Azione di riduzione e testamento: chi può proporla e come

Cosa succede se alla morte di un genitore o del coniuge si scopre che la propria quota di eredità è in realtà di ammontare inferiore a quanto si riteneva di dover ereditare? In questi casi la strada principale per ottenere ciò che spetta è l’azione di riduzione.

Che cos’è l’azione di riduzione

Si è visto in precedenza, nell’articolo che potete leggere QUI, che il legislatore individua degli eredi legittimari, cioè dei soggetti a cui spetta una quota di eredità e questo anche contro la volontà del defunto espressa in un testamento. Nel caso in cui vi siete accorti dal testamento che in realtà la vostra porzione di eredità è inferiore alla quota prevista da legge, il consiglio è di esercitare l’azione di riduzione. Questa è volta a ridurre le quote assegnate agli altri eredi in modo da poter ricostruire la propria legittima. Naturalmente chi fa un testamento sa che ci sono dei legittimari e, nel tentativo di ridurre il patrimonio e favorire qualcuno, potrebbe aver disposto dei suoi beni in vita: l’azione di riduzione può riguardare anche donazioni. Occorre quindi ricostruire il patrimonio, ricordando che le donazioni di modico valore non rientrano in questa riunione fittizia dei beni.

Ad esempio possono essere considerate le donazioni in denaro finalizzate all’acquisto di una casa, ma non certo una donazione di ridotta entità, magari del valore di poche centinaia di euro.  Deve essere ricordato fin da ora che l’azione di riduzione è diversa da un’azione per vizi di validità del testamento, inoltre può essere esercitata anche in assenza di testamento, ad esempio nel caso in cui alla morte di un genitore ci si accorga che tutti i beni sono stati donati in vita e quindi la successione legittima ha ad oggetto beni di valore inferiore a quella che poteva essere la quota legittima.

Come si applica l’azione di riduzione

L’azione di riduzione può essere esercitata solo da:

  • eredi legittimari;
  • eredi degli eredi legittimari che non esercitano l’azione;
  • aventi causa degli eredi legittimari, ad esempio creditori.

Tra l’altro occorre ricordare che il soggetto che propone l’azione di riduzione ha l’onere probatorio quindi deve riuscire a quantificare il patrimonio e quindi l’effettiva quota che gli spetterebbe. L’azione si propone nei confronti degli altri eredi e donatari.

Quali norme si applicano

L’azione di riduzione trova il suo fondamento nell’articolo 553 del codice civile che stabilisce “Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtu’ di donazioni o di legati”.

Appare evidente che se i legittimari hanno ricevuto in vita donazioni dal de cuius, ad esempio denaro per acquistare casa, oppure un quadro di valore, devono sommare il valore di tali beni a quanto ricevuto con il testamento e calcolare quindi la legittima tenendo in considerazione, anche tali beni.

L’articolo 554 invece stabilisce Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.

L’articolo 556 stabilisce come si ricostruisce il patrimonio al fine di determinare le quote: Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.

Come si ricostruiscono le quote

L’articolo 558 del codice civile indica come si procede dal punto di vista pratico alla ricostruzione della quota legittima e prevede che la riduzione di quelle detenute dagli altri eredi sia ridotta proporzionalmente in modo da ricostruire la quota erosa degli eredi legittimari.  Nel caso in cui non sia sufficiente questa azione, si procede a ritroso con la riduzione delle donazioni fatte in vita dal de cuius e, in base all’articolo 559 del codice civile, si procede partendo dall’ultima donazione effettuata fino a recuperare le quote dei legittimari. Emerge quindi che si vanno a ridurre le donazioni solo nel caso in cui con la sola riduzione delle quote ereditarie non si riesca a ricostruire la legittima.

Azione di restituzione

La tutela degli eredi legittimari è totale infatti, l’azione di riduzione è considerata di accertamento costitutivo, quindi va ad accertare se vi è stata una lesione e stabilisce le nuove quote. In seguito ad essa, nel caso in cui le parti non procedano volontariamente alla restituzione dei beni, si può proporre l’azione di restituzione. La restituzione può avvenire in natura o per equivalente, quindi in denaro. Nel caso in cui questi beni siano stati alienati a terzi, è possibile esperire l’azione anche nei confronti dei terzi.

