Macchine tessili, tutto nasce da qui

di Alessia CASIRAGHI

Aziende di dimensioni contenute, caratterizzate da una continua ricerca innovativa e da un alto tasso di creatività. E’ questa la ricetta della fortuna del settore della produzione di macchinari tessili in Italia? Dopo aver studiato da vicino i numeri del tessile in Italia, a conclusione di Milano Unica, e aver sondato l’andamento dell’industria tessile in un territorio più che significativo della penisola italiana, come il distretto della seta comasco, quest’oggi Infoiva ha deciso di andare ancora più a ritroso per porre l’accento su chi davvero rende possibile ‘la magia di un tessuto’: i produttori di macchinari tessili in Italia. Vera eccellenza del made in Italy? Ça va sans dire. La parola a Sandro Salmoiraghi, Presidente di Acimit, l’Associazione dei Costruttori Italiani di Macchinario per l’Industria Tessile.

Qual è la situazione attuale delle industrie italiane che producono macchinari tessili? Stanno soffrendo la crisi?
Come avviene per altri settori anche il meccanotessile italiano nel 2012 sta conoscendo un periodo congiunturale difficile. Si è riscontrato nella prima parte dell’anno un rallentamento della domanda di macchine tessili in molti mercati del settore. Le indicazioni provenienti dai dati dell’export e dall’indice degli ordini elaborato da Acimit trimestralmente confermano una contrazione dell’attività produttiva rispetto all’anno passato. I dati in nostro possesso di fonte Istat si fermano a maggio ed indicano una contrazione dell’11% rispetto al periodo gennaio-maggio 2011.

I macchinari tessili italiani sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Qual è il segreto del loro successo?
Creatività, qualità e affidabilità sono le caratteristiche che distinguono il macchinario italiano. Le dimensioni medio-piccole dei nostri costruttori, poi, agevolano il continuo confronto con il cliente, permettendo la realizzazione di macchine ad hoc secondo le specifiche esigenze dell’utilizzatore finale. Tutto ciò richiede un grosso sforzo innovativo: per competere con i concorrenti internazionali il nostro macchinario è caratterizzato da un elevato contenuto di innovazione applicata.

Quali sono i principali distretti italiani che producono macchinari tessili?
Nel dopoguerra l’industria meccanotessile si è sviluppata nei distretti tessili, dove la vicinanza con le aziende clienti ha permesso un continuo scambio di idee ed ha attivato le sinergie tipiche della filiera. Così le nostre aziende si sono insediate prevalentemente nei principali distretti tessili italiani. l’Alto Milanese e la Lombardia contano il maggior numero di aziende costruttrici di macchine tessili (48% del totale italiano). Seguono poi il distretto di Biella e quello di Prato, entrambi a forte vocazione tessile. E’ significativa anche la presenza di aziende costruttrici nell’area vicentina, dove invece emerge la tradizione legata alla meccanica.

Quali sono i maggiori Paesi esteri che acquistano macchinari italiani?
I principali mercati esteri del mercato italiano sono quelli asiatici, dove ormai è presente la maggior parte delle produzioni di tessile e abbigliamento mondiali. Ugualmente importanti sono alcuni mercati/Paese maggiormente sviluppati; qui la richiesta è indirizzata verso macchinari destinati alla realizzazione di produzioni di nicchia, soprattutto legate al tessile tecnico ed innovativo. La Cina è il Paese dove esportiamo la maggior parte dei macchinari destinati all’estero (nel 2011 il valore dell’export italiano verso il mercato cinese è stato di 450 milioni di euro con un incremento del 6%). Seguono poi Turchia, India e Brasile.

Come si combatte la concorrenza che viene da Oriente, Cina in particolare?
La Cina è ormai il primo costruttore di macchinario tessile. Ha sopravanzato Germania, Italia e Giappone. Le macchine cinesi però non mostrano ancora la qualità e l’affidabilità di quelle occidentali. Tuttavia, in molti mercati emergenti il prezzo è fattore determinante per la scelta del macchinario ed in questo caso prevale la proposta cinese. La nostra strategia è quella di offrire macchine sempre più innovative, spostando verso l’alto l’asticella dell’innovazione tecnologica.

