Dichiarazione dei redditi integrativa oltre i termini: modalità e sanzioni

Nel caso in cui il contribuente si renda conto di avere commesso degli errori o delle omissioni nella presentazione della dichiarazione dei redditi è possibile presentare una dichiarazione dei redditi integrativa finalizzata a correggere gli errori e a ad effettuare eventuali integrazioni in caso di omissioni. Ecco i termini.

Cos’è la dichiarazione dei redditi integrativa?

Il 30 settembre 2022 è scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi con il modello 730. Fino a tale termine chi aveva presentato la dichiarazione e nel frattempo avesse riscontrato errori, poteva correggerli modificando la prima dichiarazione presentata. In questo caso abbiamo una dichiarazione correttiva dei termini. Nel caso in cui gli errori siano stati riscontrati successivamente, è possibile presentare la dichiarazione integrativa.

Si tratterà di una vera e propria nuova dichiarazione che andrà a sostituire quella precedentemente resa. Nel frontespizio della dichiarazione deve essere barrata la casella con la dicitura “dichiarazione integrativa”. Inoltre devono essere barrate le caselle dei quadri che si vanno a modificare rispetto alla precedente dichiarazione presentata.

La stessa sarà prodotta con la compilazione del modello predisposto dall’Agenzia delle Entrate e dovrà essere resa entro il 31 dicembre del quinto anno successivo rispetto a quello interessato dalla dichiarazione. La dichiarazione deve essere presentata tramite i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, oppure attraverso gli intermediari abilitati ( CAF, commercialisti, patronati).

Gli errori che possono essere corfretti con la dichiarazione dei redditi integrativa

Gli errori commessi possono essere di diversa natura, ad esempio nel caso in cui:

  • non sia stato dichiarato un reddito da lavoro autonomo;
  • sia stata fatta valere una detrazione a cui non si aveva diritto;
  • sia stata valere una deduzione non dovuta;
  • nel caso in cui non siano state fatte valere detrazioni e deduzioni;
  • In ogni caso in cui l’errore abbia determinato un calcolo errato dell’imposta dovuta.

La dichiarazione integrativa prevede che il soggetto dichiarante che corregge l’errore sarà tenuto a versare la maggiore imposta comprensiva di interessi e sanzioni.

Come viene calcolata la sanzione?

L’entità della sanzione dipende dalla tipologia di omissione ed errore commesso. Se trattasi di un errore rilevabile attraverso il controllo automatico della dichiarazione ( mero errore di calcolo), la sanzione applicata è del 30% rispetto alle maggiori imposte dovute. La sanzione scende al 15% nel caso in cui la dichiarazione integrativa sia presentata entro 15 giorni dal termine di scadenza iniziale.

Nel caso in cui invece gli errori non siano rilevabili con il controllo automatico e quindi si versi nell’ipotesi di infedele dichiarazione, la sanzione varia dal 90% al 180% rispetto alla maggiore imposta dovuta.

Il versamento non deve per forza essere contestuale rispetto alla presentazione della dichiarazione integrativa. Nel caso in cui sia già stato notificato l’avviso di accertamento non è più possibile presentare la dichiarazione integrativa.

Nel caso in cui il dichiarante intenda operare attraverso il ravvedimento operoso sarà possibile ottenere anche una riduzione delle sanzioni.

Per conoscere il funzionamento del ravvedimento operoso, leggi l’articolo: Ravvedimento operoso: come fare pace con il fisco in maniera low cost.

Buoni Fruttiferi: Federconsumatori impugna ordinanza inammissibilità

Dopo la decisione del Tribunale di Roma di dichiarare inammissibile la Class Action, promossa da Federconsumatori, inerente il corretto calcolo delle imposte sui Buoni Fruttiferi Postali e a cui avevano aderito già migliaia di risparmiatori, l’associazione annuncia il ricorso avverso tale decisione. I risparmiatori possono continuare a sperare.

Class Action di Federconsumatori contro Poste Italiane

La controversia nasce in seguito alla sentenza del Tribunale di Bergamo che ha sanzionato Poste Italiane per il calcolo errato della tassazione applicata sui Buoni Fruttiferi Postali della serie Q emessi tra il luglio 1986 e il 31 ottobre 1995. In basso sono presenti i link degli approfondimenti su questa annosa questione.

