Smart Working e caro energia: gli italiani vogliono tornare in ufficio

Con l’emergenza pandemica l’Italia introduce lo smart working, o lavoro agile, tra le modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative. Molti lavoratori lo hanno apprezzato al punto da voler continuare questa esperienza, ma ora lo scenario sta cambiando, infatti, a fronte dell’aumento del costo dell’energia, i lavoratori chiedono di tornare in ufficio.

Smart working: boom di richieste dopo la pandemia

Lo smart working, o lavoro agile, consente a chi effettua lavori che è possibile gestire anche dalla propria abitazione di lavorare da casa, magari andando in ufficio solo qualche volta nell’arco della settimana. Per molti lavoratori è stato una manna dal cielo perché ha consentito di gestire meglio il ruolo genitoriale e il lavoro e in molti casi ha evitato l’incontro quotidiano con i colleghi non sempre apprezzati. Nel solo 2021, 2 milioni di persone hanno lavorato da casa, dopo la pandemia le richieste di poter continuare a lavorare da casa sono continuate. Il successo è stato tale che è stata prorogata la disciplina emergenziale per lo smart working fino al 31 dicembre 2022, inoltre è stato regolamentato lo smart working strutturale.

Per conoscere i dettagli leggi l’articolo: Smart Working: dal 1° settembre entrano in vigore nuove norme strutturali.

Nel frattempo per le aziende avere dei lavoratori a distanza ha portato qualche vantaggio, cioè un risparmio energetico.

Ora lo scenario cambia. Molti lavoratori stanno chiedendo di poter rientrare in ufficio, i motivi sono presto spiegati.

Perché gli italiani rinunciano al lavoro agile?

L’inverno è alle porte con un costo del metano alle stelle e con limiti agli orari di accensione del riscaldamento. A ciò si aggiunge l’aumento del costo dell’energia elettrica. A fronte di stipendi sempre uguali, questo si traduce in maggiori costi per i lavoratori che lavorano da casa. Proprio per questo, sebbene molti lavoratori in smart working dichiarano di voler proseguire questa esperienza, ci sono molti che stanno chiedendo formule miste, cioè di lavorare alcuni giorni da casa e altri in azienda.

Alcuni lavoratori stanno invece chiedendo di poter ritornare in azienda full time.

Tra questi ultimi, abbondano i lavoratori che hanno chiesto di avere un sostegno economico per far fronte ai costi connessi al lavoro da casa e hanno ricevuto un diniego dall’azienda. A ciò deve aggiungersi che molte aziende e pubbliche amministrazioni non riconoscono ai lavoratori in smart working il diritto a percepire i buoni pasto e anche questa viene rappresenta per i lavoratori una perdita rilevante.

Da un’indagine svolta da Inapp, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche del lavoro, a fronte di tali perdite, solo il 20% dei lavoratori inmodalità agile è  disposto a continuare sebbene con una riduzione dello stipendio.

Quanto conviene alle aziende lo smart working?

Non è facile determinare quanto convenga alle aziende avere lavoratori in smart working, ma basti ricordare che ENI ha chiuso la sede principale e ora ha solo piccole sedi dove i dipendenti ruotano, cioè non tutti sono presenti tutti i giorni e usano spazi comuni. Tim ha svuotato 4 palazzi con un risparmio economico davvero notevole in manutenzione e costi energetici. Il comune di Milano ha deciso che i dipendenti il venerdì sono in smart working, in questo modo c’è risparmio di riscaldamento ed elettricità. Da un calcolo del Politecnico di Milano con il lavoro agile le aziende risparmiano il 30%.

Smart working: dal 1° settembre entrano in vigore nuove norme strutturali

Con la conversione del decreto Semplificazioni sono state introdotte nuove norme per la stipula dei contratti di smart-working, o lavoro agile. Ecco cosa cambierà per le imprese/datori di lavoro.

Smart working: amore a prima vista

Lo smart workingha avuto una disciplina in modalità “emergenziale” nel periodo della pandemia. Il lavoro agile è però stato molto apprezzato dai lavoratori, per la maggiore facilità di coniugare vita familiare e lavoro, e dalle aziende per il risparmio economico dovuto alla necessità di gestire meno strutture fisiche, quindi risparmio energetico e in alcuni casi anche risparmio dei canoni di locazione. Proprio per questo motivo sono numerosi i lavoratori e le aziende che intendono continuare ad adottare lo smart working.