La prescrizione

Per esercitare l’azione di riduzione è previsto un termine di prescrizione, lo stesso è di 10 anni. Nel tempo ci sono state diverse interpretazioni inerenti il momento in cui inizia a decorrere il termine per la prescrizione. In un primo momento, con l’avvallo della Corte di Cassazione, l’orientamento prevalente prevedeva che il termine iniziale per il maturare della prescrizione iniziasse a decorrere dal momento dell’apertura della successione. Questo orientamento ha subito molte critiche perché in tale fase il legittimario effettivamente non ha conoscenza della sua quota quindi non può valutarne la consistenza.  Di conseguenza è stato oggetto di modifica  e la Corte di Cassazione ha accettato come criterio per l’inizio della decorrenza dei termini di prescrizione quello della pubblicazione del testamento (sentenza 5920 del 1999).

In realtà anche questo secondo orientamento appare oggi superato e la maggior parte dei giuristi è concorde nell’affermare che il termine inizia a decorrere dal momento dell’accettazione dell’eredità. Naturalmente questo limite non si può applicare all’erede pretermesso, cioè di cui il testamento non parla, ciò in quanto costui non è chiamato all’eredità e non può accettarla.

Il tentativo di conciliazione obbligatorio

In Italia negli ultimi anni si è cercato di ridurre il contenzioso giudiziario caratterizzato da un carico piuttosto imbarazzante per i tribunali. Per fare ciò si è previsto che molte azioni per arrivare in aula devono prima essere oggetto di mediazione; l’azione di riduzione, con introduzione del decreto legislativo 28 del 2010 si trova  tra quelle per cui è prevista la mediazione.

Deriva da ciò che i legittimari che ritengono di essere lesi dal testamento o dalle donazioni fatte in vita da un loro congiunto, devono rivolgersi a un legale che instaurerà una procedura di mediazione per la conciliazione. Solo nel caso in cui questa non dovesse andare a buon fine si potrà procedere con un’azione giudiziaria. L’istanza di mediazione deve essere proposta all’Organismo di Mediazione territorialmente competente con l’assistenza di un legale. L’introduzione della procedura ha un costo di 40 euro + IVA, ci sono poi le spese legali. Se la mediazione è risolutiva sicuramente vi è una riduzione dei costi e una risoluzione più celere.

Chi può impugnare il testamento? Ecco i chiarimenti

Una domanda che molti si pongono è: chi può impugnare il testamento? La risposta non è semplice, proveremo comunque a sciogliere questo spinoso nodo.

Può impugnare il testamento: solo chi ha un interesse diretto e attuale

Il testamento è un atto attraverso cui si dispone dei propri beni per il momento successivo alla morte, può essere redatto in diverse forme e soprattutto fino alla propria morte può sempre essere cambiato.  Il testamento deve però rispettare dei requisiti di forma, anche quando è olografo, deve rispettare requisiti sostanziali e le quote dei legittimari. Nel caso in cui il testamento non rispetti questi criteri si può impugnare il testamento, ma chi può farlo? La domanda è molto insidiosa perché ci sono diverse situazioni da tenere in considerazione, la risposta più generica è: chiunque vi abbia un interesse diretto e attuale può impugnare il testamento.

Questo vuol dire che chi impugna deve trarre vantaggio dall’impugnazione stessa, non può trattarsi di un terzo estraneo al contesto il cui unico obiettivo potrebbe essere danneggiare uno degli eredi, deve trattarsi di un soggetto che può avere un vantaggio dall’impugnazione e deve dimostrare tale interesse. Andiamo però con gradualità a determinare chi sono gli interessati che possono impugnarlo.

