Un segno distintivo sui prodotti Made in Italy esportati all’estero

Il 21 marzo è avvenuto un incontro importante tra Carlo Calenda, Ministro per lo Sviluppo economico, e il Sottosegretario Ivan Scalfarotto, con alcuni rappresentanti di Confindustria, il cui tema era quello di dare ai prodotti Made in Italy diretti verso i mercati esteri un segno distintivo, che aiuti non solo a farli riconoscere dai consumatori, ma anche e soprattutto a difenderli dalle contraffazioni.

Ultimamente, infatti, molti dei prodotti che rappresentano l’Italia tanto da diventare delle vere e proprie icone nell’immaginario dei consumatori stranieri, se pensiamo al Parmigiano Reggiano, all’olio d’oliva, ma anche a Grana Padano e prosciutto, sono tutti stati messi a rischio a causa di falsificazioni che discreditano l’originalità e la tradizione del Made in Italy.

Se si pensa alle perdite economiche e di immagine, poter far conto su un distintivo che ne attesti la qualità è sicuramente una giusta soluzione, e un modo di attaccare l’abusivismo.
Tale contrassegno verrebbe applicato sulle esportazioni verso i Paesi extra Ue.

Dalla riunione appena svoltasi, sembrerebbe che i presupposti ci siano tutti per arrivare ad avere questo ambito e prezioso contrassegno. Per questo motivo, nelle prossime settimane il Ministero dello Sviluppo Economico, in accordo con le associazioni del mondo produttivo darà vita a un’attività di verifica approfondita delle condizioni e dei requisiti di fattibilità tecnica per le aziende all’esito della quale il MISE si riserva di avviare operativamente la fase di sperimentazione.

Vera MORETTI

Agroalimentare italiano, il tuo nemico è il tarocco

Il tarocco alimentare sui prodotti italiani non conosce tregua. Per difendere l’ agroalimentare italiano dalle imitazioni a basso costo sono scesi in campo oggi migliaia di agricoltori arrivati con i trattori al Paladozza di Bologna, chiamati a raccolta da Coldiretti.

Coldiretti che ha denunciato come 2 prodotti alimentari spacciati come italiani su 3 e venduti nei supermercati all’estero, non c’entrano nulla con l’ agroalimentare italiano. Una denuncia che arriva sulla scorta del dossier “Cosa si mangia di italiano in Europa”, presentato da Coldiretti stessa, che ha collaborato alla task force dei Carabinieri dei Nas all’estero per verificare quali sono i prodotti dell’ agroalimentare italiano maggiormente contraffatti e venduti all’estero. E sono uscite cose che, se non fossero un danno per la nostra economia, farebbero anche sorridere.

In Slovenia si vendono Mortadela e Kapeleti, in Romania il Parmezali, in Portogallo la Milaneza pasta fino al ‘Carpaccio formaggio’ olandese. La ricerca di Coldiretti e dei Nas ha battuto diverse capitali, in cerca di prodotti contraffatti dell’agroalimentare italiano: da Londra a Bruxelles, da Berlino a Budapest, da Bucarest a Lubiana.

Oltre ai tarocchi orribili di cui sopra, Coldiretti prende a esempio le derive di due delle eccellenze dell’ agroalimentare italiano come maccheroni e spaghetti. I primi diventano Makaroni nei supermercati inglesi e ungheresi, Macarone e Macaroni in Romania e Bulgaria. I secondi diventano Spageti in Slovenia, Spaghete in Romania Spagheroni in Olanda.

Come detto, ci sarebbe da sorridere se da questi orrori non derivasse un danno incalcolabile per nostra economia: “In una fase di stagnazione dei consumi nazionali – ha dichiarato il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo -, il mercato estero in crescita è diventato fondamentale per l’agroalimentare italiano, tanto da rappresentare circa 1/3 del fatturato complessivo, ma in alcuni settori, come ad esempio il vino, le vendite fuori dai confini sono addirittura arrivate a superare quelle interne. È ormai improrogabile la necessità di estendere e potenziare le azioni di vigilanza, tutela e valorizzazione del vero made in Italy all’estero negli scaffali dei supermercati e sulle tavole dei ristoranti dove possiamo contare su una estesa rete di chef da primato a livello internazionale“.