Nasce così l’esigenza di una disciplina non emergenziale ma strutturale che però sia in grado di assicurare la stessa efficienza avuta nel periodo della pandemia. Le nuove norme sono contenute nel decreto Semplificazioni, convertito in legge 122 del 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto 2022 e che entreranno in vigore il 1° settembre.

Nuovo contratto smart working: cosa cambia dal 1° settembre 2022

Nel periodo pandemico per poter attivare un contratto di smart working, o lavoro agile, non era richiesta la sottoscrizione di un contratto individuale che regolasse le nuove modalità di lavoro. Per poter procedere bastava utilizzare la modulistica e l’applicativo informatico  resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Dal 1° settembre, in applicazione dell’articolo 41 bis della legge 122 del 2022, invece ci saranno nuove regole.

In particolare il lavoratore dovrà sottoscrivere un accordo individuale che preveda le modalità di lavoro agile. Il datore di lavoro sarà invece tenuto a comunicare la data di inizio e di fine del rapporto di lavoro in modalità agile al Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando l’apposito applicativo che sarà reso disponibili si spera a breve.

Tale comunicazione sarà inviata anche all’Inail. Il datore di lavoro non sarà tenuto alla trasmissione dell’accordo individuale. Questo per esigenze di semplificazione e perché la finalità della disciplina è semplicemente rendere strutturale un sistema che aveva già funzionato perfettamente durante il periodo della pandemia. Non viene meno però l’obbligo della sottoscrizione dell’accordo individuale. Lo stesso dovrà essere mostrato/trasmesso in caso di richiesta. In caso di mancata comunicazione in seguito alla richiesta sarà applicata una sanzione amministrativa di ammontare compreso tra 100 euro  e 500 euro per ogni lavoratore interessato.

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Lavoro agile, una giornata da ricordare

Sono stati resi noti dal Comune di Milano i dati di adesione e alcune statistiche relative alla Giornata del Lavoro Agile che si è tenuta lo scorso 18 febbraio in tutta Italia. Il dato più eclatante riguarda il percorso risparmiato per andare in ufficio da chi ha aderito all’iniziativa: 246mila chilometri.

La Giornata del Lavoro Agile, voluta dall’Amministrazione comunale di Milano, ha consentito di abbattere del 3% le emissioni atmosferiche inquinanti, con un’emissione nell’atmosfera di 8 kg di Pm10, 110 kg di ossidi di azoto e 49 tonnellate di anidride carbonica in meno.

Alla giornata hanno aderito 502 sedi di lavoro sparse in tutta Italia e i partecipanti complessivi e certificati sono stati oltre 15mila, dai 7mila della prima edizione del 2014. Nei tre anni, le aziende partecipanti sono state 242, con un bacino potenziale di 127mila lavoratori. Alto l’indice di gradimento dell’iniziativa: 4,8 su 5, in base alle 3mila risposte al questionario distribuito nel 2016 ai 16mila partecipanti alla giornata.

Oltre alle emissioni inquinanti, la giornata dedicata allo smart working ha consentito a ogni lavoratore di risparmiare 110 minuti, contro i 112 del 2014, e i 108 del 2015. Per quanto riguarda gli spazi dove i lavoratori hanno svolto il proprio lavoro agile, l’87% di loro lo ha fatto da casa propria e ben il 16% da uno spazio di coworking. Tra le aziende che hanno aderito alla Giornata del Lavoro Agile, il 58% conta meno di 100 dipendenti, con una crescita però delle aziende più grandi.

Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, il 42% dei lavoratori che hanno partecipato ha rinunciato all’auto e l’11% ad altri mezzi di trasporto, con una media di 40 km di spostamenti casa-lavoro risparmiati da ogni singolo lavoratore.

La maggioranza dei lavoratori che ha aderito alla giornata è costituita da donne, 53%, e il 52% delle lavoratrici e dei lavoratori che in questi tre anni ha sperimentato una giornata di lavoro agile lo ha fatto per la prima volta. Analizzando le fasce di età, il 70% dei lavoratori ha più di 40 anni e il 97% è diplomato o laureato.

Smart working, croce o delizia?