I legittimari

I primi soggetti da tenere in considerazione sono i legittimari (figli, coniuge, genitori), costoro possono impugnare il testamento nel caso in cui ritengano che sia stata lesa la loro quota di legittima. Per calcolare la quota di legittima deve essere ricreato l’asse ereditario inserendo anche i beni che sono stati oggetto di donazioni in vita e le vendite simulate, inoltre per ricavare l’asse ereditario devono essere sottratti i debiti. In questo caso si esercita un’azione di riduzione che va però ad interessare solo le eccedenze che un soggetto ha avuto rispetto alle quote che gli spettavano. Per capire chi sono i legittimari nelle varie ipotesi, leggi l’articolo dedicato e che trovi QUI.

Impugnare il testamento per vizi di forma

Il testamento può essere impugnato anche per vizi di forma, questi si verificano quando il documento non rispetta i requisiti previsti da legge per le varie forme. Ad esempio il testamento olografo deve essere scritto rigorosamente a mano, deve essere datato e sottoscritto. La data è necessaria perché se vi sono più testamenti redatti in momenti diversi è necessario capire qual è l’ultimo perché questo, di fatto, annulla le volontà precedentemente espresse. Il testamento, in qualunque forma (olografo, segreto, pubblico) deve sempre essere datato e sottoscritto, in caso contrario è nullo e quindi è come se non fosse mai esistito.

In caso di testamento pubblico o segreto, oltre a dover essere sottoscritto dal testatore deve essere sottoscritto anche dal notaio, in mancanza il testamento è nullo. Il testamento nullo può essere impugnato da coloro che in assenza di testamento sarebbero eredi legittimi, anche in questo caso si può leggere l’approfondimento per capire chi siano gli eredi legittimi e naturalmente si deve dimostrare il proprio interesse.

Chi può impugnare un testamento annullabile

La data è essenziale anche per determinare se nel momento in cui è stato redatto la persona fosse capace di intendere e volere oppure se si trovava in una particolare condizione che poteva alterare le capacità cognitive. Ad esempio un minore di età non ha capacità di agire e quindi non può fare testamento, mentre una persona maggiorenne può trovarsi in una condizione fisica o psichica (temporanea o definitiva), che gli impedisce di esercitare normalmente i diritti ad esso riconosciuti. Facciamo caso che il testamento risulti datato in un giorno in cui il testatore si trovava in uno stato confusionario perché affetto da una patologia che comporta vizi della volontà, è evidente che può essere annullato.

In questo caso non siamo di fronte a un testamento nullo, ma annullabile, anche in questo caso possono agire tutti coloro che vi abbiano interesse e quindi tutti gli eredi legittimi. Non solo, anche chiunque riesca a dimostrare un interesse concreto e attuale, ad esempio l’esistenza di un altro testamento, valido, antecedente o successivo rispetto a quello impugnato e che se portato a conoscenza fin dall’inizio, avrebbe visto il suo riconoscimento come erede.

Ad esempio, un convivente non è riconosciuto dalla legge come erede legittimo e potrebbe essere danneggiato da un testamento non valido, ma potrebbe essere a conoscenza di un altro testamento da cui emerge la volontà del de cuius di lasciargli una porzione di eredità. In questo caso può impugnare il testamento viziato, dimostrando il suo interesse e dimostrando però l’esistenza di un altro testamento valido, infatti senza questo lui non sarebbe mai erede. Naturalmente deve dimostrare anche l’invalidità del testamento impugnato.

I terzi possono impugnare un testamento?

Ci sono dei casi in cui il testamento può essere impugnato anche da coloro che in linea teorica non sarebbero eredi, ma anche in questo caso è necessario che ci sia un interesse. Il caso più frequente è quello dei creditori. In particolare si può fare il caso di un testamento che vada a ledere la quota legittima del signor X, costui è debitore del signor Y, ma decide di non impugnare il testamento per lesione di legittima. In questo caso il Signor Y può impugnare il testamento e poi rivalersi sull’eredità del Signor X.

Si applica quindi l’azione surrogatoria prevista dall’articolo 2900 del codice civile  “Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare. C2 Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi.”

Naturalmente il credito deve essere sufficientemente provato, ad esempio nel caso in cui il creditore sia munito di un titolo esecutivo, ma non riesca a riscuotere il proprio credito.

