Consulenti del lavoro: Sud batte Nord nelle assunzioni

I Consulenti del lavoro fanno il punto sulle assunzioni nel mercato del lavoro italiano, anche in rapporto alle novità introdotte dal Jobs Act, e scoprono che in Italia, si assume di più nel Mezzogiorno che al Nord.

Il dato emerge da un’analisi effettuata dall’Osservatorio della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro sulla base dei dati Inps e delle denunce Uniemens. Secondo i risultati dello studio, nei primi 7 mesi del 2015 i posti di lavoro sono cresciuti al Sud più che al Centro e al Nord-Est.

Nello specifico, nel periodo gennaio-luglio 2015, a livello Italia vi è stato un saldo positivo di 706.128 unità tra rapporti di lavoro avviati e rapporti interrotti. Di questi oltre 700mila rapporti, rilevano i Consulenti del lavoro, il Sud ha fatto registrare +155.139 rispetto a +152.538 unità del Centro e a +139.212 unità delle regioni del Nord-Est.

I Consulenti del lavoro, però, mettono in guardia sull’ancora eccessivo numero dei contratti a termine, che falsano un po’ i dati sull’occupazione: “I contratti a termine continuano ad essere troppi: ad agosto 2 milioni e 449mila unità, probabilmente perché il periodo estivo favorisce l’aumento di lavori stagionali o semplicemente perché l’ingresso nel mondo del lavoro passa attraverso un periodo di rapporto a tempo determinato per facilitare prima la conoscenza e, poi, la fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. I contratti a termine potrebbero fortemente diminuire se l’esonero contributivo triennale venisse confermato anche per il 2016“.

Infine, nella loro analisi i Consulenti del lavoro commentano i dati Istat sulla disoccupazione di agosto, al di sotto del 12% (11,9%). “Un piccolo calo, -0,1% rispetto a luglio, ma che raggiunge il -0,7% rispetto ad agosto 2014. In un anno, infatti, hanno trovato un impiego 325mila italiani in più, soprattutto donne se guardiamo i dati registrati ad agosto in cui il tasso di occupazione femminile è cresciuto dell’1,6% rispetto al +1,4% di quella maschile”.

Sgravi triennali finiti, l’allarme dei consulenti del lavoro

I consulenti del lavoro lanciano l’allarme: i fondi a sostegno degli sgravi triennali previsti dal governo per favorire la stabilizzazione delle assunzioni nelle aziende (1,8 miliardi) sono agli sgoccioli. Anzi, secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro si sono già esauriti il mese scorso e per coprire i rimanenti 4 mesi del 2015 sono necessari altri 3 miliardi.

L’esonero contributivo reso possibile dagli sgravi triennali si è dimostrato, nei primi 7 mesi del 2015, uno strumento formidabile per le aziende, che ne hanno fatto largo uso per stabilizzare i propri dipendenti. A molti ha fatto gola lo sconto fino a 8.060 euro per 3 anni sulle assunzioni a tempo indeterminato effettuate fino al 31 dicembre 2015.

Un utilizzo importante, che ha prodotto un boom di assunzioni a tempo indeterminato che ha finito con il mettere in difficoltà i conti dell’esecutivo. I dati pubblicati dall’Inps sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato instaurati nei primi 7 mesi di quest’anno (786mila) confermano dunque le stime dei Consulenti del Lavoro sugli sgravi triennali: “Sono esauriti i soldi stanziati per l’esonero contributivo. A fronte di 1,8 miliardi stabiliti a copertura, al 31 agosto 2015 sono stati spesi oltre 1,9 miliardi di euro. I dati forniti dall’Inps confermano le nostre stime che prevedono un numero di assunzioni agevolate a fino anno di 1 milione e 150mila rapporti di lavoro e una spesa complessiva di poco meno di 5 miliardi dunque una esigenza di copertura di 3 miliardi“.