Negli ultimi anni il modo di lavorare è cambiato per sempre, soprattutto grazie al fatto che si è sempre connessi, in ogni luogo e in ogni momento della giornata. Una condizione che per molti è un vantaggio, per altri una galera. Lo smart working deve la diffusione sempre maggiore che sta incontrando, specialmente nelle grandi aziende, proprio grazie al fatto che la tecnologia e si è sviluppata al punto che, anche in mobilità, non si rinuncia a lavorare e ogni luogo può diventare un ufficio improvvisato.

Una tendenza che emerge chiaramente da una ricerca svolta da Regus il principale fornitore globale di spazi flessibili, su un panel internazionale di imprese clienti (per un totale di 44mila interviste in 105 Paesi), alcune delle quali italiane. Ebbene, secondo i risultati della ricerca, oltre la metà degli intervistati in Italia (53%, con una media globale del 49%) effettua un tipo peculiare di smart working controllando rapidamente e-mail e messaggi di lavoro al bar, ma solo il 30% di loro, contro una media globale del 39%, risponde subito ai messaggi ricevuti.

Anche i mezzi pubblici diventano un ufficio virtuale per il 50% degli italiani, che leggono e-mail di lavoro (contro il 41% di media globale); anche in questo casi solo, il 20% di loro (contro una media globale del 24%) invia subito delle risposte, anche se brevi.

La rapidità nella risposta è dovuta sicuramente al fatto che si tratta di ambienti che non favoriscono uno smart working pieno e completo, soprattutto perché si tratta di luoghi affollati e rumorosi, dove non è possibile leggere in maniera attenta documenti importanti né effettuare conversazioni telefoniche che dovrebbero restare riservate. Ecco perché dalla ricerca emerge che lo svolgere il proprio lavoro conservando la privacy è un fattore critico chi si dedica allo smart working.

Dall’analisi di Regus è anche emerso che il 60% degli italiani trova utile effettuare chiamate di lavoro mentre è alla guida della propria auto. Soluzione meno gradita (17%) per le conference call, soprattutto per il rischio di perdere la connessione con uno o più interlocutori.

Molto meglio, per chi pratica lo smart working, utilizzare per almeno mezza giornata una business lounge; lo pensa il 35% degli intervistati italiani, che vede in questa soluzione professionalità, privacy e la possibilità di accedere a diversi servizi di segreteria utili per il proprio lavoro, come stampe e fotocopie.

La business lounge si configura per 1 italiano su 4 anche come una soluzione ottimale per videochiamate o conference call. Il fatto che questo sia uno dei business principali di Regus, che ha elaborato la ricerca, è comunque relativo: i risultati dell’analisi raccontano che il “virus” dello smart working si sta diffondendo e non sarà facile fermarlo…

Smart working e Pmi, un rapporto difficile

Che lo smart working rischi di diventare una moda più che il vero, nuovo modo di coniugare lavoro, produttività e vita privata? Il rischio c’è almeno stando al movimento che si è registrato prima, durante e dopo la Giornata del Lavoro Agile celebrata la scorsa settimana.

Sono sempre più, infatti, le grandi aziende italiane ed estere presenti in Italia a introdurre politiche di lavoro agile. Di questi giorni sono le uscite di Barilla, Alstom e Siemens, più consolidate e strutturate le esperienze di Vodafone, Microsoft. Tutti grandi nomi, per i quali le dimensioni e la portata del know how tecnologico rendono le politiche di smart working uno sviluppo quasi naturale delle loro policy di HR. Ma le Pmi?

Quello tra Pmi e smart woking, in Italia, è un matrimonio ancora tutto da fare e la cosa non è certo incoraggiante, visto che le piccole e medie imprese sono l’ossatura su cui si regge buona parte dell’economia del nostro Paese. La difficoltà di introdurre nelle Pmi una cultura del lavoro agile è confermata da un’analisi dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

Secondo i risultati di questa analisi, nelle Pmi italiane, la diffusione dello smart working è ancora molto limitata: oltre una Pmi su due non sa che cosa sia e, se lo conosce, sostiene di non esserne interessata. Solo un misero 5% di piccole e medie imprese afferma di avere un progetto di lavoro agile strutturato. Nel 29% dei casi si è dimostrato interesse e nel 9% qualche forma di lavoro flessibile è stata introdotta in azienda.