La quota legittima nella successione testamentaria: di cosa si tratta?

Nel precedente articolo, che si può visionare QUI, si è visto chi sono gli eredi legittimi, cioè coloro che per legge ereditano in assenza di testamento,  ma cosa succede nel caso in cui il defunto abbia disposto dei suoi beni attraverso un testamento? Ecco come funziona la quota legittima (chiamata così perché prevista e determinata dalla legge)  in caso di testamento.

La successione testamentaria: limiti

La legge stabilisce che un soggetto possa disporre dei propri beni liberamente attraverso il testamento che può essere:

  • olografo (art. 602 c.c.);
  • pubblico (art. 603 c.c.);
  • segreto (art. 604 cc).

Nel caso in cui siano presenti dei figli, un coniuge e in alcuni casi i genitori, questi hanno una quota riservata, si tratta di una quota anche denominata “indisponibile” che non può essere quindi destinata ad altri soggetti o comunque lesa.  In questo caso la legge parla anche di successione necessaria. La prima premessa riguarda la quota disponibile che quindi il testatore può dare a chiunque, anche senza vincoli di parentela, questa viene definita “mobile” perché il suo ammontare dipende dal numero dei legittimari.

La quota legittima: a quanto ammonta

Naturalmente se la quota disponibile è “mobile”, cioè non fissa, altrettanto lo è la quota indisponibile. L’articolo 537 del codice civile stabilisce che:

  • Se il genitore lascia un solo figlio ( e nessun coniuge), a costui è riservata una quota legittima pari alla metà del patrimonio;
  • Se lascia due o più figli a costoro è riservata complessivamente una quota di 2/3 del patrimonio da dividere in parti uguali.

In merito a questo articolo del codice, deve essere ricordato che in precedenza prevedeva differenze tra figli legittimi e naturali: i legittimi potevano liquidare in denaro la quota dei naturali ed era una loro facoltà, il comma è stato abrogato completando così il processo di totale parificazione tra figli naturali e legittimi.

L’articolo 537 del codice civile deve essere coordinato con l’articolo 542 che si occupa del caso in cui oltre ai figli, tra i legittimari c’è anche il coniuge. In questo caso le quote sono così determinate:

  • nel caso in cui il testatore abbia un coniuge e un figlio, spetta 1/3 dell’eredità al coniuge e 1/3 al figlio, di conseguenza 2/3 sono indisponibili e 1/3 è la quota disponibile;
  • se il defunto aveva coniuge e 2 o più figli la quota di legittima è metà patrimonio ai figli che lo dividono in parti uguali e ¼ del patrimonio al coniuge, la rimanente parte (1/4) è disponibile.

Note sull’applicazione della quota legittima

Deve essere sottolineato che le quote previste nell’articolo 542 sono di “recente modifica” cioè sono entrate in vigore nel 2014 e determinate con il d.Lgs 154 del 2013. Inoltre il coniuge separato, ma non divorziato, ha gli stessi diritti del coniuge vero e proprio, ad eccezione del caso in cui la separazione sia con suo addebito. Infine, al coniuge spetta sempre il diritto di abitazione sulla casa coniugale ( se di proprietà di entrambi o solo del defunto) anche se la stessa viene ereditata da altri soggetti.

Ai genitori spetta la quota di legittima solo nel caso in cui il testatore sia morto senza lasciare figli, in questo caso la loro quota è di 1/3 del patrimonio in assenza del coniuge e ¼ in presenza dello stesso. La rimanente parte è la quota disponibile.

Tra le note che occorre sottolineare vi è che i figli adottivi, se adottati quando avevano già compiuto 18 anni, non sono titolari di alcuna quota di riserva.

Infine, merita un cenno anche l’istituto della “rappresentazione” che interviene nel caso in cui il figlio del testatore abbia deciso di non agire per ottenere la sua quota, oppure sia assente, ad esempio perché deceduto, in questo caso la sua quota, per “rappresentazione” spetta, se esistono, ai discendenti. Ad esempio un soggetto muore lasciando testamento, ha due figli, di cui uno deceduto, quest’ultimo a sua volta ha un figlio in vita, a costui per rappresentazione spetta la quota del padre.

