuto produttivo è composto da imprese femminili, con una presenza massiccia nel settore della confezione di articoli di abbigliamento (55,94%),

Sempre in ambito artigiano, le imprese femminili si difendono, e bene, nella fabbricazione di bigiotteria (52,89%), nelle lavorazioni in porcellana e ceramica, (42,41%) nella realizzazione di articoli in pelle (31,09%) e nell’alimentare (25,32%).

Un ruolo e un’importanza delle imprese femminili nell’economia italiana e nella costruzione del Pil nazionale, ben sintetizzato dalle parole di Ferruccio Dardanello presidente di Unioncamere, cui si deve, insieme a InfoCamere, questa elaborazione sul mondo delle imprese in rosa: “Le donne imprenditrici hanno contribuito e continuano a contribuire in misura notevole a quella componente del made in Italy di qualità per la quale il nostro Paese è noto in tutto il mondo“.

Imprese femminili, c’è ancora molta strada da fare

Quando si parla di pari opportunità, parità di genere e imprese femminili, spesso il mondo dell’imprenditoria, ancor più se piccola o media, ha ancora parecchia strada da fare. Una conferma arriva dai dati dell’Osservatorio dell’Imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere – aggiornati a fine giugno 2014 – e dalle indicazioni del Sistema informativo Excelsior, di Unioncamere e ministero del Lavoro. Dallo studio appare chiaro che a pesare maggiormente sulle prospettive delle imprese femminili, restano le difficoltà legate alla solitudine decisionale in cui spesso le imprenditrici si trovano a operare, insieme alla frequente insostituibilità della figura dell’imprenditrice stessa nei processi di lavoro e nei rapporti con il mercato.

Secondo quanto emerge da questi dati, ancora a metà del 2014 le imprese femminili rappresentano solo il 21,4% dell’universo delle imprese operanti in Italia (sono circa 1,3 milioni su un totale di poco più di 6) e danno lavoro al 45,23% degli occupati dipendenti, 7,6 milioni sul 16,6.

La notizia incoraggiante, invece, è che le imprese femminili stanno affrontando la crisi con decisione e creatività. Intanto, creano nuove imprese a un ritmo superiore alla media: +0,73% l’aumento del numero di imprese femminili registrato nel periodo aprile-giugno 2014, contro una variazione media complessiva dello 0,42%.

Inoltre, nel 2014 si è ampliata la quota di assunzioni per le quali i datori di lavoro considerano irrilevante il genere del candidato: 52,8% rispetto al 48,5% del 2010. Questo significa che le donne lottano ad armi pari con gli uomini per entrare nel mercato del lavoro.

Il 70,5% delle imprese femminili (912.664 su 1.294.880) si concentra nei settori dei servizi alla persona, sanità, istruzione, agricoltura, commercio e turismo, intrattenimento. Costruzioni, fornitura di energia elettrica, trasporti ed estrazione di minerali fanno registrare invece un tasso di femminilizzazioni inferiore al 10%.

Parlando di territorio, le imprese femminili si concentrano prevalentemente al Sud: Molise, Basilicata e Abruzzo hanno un tasso di femminilizzazione superiore al 25%, mentre i valori più bassi si registrano in quattro regioni del Centro-Nord (meno del 20% del totale). La provincia più rosa è quella di Benevento, con il 30,52% di imprese guidato da donne, quella meno rosa è Milano (16,3%).

Parlando di età delle imprese femminili, il 65,7% di loro è nato dopo il 2000 (contro il 60,3% della media complessiva), e solo il 12,4% è nato prima del 1990 (contro il 16,6% della media). Il 65,5% delle attività è impresa individuale e il 69,5% conta unicamente sulla titolare o al massimo un addetto e il 94,2% non supera la soglia dei 5 addetti.