Partendo da questa sentenza, Federconsumatori aveva proposto una class action a cui avevano dato la pre-adesione migliaia di risparmiatori in possesso dei titoli emessi da Poste Italiane e garantiti dallo Stato.

Preliminare alla vera trattazione della questione è il giudizio di ammissibilità che il Tribunale Civile di Roma ha rigettato lo scorso mese di gennaio 2022 per carenza di presupposti. Tra le motivazioni addotte vi è il fatto che il contraddittorio doveva essere integrato anche nei confronti di Cassa Depositi e Prestiti e nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre la Class Action è disciplinata nel Codice dei Consumatori, ma i ricorrenti non possono essere considerati tali in quanto sono investitori.

Buoni Fruttiferi Postali: Federconsumatori impugna l’ordinanza di inammissibilità della class action

Federconsumatori ha dichiarato di trovare inspiegabile e opinabile la motivazione con cui il Tribunale Civile di Roma ha dichiarato con ordinanza inammissibile la class action. Il presidente di Federconsumatori Michele Carrus sottolinea che nelle settimane trascorse l’associazione ha ricevuto molteplici sollecitazioni a proseguire la strada intrapresa. Di conseguenza è stata presa la decisione di proseguire e proporre reclamo alle giurisdizioni superiori avverso l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal Tribunale di Roma. Ha dichiarato: “I cittadini, che numerosi, in questi giorni, ci hanno manifestato la volontà di proseguire impugnando l’ordinanza, chiedono a gran voce giustizia. Una richiesta a cui non possiamo sottrarci.

Rimandiamo agli approfondimenti sulla questione per ulteriori informazioni sulla questione inerente i buoni fruttiferi postali della serie Q:

Buoni Fruttiferi Postali: perché ci sono controversie sulla serie Q/P?

Tassazione Buoni Fruttiferi Postali: la decisione del Tribunale di Bergamo

Buono da 5 milioni con rimborso 65.000 euro: pesante condanna per Poste Italiane

Maxi valutazione per un Buono Fruttifero del 1986: 246.560 euro

Class Action Buoni Fruttiferi di Poste Italiane: cosa sapere

Buoni Fruttiferi Postali: inammissibilità class action, motivi

Buoni fruttiferi postali: decisione sulla class action rimandata

Slitta ancora la decisione sull’ammissibilità della Class Action proposta da Federconsumatori contro Poste Italiane per le liquidazioni più basse rispetto alle aspettative dei Buoni Fruttiferi Postali della serie Q.

Class Action: decisione rimandata, occorre integrare il contraddittorio con Poste Italiane e Cassa Depositi e Prestiti

Oggetto della controversia sono i rendimenti e la tassazione calcolati sui buoni fruttiferi postali emessi tra il 1° luglio 1986 ed il 31 ottobre 1995 . Come già annunciato in un precedente articolo l’udienza che avrebbe dovuto decidere sull’ammissibilità dell’azione era stata fissata per l’8 novembre 2021.

La stessa si è tenuta ma il giudice ha chiesto maggiore tempo per decidere in quanto è opportuno preliminarmente valutare se debbano essere coinvolti  Cassa Depositi e Prestiti e il Ministero dell’Economia e delle Finanze perché entrambi hanno emesso dei titoli. Federconsumatori non appoggia tale tesi perché ritiene che la stessa porti esclusivamente ad allungare i tempi. L’altro nodo da sciogliere è se effettivamente sia ammissibile la Class Action contro Poste Italiane, quest’ultima ritiene che non si possa utilizzare tale procedura in quanto i fatti si riferiscono a un periodo in cui nel nostro ordinamento ancora non era prevista tale tipologia di azione giudiziaria.

Nel frattempo cresce il numero di coloro che hanno deciso di sostenere tale azione e di aderire alla stessa. Le pre-adesioni registrate da Federconsumatori superano le 4.000 unità anche se l’associazione sottolinea che i soggetti interessati potrebbero essere molti di più considerando l’emissione di circa 250.000 titoli.