Come si calcola la quota legittima nella successione necessaria?

I problemi circa la quota riservata ai legittimari ovviamente sorge solo nel momento in cui la stessa sia lesa dal testatore, ad esempio perché ha escluso dall’eredità un figlio che lo ha deluso, oppure ha lasciato al coniuge una porzione di eredità inferiore rispetto a quella che gli spetterebbe. E’ però vero che ormai tutti sono a conoscenza dell’esistenza della quota di riserva e quando una persona si reca dal notaio per il testamento (solo l’olografo può essere fatto senza che intervenga un notaio) viene comunque informato su questi limiti.

Proprio per questo spesso in vita il de cuius ha avuto comportamenti volti a ridurre il patrimonio, magari donando in vita i beni alle persone che vuole favorire, spesso anche con negozi simulati, ad esempio con un atto di compravendita fittizio. Naturalmente al verificarsi di ciò si può avere comunque una lesione della legittima e allora la legge determina dei correttivi e stabilisce che anche i beni donati in vita, se di rilevante valore, tenendo in considerazione le capacità del de cuius, devono essere riuniti alla massa ereditaria al fine di determinare l’esatto ammontare della quota di legittima.

Di conseguenza,  possono sorgere problemi per quanto riguarda la determinazione concreta della quota di beni che non è disponibile, soccorre a tal proposito l’articolo 556 del codice civile che stabilisce “Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui di cui ha disposto in vita il defunto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750 del codice civile, e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.”

Regole per ricostruire l’asse ereditario

Tra le note occorre sottolineare che nel ricreare fittiziamente il patrimonio del de cuius è necessario inserire anche i beni trasferiti in modo simulato. Tra i debiti, rientrano anche le spese sostenute in occasione della morte, cioè le spese funebri.

Si è detto che la legge in caso di successione testamentaria stabilisce delle quote che sono “intoccabili, in favore di coniuge, figli e in alcuni casi genitori, ma occorre sottolineare che questa procedura non è automatica, cioè il soggetto che ritiene lesa la sua quota legittima da donazioni fatte in vita o dal testamento stesso, deve agire per ottenere tutela attraverso l’azione di riduzione prevista dall’articolo 549 del codice civile, se non lo fa c’è il rischio di prescrizione.

Chi sono gli eredi legittimi in caso di morte e quanto ereditano?

Il diritto successorio in Italia è abbastanza complesso e prevede la presenza di diverse figure, tra queste vi sono gli eredi legittimi; ecco chi sono e quali sono le loro quote di eredità.

Chi sono gli eredi legittimi e come distinguerli dai legittimari

In Italia vige il principio per cui non possono esservi beni che non hanno intestazione, ecco perché in caso di morte tutti i beni intestati a un soggetto ricadono nella sfera giuridica degli eredi. Gli eredi, in caso di testamento, sono coloro che appunto sono indicati all’interno di esso come successori/beneficiari, ma costoro potrebbero subire un’azione di riduzione nel caso in cui nell’atto siano stati lesi i diritti dei legittimari, cioè coniuge, figli e genitori. La legge infatti prescrive che questa categoria non possa essere esclusa dall’eredità, ma ad essi debba essere riservata una quota. Deve però essere sottolineato che l’azione di riduzione è personale, cioè devono proporla i legittimari, non possono proporla altri soggetti al loro posto.

Diverso è il caso di un soggetto che muore senza lasciare testamento, in questo caso l’eredità si devolve esclusivamente agli eredi legittimi; ma chi sono appunto gli eredi legittimi? A dare una risposta a questo importante quesito è l’articolo 565 del codice civile che stabilisce: “Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”. Fin da subito è bene sottolineare che per quanto riguarda i figli sono trattati in egual modo i figli legittimi,  naturali e adottivi; inoltre quando gli eredi legittimi sono fratelli e sorelle sono equiparati i legittimi e i naturali.

Quote di eredità degli eredi legittimi

La descrizione dell’articolo 565 è piuttosto generica, infatti ci sono diverse casistiche.