Per ora dal Tesoro e dal Governo non commentano queste stime, ma è comunque prevedibile che nelle prossime settimane si proceda a integrare le risorse stanziate per gli sgravi triennali (purché si trovino le risorse necessarie…) per poter arrivare almeno fino alla fine del 2015.

Jobs Act, impresa e lavoro: un convegno a Napoli

Il Jobs Act è sempre al centro del dibattito e delle analisi di molte associazioni professionali. Anche i commercialisti non si sottraggono a questo dibattito e, a pochi giorni di distanza dall’approvazione degli ultimi quattro decreti attuativi in materia di lavoro a completamento del Jobs Act, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ne parlerà in un convegno nazionale su “Impresa e lavoro nel Jobs Act” convocato per venerdì 18 settembre al Grand Hotel Vesuvio di Napoli, dalle 14 alle 19.30.

L’evento è organizzato in collaborazione con l’Ordine dei commercialisti di Napoli e toccherà diversi punti relativi al Jobs Act attraverso un articolato programma con la presenza di rappresentanti delle professioni, della politica e delle istituzioni, tra i quali sono attesi anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo de Luca, e il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.

Toccherà al presidente dell’Ordine dei commercialisti di Napoli Vincenzo Moretta e al suo consigliere delegato al Lavoro Giovanni Granata dare il benvenuto ai partecipanti; i loro interventi saranno seguiti da quelli del segretario nazionale di categoria, Achille Coppola, e del consigliere nazionale con delega all’area “commercialista del lavoro” Vito Jacono, che curerà l’introduzione ai temi oggetto del convegno, impresa e lavoro nel Jobs Act.

Sono previsti gli interventi di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei deputati; Giovanni Prisco, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Nola; Ilaria Feola, dirigente della Direzione generale Attività ispettive del ministero del Lavoro; Vincenzo Tedesco, responsabile Gestione del credito Direzione centrale Entrate Inps; Carla Musella, presidente della I sezione Lavoro del tribunale di Napoli; diversi docenti di diritto del lavoro presso le università Federico II, Parthenope e Suor Orsola Benincasa di Napoli e quella di Catanzaro.

La sessione pomeridiana, del convegno “Impresa e lavoro nel Jobs Act” sarà invece caratterizzata degli interventi tematici da parte dei componenti della commissione “commercialista del lavoro” del Consiglio nazionale di categoria: Antonio Alfè, Maria Luisa de Cia, Mauro de Santis, Lorena Raspanti e Antonio Serpe.

La conclusione dei lavori sarà affidata al presidente dell’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Napoli, Matteo de Lise, e al presidente della commissione “commercialista del lavoro” del Consiglio nazionale, Lorenzo Di Pace, che tireranno le somme su quanto impresa, lavoro e Jobs Act siano voci conciliabili o inconciliabili.

RTI sui decreti del Jobs Act

Il Jobs Act e i decreti che ne scaturiscono sono sorvegliati speciali da parte di Rete Imprese Italia, che vuole capirne gli sviluppi e le conseguenze, anche a lungo termine.

Da una nota emanata da RTI si legge che: “I quattro schemi di decreti legislativi all’esame del parlamento contengono molteplici e diverse disposizioni, in larga parte condivisibili, ma permangono alcune specifiche problematiche”.

Andando nel dettaglio, e considerando le politiche attive e il riordino dei servizi per il lavoro, la riforma viene considerata efficace “perché mira a realizzare una regia unica e coordinata per i servizi per il lavoro” anche se, si sottolinea, va chiarito il ruolo dei fondi interprofessionali per la formazione continua, che sono e devono restare soggetti privati per continuare a far crescere la professionalità e occupabilità dei dipendenti e la competitività delle imprese“.

Anche il provvedimento che istituisce l’Agenzia ispettiva unica è stato apprezzato da RTI, poiché si tratta di un progetto già caldeggiato in passato per garantire maggiore certezza del diritto e delle regole a tutti gli operatori.