Al momento non si conosce la data della nuova udienza per l’ammissibilità della Class Action, rimandiamo agli approfondimenti già scritti per coloro che sono in cerca di informazioni, mentre cercheremo di aggiornare nel più breve tempo possibile appena sarà nota la decisione.

Class Action Buoni Fruttiferi di Poste Italiane: cosa sapere 

Buoni Fruttiferi Postali: perché ci sono controversie sulla serie Q/P 

Tassazione Buoni Fruttiferi Postali: la decisione del Tribunale di Bergamo

Sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto: a quanto ammontano?

Il bollo auto, anche conosciuto come tassa di possesso o tassa di circolazione, è una delle tasse meno amate dai cittadini italiani, proprio per questo spesso si accumulano ritardi nei pagamenti, ma ci sono sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto?

Il bollo auto: cos’è

Il bollo auto è una tassa automobilistica gestita da Regioni e province autonome di Trento e Bolzano; deve essere pagato annualmente. Regole diverse si applicano per Friuli Venezia Giulia e Sardegna in cui la tassa è gestita direttamente dall’Agenzia delle Entrate. La normativa stabilisce che deve essere pagato entro un mese dalla scadenza, ad esempio se scade il 31 dicembre deve essere pagato entro il 31 gennaio. Può però capitare che ci sia una dimenticanza oppure che a causa di una scarsa disponibilità si decida di pagare successivamente, in questi casi è bene sapere si applicano sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto e questi sono commisurati al ritardo maturato.

Sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto

Le sanzioni e gli interessi da pagare per il bollo scaduto sono diverse dipendono dal ritardo maturato:

  • dal primo giorno di ritardo fino al 14° è prevista una sanzione dello 0,1% al giorno;
  • dal 15° giorno di ritardo al 30° giorno di ritardo la sanzione è dell’1,5%;
  • dal 31° giorno al 90° giorno la sanzione è dell’1,67%;
  • dal 91° giorno a un anno la sanzione è del 3,75%.

A questi importi devono essere sommati gli interessi  che fino ad un anno di ritardo nel pagamento ammontano allo 0,2% giornaliero per poi aumentare con ulteriori ritardi nei pagamenti.

Bollo auto scaduto: sanzioni e interessi 2021

Sul fronte di interessi e sanzioni per il bollo scaduto e non pagato vi sono state delle importanti novità, infatti in passato dopo il primo anno di ritardo le sanzioni previste erano del 30% degli importi  da pagare. Ora tali importi risultano ridotti e quindi per i mesi successivi al primo anno si pagherà una quota corrispondente a 1/7 di quella prevista in precedenza e quindi con una percentuale del 4,286% a cui si aggiungono gli interessi. Oltre i 24 mesi la sanzione raggiunge il 5% (decreto 124 del 2019).

Deve però essere sottolineato che vista l’emergenza Covid molte Regioni hanno provveduto a sospendere la maturazione di interessi e sanzioni per i pagamenti effettuati in ritardo. Ad esempio l’Emilia Romagna con la delibera 317 dell’08/03/2021 ha stabilito che le tasse automobilistiche in scadenza fino al 31 maggio 2021 possono essere pagate entro il 2 agosto 2021 senza che siano applicate sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto. Di conseguenza prima di pagare il bollo auto è bene verificare se la propria Regione di residenza ha statuito delle agevolazioni per l’anno in corso. Naturalmente è possibile pagare anche alla normale scadenza.

Merita particolare attenzione il fatto che molte Regioni, al fine di incentivare il pagamento nei termini del bollo auto, hanno previsto degli sconti per coloro che attivano la domiciliazione su conto corrente della tassa automobilistica, su questa linea ci sono la Lombardia e la Campania, quindi in ogni caso prima della scadenza è bene verificare le disposizioni della propria Regione anche recandosi presso le Agenzie di Pratiche Auto oppure agli sportelli ACI.