Le istituzioni a difesa del made in Italy

La lotta al cosiddetto italian sounding, ossia l’utilizzo di nomi che richiamano i prodotti agroalimentari del made in Italy per vendere in realtà cibo taroccato, parte anche e soprattutto nelle sedi istituzionali.

Ecco perché è importante la campagna di promozione strategica del cibo 100% made in Italy presentata nei giorni scorsi alla stampa a Montecitorio e promossa da Camera dei Deputati, ministero dello Sviluppo Economico e Assocamerestero.

Si tratta di un progetto che fa parte della strategia di promozione del made in Italy nella quale è impegnato da tempo il Governo proprio per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e tutelare dalle frodi i consumatori stranieri. Una battaglia che ora può contare su un plafond di 7,5 milioni di euro nel triennio 2015-2017 messi a disposizione del sistema delle Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Un importante impegno economico che servirà a finanziare, durante il primo anno del progetto, alcune iniziative promozionali negli Stati Uniti, in Canada e in Messico con il coinvolgimento delle locali Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Al centro di queste attività a sostegno del made in Italy ci saranno importatori, distributori, responsabili acquisti delle catene alberghiere, chef, food blogger, nutrizionisti, giornalisti di settore e opinion leader del mondo food.

Tutte queste figure coinvolte parteciperanno a iniziative come l’incoming di operatori del settore food in Italia, la formazione per gli operatori del settore food, l’incoming educational per gli opinion leader dei Paesi oggetto del progetto, eventi di promozione e piani di comunicazione a tutela e sostegno del made in Italy agroalimentare.

Food Made in Italy re dell’export

Seppur siano tanti i settori di eccellenza che hanno imposto il Made in Italy oltre i confini nazionali, è ancora il food che spopola e che colloca il Belpaese ai vertici mondiali di gradimento, con ben 20 prodotti.

Sono la pasta, le conserve di pomodoro, gli insaccati, i formaggi, ma anche le verdure e gli ortaggi, i prodotti più amati dagli stranieri, in particolare nel Paesi dove l’export è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno, come la Germania (+17,3 per cento), la Francia (+20,5 per cento), l’Inghilterra (+23,6 per cento) e gli Stati Uniti (+37,8 per cento).

Tra gli alimenti che solleticano le papille gustative in Europa e nel mondo, ci sono anche i dolci e i prodotti da forno, il caffè, le carni e i vini, immancabili quando si tratta di Made in Italy.

si tratta di un patrimonio il cui export vale 30 miliardi di euro, in crescita di un terzo rispetto a cinque anni fa, nonostante le contraffazioni e l‘italian sounding, che danneggiano pesantemente il nostro nome e le nostre tradizioni.

Le cifre sono da capogiro: si tratta di un fatturato di quasi 300 miliardi di euro, che garantisce 230mila posti di lavoro.
Considerando la qualità, altissima, dei prodotti, c’è da andarne fieri.

Vera MORETTI

Federalimentare: recuperare il mercato russo

Il presidente russo Vladimir Putin è comparso a Expo 2015 e ha ricordato come le sacrosante sanzioni imposte alla Russia dalla comunità internazionale per la gestione della guerra con l’Ucraina siano un danno per le imprese di un Paese come l’Italia, che ha nel Paese degli zar un mercato di primissimo piano.

Non sono quindi casuali le parole dette, sempre a Expo 2015 nell’assemblea pubblica di Federalimentare da Luigi Scordamaglia, presidente della federazione dell’industria alimentare italiana, il quale ha affermato che per le imprese italiane del settore agroalimentare “il mercato russo è strategico e insostituibile e va recuperato a qualsiasi costo“.

Grazie all’Italia – ha proseguito il presidente di Federalimentare -, l’agroalimentare può essere un ponte di rilancio. L’auspicio è che l’incontro di oggi tra il presidente Putin ed il presidente del Consiglio Renzi, in un contesto così universale come Expo, possa riavviare il dialogo favorendo il ritorno delle eccellenze del food and beverage italiano sul mercato russo“.