Gli eredi legittimi sono tali in quanto individuati dalla legge che stabilisce il principio di gradualità per cui i parenti prossimi escludono quelli di grado inferiore. Ecco perché se un soggetto muore lasciando coniuge e figli saranno solo costoro a ereditare escludendo dalla successione altri parenti. Di conseguenza:

  • se il soggetto morto ha lasciato solo figli e non coniuge, l’eredità viene divisa in parti uguali tra questi;
  • nel caso in cui siano presenti coniuge e figli il coniuge eredita la metà del patrimonio in presenza di un solo figlio e 1/3 del patrimonio se sono presenti 2 o più figli;
  • se vi è il coniuge, ma non figli a questo spetteranno 2/3 dell’eredità, mentre 1/3 saranno ereditati da ascendenti (genitori e in assenza nonni) e collaterali, cioè fratelli e sorelle.;
  • se fratelli e sorelle hanno un solo genitore in comune, quindi sono “naturali” e non “legittimi” a costoro spetta la metà della quota che spetterebbe ai legittimi;
  • nel caso in cui il soggetto non abbia ascendenti, figli, coniuge e nipoti in linea retta (nonno/nipote) l’eredità si evolve ai parenti più prossimi, fino al sesto grado;
  • nel caso in cui non ci siano parenti entro il sesto grado, l’eredità va allo Stato.

La presenza di un parente di grado superiore esclude la possibilità che possano ereditare parenti di grado inferiore. I parenti entro il sesto grado, sono i figli dei cugini, quindi costoro sono gli ultimi a poter ereditare, in assenza di un valido testamento.

Gradi di parentela

Per capire i gradi è bene fare qualche esempio:

  • tra nonno e nipote il rapporto di parentela è di discendente/ ascendente di secondo grado;
  • tra fratelli il rapporto è collaterale di secondo grado;
  • il rapporto nipote zio è collaterale di terzo grado;
  • i cugini sono collaterali di quarto grado.

Un altro modo per capire quanto ereditano gli eredi legittimi è fare degli esempi. Nel caso in cui il soggetto lasci un coniuge, senza figli, con 2 ascendenti e 1 fratello, le quote di eredità saranno di due terzi per il coniuge e l’eventuale diritto di abitazione della casa coniugale, il 25% sarà complessivamente diviso ai due ascendenti (genitori) mentre l’8,33% sarà per il fratello. Nel caso in cui tra gli ascendenti gli unici in vita siano i nonni, l’eredità deve essere divisa in parti uguali tra il ramo dei nonni materni e il ramo di quelli paterni.  La presenza di figli esclude che altri parenti, tranne il coniuge, possano ereditare.

Ulteriori informazioni

Tra le cose che devono essere sottolineate c’è il fatto che fino a quando non ci sarà una modifica sostanziale dell’articolo 565 del codice civile, i conviventi di fatto non avranno il riconoscimento come eredi legittimi, potranno ereditare nel caso in cui ci sia un testamento in favore del convivente e senza ledere la quota dei legittimari.  Il convivente ha la qualifica di erede legittimo solo nel caso in cui non si tratti di convivenza di fatto ma di unione civile regolarizzata.

Infine, occorre ricordare che all’eredità si può rinunciare, si può accettare con riserva. Nel caso di rinuncia, ci sarà un accrescimento delle quote degli altri eredi, sempre rispettando il principio della gradualità, quindi saranno accresciute le quote dei parenti di pari grado o se assenti/rinunciatari, si andrà al gradino successivo. Non può rinunciare all’eredità il parente che è entrato già nella disposizione del patrimonio, ad esempio il figlio che ha venduto l’auto del genitore. Il termine per la rinuncia è di 10 anni dall’apertura della successione, che si riducono se già si dispone del patrimonio del de cuius. In questo caso e l’erede avrà 3 mesi di tempo per redigere l’inventario e ulteriori 40 giorni per rinunciare, ad esempio se il figlio vive nella casa intestata al genitore subisce la riduzione dei termini per la rinuncia.