Cosa succede in caso di notifica della cartella di pagamento

Queste sono le tariffe previste per sanzioni e interessi per il bollo auto scaduto se c’è il ravvedimento operoso, quindi se volontariamente il contribuente si reca agli sportelli per pagare. La situazione cambia nel caso in cui sia l’ente di riscossione ad accorgersi del mancato pagamento e quindi notifichi una cartella. Il primo atto è un avviso bonario in cui si invita il proprietario del veicolo a regolarizzare la posizione entro 30 giorni. Ricordiamo che per il leasing, il noleggio a lungo termine, acquisto con patto di riservato dominio, usufrutto e contratti simili il pagamento spetta al possessore e non al proprietario.

Se il proprietario non procede al pagamento entro 30 giorni, le somme non riscosse vengono iscritte a ruolo, da questo momento il contribuente ha 60 giorni di tempo per regolarizzare la sua posizione. Nel caso in cui non dovesse ottemperare, si potrà procedere al fermo amministrativo del veicolo, da questo momento il veicolo non potrà circolare. Prima del fermo amministrativo viene notificato il preavviso di fermo. Dopo tre anni dal mancato pagamento si può procedere alla radiazione del veicolo dal Pubblico Registro Automobilistico. Occorre ricordare però che se l’Agenzia delle Entrate non pone in essere comportamenti volti a riscuotere il credito, il bollo auto scaduto cade in prescrizione. Il termine è di 3 anni, ma lo stesso viene interrotto da avvisi bonari, cartelle di pagamento e atti volti comunque a riscuotere il credito.

Interessi più leggeri per chi consegna le cartelle dopo 60 giorni

Interessi di mora più leggeri di mezzo punto percentuale per i contribuenti che a partire dal prossimo 1° ottobre porteranno in cassa le cartelle di pagamento dopo 60 giorni dalla notifica. La rideterminazione del tasso di interesse annuale dall’attuale 5,0243% al 4,5504%, stabilita in base alla media dei tassi attivi individuata dalla Banca d’Italia con riferimento al periodo dall’1 gennaio al 31 dicembre 2011, è contenuta in un provvedimento del direttore dell’Agenzia.

E’ l’articolo 30 del Dpr n. 602/1973 a prevedere che, passati 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, sulle somme iscritte a ruolo, tolte le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano – a partire dalla data della notifica e fino alla data del pagamento – gli interessi di mora, il cui tasso deve essere determinato annualmente con decreto del ministero delle Finanze, tenendo conto della media dei tassi bancari attivi.

Istituito il codice 1063 per gli interessi sui prestiti Ue

La risoluzione n. 110/E del 24 novembre 2011 ha istituito un nuovo codice, chiamato codice tributo 1063, con il quale il sostituto d’imposta può versare, tramite F24, la ritenuta del 6% sugli interessi dei prestiti tra società residenti negli Stati membri dell’Ue, già corrisposti alla data di entrata in vigore del Dl 98/2011, purché vi provveda entro il 30 novembre.

Va ricordato che il comma 8-bis dell’articolo 26-quater – Dpr 600/1973 (introdotto dall’articolo 23, comma 1 del Dl 98/2011), ha previsto l’esenzione dalle imposte sugli interessi e canoni corrisposti a società residenti negli Stati membri dell’Unione Europea a condizione che il percettore degli stessi fosse anche l’effettivo beneficiario dei proventi. Se non c‘è il beneficiario, il decreto ha stabilito un’aliquota del 5% su tali interessi.

Con riferimento ai prestiti in corso alla data di entrata in vigore del Dl 98/2011, le disposizioni introdotte dal comma 1 sono applicabili anche agli interessi già corrisposti, purché il sostituto d’imposta provveda, entro il 30 novembre 2011, al pagamento della ritenuta e dei relativi interessi legali. In tal caso è prevista l’applicazione di un’imposta del 6% su tali interessi, che è anche sostitutiva dell’imposta di registro sull’atto di garanzia.

Il codice tributo “1063” entra in gioco quando occorre eseguire tale versamento ed è denominato Ritenuta su interessi versata dal sostituto d’imposta – Articolo 23, comma 4, dl n. 98/2011.

Il codice è esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “Importi a debito versati”. Nello spazio “Anno di riferimento” va indicato l’anno in cui si esegue il versamento.

Vera Moretti