Relativamente alla riforma degli Ammortizzatori sociali, risulta condivisibile l’obiettivo di riformare, ampliandole, le tutele per i lavoratori che ne erano privi e salvaguardando le specificità dei settori economici, ma occorre prevedere che l’equilibrio del fondo di solidarietà, allargato alle imprese con più di 5 dipendenti, permetta anche la riduzione in futuro del contributo se le gestioni dovessero risultare costantemente attive.
Non possono poi essere imputati ai Fondi di solidarietà i costi per i contributi figurativi dei lavoratori sospesi, previsione che realizzerebbe un trattamento penalizzante e ingiustificato solo per le imprese inserite in questi fondi.
Inoltre, vanno confermate le disposizioni che hanno consentito al fondo di solidarietà bilaterale dell’artigianato di integrare le prestazioni erogate dal Fondo con l’indennità di disoccupazione.

In ultimo, le disposizioni per la semplificazione: “accanto a previsioni realmente positive, quali il rafforzamento del sistema di trasmissione in via telematica di documenti o l’abrogazione di adempimenti amministrativi non necessari per le assunzioni o la nuova disciplina della video sorveglianza si è persa tuttavia l’occasione di superare molti adempimenti formali, in particolare sulla sicurezza sul lavoro; inoltre il provvedimento contiene un ingiustificato inasprimento del sistema sanzionatorio; insomma sulla semplificazione si può fare decisamente di più”.

Vera MORETTI

Il Jobs Act e i manager italiani

Sono molti gli aspetti del Jobs Act sui quali imprese e professionisti si dividono, specialmente per quello che riguarda gli incentivi alle assunzioni e, in generale, le dinamiche legate all’occupazione. Ecco perché Michael Page, società di ricerca e selezione di personale specializzato nel middle e top management, ha realizzato un’indagine a livello nazionale su un campione di 705 professionisti tra i 35 anni e i 45 anni, con provenienza da diversi settori e zone geografiche per capire quali effetti ha su di loro il Jobs Act.

Dai risultati dell’indagine emerge che solo il 5,5% dei manager intervistati sarebbe incline a cambiare lavoro per effetto del Jobs Act; ben il 44,3% è meno propenso a farlo e oltre il 50% ritiene che la nuova Legge non impatti su questa scelta.

L’influenza del Jobs Act non è determinante per il 75,5% dei candidati nel favorire la ricerca di un nuovo lavoro, mentre il restante 24,5% che ne riconosce l’utilità, afferma che la riforma lo aiuterà a trovare un lavoro a tempo indeterminato (17,4%).

Di fronte alla domanda su quanto fosse ritenuta interessante una nuova opportunità lavorativa con un aumento economico del 10/20%, in riferimento alla nuova Legge sulle tutele crescenti, oltre un quarto dei candidati (il 27%) si è dichiarato non interessato.

Quali sono, invece, le priorità dei candidati oggi, a fronte dell’attuazione della riforma, nella fase di negoziazione con il nuovo datore di lavoro? La retribuzione si distingue come l’elemento decisivo: il 53,2% sceglie un aumento dello stipendio superiore del 20% al consueto come prima opzione da poter contrattare. Seguono più mesi di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo da parte del datore di lavoro (16,2%), il riposizionamento all’interno dell’azienda in caso di licenziamento illegittimo (15%) e il mantenimento delle condizioni del vecchio contratto per un determinato periodo (10,8%).

Sorprendente, invece, i dato sull’informazione dei manager riguardo il Jobs Act: dal sondaggio di Michael Page risulta che il 32,3% degli intervistati non conosce il contenuto della nuova legge sul lavoro.

Confassociazioni e la conciliazione vita-lavoro

Confassociazioni torna sul decreto attuativo del Jobs Act che riguarda la conciliazione vita-lavoro. “Lo scorso 11 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto attuativo del Jobs Act sulla conciliazione vita-lavoro in vigore a fine giugno – ha dichiarato Federica De Pasquale, vicepresidente di Confassociazioni con delega alle pari opportunità -. Ancora una volta, però, dobbiamo registrare il fatto che il decreto non contribuisce in alcun modo ad aiutare chi è iscritto alla Gestione separata dell’Inps, non potendo accedere alle agevolazioni previste per il lavoratore dipendente in caso di maternità, malattia o assistenza a un famigliare disabile“.