Macchinari e continua evoluzione tecnologica. Come vedete il futuro delle aziende produttrici di macchinari tessili da qui a 10 anni? Quali sfide dovrà affrontare?
Il settore del tessile-abbigliamento è alla continua ricerca di processi produttivi sempre più cost-saving, dovendo affrontare la continua contrazione dei margini imposti da chi gestisce il mercato finale, vale a dire le grandi catene distributive. Ritengo che nei prossimi anni ci sarà spazio per i costruttori che studieranno soluzioni tecnologiche mirate a ridurre i costi del processo produttivo. A ciò si coniugherà l’attenzione verso la sostenibilità delle produzioni. Acimit ha già avviato ormai da due anni il progetto Sustainable Technologies (Acimit/ecosostenibilità), inteso a fare emergere l’impegno dei costruttori italiani di macchine tessili nella ricerca di soluzioni che rispondano ai canoni della sostenibilità. Impegno che si traduce in risposte tecnologiche ecologicamente efficienti ed efficaci, con notevoli benefici per chi utilizza queste tecnologie anche in termini di riduzione dei costi di produzione.

Almeno in questo settore, noi italiani siamo capaci di fare sistema o si va in ordine sparso?
Il difficile periodo congiunturale ha indotto a modificare alcuni comportamenti aziendali abbastanza diffusi. Anche se spesso si continua a camminare da soli, c’è maggiore consapevolezza in merito alla necessità di unire le forze per competere con i concorrenti internazionali. Secondo una recente indagine Acimit negli ultimi tre anni i costruttori italiani hanno fatto ricorso con più frequenza ad accordi commerciali, allo scopo di approcciare un mercato o proporre un’offerta più completa. Le operazioni di M&A, invece, restano ancora poche, come pure l’utilizzo delle nuove forme di aggregazione messe a disposizione dal legislatore, quali le reti d’impresa. Qualcosa insomma si muove, ma lentamente.

Crisi e famiglie, le strategie per resistere

Più vulnerabili e meno ricche. Le famiglie italiane si ritrovano ogni giorno a fare i conti con la crisi. Meno uscite – al cinema, al ristorante, nei locali – meno shopping e mete meno invidiabili per trascorrere le proprie vacanze. La conferma arriva anche dall’ultimo rapporto Istat 2012, diffuso in questi giorni, che registra come il potere d’acquisto delle famiglie italiane sia passato dai 130,2 miliardi del 2007, l’ultimo anno precrisi, ai 93,4 miliardi nel 2012.

Ma questa riduzione come ha inciso sulle abitudini quotidiane dei cittadini? Dove si cerca di risparmiare maggiormente? Infoiva ha scelto di chiedere ai diretti interessati, per capire come la crisi abbia influenzato stili di vita e tempo libero degli italiani. Che non si concedono più lussi, nemmeno quello ci credere che le riforme dell’attuale Governo possano davvero aiutarli a crescere. Ecco il video: vi riconoscete in queste storie?

Alessia CASIRAGHI

Intervista a Ivan Guizzardi, segretario nazionale FeLSA-Cisl

di Davide PASSONI

Controcanto torna con una intervista e, dopo la politica, ora tocca al mondo sindacale. Non sbuffate e mettete via per un attimo i preconcetti. Del resto, i lettori affezionati di Infoiva lo sanno: la nostra testata non è mai stata particolarmente tenera con i sindacati, specialmente con quanti, nel 2011, sposano concezioni anacronistiche del mondo del lavoro e difendono privilegi ormai indifendibili.