Secondo il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “l’impresa femminile si conferma meno strutturata e più sottodimensionata rispetto alla media, e per questo ha ampi margini di sviluppo che vanno colti per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. Va sostenuto e promosso il desiderio di tante donne, capaci e qualificate, che guardano all’impresa e al mercato come un’opportunità per essere protagoniste del proprio progetto di vita. Il sistema camerale mette a disposizione strumenti mirati allo sviluppo di questi progetti con iniziative per la formazione, l’accesso al credito, l’internazionalizzazione”.

Finanziamenti negati alle imprese femminili

Se sei un’imprenditrice donna, difficilmente otterrai un credito dalle banche.

L’indagine condotta dall’Osservatorio Credito Confcommercio sulle imprese femminili del terziario, riferita all’ultimo trimestre 2013, ha portato alla luce alcuni dati preoccupanti e negativi relativamente alla situazione delle aziende in rosa dello Stivale.

Nell’ultimo trimestre dell’anno scorso, infatti, sul 7,4% delle imprese femminili del terziario che ha chiesto un finanziamento dalle banche, il 62,4%, ovvero la maggioranza, non è riuscita ad ottenerlo, o l’ha avuto ma in misura inferiore a quanto richiesto.
Forse anche a causa di questa “stretta”, un’azienda rosa su 3 ha dovuto tagliare il personale.

Questo argomento è stato affrontato in occasione del Primo Forum nazionale Terziario Donna Confcommercio tenutosi lo scorso 9 maggio a Palermo.

A differenza di quanto registrato per quasi tutti gli indicatori economici, spiega Confcommercio, la situazione in questo caso appare decisamente più preoccupante per il segmento delle imprese di genere, confermando le maggiori difficoltà delle stesse nel rapporto con gli istituti di credito.

Per il 79,5% delle imprese rosa proseguono le difficoltà nel rispettare gli impegni a livello finanziario, poiché erano il 74,8% nel trimestre precedente.
I ricavi sono ancora in flessione anche se la situazione risulta meno grave rispetto a quanto rilevato per il totale delle imprese nazionali del terziario.

Ma ciò che forse è ancora più grave è che non si registrano, ad oggi, segni concreti di ripresa nei principali indicatori economici aziendali.

Al contrario, il rapporto tra le imprenditrici del terziario ed i propri fornitori continua a migliorare sotto il punto di vista dei prezzi praticati da questi ultimi.

Questo fa intravedere una percezione delle imprese femminili del terziario meno negativa riguardo l’andamento generale dell’economia del Paese rispetto sia al totale delle imprese del terziario sia alle rilevazioni del trimestre precedente presso le stesse imprese femminili.

Vera MORETTI

Credito? No, grazie, sei imprenditrice

Avere credito per le imprese è sempre più complesso e costoso. A maggior ragione per le imprese in rosa, che sono un vanto del nostro tessuto produttivo in quanto a vitalità e varietà.

Lo dicono i dati, lo dice Rete Imprese Italia Imprenditoria Femminile, che ha condotto un’indagine congiunturale sulle piccole e sulle micro imprese femminili e ha constatato che, nei primi tre mesi del 2013, è calato drasticamente il numero di quelle che sono riuscite a ottenere un prestito o un finanziamento.

La crescita della aziende in rosa rimaste a secco di finanziamenti è stata dell’8% (dal 54 al 62%) e parallelamente è sceso il numero di quelle che sono riuscite a farsi accordare un prestito, passate dal 23,8% del 2012 al 17%. Come se non bastasse, è salito il numero delle imprese che hanno sì ottenuto un finanziamento, ma di importo minore rispetto a quello richiesto all’istituto di credito: sono il 62%.

A peggiorare la situazione, il fatto che le imprenditrici interpellate che sono riuscite ad accedere al credito si sono trovate a dover scontare anche in banca il fatto… di essere donne. Buona parte di loro ha infatti dovuto fare i conti con una sorta di pregiudizio nella concessione di garanzie, tassi, costi d’istruttoria con condizioni più svantaggiose rispetto a quelle garantite agli imprenditori uomini. Un atteggiamento che ha scoraggiato molte di loro dal recarsi negli istituti di credito  La disparità di trattamento è in particolare evidente dalla riduzione del numero di imprenditrici che da gennaio 2013 si sono recate in banca a richiedere un prestito.

