Caro Energia: l’Antitrust indaga su 4 società per comportamento ingannevole

Il caro energia è un problema molto sentito dagli italiani e sono numerosi quelli che hanno segnalato di aver ricevuto una lettera da parte della compagnia energetica con una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali che di fatto fa lievitare la bolletta. L’Antitrust ha quindi deciso di avviare un’indagine per verificare profili di comportamento sleale.

Caro energia: le contestazioni dell’Antitrust a 4 società

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) sta verificando ipotesi di comportamento in violazione del decreto Aiuti Bis da parte di quattro società che si occupano di fornitura di energia elettrica. Il decreto Aiuti Bis sospende fino ad aprile 2023 l’efficacia delle clausole contrattuali eventualmente presenti che consentono alle società delle modifiche unilaterali, si sospende, inoltre, l’efficacia di eventuali lettere di preavviso.

Per questo motivo l’Antitrust contesta a Iberdrola e a E.On la comunicazione che queste società hanno inviato ai propri clienti in cui si provvedeva a sciogliere il contratto in quanto divenuto eccessivamente oneroso per le due società proponendone in alternativa uno nuovo.

Contestazioni alle società Dolomiti e Iren sul caro bollette

Alla società Dolomiti viene invece contestata la comunicazione inviata prima dell’entrata in vigore del decreto Aiuti Bis, ma non perfezionata prima dell’entrata in vigore del decreto.

Infine, la quarta comunicazione è diretta alla società Iren, in questo caso la comunicazione aveva ad oggetto la scadenza di tutte le offerte a prezzo fisso con la conseguente offerta di condizioni economiche peggiorative. Iren offre la possibilità al cliente in alternativa di sciogliere il contratto.

Alle società Iberdrola e Dolomiti l’Antitrust contesta anche l’ingannevolezza delle comunicazioni, infatti la società comunica di non poter più offrire l’energia al prezzo concordato a causa dell’aumento del prezzo del gas, ma c’è un dettaglio che sfugge, infatti tutte le promozioni presentate da Iberdrola sottolineano che l’energia da loro venduta proviene da fonti rinnovabili.

Iren ha già risposto ai rilievi dell’Antitrust sottolineando di aver inviato la comunicazione esclusivamente a clienti con il contratto in scadenza e che ha fornito un congruo termine di 90 giorni ai clienti in modo che possano verificare altre soluzioni.

L’Antitrust oltre ad aver avviato questa procedura, ha anche inviato una richiesta di informazioni ad ulteriori 25 società A2A Energia, Acea Energia, AGSM ENERGIA, Alleanza Luce & Gas, Alperia, AMGAS, ARGOS, Audax Energia, Axpo Italia, Bluenergy Group, Duferco Energia, Edison Energia, Enegan, Enel Energia, Engie Italia, Eni Plenitude, Enne Energia, Estra Energie, Hera Comm, Illumia, Optima Italia, Repower Italia, Sinergas, Sorgenia, Wekiwi.

Buoni Fruttiferi Postali: Antitrust apre un’indagine per pratiche scorrette

Nei giorni scorsi è stato reso noto che l’Antitrust ( Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM) ha dato il via a un’indagine nei confronti di Poste Italiane per pratiche commerciali scorrette inerenti al collocamento dei Buoni Fruttiferi Postali.

Perché parte l’indagine dell’Antitrust sul collocamento dei Buoni Fruttiferi Postali?

I Buoni Fruttiferi Postali sono uno degli strumenti di risparmio più apprezzati dagli italiani, soprattutto da coloro che vogliono avere piccoli risparmi con un rendimento sicuro. Purtroppo negli ultimi anni Poste Italiane è stata al centro di molteplici vicende giudiziarie inerenti il calcolo degli interessi e delle imposte sui Buoni Fruttiferi della serie Q/P, emessi tra il primo luglio 1986 e il 31 ottobre 1995. Rimandiamo agli approfondimenti relativi a tale questione per coloro che sono interessati, ma ora cerchiamo di capire perché c’è un’istruttoria dell’Antitrust.

