Quiet quitting: l’abbandono silenzioso del lavoro che preoccupa le aziende

La locuzione Quiet Quitting vuol dire abbandono silenzioso ed è un fenomeno sottovalutato, ma sempre più frequente nell’epoca post covid e consiste in una nuova filosofia del lavoro (e di vita) che prevede di fare lo stretto indispensabile.

Post covid tra smart working, abbandono del lavoro tradizionale e quiet quitting

La dimensione post covid ha tratti riguardanti il mondo del lavoro nuovi. Sono nati dai lunghi periodi di isolamento in cui molti non hanno potuto lavorare e quindi sono stati “costretti” per un periodo a misurarsi con nuovi ritmi casalinghi. Altri hanno iniziato lo smart working rendendosi conto che non passare ore nel traffico, non dover sopportare il collega per tutto il giorno in ufficio, non avere il datore di lavoro sempre presente, migliora la qualità della vita, consente di gestire al meglio la vita privata e quindi di trovare una dimensione nuova.

È capitato così che al rientro post covid molti non ce l’hanno fatta e hanno abbandonato il lavoro tradizionale per impegnarsi in qualcosa di più aderente al proprio concetto di vita di qualità, altri lavoratori hanno chiesto di poter continuare lo smart working, altri ancora desiderano la settimana corta per poter trascorrere più ore fuori dall’ufficio. Ora c’è un altro fenomeno che si sta silenziosamente manifestando e che secondo molti dovrebbe preoccupare i datori di lavoro, si tratta del Quiet Quitting.

Come nasce il Quiet Quitting?

Il fenomeno Quiet Quitting nasce quando un ingegnere ventenne di New York, Zaid Khan ha lanciato su Tik Tok l’hashtag “#quietquitting” e a suon di like e visualizzazioni il fenomeno è diventato condiviso, sebbene già prima silenziosamente si stava verificando forse con poca consapevolezza.

Sempre più spesso i lavoratori rinunciano a ritmi frenetici di lavoro e preferiscono fare lo stretto necessario in termini di orario e mansioni. L’obiettivo è riprendersi la quotidianità, riprendersi la propria vita e mirare alla qualità della stessa.

In termini pratici questo vuol dire che i lavoratori rinunciano a fare più del necessario al fine di raggiungere la mission aziendale, è come se vi fosse una sorta di distacco dall’azienda per la quale si lavora. Ciò implica anche che i lavoratori smettono di essere propositivi e partecipativi rispetto ai nuovi progetti. I lavoratori una volta lasciato l’ufficio (senza straordinario) non pensano ai problemi lasciati a lavoro anche se l’azienda dovesse avere difficoltà. Per le aziende questo può voler dire avere dipendenti poco motivati, ma anche dover incrementare la forza lavoro visto che viene a mancare il lavoro straordinario.

Chi sposa questa filosofia di vita ritiene che il lavoro non definisca più il valore personale. Questo fenomeno è incrementato anche dal fatto che molti non vedono più nel ruolo occupato dinamiche di crescita, insomma essere sempre sotto pressione e sotto stress senza vedere una crescita personale porta molti lavoratori a perdere passione e dedizione al lavoro.

Lavoro straordinario, la guida alla convenienza

 

Lavorare di più dovrebbe significare guadagnare di più. E l’istituto del lavoro straordinario persegue proprio questo obbiettivo. Nel momento stesso in cui un lavoratore, per esigenze del datore di lavoro, è chiamato a svolgere più ore di lavoro rispetto a quelle contrattualizzate, riceve un emolumento aggiuntivo a quello del normale stipendio. Ma a volte lavorare di più può essere nocivo, e non parliamo di salute ma di soldi per il lavoratore. La domanda sorge spontanea. Come si può lavorare di più e prendere di meno? Effettivamente parliamo di un dubbio assolutamente lecito. Ma la motivazione è dettata da un mix di fattori, soprattutto dalle elevate tassazioni che in Italia fanno parte integrante dei contratti di lavoro e dei salari.

Lo straordinario in sintesi

Per lavoro straordinario si intende il lavoro svolto oltre l’orario di lavoro normale, cioè oltre le 40 ore settimanali che sono la base del mondo del lavoro in Italia. A dire il vero non mancano  settori dove si eccedono già di contratto le 40 ore settimanali. Infatti spesso sono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro a determinare gli orari minimi o massimi settimanali. Resta il fatto che andare oltre le ore previste deve essere normalizzato tramite il lavoro straordinario e la corresponsione del surplus di stipendio previsto.

Quindi, in linea di massima, le ore in più di lavoro prestato incidono positivamente sulla retribuzione dei lavoratori, aumentando i mensili. Ma allo stesso tempo possono incidere in negativo portando fuori dal perimetro di benefit e incentivi che il lavoratore percepisce se rientra in determinate soglie reddituali.

Lo straordinario e come è regolamentato

Le ore di lavoro straordinario che è possibile effettuare sono stabilite per legge in ciascun contratto collettivo. Nella stragrande maggioranza dei casi le ore di lavoro straordinario sono  retribuite con una maggiorazione di stipendio e con l’assegnazione dei cosiddetti  riposi compensativi. In latri termini, oltre al vantaggio di un’ora di lavoro pagata di più rispetto ad un’ora che resta dentro i contorni del lavoro normale, i riposi non si perdono. Per colpa del surplus di retribuzione ricevuto, il lavoratore però rischia di finire in uno scaglione di reddito superiore. Pagando più tasse, come per esempio con l’Irpef. E finendo con il perdere dei bonus, tra cui proprio quello Irpef da 100 euro che una volta era il Bonus Renzi da 80 euro.