L’analisi del Politecnico di Milano ha rilevato l’importanza del ruolo delle funzioni di staff nell’ideazione, avvio e coordinamento dei progetti di smart working. Progetti nella maggior parte dei casi in capo alle funzioni HR (71%) e IT (37%) dell’azienda, con un 60% di casi in cui la funzione Facility Management si trova a gestire fasi rilevanti delle politiche di lavoro agile, pur non essendone la struttura direttamente responsabile. Sorprende, per certi versi, il 66% dei casi in cui sono coinvolte nelle iniziative di smart working le rappresentanze sindacali aziendali.

Un altro fattore che dovrebbe giocare a favore della implementazione di politiche di smart working è la rapidità con cui queste possono essere ideate, organizzate e avviate. Sempre secondo il Politecnico, il 32% delle aziende che si muove verso queste politiche ha iniziato a progettarle l’anno scorso e il 12% nella prima parte del 2015.

Se, dunque, nelle piccole e medie imprese lo smart working fatica a prendere piede tanto per ragioni strutturali quanto culturali, nelle aziende più grandi si registra invece un interesse più forte. L’analisi del Politecnico rileva che solo il 3% delle imprese è disinformato, il 12 è disinteressato, il 37% è interessato ma non ha progettato o attivato iniziative. Elevato il numero delle imprese che, invece, sono già avviate sulla strada del lavoro agile: quasi 1 su 2, e di queste il 17% lo ha fatto in modo strutturato, un altro 17% in modo informale e il 14% ha avviato progetti di lavoro agile.

Smart working, c’è tanto da fare

Lo smart working è un fenomeno da cavalcare. Se molte grandi aziende lo hanno già capito, per le piccole e medie imprese è più difficile, specialmente in Italia. Lo dimostra anche una ricerca svolta da Vodafone sul tema dello smart working, Flexible Work: Friend or Foe? (che significa Lavoro flessibile: amico o nemico?).

Si tratta di un’indagine quantitativa svolta in 10 Paesi su un campione di 8mila persone, diviso tra lavoratori e datori di lavoro, manager e dirigenti di piccole e medie imprese, multinazionali organizzazioni del settore pubblico.

I risultati dicono che, a livello globale, il 75% delle aziende ha implementato forme di smart working che permettono ai dipendenti di organizzare in modo autonomo la propria giornata di lavoro. Gli strumenti principali che consentono loro di lavorare da casa o in mobilità sono di natura principalmente tecnologica, come smartphone, tablet, linee adsl o a fibra ottica.

Dal punto di vista dei datori di lavoro, lo smart working ha portato a un aumento della produttività (nell’83% dei casi), a una crescita dei profitti (61%) e a un impatto positivo sulla reputazione dell’azienda (58%).

C’è però ancora un 33% di datori di lavoro secondo i quali lo smart working è lontano dalla mentalità aziendale; per altri (25%) può portare a una distribuzione iniqua del lavoro o a scontri tra i dipendenti che lo praticano e quelli che non lo praticano (30%). Resiste un 22% di datori di lavoro che crede che politiche di smart working porterebbero i dipendenti a impegnarsi di meno sul lavoro.

Spostando lo sguardo dai datori di lavoro ai lavoratori, coloro i quali non praticano lo smart working credono che, utilizzandolo, sarebbero più motivati sul lavoro (55%) e ne gioverebbero anche la produttività (44%) e i profitti (30%) dell’azienda. Allo stesso modo, i giovani sono più inclini a utilizzare il lavoro agile pensando che migliori qualità e produttività: il 72% della fascia 18-24 anni contro il 38% degli over 55.

Relativamente all’Italia, lo studio di Vodafone ha rilevato come il 40% dei lavoratori non sia interessato da politiche di lavoro agile, utilizzato invece dal 31% dei lavoratori. Nello specifico il 38% dei lavoratori intervistati collega la scarsa propensione allo smart working al proprio ruolo, il 43% non cambierebbe l’attuale organizzazione e un piccolo 9% pensa persino che il lavoro flessibile possa influire negativamente sulla propria carriera.

Tanto è vero che alla domanda su che cosa farebbe la propria azienda se le fosse richiesto di lavorare in modo flessibile, il 34% degli intervistati ha risposto che i capi rifiuterebbero, il 25% che accetterebbero con riserva e il 16% che i vertici aziendali accetterebbero senza remore. Del resto il 47% degli intervistati crede che lo smart working abbia effetti positivi sulla propria vita, il 48% che migliori l’azienda, il 60% che sia tanto un’opportunità per i dipendenti quanto per il business aziendale.