L’indagine prende il via da un esposto dell’Adiconsum della Regione Sardegna. L’associazione dei consumatori, in seguito alle lamentele di numerosi risparmiatori inerenti l’indicazione sui Buoni Fruttiferi Postali non particolarmente chiara e trasparente delle condizioni e in particolare della scadenza, si sono visti rifiutare il rimborso dei Buoni in quanto scaduti e prescritti.

Per maggiori informazioni sulla prescrizione dei buoni fruttiferi leggi la guida: Prescrizione dei Buoni Fruttiferi Postali: quando si verifica?

L’Antitrust nel provvedimento di apertura dell’istruttoria ha sottolineato che Poste Italiane nella gestione dei buoni caduti in prescrizione negli ultimi 5 anni avrebbe omesso di informare i consumatori della scadenza dei titoli e delle conseguenze che sarebbero derivate in caso di prescrizione degli stessi a causa della mancata richiesta di rimborso dei titoli da parte dei risparmiatori nei termini previsti. Poste Italiane, da quanto emerge, avrebbe continuato ad avere questo comportamento nonostante avesse già ricevuto numerose reclami da parte dei risparmiatori incorsi nella prescrizione.

I prossimi passi per avere tutela in caso di mancato rimborso dei Buoni Fruttiferi Postali

A spiegare i passi successivi da compiere è Giorgio Vargiu, presidente di Adiconsum Sardegna. Lo stesso ha sottolineato che, nel caso in seguito all’istruttoria, l’Antitrust dovesse rivelare che Poste Italiane ha avuto un comportamento scorretto, i risparmiatori potranno intentare causa, da soli oppure affidandosi ad associazioni dei consumatori, al fine di ottenere la restituzione di quanto investito e degli interessi maturati.

Adiconsum ha anche sottolineato che ha tratto in inganno i risparmiatori il fatto che nella scheda di sintesi dei BPF c’era la dicitura “capitale investito sempre rimborsabile”. Ciò ha indotto molti a ritenere che almeno il capitale potesse essere sempre recuperato. Inoltre secondo Adiconsum a trarre in inganno i risparmiatori vi era anche un grafico posto nella scheda di sintesi in cui c’era la dicitura “durata massima di 20 anni”, questo avrebbe indotto i risparmiatori a ritenere che in realtà si intendesse che per 20 anni i buoni avrebbero continuato a produrre interessi e non che non sarebbero più stati rimborsati.

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Indagini finanziarie, cosa sono e come rispondere alle richieste degli organi di controllo

Per quel che riguarda le indagini finanziarie, in Italia ci sono degli organi che sono preposti ai controlli. Si tratta, nello specifico, dell’Agenzia delle Entrate, dell’Agenzia delle Dogane, della Guardia di Finanza e dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

I soggetti potenzialmente sottoposti ad indagine sono tutti gli operatori finanziari, i quali proprio nei confronti degli organi di controllo hanno degli obblighi ben precisi da rispettare. Ed allora, per le indagini finanziarie, vediamo cosa sono nel dettaglio. E vediamo anche come gli operatori finanziari sono obbligati a rispondere alle richieste degli organi di controllo.

Obbligo di PEC per gli operatori finanziari, ecco come e perché

Al fine di ricevere le richieste da parte degli organi di controllo, per le indagini finanziarie, gli operatori finanziari, a partire dall’1 gennaio del 2006, hanno l’obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). La PEC, infatti, serve agli operatori finanziari per trasmettere agli organi di controllo i dati richiesti entro e non oltre i termini previsti.

Con obbligo a partire dall’1 luglio del 2012, si legge altresì sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, gli operatori finanziari, utilizzando il formato XML, sono tenuti ad inoltrare solo ed esclusivamente in via telematica pure le istanze di proroga dei termini di risposta alle richieste di indagini finanziarie ricevute da parte degli organi di controllo sopra indicati.

Indagini finanziarie, quali sono i soggetti obbligati e quelli esonerati a fornire le risposte telematiche

Oltre agli istituti di credito, ed al Gruppo Poste Italiane, ci sono pure altri soggetti che, per quel che riguarda le indagini finanziarie, sono tenute all’obbligo di fornire le risposte telematiche via PEC. Tra questi, in particolare, ci sono le Sim, ovverosia le Società di intermediazione mobiliare, ed anche le Sgr che sono le Società di gestione del risparmio. Nonché gli Imel, che sono gli Istituti di moneta elettronica, le società fiduciarie e gli intermediari finanziari includendo, tra gli altri, pure i confidi ed i cambiavalute.