Eppure, nei rapporti tra mondo sindacale e libere professioni, qualcosa si muove e dà vita a realtà che guardano con più attenzione all’universo delle partite IVA, forzate o convinte che siano. È il caso di FeLSA-Cisl, che dà voce a somministrati, collaborazioni coordinate, partite iva e lavoratori autonomi. Abbiamo sentito il segretario nazionale Ivan Guizzardi e ci siamo fatti spiegare se e perché può essere virtuosa una collaborazione tra sindacato e partitivisti.

Partiamo da un dato di fatto: i lavoratori a partita IVA si sentono scarsamente rappresentati dai sindacati tradizionali. Perché questo, a suo avviso, e che cosa può dire a questo proposito FeLSA-Cisl?
La Cisl tutela da una dozzina d’anni il lavoro atipico e da una ventina circa i lavoratori autonomi, con una particolarità nella sua azione che nasce dalla cultura, propria di questo sindacato, di tutelare il lavoro in tutte le sue forme, non solo quello dipendente: a noi interessano la rappresentanza e le tutele del mondo del lavoro, è l’elemento cardine su cui ci muoviamo. Detto questo, la sua domanda è pertinente. Non c’è dubbio che la forza e gli interessi dei sindacati coincidono in larga misura, se non nella loro totalità, con quanto deriva loro dal lavoro dipendente. Il passaggio importante è avvenuto una dozzina di anni fa quando, di fronte al crescente fenomeno delle collaborazioni e delle somministrazioni, il sindacato si è reso conto che doveva cominciare a misurarsi con esso e non ne poteva prescindere, che doveva misurarsi con esigenze e bisogni caratterizzati da una tipologia e da una natura nuove. Infatti, i professionisti, nella loro particolarità, hanno esigenze e richieste che c’entrano in pieno con il mondo del lavoro.

E dunque, che fa il sindacato?
Oggi il sindacato è ancora poco rappresentativo nel campo del lavoro autonomo; la Cisl è stata la prima a occuparsene perché ne ha fatto una categoria, una federazione. Se si tiene conto che nella Cisl le federazioni hanno piena titolarità, aver riconosciuto questo è come aver dato dignità alla categoria. Anche gli altri sindacati si stanno ponendo di fronte all’esigenza di rappresentare questo mondo e tutti ci rendiamo conto di non poter trasferire su collaboratori e professionisti una concezione che applichiamo al lavoro dipendente, perché se è vero che molti professionisti lavorano a partita IVA perché obbligati a farlo, è pur vero che moltissimi hanno scelto liberamente di farlo. Io dico che hanno fatto uno scambio tra maggior tutela e maggior rappresentanza con maggiore libertà.

Non devono certo essere “puniti” per questo…
No, certo. C’è gente “subisce” la partita IVA perché non trova la possibilità di un lavoro dipendente e chi invece, tra le altre cose, la sceglie per non dover dipendere dai ritmi e dai diktat di qualcuno: è una scelta che rispettiamo e che pensiamo meriti delle tutele, le quali hanno una loro particolarità ma non sono certo di serie B. Si tratta di accompagnare questa intrapresa personale, che è importante per chi la fa e per l’economia del Paese.

Che cosa cambiare quindi, per introdurre le tutele di cui parla?
Nel mondo delle libere professioni c’è oggi un certo fermento, specialmente intorno a determinati aspetti fiscali, alla mancanza di ammortizzatori sociali ecc… Alcune tutele sono state introdotte e rafforzate dalla legge Biagi, valga per tutti il versamento previdenziale che all’inizio, quando era al 10%, era percepito quasi come una tassa mentre oggi, col versamento del 26,80%, il delta con quello che caratterizza il lavoro dipendente, al 33%, non è più così esagerato. Alla luce di questo, come sindacato riteniamo innanzitutto che, pur nella diversità di tipologia professionale e di scelte di lavoro, il trattamento previdenziale per professionisti e dipendenti debba essere lo stesso. Poi, come secondo punto, si devono rafforzare le tutele. Per esempio, non tutti sanno che all’interno di questo 26,80% c’è uno 0,50% che va in prestazioni e che attualmente dà diritto ad assegni familiari, a una diaria per prestazioni sanitarie e all’assegno di maternità. Noi sosteniamo che questo 0,50% debba essere rafforzato per consolidare il fondo previsto in Finanziaria a tutela di chi ha perso il lavoro e per investire in formazione, fondamentale per questa tipologia di lavoratori. Inoltre, questi soldi devono essere gestiti non dall’Inps ma da un fondo: finché li gestisce l’Inps ha un unico interesse, quello di fare cassa, e l’ente non fa conoscere le prestazioni o quantomeno ne rende difficile l’accessibilità. Ultimo punto, bisogna pensare a forme di previdenza integrativa anche per questo tipo di lavoratori. Su tutto questo FeLSA sta proponendo e approfondendo un ragionamento articolato.