Ma quali sono, secondo Federalimentare, le cifre che all’Italia costano le sanzioni contro la Russia? Nel 2013, ossia nell’ultimo anno prima che fosse imposto l’embargo, secondo Federalimentare la Russia era undicesima tra gli sbocchi dell’agroalimentare italiano, con una quota export di 562,4 milioni di euro (+24,4% sul 2012), pari al 2,2% dell’export alimentare italiano. Nel 2014 il calo dell’export agroalimentare in Russia è stato del 6% mentre, sottolinea allarmata Federalimentare, nel primo bimestre del 2015 le esportazioni sono crollate del 46,3%, con il settore lattiero-caseario di fatto scomparso: -97%.

Conclude il presidente di Federalimentare: “In meno di un anno, i limiti imposti a questo mercato sono costati alle nostre aziende alimentari circa 165 milioni di euro. Ma la perdita in valore assoluto di mancata esportazione è un dato trascurabile rispetto all’interruzione di un processo di scoperta e fidelizzazione che sta avvantaggiando la concorrenza e la contraffazione. In altre parole, non potendo accedere direttamente ai nostri prodotti, i russi stanno acquistando delle imitazioni. Per la prima volta, in Russia si sta affermando l’italian sounding. Se non si interviene al più presto, sarà difficile recuperare“.

Un logo per l’ agroalimentare italiano

Nella lotta senza quartiere alla contraffazione alimentare, adesso il made in Italy potrebbe avere un’arma in più. È stato infatti presentato nei giorni scorsi a Expo 2015 da parte del ministero delle Politiche Agricole, il “Segno unico distintivo del settore Agroalimentare italiano”, in pratica un logo unico e distintivo dell’ agroalimentare italiano.

Del resto, che l’ agroalimentare italiano sia una miniera d’oro anche e soprattutto per i taroccatori, lo testimoniano le cifre relative allo scorso anno. Nel 2014, infatti, l’ agroalimentare italiano ha registrato un valore di 34,4 miliardi di euro di export. Solo nel primo trimestre 2015 siamo già a 8,7 miliardi solo e l’obiettivo per il 2020 è di 50.

Con il logo unico del made in Italy presentato a Milano saranno marchiati i prodotti dell’ agroalimentare italiano che nascono in Italia, per evitare la confusione con i cloni che spopolano nel mondo e che sfruttano il cosiddetto “italian sounding” (nome simile a quello italiano) per mascherare una palese contraffazione.

Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha così commentato l’iniziativa: “Il logo, insieme allo slogan ‘The extraordinary Italian taste’, servono a identificare subito le attività di promozione dei nostri prodotti attraverso un’operazione di riconoscibilità. Il fine è quello di creare un filo conduttore che leghi tutte le attività di promozione del vero prodotto italiano sullo scenario internazionale. Il nostro obiettivo è essere al fianco delle imprese che in questi anni hanno messo in campo energie, capacità di fare, passione, aziende che hanno consentito all’Italia di registrare una crescita del 70% dell’Export Agroalimentare negli ultimi 10 anni”.

Il logo e lo slogan saranno utilizzati, tanto sui prodotti dell’ agroalimentare italiano, quanto durante le fiere internazionali per la promozione nei punti vendita della grande distribuzione estera, a anche sui social media e nelle campagne di comunicazione e promozione in Tv e sui media tradizionali.

Federalimentare a Expo2015

Expo2015 si avvicina a grandi passi e il suo focus su alimentazione e nutrizione non può che sposare in pieno una delle eccellenze italiane, l’agroalimentare. La vetrina dell’Esposizione Universale sarà l’occasione per Federalimentare di farlo conoscere a tutto il mondo grazie al padiglione CibusèItalia, presentato nei giorni scorsi a Milano dal presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia.

Il padiglione realizzato per Expo2015 racconta il cibo italiano attraverso la tradizione, l’innovazione e le strategie di 500 aziende della filiera alimentare tricolore. Il padiglione è disposto secondo le logiche delle filiere merceologiche e attrezzato con una terrazza che conta già un centinaio di eventi e convegni lungo tutto il periodo di apertura dell’esposizione.

Federalimentare è in prima linea, anche grazie al padiglione CibusèItalia di Expo2015, nella tutela e promozione della nostra filiera alimentare e nel contrasto al cosiddetto “Italian sounding”, ovvero prodotti spacciati per italiani solo per assonanza del nome ma in realtà dei biechi tarocchi.