Sono invece esonerati dall’obbligo di risposta telematica alle indagini finanziarie i mediatori creditizi e gli agenti in attività finanziaria mono e plurimandatari. Inoltre, per le compagnie di assicurazioni, l’obbligo di risposta telematica alle indagini finanziarie è previsto per alcuni prodotti. Nella fattispecie, per i contratti e per le operazioni di capitalizzazione, per le polizze index-linked ed anche per le polizze unit-linked.

Le risposte negative alle richieste degli organi di controllo, inoltre, possono essere inoltrate dagli operatori finanziari anche in modalità cumulativa. La modalità di risposta cumulativa, in particolare, è stata introdotta in data 12 novembre del 2007 con un apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate.

E’ tempo di saldi, ma un italiano su due ‘taglia’ l’abbigliamento

Chissà che con l’avvento dei saldi estivi agli italiani non torni la voglia di acquistare vestiti nuovi. Già, perché da una recente indagine Coldiretti/Swg emerge un dato particolarmente significativo: più di un italiano su due (il 51%) ha ridotto, rinunciato o rimandato l’acquisto dell’abbigliamento, che si classifica tra i beni più colpiti dall’andamento economico sfavorevole. Sul lato opposto della classifica – sottolinea la Coldiretti – si posizionano i generi alimentari, di cui tuttavia il 16% degli italiani dichiara di aver ridotto la spesa o rimandato gli acquisti, ma soprattutto le spese per i figli tagliate solo dal 9% degli italiani. Altre rinunce importanti – precisa la Coldiretti – per il 50% degli italiani riguardano le vacanze, per il 47% il tempo libero, per il 34% gli acquisti tecnologici (34%) e il 30% auto e moto, mentre un italiano su tre (33%) ha ridotto, rinunciato o rimandato anche le attività culturali.

La crisi ha cambiato dunque le priorità degli italiani che hanno tagliato soprattutto il ‘superfluo’ ma sono stati costretti a risparmiare anche su beni essenziali a partire dall’alimentazione. Sul cibo si assiste in realtà – conclude la Coldiretti – a una polarizzazione nei consumi con un numero elevato di cittadini che si rifugia nei discount low cost mentre chi può cerca di dare un contenuto etico ai propri acquisti con l’aumento nel carrello del biologico, del prodotto locale e a chilometri zero, magari acquistato direttamente dal produttore nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica.

Una fotografia delle microimprese italiane ed europee

Non solo stampe e fotocopie nel DNA di Epson. L’azienda ha un occhio attento nei confronti delle dinamiche che caratterizzano le microimprese, un mondo che comprende molti dei sui clienti.

Epson ha infatti presentato i dati emersi dalla ricerca Epson Micro-Business, condotta su 1.250 imprenditori europei (250 in Italia) e focalizzata sulle esigenze e le sfide che le aziende di piccole dimensioni (1-10 addetti) devono oggi affrontare. E le soprese non mancano.

Le piccole imprese avranno infatti, probabilmente, un ruolo chiave nel guidare la ripresa dell’economia italiana e, tra i numerosi dati raccolti dalla ricerca, uno in particolare fa riflettere: l’89% delle piccole imprese italiane intervistate riferisce di comprare attraverso Internet e ben il 94% utilizza questo strumento per vendere i prodotti/servizi. Percentuali elevate e destinate a crescere nei prossimi due anni, che paiono dimostrare la volontà nel nostro paese di utilizzare i new media per fare business.

Dalla ricerca emerge poi come, in Italia, solo il 4% delle piccole imprese coinvolte nell’indagine stia perseguendo al momento una politica di crescita aggressiva. Il 29% degli imprenditori intervistati ha infatti affermato che “l’obiettivo principale è mantenere risultati costanti” e una percentuale analoga sta lavorando per “stabilizzare il business”. Per un quarto delle piccole imprese si tratta di una “battaglia per la sopravvivenza”.