Sul fronte dei device, infine, risulta che lo smartphone personale sia il dispositivo più usato da chi lavora fuori dal proprio ufficio (58% dei casi), seguito da pc (27%) e notebook personale (23%). Solo il 14% degli intervistati è dotato di smartphone aziendale e il 18% di notebook aziendale.

Lavoro in mobilità, crescita vertiginosa

Il lavoro in mobilità è da tempo una realtà e sarà sempre più diffuso con il passare degli anni, tanto che, entro il 2018, il 75% della forza lavoro dell’Europa occidentale sarà mobile. È quanto emerge da un white paper stilato dalla società di analisi IDC e sponsorizzato da OKI Europe. Driver di questo sviluppo potente è il BYOD.

Essendo stato sponsorizzato da una importante azienda di stampanti, il titolo del white paper è piuttosto scontato: “I vostri processi aziendali stanno soffocando la vostra opportunità di mercato? Stampa conveniente e gestione dei documenti tramite gli MFP (stampanti multifunzione, ndr) intelligenti”.

Risulta comunque interessante una tendenza, legata al continuo sviluppo del lavoro in mobilità: le imprese devono avere costantemente sotto controllo il modo in cui i dipendenti lavorano sia in BYOD, sia con i device aziendali, per proteggere la proprietà intellettuale dell’azienda e i dati sensibili, consentendo nello stesso tempo ai dipendenti di accedere alle informazioni ovunque e in qualsiasi momento tramite il lavoro in mobilità.

Del resto, già in uno studio del 2013 sulle abitudini europee e sulle tendenze di mercato dei servizi di stampa, IDC aveva rilevato che un terzo delle aziende consentiva ai propri dipendenti di utilizzare smartphone, laptop e tablet personali. Contestualmente, alla domanda rivolta alle Pmi sulla percezione dell’efficienza dei processi aziendali, molte di esse aveva concordato sulla necessità di un loro miglioramento, considerando che il lavoro in mobilità dei dipendenti avrebbe potuto favorire i processi digitalizzati.

C’è fame di smart working

Lo scorso 18 febbraio si è celebrata la Giornata del lavoro agile, smart working per chi pensa di parlare bene. Un modo di lavorare che, da moda passeggera, si avvia a diventare qualcosa di strutturale, grazie anche al quadro normativo che, di recente, il governo ha provato a dare al fenomeno.

Ma lo smart working è impegnativo. Per far sì che le aziende possano mettere in opera politiche efficaci di lavoro agile sono necessarie una svolta e una maturazione sia strutturale sia culturale nelle aziende italiane. Strutturale, perché le politiche di smart working necessitano di soluzioni tecnologiche e di device da fornire ai dipendenti. Culturale – e questa è la più difficile in Italia – perché nel nostro Paese il concetto e l’idea di produttività sono ancora molto legate alla presenza fisica del dipendente sul posto di lavoro. Con la convinzione che un dipendente che lavora sotto l’occhio del padrone sia più efficiente e produttivo. Convinzione errata, come dimostrato da diversi studi.

A testimonianza di quanto il concetto di smart working sia ancora penetrato nel mercato del lavoro italiano e nei pensieri dei dipendenti, arriva l’indagine ”Work Trends Study”, svolta da Adecco proprio in occasione della Giornata del lavoro agile, i cui risultati fanno riflettere.

Secondo quanto emerso dall’indagine, il 67,7% dei candidati lavoratori dichiara di non aver mai sentito parlare di smart working, così come il 28% dei recruiter e degli HR manager. Inoltre, le imprese pensano che lo smart working potrà diffondersi difficilmente, soprattutto a causa della struttura e dell’organizzazione delle aziende (59,4%) e di una carenza di investimenti nella cosiddetta gestione del cambiamento (51%).

Nonostante questo, però, oltre la metà degli intervistati (57,2%) sarebbe incline a lavorare da casa, il 40,5% lavorerebbe fuori ufficio e in qualsiasi altro luogo utilizzando il proprio dispositivo mobile, mentre solo l’8,5% non è favorevole a lavorare al di fuori del proprio ufficio. Insomma, la fame di smart working c’è, tocca alle aziende preparare un menù appetitoso.

Si fa presto a dire smart working …

Si fa un gran parlare di smart working, ma in realtà non sono in molti a sapere che cosa esattamente implica né sono numerose le aziende che lo applicano. Ciò che è certo è che le modalità lavorative basate sullo smart working si stanno diffondendo sempre di più, sia in Italia sia nel mondo.