L’industria alimentare italiana – ha infatti ricordato Scordamagliaè la più grande creatrice al mondo di valore aggiunto nella trasformazione dei prodotti alimentari. Le enormi potenzialità per l’export stanno tutte in questo semplice principio, sta a noi saperle cogliere. Non possiamo accontentarci del +3,5% dell’export registrato nel 2014 e neanche del +5/6% previsto per l’anno in corso“. L’obiettivo è infatti quello di portare, entro il 2020, il valore delle esportazioni italiane a quota 50 miliardi, così come previsto dal piano strategico del governo e condiviso da Federalimentare. Expo2015 è la prima, grande occasione per inseguire questo primato.

Confindustria contro l’italian sounding

L’allarme era stato dato da Coldiretti e da altre associazioni che si occupano di proteggere i diritti dei consumatori e di salvaguardare il Made in Italy.

Ora anche Confindustria ha voluto affrontare la questione, dopo l’ennesima scoperta di prodotti contraffatti che stanno facendo il giro del mondo, e che di italiano non hanno proprio nulla.

Qualche esempio? Il “Parmesan” spagnolo, il “San Daniele Ham” prodotto in Canada, il Chianti californiano e i pomodori San Marzano statunitensi.

Insomma, si tratta di una marea che sta diventando sempre più imponente, e che rischia di travolgerci, mettendo a rischio la qualità, la tradizione e la fama che da sempre ha il Made in Italy.

La nuova tendenza si chiama italian sounding e non si propone come contraffazione vera e propria, ma come un “utilizzo illecito della forza evocativa dell’italianità”, che di fatto rappresenta una forza sul mercato, che frutta, solo nei Paesi Ue, ben 21 miliardi di euro, contro i 13 dei prodotti originali.

Ma cosa viene “copiato” di più? Prima di tutto, tessile ed abbigliamento (25,5 milioni), poi 16,5 milioni di giocattoli, 8,7 milioni prodotti di elettronica, informatica ed audiovideo, 6,3 milioni di farmaci

A rendere noti questi dati è stata Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria per l’Europa, Lisa Ferrarini, intervenuta in audizione alla commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione.

Queste le sue parole: “L’italian sounding va combattuto con strategie di marketing e valorizzazione del prodotto italiano, attraverso la difesa dei marchi e delle denominazioni d’origine”.
Occorre, perciò, “sensibilizzare i consumatori esteri sul prodotto realmente italiano, va attuata con estrema determinazione. L’appello di Confindustria a questa Commissione è che segnali anch’essa al governo la priorità e l’urgenza di identificare durante il semestre italiano di presidenza della Ue una soluzione di compromesso che permetta finalmente l’approvazione definitiva della norma del made in Italy”.

Vera MORETTI

Agroalimentare in pericolo a causa dell’Italian Sounding

Per contrastare il fenomeno, sempre più diffuso e preoccupante, dell’Italian Sounding, denominazione usata per indicare la pratica imitativa che, in tutto il mondo, mette a rischio la credibilità del Made in Italy.

In particolare, il concetto di Italian Sounding è riferito all’agro pirateria, che riguarda la contraffazione dei prodotti più tipici della gastronomia italiana, a cominciare dal Parmigiano Reggiano, diventato, in una bruttissima copia, Parmesao.

Il “gioco” dei produttori e distributori di presunto cibo italiano è semplice: utilizzare un nome che vagamente riconduce all’Italia per attirare i consumatori, soprattutto stranieri, amanti della cucina del Belpaese.

E non si tratta solo di proporre prodotti di bassa qualità e scarso sapore, ma soprattutto di una vera e propria frode alimentare, tanto da richiedere un serio monitoraggio, poiché il fenomeno è costantemente in ascesa.

Per limitare, e in futuro evitare, il danno che questa pratica sta portando al Made in Italy, in termini di export e di fiducia da parte dei consumatori, sono chiamate in causa le istituzioni di governo e le istituzioni locali, che devono incrementare ciascuna quei metodi risultati più efficaci per contrastare il fenomeno della contraffazione alimentare.

In primo luogo, servono maggiori controlli sull’origine del prodotto, ma anche maggiori controlli da parte degli organi di vigilanza; sistemi di tracciatura automatica; sanzioni più severe; maggiori risorse umane dedicate allo smascheramento della contraffazione alimentare; collaborazione tra organi pubblici e privati; certificazioni di qualità; brevetti; marchi aziendali e collettivi e riconoscimenti quali Dop, Igp.