Auspicavamo maggiore coraggio da parte del Governo nei confronti del mondo delle partite Iva che rappresentiamo – ha proseguito De Pasquale di Confassociazionima, ancora una volta, dobbiamo prendere atto che si continuano a discriminare i professionisti e i lavoratori autonomi pure quando si parla di famiglia e di diritto alla maternità. Il provvedimento va a modificare anche alcune parti del testo unico a tutela della maternità (n. 151 del 26 marzo 2001) e si impegnerebbe a rendere più flessibile il congedo di maternità/paternità, sia quello facoltativo (sei mesi) sia quello parzialmente retribuito al 30% prorogandolo fino all’età di 6 anni del bambino. Pur avendo esteso l’erogazione dell’indennità ‘anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95, non iscritti ad altre forme obbligatorie e anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi’, per questa categoria di mamme e di papà nei fatti non cambia nulla, permanendo l’assurdo vincolo di astenersi dall’attività lavorativa per tutto il periodo in cui si usufruirebbe del congedo”.

Sia chiaro: non è obbligatorio, ma lo diventa perché a questa astensione è subordinato il pagamento dell’indennità. Ancora una finta agevolazione per la nostra categoria visto che le professioniste iscritte alla gestione separata possono accedere all’indennità di maternità a condizione che l’astensione effettiva dall’attività lavorativa sia attestata da apposita dichiarazione. Così, nei fatti, si continua a impedire a tante donne di usufruire della tutela prevista alle loro omologhe iscritte a casse professionali private o alle gestioni speciali Inps (come artigiane, commercianti)”.

Porre l’aut-aut, indennità o lavoro, è una discriminazione insopportabile – puntualizza la vicepresidente di Confassociazioni -. Infatti, se la professionista scegliesse di percepire l’indennità nessuno può garantirle di riuscire a mantenere la sua attività, anzi c’è il rischio di doverla chiudere per l’automatica diminuzione del giro d’affari e del numero clienti, portafoglio costruito nel tempo con professionalità. Di contro, se scegliesse il lavoro, dovrebbe rinunciare all’indennità di maternità per la quale ha, nel corso della sua vita lavorativa, regolarmente pagato i contributi all’Inps e che continuerebbe a versare anche nel periodo della maternità se optasse per il congedo”.

L’altra assurdità che infine rileviamo – conclude la vicepresidente di Confassociazioniè, comunque, la durata delle nuove disposizioni in materia di congedo parentale. Il recente decreto sarà valido in via sperimentale solo per il 2015, in pratica per sei inutili mesi. Un finto bonus temporale che non potrà essere prorogato per il 2016 mancando la copertura finanziaria. In tutto questo è doveroso ricordare che sono già scaduti i termini per iscrivere i bambini agli asili nido comunali e, che, spesso il reddito ISEE del nucleo familiare di un libero professionista supera, anche se non di molto, la soglia minima prevista per ottenere gli assegni familiari del comune, così come il voucher di 600 euro al mese per baby sitter e asili nido (valido per 6 mesi se si tratta di neo mamme dipendenti e per soli 3 mesi per le neo mamme iscritte alla gestione separata Inps). Con l’ottimismo che ci contraddistingue, informiamo il Governo che la nostra battaglia per garantire pari trattamento ai genitori liberi professionisti non si ferma: il diritto alla maternità deve essere uguale per tutte le categorie di lavoratori come avviene in tutta Europa“.

Confprofessioni esalta gli studi professionali

Confprofessioni conferma al Senato il ruolo di ispiratori che gli studi professionali possono avere per l’attuazione dei decreti delegati del Jobs Act. Lo ha spiegato il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, durante la sua audizione alla Commissione Lavoro di Palazzo Madama.