Con quali strumenti e in che sedi?
Quelli di cui ho appena parlato saranno alcuni dei punti che inseriremo nel nostro programma quando discuteremo dello statuto dei lavori; come Cisl vorremmo che queste e altre tutele diventino operative presto. Noi pensiamo che non ci sia un sindacato che deve dire al professionista di che cosa ha bisogno, ma che il professionista, con altri professionisti, costruisca insieme al sindacato gli strumenti a tutela dei propri interessi e dei propri bisogni. Questa è la modalità con cui ci muoviamo. Non a caso, se fino a oggi la Cisl aveva lavoratori iscritti nelle diverse categorie professionali, ora li iscrive direttamente come singoli, in modo da poter costruire con loro queste tutele.

Vi confrontate con gli altri sindacati su queste tematiche?
Sì, ci confrontiamo. Naturalmente Cgil, Cisl e Uil rappresentano di più il lavoro dipendente, ma anche Uil ha recentemente dato vita a UIL Temp.@ per somministrati, atipici e lavoratori autonomi, così come con FeLSA. Con Cgil c’è ancora una distinzione, visto che non ha idea di rappresentare i professionisti direttamente. La nostra posizione è quella di fare degli accordi quadro in cui stabilire alcuni elementi minimali, dal compenso al tipo di prestazioni, inserendo alcune tutele in base alla diverse professionalità. Come sindacato portiamo avanti quest’opera utilizzando il nostro strumento principe, la contrattazione, con gli accordi da un lato e la costitutizone di tavoli con il governo dall’altro.

Che messaggio si sente di lanciare ai partitivisti che leggono Infoiva, che spaziano dal parrucchiere al piccolo imprenditore?
In un mondo in cui i rapporti di lavoro non sono più determinati dall’autorità ma da un concetto di lavoro di partecipazione, i lavoratori autonomi e i professionisti hanno piena dignità e hanno molto da dire in termini di propositività: si tratta di mettersi assieme per affermare che certe esigenze non possono che essere costruite in un percorso comune. Il sindacato non è l’unico interlocutore, ma voglio dire ai professionisti non ci devono sentire come un avversario: nel mondo del lavoro attuale il concetto di lavoro dipendente contrapposto alle libere professioni non ha alcun senso e il sindacato si propone per tutelare entrambe le forme. In una logica in cui il lavoro ha una dignità in se stesso, nell’uomo che lo intraprende e in ciò che vuole costruire, quest’uomo ha un interesse che lo accomuna ad altri uomini: ciò che serve è creare delle realtà che sappiano accompagnarlo in questo percorso lavorativo. Si raggiunge un peso non tanto per quanti si è in una determinata categoria, quanto per la capacità di esercitare un diritto e incanalarlo rispetto a bisogni ed esigenze comuni.

FOTO: http://www.cislvicenza.it/

Intervista all’on. Raffaello Vignali, promotore dello “Statuto delle imprese”

di Davide PASSONI

Questa settimana, per la prima volta, la rubrica Controcanto ospita una intervista. Fatevene una ragione: al direttore piace scrivere, piace parlare, piace dire la propria, ma a volte lascia agli altri questo compito, specialmente se ciò che hanno da raccontare è di qualche interesse per voi lettori.