Ma coloro che ce l’hanno fatta, come hanno impiegato il credito ottenuto. La quasi totalità delle imprenditrici che hanno avuto un prestito (80%) lo ha utilizzato per sopperire a delle necessità di liquidità e cassa, mentre il 16,5% di loro ha utilizzato i fondi ottenuti per reinvestirli e solo  il 3,4% se n’è servito per ristrutturare i debiti aziendali. Sia quello che sia, se essere donna oggi è anche un ostacolo per avere un credito d’impresa, il Paese ha di che riflettere.

E’ nato il Fondo di Garanzia per le pmi femminili

Finalmente qualcuno si è accorto che le imprese femminili hanno bisogno di essere supportate e valorizzate, poiché rappresentano un forte traino per l’economia italiana.

E’ stato presentato, infatti, a Monza, in occasione del primo Coordinamento Regionale dei Comitati Imprenditoria Femminile Lombardi, il Fondo Centrale di Garanzia per piccole e medie imprese, che prevede un trattamento favorevole in termini di copertura e l’accesso gratuito al fondo per le imprese rosa.
Alla presentazione erano presenti Claudia Bugno, Presidente del Comitato di Gestione Fondo Centrale di Garanzia per le pmi e Mina Pirovano, Presidente del Comitato della Camera di commercio di Monza e Brianza e Presidente del Coordinamento dei Comitati Imprenditoria Femminili lombardi.

Questo Fondo mette a disposizione 20 milioni di euro che permettono un accesso al credito più agevole alle imprese femminili e fa parte del più grande Fondo Centrale di Garanzia, strumento di mitigazione del rischio di credito operativo presso il Ministero dello Sviluppo Economico che opera tramite interventi in garanzia diretta, controgaranzia e cogaranzia sui finanziamenti alle pmi realizzati attraverso una rete di 320 operatori tra banche, confidi, Fondi regionali di garanzia, società di leasing e altri soggetti.

Si tratta sicuramente di un grosso ed importante passo avanti nella consacrazione dell’imprenditoria femminile, che ha dimostrato, in questo periodo negativo, di reggere meglio alla crisi, attivando una serie di iniziative concrete e di successo.
Considerando, in particolare, la presenza di imprese in rosa nella regione Lombardia, si contano 21mila imprese con presenza di donne under 35 superiore al 50%, che rappresenta il 12% del totale di imprese femminili.
Solo a Monza e Brianza le pmi rosa sono 1.378, ovvero l’11% del totale.

Mina Pirovano, Presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio di Monza e Brianza e del Coordinamento Regionale dei Comitati, ha dichiarato a proposito: “In questo momento di difficoltà per le nostre imprese e per il Paese questa iniziativa rimette al centro il fare impresa e la fiducia nella capacità imprenditoriale delle nostre imprese, ridando loro ossigeno per ripartire. Si tratta di un Fondo che può favorire in modo concreto la ripresa, mettendo in moto nuovi investimenti, con l’obiettivo di fungere da stimolo a un nuovo rapporto tra sistema creditizio, impresa e territorio”.

Vera MORETTI

Nelle mani degli strozzini

Non ci vuole certo un genio per capirlo. Se da una parte le banche chiudono i cordoni della borsa e dall’altra le aziende devono in qualche modo evitare il fallimento, da qualche parte il denaro è necessario che lo trovino. Trovarlo in uno scenario come quello certificato da Bankitalia, che ha messo nero su bianco come le piccole e medie imprese e le famiglie siano soffocate dalla mancanza di denaro, è ancora più difficile. Almeno per le vie legali…

Ecco allora ampliarsi il fenomeno strisciante e schifoso dell’usura. Secondo i dati diffusi da Sos Impresa e Contribuenti.it, l’usura è in preoccupante ascesa: siamo a una crescita del 155% in un anno, con il picco del 183, 2% della Campania. Secondo questi dati, nel 2013 rischieranno di finire nelle mani dei “cravattari” 3 milioni di famiglie e 2 milioni e mezzo di imprese. Ecco perché Sos Impresa ha messo a disposizione delle aziende un numero verde da chiamare per denunciare e chiedere aiuto: 800.900.767.