Gli studi professionali – ha detto il presidente di Confprofessionipossono essere un valido banco di prova per l’attuazione dei decreti delegati del Jobs Act, ma soprattutto rappresentano un punto di riferimento all’interno del mercato del lavoro per sperimentare innovativi modelli contrattuali tesi alla creazione e alla stabilizzazione di posti di lavoro”.

Al Senato Confprofessioni si è espressa su altri due decreti legislativi del Jobs Act relativi alle misure di conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro e al riordino delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni.

Con l’ipotesi di rinnovo del Ccnl degli studi professionali, sottoscritto da Confprofessioni con le organizzazioni sindacali di categoria lo scorso 17 aprile – ha proseguito Stellaabbiamo adottato una moderna regolazione dei rapporti di lavoro ed un nuovo assetto del welfare nell’ambito delle attività professionali. Per esempio la forte incidenza femminile nella popolazione degli studi (circa il 90% della forza lavoro) ha permesso di conciliare tempi di vita e di lavoro grazie al ricorso a forme di lavoro a tempo parziale. Oltre ad una piena disciplina delle ipotesi di flessibilità abbiamo introdotto disposizioni dirette a sostenere nuove assunzioni stabili, mediante la maturazione progressiva di diritti e tutele che potrà anche accompagnare gli istituti di recente messi a disposizione dal legislatore”.

Il CoLAP in Commissione Lavoro alla Camera

Il CoLAP è stato convocato in Commissione Lavoro alla Camera per dare il parere sullo schema di decreto conciliazione e sulla revisione delle tipologie contrattuali contenuti nel Jobs Act. Secondo il CoLAP, lo schema della conciliazione è interessante perché si pone il problema di rivedere le tutele e la loro esigibilità; nello specifico, quello relativo alle tipologie contrattuali rivede e riduce il numero dei contratti ma il CoLAP lo approva sottolineando l’esigenza di revisione e integrazione di diversi punti.

E’ uno schema di decreto, quello sulla conciliazione – ha detto in Commissione la presidente del CoLAP Alessandruccila cui importanza è sottovalutata; troppa poca attenzione su un atto che parla della nostra vita, di come riusciamo a lavorare e conciliare la nostra vita familiare e privata, una parte della riforma del lavoro che incide sul benessere e sulla cura dei figli. Per questo il CoLAP ha voluto mettere a punto un documento di analisi della proposta strutturato e approfondito”.

Per parlare di conciliazione – ha continuato Alessandruccioccorre inserire prima il concetto di genitorialità; la legge deve incentivare il cambiamento culturale che vede sempre di più coinvolto il padre nella cura e nella gestione della famiglia, ed evitare che la conciliazione sia l’ennesimo atto di discriminazione nei confronti della donna lavoratrice”.

Il decreto che rivede le diverse tipologie contrattuali ha varie ombre che è necessario mettere in chiaro ed eliminare; il decreto, pur rendendo più flessibile il mercato del lavoro, manca di un’idea nuova, di un nuovo approccio, di una nuova vision capace di cogliere il cambiamento e l’evoluzione del sistema”.

Interessante la formula di rafforzamento del part time, condivisibile, se ampliate le tutele relative alla previdenza e assistenza, la proposta del lavoro intermittente e accessorio; da rivedere l’indennità di disponibilità richiesta al lavoratore somministrato, che deve essere trattato invece come un lavoratore dipendente; utile l’implementazione dell’apprendistato se riviste le garanzie relative alla prelazione; ottima l’idea di ridurre il numero dei contratti eliminando quello a progetto, ma necessaria l’eliminazione anche dei co.co.co. e il rafforzamento delle partite Iva. Assolutamente inaccettabile la proposta di revisione della disciplina delle mansioni, che a nostro avviso rischia l’incostituzionalità”.