Dopo la lettera-verità della scorsa settimana, con lo sfogo amaro di una professionista vittima di uno squallido subordinato, oggi tocca a un politico. Non storcete il naso, dai: a volte la politica italiana sa offrire qualcosa di molto diverso dal teatrino degli ultimi mesi, culminato con la grand soirée del 14 dicembre sul palcoscenico di Montecitorio. E lo offre anche nel campo dell’economia e del sostegno alle Pmi. La voce che ascoltiamo è di un esponente del Pdl che proprio alle Pmi ha sempre guardato con estrema attenzione, l’on. Raffaello Vignali.

A tutti coloro che sono pronti ad alzare il ditino lo dico e lo ripeto subito: Infoiva non ha colore politico e il fatto che oggi parli sulle sue pagine un esponente dell’attuale “maggioranza” (mi si passino le virgolette…) è perché, come avete letto qualche riga più su, ha da dire cose di un certo interesse per chi legge. Anche all’opposizione ci sono proposte e idee valide per sostenere e rilanciare il nostro tessuto produttivo ed economico; ascolteremo anche loro, senza dubbio, perché quello che ci interessa è l’Italia che produce e che propone, non quella che chiacchiera, e questa Italia c’è anche da una parte all’altra del nostro arco costituzionale. Noi abbiamo messo da parte i pregiudizi: fatelo anche voi e ascoltate senza filtri tutti coloro ai quali Infoiva vorrà dare voce. Oggi tocca all’on. Vignali.

Data l’attenzione che da sempre rivolge al mondo delle PMI, quali sono secondo lei gli ambiti su cui intervenire più urgentemente per “liberare” le imprese italiane e ridare loro slancio e competitività? Fiscalità, accesso al credito, costo del lavoro o che altro?
La prima condizione è un cambiamento culturale: passare dal sospetto alla fiducia verso chi fa impresa. Se si parte dal sospetto vengono posti migliaia di lacci e laccioli e pure tasse. Partendo dalla consapevolezza che chi fa impresa costruisce il bene per tutti, le cose cambiano. Detto questo, le prime cose che chiedono le imprese, soprattutto le piccole, non sono gli incentivi ma, piuttosto, semplificazione e tutela. Semplificazione: ovvero le norme che servono, e non una di più, tempi certi nella risposta da parte della PA e norme a misura di impresa (non pensate sulla taglia delle grandi aziende). Tutela significa difendere chi produce rispettando le norme. La Camera di Commercio di Milano stima in 10 miliardi di euro all’anno il mercato della contraffazione per la sola Lombardia. Il contrasto a questo fenomeno può farlo solo lo Stato. Nei prossimi giorni il Ministro Romani insedierà il Consiglio Nazionale Anti Contraffazione e chiederà ai nove Ministeri coinvolti – e ai soggetti che da loro dipendono – di intensificare il contrasto a questo fenomeno, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione. Anche a Bruxelles stiamo lavorando per approvare il regolamento “made in” che prevede l’obbligo di tracciabilità per tutte le merci che vengono importate in Europa. Poi speriamo che le condizioni dell’economia ci consentano di abbassare le tasse, perché abbiamo bisogno di lasciare più risorse nelle imprese per gli investimenti.

Quali sono le proposte e le iniziative che lei ha elaborato durante la sua esperienza parlamentare a sostegno delle imprese e dell’imprenditorialità?
In questi due anni ho lavorato su questi aspetti, sia intervenendo sui disegni di legge che passavano al Parlamento, sia con le proposte di legge per “l’impresa in un click” e – soprattutto – con quella che porta un titolo significativo “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”, che nelle prossime settimane approderà in Aula a Montecitorio. Lo Statuto allarga i principi dello Small Business Act dell’Unione Europea e li trasforma in diritti per le imprese.