Il consumatore, da canto suo, può aiutarsi nell’acquisto ricorrendo alle sue conoscenze ma anche rivolgendosi al gestore del negozio e, se necessario, agli organi competenti.

La contraffazione è un reato penale e come tale va perseguito dalla legge, che in materia lo tratta seguendo i seguenti articoli: Art. 473 e Art 474.
A questo proposito anche la Guardia di Finanza offre diversi consigli per fare attenzione a non compiere acquisti che potrebbero frutto di contraffazione:

  • Porre molta attenzione agli acquisti fatti tramite Internet.
  • Diffidare delle vendite porta a porta.
  • Valutare sempre attentamente il rapporto qualità/prezzo (se un olio extravergine di oliva è venduto a poco dovrebbe sempre far insospettire)
  • Controllare sempre attentamente le etichette e la conformità della confezione, che non sia ammaccata, che l’etichetta sia chiara e leggibile e che l’inchiostro non sia cancellato.

Vera MORETTI

Se il prosecco arriva sulle note del tango

 

La guerra al Prosecco ‘tarocco’ è appena cominciata. E poco importa se si tratti di brasiliano, neozelandese o made in Melbourne, spacciarsi per bollicine nostrane non va già ai produttori di vino e prosecco DOP.

L’ultimo in ordine di arrivo è il famigerato Prosecco di Buenos Aires: note tanguere, bouquet speziato con un retrogusto di pampa e note di fondo che evocano la Terra del Fuoco. “Noi produttori di vero Prosecco DOP siamo arcistufi. Quello scovato a Buenos Aires e’ solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, di Prosecco ‘tarocco’”: sono le parole con cui Mirco Battistella, produttore 27enne veneto delle celebri bollicine trevigiane, denuncia l’ultima scoperta enologica proveniente dalla Slovenia. Nel corso di  ‘Slovenian Wine Event’, la kermesse enogastronomica organizzata dall’Hotel Kempinski Palace è stato scoperto un Prosecco spacciato per made in Italy e commercializzato in Sudamerica, con tanto di leone marciano come logo in etichetta, prodotto da uve coltivate nella campagna attorno alla città argentina di Mendoza, al confine con il Cile.

Anche l’Argentina ci scippa il Prosecco – prosegue Battistella.Siamo arrabbiati e demoralizzati, mentre nell’azienda Battistella e in centinaia di altre piccole e grandi aziende italiane si produce del Prosecco DOP – vino a denominazione protetta tutelato dalla UE ndr – rispettoso di un rigido disciplinare, garanzia di qualità per il consumatore, in Argentina, viene prodotto un vino ‘metodo classico’ dal nome ‘Proseccus Vino Espumoso Prosecco’ che del vero Prosecco DOP ha davvero poco se non il nome”.

Battistella denuncia la situazione in cui si trovano ad operare i produttori di Prosecco DOP: “Da una parte ci troviamo costretti ad operare in un mercato nazionale e internazionale che valorizza bollicine sempre più economiche, talvolta ‘veicolate’ con il nome prosecco, anche se in etichetta la magica parola Prosecco non e’ inserita: bensì si leggono ‘Glera’ o nomi di fantasia. Stiamo vivendo, infatti, un abbassamento costante dei prezzi, fenomeno allarmante e, negli ultimi 12 mesi, sempre più frequente e tendente a dinamiche di dumping. Dall’ altra l’attuale contesto normativo non e’ in grado di tutela, e quindi valorizzare, all’ estero le peculiarità della Denominazione: il nome ‘Prosecco’ ad esempio

E il tema dell’Italian sounding è tra le questioni poste al centro dell’incontro che si è tenuto il 12 dicembre a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, e i rappresentanti delle maggiori organizzazioni della filiera agroalimentare nazionale: Sergio Marini, presidente di Coldiretti, Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, Giuseppe Politi, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori, Franco Verrascina, presidente di Copagri, Maurizio Gardini, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane – settore Agroalimentare, e Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare.

Qualche numero: l’italian sounding “scippa” al nostro paese 50 miliardi, con 2 prodotti alimentari su 3venduti all’estero che di italiano hanno soltanto il nome. La pirateria agroalimentare è il nuovo fenomeno da combattere, almeno a suon di bollicine.