Il nostro è un Paese – ha affermato Giuseppe Vivace, segretario generale CNA Lombardia – caratterizzato da una cultura artigiana capace di immaginare, progettare e trasformare le idee in prodotti fisici. C’è una grande capacità innovativa nelle piccole imprese che fa fatica ad emergere, dobbiamo facilitare l’innovazione chiedendo anche alle istituzioni pubbliche maggiore sensibilità, risorse e semplificazione.”

L’indagine Epson dimostra poi come i piccoli imprenditori italiani riconoscano l’importanza di acquisire nuovi clienti e fidelizzare quelli esistenti e considerino il servizio clienti un fattore critico di differenziazione dai concorrenti. Il 60% delle aziende italiane concorda anche sul fatto che la ricerca di nuovi clienti sia l’unica strategia di crescita nel contesto attuale e la base per un successo continuo nel tempo. Altrettanto importante è il coinvolgimento e la fidelizzazione dei clienti già esistenti, che è sempre più parte integrante dei piani strategici delle aziende. Ma con quali strumenti? Un efficace impiego della tecnologia (72%), il prezzo del prodotto/servizio (68%), il passaparola (66%) e il brand engagement (65%).

E a proposito di tecnologia, la ricerca dimostra che il 90% delle aziende italiane (il 92% in Europa) usa il PC/Laptop/Netbook per gli affari, mentre circa la metà impiega tecnologie di stampa nelle attività lavorative. Decisamente superiore alla media è l’utilizzo dello smartphone per gli affari, con un 51% in Italia contro il 26% della Francia e 24% della Germania.

Sembra però che l’approccio delle micro-aziende italiane sia quello di dilazionare nel tempo l’aggiornamento tecnologico, rimandando gli investimenti in nuove tecnologie, che invece potrebbero aiutare in modo significativo l’innovazione e la produttività dei dipendenti. In alcuni casi la tecnologia adottata dalle imprese di piccole dimensioni in Italia è una delle più datate in Europa: l’età media di un PC/Laptop è di 4,6 anni, mentre le tecnologie di copia e scansione hanno in media 3,8 anni (in confronto ai 2,3 anni riportati dalla media europea) e lo stesso vale per le tecnologie per la presentazione.

Cenone di Capodanno? Meglio il discount!

di Alessia CASIRAGHI

Cenone della Vigilia, pranzo di Natale, abbuffata di Capodanno. Le feste natalizie sono all’insegna della buona cucina e della riscoperta delle delizie gastronomiche del Bel Paese. Natale a parte, la vendita di prodotti alimentari ha segnato una netta ripresa nell’ultimo quadrimestre del 2011, con un +0,7% nel mese di ottobre rispetto a settembre. Lo rivela un’indagine dell’Istat secondo cui le vendite dei beni alimentari al dettaglio hanno registrato un trend positivo, con una crescita su base annua dello 0,9% per il 2011. L’indagine Istat ha evidenziato inoltre come nella grande distribuzione siano i discount alimentari a guadagnare in termini di vendite, con un + 2,9% rispetto alle altre categorie di esercizi.

A frenare gli entusiasmi, il Codacons, secondo cui la crescita registrata a ottobre sarebbe il frutto di un effetto ottico, dovuto al fatto che i dati presi in considerazione , incorporano sia la dinamica delle quantità che dei prezzi. Se nel mese di ottobre 2011, secondo l’Istat, a causa dell’aumento dell’Iva, si era registrata una inflazione record, su base annua, pari al 3,4%, questo fa dedurre che gli italiani continuano a mangiare sempre meno rispetto al 2010. Si tratta quindi di un sintomo più che evidente della povertà crescente che colpisce le famiglie italiane, confermata anche dal calo delle vendite degli ipermercati (-1,3% su base annua) a vantaggio dei discount (+2,9%).

Le famiglie italiane, costrette ad abbandonare i negozi tradizionali e gli ipermercati, pur avendo questi ultimi prezzi inferiori anche del 20% rispetto all’esercizio sottocasa, preferiscono il discount. Il risultato? Gli italiani abbandonano i brand leader della produzione alimentare italiana, e acquistano prodotti sconosciuti ma più economici, causando con un danno economico notevole per tutte quelle industrie che avevano fatto da traino all’economia nei decenni passati. E’ il gatto che si mangia la coda, insomma, o forse nemmeno quella.