Una tendenza confermata dai dati raccolti da Regus – fornitore mondiale di spazi di lavoro flessibili – attraverso il suo panel internazionale di imprese clienti (44mila interviste in 105 Paesi), che evidenzia come oltre la metà dei manager intervistati (54% media globale) intenda accrescere il lavoro agile in azienda. Un trend confermato in Italia con il 46% dei rispondenti, oltre che in tutti i principali Paesi europei e negli Stati Uniti.

Tra i principali fattori che guidano il cambiamento delle aziende verso lo smart working, il 56% dei rispondenti in Italia (contro il 44% della media globale) ritiene che questi modelli organizzativi basati su agilità e flessibilità siano determinanti per reagire tempestivamente ai repentini mutamenti degli scenari di mercato.

Anche un corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata (il cosiddetto work-life balance) è ritenuto necessario dal 58% degli imprenditori e manager italiani intervistati (contro una media globale del 61%) e la soluzione può venire dall’utilizzo di modalità di lavoro agile grazie alla possibilità di lavorare più vicino a casa, un’esigenza segnalata dal 45% degli intervistati in Italia (la media globale è del 48%).

Ma non è tutto qui. Secondo l’indagine Regus, altre necessità che potrebbero essere soddisfatte con lo smart working sono:

  • La riduzione dei costi di viaggio casa/lavoro per il 35% degli intervistati (media globale 32%);
  • La riduzione dei costi legati all’abitare in città, secondo il 12% (16% media globale), con la possibilità di lavorare anche fuori ufficio, da casa o vicino a casa;
  • La maggiore capacità di attrarre i migliori talenti (28% Italia e 29% media globale);
  • La riduzione degli spazi uffici con l’ottimizzazione dei costi e una maggiore flessibilità logistica e organizzativa (24% Italia e 17% media globale).

Del Conte: “Il lavoro agile? È più stabile”

In questa nostra settimana alla scoperta del magico mondo dello smart working, partendo dalla proposta di legge delle deputate Mosca, Saltamartini e Tinagli, oggi abbiamo incontrato Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro dell’Università Bocconi di Milano, il quale ha espresso un giudizio «senz’altro positivo» a condizione che si pongano determinate regole perché «sarebbe un errore passare direttamente da una modalità di lavoro standard in un luogo preciso e fisico ad un lavoro ubiquitario e senza una sua dimensione temporale definita, lasciando tutto alla buona volontà del dipendente e del datore di lavoro».

Professor Del Conte, il mercato del lavoro italiano è pronto alla novità?
Ovviamente il lavoro agile non potrà essere applicato a tutte le tipologie di lavoro. Ci sono molte professioni in Italia che in parte possono essere svolte fuori dal luogo di lavoro, mentre altre continueranno nel modo più “tradizionale”. Questa iniziativa credo possa iniziare un percorso che andrà inevitabilmente completato con nuove politiche sul mondo del lavoro, rendendo compatibili le regole attuali con queste nuove modalità lavorative. Sarebbe paradossale pensare di poter passare da una modalità di lavoro in un luogo preciso e fisico ad un lavoro ubiquitario e senza una sua dimensione temporale definita, senza modificare le normative.

Come minimo andranno rivisti i presidi su sicurezza e salute…
Certamente, ci vorrà maggior attenzione per i problemi della salute e della sicurezza, mentre i presidi per questi argomenti sono stati studiati per funzionare all’interno di un’azienda o una fabbrica, non si è ancora pensato a come tutelare i lavoratori che svolgono le proprie prestazioni ovunque.

Il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni parlava di un approccio culture diverso…
Vanno superate le arretratezze culturali che portano a concepire il lavoro con parametri che ormai dovrebbe essere superati. Oggi ci sono modalità per valutare il lavoro, indipendentemente dal fatto che sia svolto in ufficio o meno, e bisognerebbe imparare ad usarle. Avere un lavoro stabile non significa alzarsi alle 7 del mattino e andare in ufficio, anzi è questo il tipo di lavoro che tenderà a ridursi ulteriormente negli anni. In termini di prospettiva, c’è molta più stabilità in un rapporto di lavoro che ha modalità agili ed estremamente modulari, rispetto al vecchio schema del lavoro in azienda. Iniziamo a ragionare oltrepassando i vecchi stereotipi…

Jacopo MARCHESANO