Nel rapporto di Sos Impresa, Roma risulta la capitale degli usurai, che si manifestano in un ventaglio di tipologie piuttosto completo: si va dagli insospettabili professionisti o pensionati ai racket criminali organizzati. Sos Impresa sottolinea come spesso la cifra iniziale richiesta agli strozzini sia piuttosto modesta (tra i 5 e i 20mila euro) con interessi che però lievitano fino al 20% mensile. Preoccupante anche il fenomeno dell’usura lampo, gente che chiede soldi alla mattina per restituirli entro la giornata: il ricarico arriva anche al 10%.

Quello che, però, fa più male è che tanto più crescono le vittime, tanto più cala il numero delle denunce: nel 2009 erano stati 369, nel 2011 sono scese a 230. Un calo dovuto alla paura e all’omertà da parte delle vittime ma a anche a una legge antiusura, la 108 del 1996, assolutamente inadeguata. Il suo iter burocratico, secondo quanto dichiara Lino Busà, presidente di Sos Impresa, rende il risarcimento “una pura chimera“, con un percorso giudiziario che dura parecchi anni. Sempre che si abbia la fortuna di arrivare a un risarcimento.

No grande azienda, no credito

Si chiameranno anche piccole imprese, ma questo non significa che il fatto non essere grandi debba metterle nelle condizioni di beccarsi sempre e solo fregature. Prendiamo ancora una volta l’esempio dell’accesso al credito. Oltre a essere problematico per la maggior parte delle Pmi, questo fa rilevare anche una palese e sconcertante asimmetria. Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, l’81% circa degli oltre 1.335 miliardi di prestiti che vengono erogati dalle banche agli italiani è concesso al primo 10% degli affidati, vale a dire alla clientela a loro avviso migliore. Il 19% che resta è distribuito alle famiglie, alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi che, in realtà, costituiscono la quasi totalità (90%) dei clienti delle banche.

Secondo l’associazione mestrina questa anomalia grida vendetta soprattutto in questa fase di “credit crunch” e Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, non ha dubbi: “Al di là delle difficoltà legate alla crisi, il nostro sistema creditizio presenta dei nodi strutturali che vanno assolutamente affrontati. E’ chiaro a tutti che questo 10% di maggiori affidati non è costituito da piccoli imprenditori, da famiglie o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali. In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questo 10% fosse costituito da soggetti solvibili. Invece, dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza emerge che il 78,3% è concentrato nelle mani del 10% dei migliori affidati. In buona sostanza, nei rapporti tra banche e imprese tutto è clamorosamente rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta livelli di affidabilità bassissimi, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce“.

I dati sono corroborati da una elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia mestrina, dalla quale risulta che il primo 10% degli affidatari riceve l’80,9% del totale dei prestiti erogati dalle banche e tecnicamente definiti come finanziamenti per cassa. Una tipologia di finanziamento che copre quasi il 70% del totale dei finanziamenti erogati dal sistema bancario italiano e che, nel caso delle grandi imprese rappresentano una generosità non ricambiata: le sofferenze a carico di questi clienti è pari al 78,3% del totale. Pur non essendo dei buoni pagatori, continuano a essere premiati dalle banche.

Se è vero che le sofferenze totali sono in forte aumento e si attestano attorno ai 115 miliardi di euro, “tuttavia – secondo Bortolussiil comportamento delle nostre banche è quanto meno sorprendente. Ricevono più soldi dalla clientela, ne erogano sempre meno, ma privilegiano i grandi capitani di industria a scapito delle famiglie e delle piccole imprese. Oggettivamente c’è qualcosa che non va“.