Limiti al lavoro straordinario

Come dicevamo, la legge impone anche dei limiti al lavoro straordinario. Limiti che si collegano alla tutela della salute del lavoratore. Infatti ogni lavoratore, a prescindere dal settore, ha diritto al riposo. E la regola fissa è che le 11 ore di riposo giornaliere e ininterrotte non possono essere negate. Il riposo settimanale minimo invece è fissato nel limite di 35 ore. Il limite massimo di ore di lavoro a settimana che non può essere mai sforato è di 77 ore. Il riposo settimanale deve essere minimo di 24 ore. Per un anno solare di lavoro non si possono superare le 250 ore di lavoro straordinario.

Lavoro straordinario: concorre alla formazione del TFR?

Le ore di lavoro straordinario possono concorrere a formare l’imponibile per il Trattamento di fine rapporto (TFR)? E, in analoga situazione, i premi di produttività senza la percentuale agevolata del 10% valgono per il TFR? Per rispondere a queste domande è necessario rifarsi alla natura della prestazione come disciplinata dal Codice civile e al contesto lavorativo nel quale si svolgano ore di straordinario e si percepiscano premi.

Cos’è il Trattamento di fine rapporto?

Il Trattamento di fine rapporto è definito dall’articolo 1320 del Codice civile. Nella situazione di cessazione del rapporto di lavoro, “il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola, sommando per ciascun anno di servizio, una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”.

Come si calcola il Trattamento di fine rapporto (TFR)?

Il Codice civile dispone, dunque, anche come si calcola il TFR. Pertanto, per ogni anno di attività prestata a un datore di lavoro, è necessario dividere la retribuzione annua per 13,5. Lo stesso calcolo può essere fatto moltiplicando la retribuzione annua per il 7,41%. Il risultato costituisce l’accantonamento della quota di TFR per l’anno preso in considerazione e al quale fa riferimento la retribuzione.

Esempio di calcolo del TFR

Facendo un esempio, se la retribuzione annua è di 20.000 euro lordi, il calcolo del TFR inerente l’anno di lavoro è pari a 1.481 euro lordi. Il risultato costituisce l’accantonamento del Trattamento di fine rapporto per l’anno al quale si riferisce la retribuzione.

Retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR

Per comprendere pienamente se il lavoro straordinario rientra nel calcolo dell’imponibile utile ai fini del Trattamento di fine rapporto è necessario verificare cosa rientra nella retribuzione. Sempre l’articolo 2120 del Codice civile specifica che la retribuzione annua “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Lo straordinario rientra nel calcolo del Trattamento di fine rapporto?

Da quanto deriva dall’articolo 2120 del Codice civile, il lavoro straordinario rientra nella retribuzione utile ai fini del Trattamento di fine rapporto se viene svolto in maniera continuativa. Diversamente, lo straordinario non rientra se viene svolto in maniera occasionale.

Esempi di calcolo TFR con lavoro straordinario in busta paga

È il caso, ad esempio, di un dipendente che svolga lavori su turni, con la conseguenza di un frequente ricorso al lavoro straordinario. Le maggiorazioni che ne derivano nella busta paga concorrono a formare il TFR. Nel secondo caso, per straordinari svolti in via occasionale, figurano ore di straordinario pagate in busta paga ma queste non concorrono alla formazione dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto.

E i premi di produttività concorrono al calcolo del TFR?

I premi di produttività, soggetti a normale tassazione, concorrono sempre all’imponibile per il calcolo del Trattamento di fine rapporto. Si tratta, infatti, di una parte della retribuzione che non può definirsi “occasionale” e che esula dal concetto delle prestazioni meramente “a titolo non occasionale” di cui parla l’articolo 2120 del Codice civile.

Quali sono le voci della busta paga che rientrano nel calcolo del TFR?

È possibile, pertanto, fare un resoconto delle voci della busta paga che devono essere incluse nel calcolo dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto. Oltre allo stipendio base, rientrano:

  • il lavoro straordinario svolto in maniera non occasionale;
  • i premi di anzianità o di fedeltà;
  • le ferie non godute;
  • le festività non godute;
  • i premi di rendimento individuale;
  • la quota retributiva, pari al 50%, delle trasferte;
  • il lavoro all’estero;
  • le indennità di alloggio;
  • il lavoro svolto in maniera non occasionale di notte, nei festivi e durante le domeniche.

Cosa non rientra nel calcolo dell’imponibile per il TFR?

Dal calcolo dell’imponibile ai fini del calcolo del Trattamento di fine rapporto devono essere escluse le seguenti voci:

  • i rimborsi delle spese;
  • le liberalità che il datore di lavoro concede ma che non sono connesse al rapporto di lavoro. Si tratta, dunque, di compensi e premi relativi a occasioni particolari, che non hanno la caratteristica della continuità, come ad esempio il cinquantenario dell’azienda;
  • di conseguenza, ogni compenso corrisposto in maniera occasionale non rientra nel calcolo del TFR.