In chiusura di intervento, la dichiarazione di ampia e fattiva collaborazione a nome del CoLAP dalla presidente: “Siamo pronti a lavorare insieme affinché il provvedimento migliori le condizioni delle imprese e dei loro lavoratori”.

I commercialisti: ma quale ripresa economica?

Ripresa economica. Parole pronunciate da tanti ma che, nel business quotidiano delle imprese, in pochi vedono. E a conferma di quella che non è solo una sensazione ma una buia realtà, arriva un sondaggio sulla politica economica del Governo svolto dalla Fondazione nazionale dei Commercialisti, dal quale emerge una grande preoccupazione per la situazione delle piccole imprese e del mondo del lavoro autonomo in generale, per i quali mancano anche minimi segni di ripartenza.

I commercialisti intervistati nel sondaggio apprezzano gli interventi del Governo a favore delle Pmi, come il taglio dell’Irap e la flessibilità sul mercato del lavoro, ma li giudicano insufficienti per garantire una solida ripresa economica. Relativamente al Jobs Act, la maggioranza dei commercialisti intervistati pensa che, pur essendo apprezzabili le misure prese sul piano della flessibilità e delle condizioni del mercato del lavoro italiano, la crisi della domanda proveniente dal mercato interno, le rende di fatto inefficaci per la ripresa economica.

Il punto è proprio questo. La quasi totalità dei commercialisti coinvolti nel sondaggio crede che, fino a quando non ci sarà una vera ripresa della domanda interna, il contratto a tutele crescenti darà luogo quasi esclusivamente a stabilizzazioni di posti di lavoro a termine o di altre forme di precariato anziché a nuove assunzioni.

Del resto, le conclusioni del sondaggio parlano chiaro. Le misure adottate dal Governo sono sostanzialmente dei palliativi perché non aggrediscono i veri problemi che, a detta dei commercialisti, sono d’intralcio alla ripresa economica dell’Italia: l’inefficienza della Pubblica amministrazione e l’assetto istituzionale del Paese.

Cgia: 1 milione di contratti dalle misure per il lavoro

Anche la Cgia vede con favore alcune delle misure introdotte dal Jobs Act a sostegno dell’occupazione. Nello specifico, secondo il segretario della confederazione artigiana Giuseppe Bortolussi, “la decontribuzione triennale per i nuovi assunti a tempo indeterminato e le misure del Jobs act daranno luogo, come riportato nella Relazione tecnica alla Legge di Stabilità del 2015, a 1 milione di nuovi contratti incentivati”.

La Cgia ha infatti rilevato come, a dare una spinta importante alle assunzioni da parte delle aziende, sarà presumibilmente lo sgravio totale dei contributi Inps per 36 mesi per gli assunti a tempo indeterminato, introdotto dalla recente Legge di Stabilità.

Se poi si considerano anche la deducibilità integrale, della componente del costo del lavoro per tutti i lavoratori assunti con un contratto stabile dal calcolo della base imponibile Irap, oltre ai contratti a tutele crescenti introdotti dal Job Act a partire dal 7 marzo, secondo la Cgia le condizioni per un rilancio occupazionale dovrebbero essere favorevoli.

A fronte di queste condizioni, la Cgia stima 1 milione di nuovi assunti che però, avverte, non sarà una cifra in termini assoluti ma che deriverà in buona parte dalla trasformazione in contratti a tempo indeterminato di rapporti attualmente precari. Un’operazione che dovrebbe costare, grossomodo, 15 miliardi.

Secondo Bortolussi, infatti, “al lordo degli effetti fiscali la decontribuzione totale Inps in capo alle imprese dovrebbe costare alle casse dello Stato 1,86 miliardi di euro nel 2015, 4,88 miliardi nel 2016 e oltre 5 miliardi nel 2017. L’operazione, ovviamente, avrà una coda anche nel 2018, pari a 2,9 miliardi di euro. Complessivamente, il costo per i nostri conti pubblici dovrebbe essere di circa 15 miliardi di euro”.