Per l’economia italiana è più dannosa la crisi globale dalla quale ancora stenta a uscire o l’incertezza del quadro politico nazionale? Perché?
La cosa più dannosa è quella denunciata poco tempo fa da Giuseppe De Rita in occasione della presentazione del rapporto del Censis, ovvero la mancanza di desiderio, che riguarda tutto il Paese. Il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore, perché è ciò che rende protagonisti, che permette di rischiare per costruire. L’opposto del desiderio sono la sazietà e la mancanza di speranza. Nella mia regione, la Lombardia, in questi mesi sono più le imprese che hanno chiuso per mancata successione di quelle che hanno chiuso per la crisi… Quanto alla politica, il rischio che vedo è quello dell’astrazione, la separazione dalla realtà; se si è astratti non vengono assunte responsabilità, si segue solo il consenso immediato, cioè le mode. Di fronte alle sfide che abbiamo davanti, servirebbe invece responsabilità come sta chiedendo, inascoltato, il Presidente Berlusconi. Anche i media non aiutano, presentando solo il negativo, la rissa o un Paese visto morbosamente dal buco della serratura. Aspetto da anni di vedere raccontata in prima serata Rai una piccola impresa che innova, che va all’estero, che non licenzia, che resiste. Eppure sono la stragrande maggioranza, sono milioni…

Secondo lei c’è un Paese in Europa, oggi, al quale possiamo guardare come modello virtuoso per la gestione della fiscalità? Se sì, qual è? Se no, perché non ce ne sono?
A me piace il sistema fiscale irlandese, che prevede una tassazione flat al 12,5 per cento. Anni fa era al 50 per cento e quando hanno abbassato le tasse, nei tre anni successivi il gettito fiscale è triplicato. La crisi dell’Irlanda non è imputabile al sistema fiscale, ma alla trappola della finanza creativa. Nei giorni scorsi abbiamo visto tutti il braccio di ferro che ha fatto con la UE, che le chiedeva di aumentare le tasse per coprire il deficit; l’Irlanda si è detta piuttosto disposta a rifiutare l’aiuto europeo che a manovrare il fisco in senso peggiorativo. Hanno ragione gli Irlandesi, perché considerano la crescita fattore essenziale della stabilità.

Se vuole, legga con attenzione la testimonianza riportata in questo link. Che cosa può fare la politica per tutelare il patrimonio di capacità, volontà, idee e ricchezza che i liberi professionisti portano quotidianamente all’Italia e alla sua economia e che spesso viene ignorato se non calpestato?
Intanto va detto che il caso in questione è anomalo: si tratta di una elusione delle norme sul lavoro. Quando si è in regime di monocommittenza, con un orario minimo fisso di 8 ore, non si può parlare di libera professione, ma di un grave errore da parte dello studio professionale. Si fa aprire la partita Iva a una persona che svolge un lavoro subordinato, riducendo il costo del lavoro al 20 per cento, Irap compresa: siamo nel campo dell’irregolarità. Detto questo, vale per le partite iva quello che vale per le piccole imprese, quali sono a tutti gli effetti. Si può lavorare a più livelli. A me piace molto la legge francese sulla microimpresa fatta dal Ministro dell’Economia e ne stiamo presentando una versione italiana alla Camera. Lo Statuto delle Imprese, poi, riconosce alle certificazioni rese dai professionisti un ruolo alternativo a quello del controllo da parte della PA.

La missione principale della nostra testata è quella di trasmettere ottimismo al “popolo delle partite IVA”: da parlamentare della Repubblica, lanci il suo messaggio di ottimismo perché questo “popolo” continui a credere nelle potenzialità del nostro Paese.
Guardare il positivo che c’è, a cominciare dal desiderio di essere protagonisti della propria vita. Siamo un popolo straordinario, che nella difficoltà riesce a tirar fuori il meglio di sé. Non dobbiamo avere paura della vita. E dobbiamo fare rete tra chi vive quotidianamente il proprio impegno con senso di responsabilità.

Photo: AGLAIA