Milano: un nuovo designer al giorno


A Milano secondo i dati diffusi da Unioncamere nasce quasi un nuovo designer ogni giorno lavorativo trascorso. Nel primo trimestre del 2011 Milano ha registrato 56 nuove imprese iscritte (circa il 40% del totale lombardo) operanti nel campo della moda, del disegno industriale e della grafica. Si tratta di una crescita di ben 19 in più rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (+51,4%). La crescita nel 2010 rispetto all’anno precedente è stata del 18,8%. La città con più iscrizioni è Milano (+6,6%) seguita da Brescia, Monza, Brianza e Pavia.

Chi sono i nuovi designer? Hanno mediamente tra i 30 e i 50 anni, è uomo in due casi su tre e italiano. Più alta che negli altri settori la presenza femminile: 33% nel design rispetto al 20% circa nella media delle imprese. A Milano la media degli over 50 è un po’ più alta che nel resto d’Italia (15% contro 10%).

Sono 26.055 i dottori in architettura, ingegneria edile e design laureati nel 2009, il 62,1% dei quali ha trovato impiego tra 2009 e 2010. Per un designer su cinque il settore di destinazione è stato il comparto manifatturiero (20,1%) mentre uno su dieci si è inserito nel commercio al dettaglio (10,2%) e l’8,2% è entrato in uno studio professionale.

Pier Andrea Chevallard, segretario della Camera di commercio di Milano ha dichiarato: “La competitività delle imprese che operano nel settore del design si gioca sul campo della creatività che, abbinata alla  capacità di produrre, rappresenta un valore aggiunto strategico per il sistema imprenditoriale milanese. L’originalità passa attraverso i giovani, i creativi, i talenti che con la loro capacità innovativa apportano un contributo decisivo a questo settore”.

 

Confidi per i liberi professionisti

Il vicepresidente dei deputati della Lega, Alessandro Montagnoli, primo firmatario dell’emendamento approvato martedì sera dalle commissioni riunite Bilancio Finanza e Tesoro durante l’esame del decreto Sviluppo, passato mercoledì all’esame dell’Aula di Montecitorio ha commentato:  “C’era una ingiustizia che andava eliminata e lo abbiamo fatto: finalmente anche i liberi professionisti potranno costituire Confidi, mentre fino ad oggi questa opportunita’ era ad appannaggio solo delle piccole e medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, nonche’ di imprese artigiane e agricole“.

Per il mondo dei liberi professionisti si tratta di una novità assoluta. L’intero comparto potrà infatti accedere al credito agevolato e alle garanzie che saranno poste in essere dai consorzi costituiti dalle stesse associazioni dei liberi professionisti.

Il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella testimonia felicità per la novità: “Fino a oggi il sistema dei Confidi ha coperto tutti i settori economici del Paese, ma non quello delle professioni“. I Confidi per i liberi professionisti rappresentano un importante incentivo contro la situazione di crisi che incide anche sugli studi professionali. La mancanza di questo strumento di sostegno al credito – osserva il deputato leghista – danneggia enormemente i liberi professionisti, anche perche’ dopo Basilea 2 la concessione del credito sulla base di ‘rating’, non favorisce, di fatto, l’accesso al credito di soggetti con minori capacita’ patrimoniali, rispetto ai gruppi industriali o commerciali o dei servizi.

La riforma delle professioni è una priorità secondo il Ministero della Giustizia

Il capo di gabinetto nel ministero della Giustizia, Settembrino Nebbioso, durante un incontro ufficiale con il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, ha affermato che “La riforma delle professioni è una delle priorità del ministero della Giustizia“. Secondo Nebbioso “L’ufficio legislativo  sta completando una serie dei passaggi tecnici che permetteranno di aprire in tempi brevi il tavolo di confronto con le categorie interessate, cui parteciperà anche la componente sindacale delle libere professioni“.

La legge quadro detterà i principi per garantire l’elevata qualità delle prestazioni definendo regole trasparenti e di facile interpretazione. Secondo il ministero della giustizia però per agevolare i lavori sarebbe meglio anticipare il  contributo della Confederazione, nel suo ruolo di rappresentanza unitaria delle professioni intellettuali. Ciò che serve è uno Statuto delle professioni.

Confprofessioni si è attivata per offrire la massima collaborazione nell’individuare quali sono le necessità di ciascuna professione intellettuale: “Ci siamo impegnati – ha detto il presidente Gaetano Stella – a far pervenire già nelle prossime settimane al presidente Nebbioso le nostre osservazioni sulla legge quadro, che dovrà contemperare l’urgenza di riformare gli ordini professionali con le necessità di garantire ai liberi professionisti, e anche ai giovani, gli strumenti idonei per competere sul mercato dei servizi professionali, alla luce dell’evoluzione normativa europea“.

Mirko Zago

Il partitivista dal punto di vista del diritto: professionista di nome, dipendente di fatto

Secondo l’Agenzia delle Entrate, a fine marzo 2010, in Italia, risultavano aperte circa 10 milioni di Partite IVA, la stragrande maggioranza delle quali non faceva capo a società o imprese, ma a figure professionali autonome: un numero sicuramente impressionante, indice sì di vitalità del mercato del lavoro, ma anche dell’instabilità del medesimo.

Il fenomeno del boom delle partite Iva inizia negli Anni ’80, quando comincia la cosiddetta “ristrutturazione terzistica” dell’economia italiana: l’apertura della partita IVA, difatti, diviene lo strumento per divenire imprenditori di se stessi, è sufficientemente agile e snello e non richiede titoli di studio o eccessiva burocrazia.

In tutti questi anni, il popolo delle partite IVA è costantemente cresciuto, ma non ha mai avuto modo di organizzarsi con il solo risultato che, specialmente nel caso di giovani professionisti, vi sia esclusivamente una legislazione fiscale e non una di tutela. La partita IVA, infatti, solo in linea teorica consente di esercitare una professione in modo libero, autonomo ed indipendente, ma, in realtà, è più spesso lo uno degli strumenti, che il giovane avvocato, commercialista, architetto, o il professionista in generale è costretto ad utilizzare pur di entrare a far  parte del mondo del lavoro.

Negli ultimi anni, difatti, si è sviluppata la prassi di utilizzare la partita Iva come strumento per flessibilizzare il mercato del lavoro: invece di assumere un dipendente che lavora part time o addirittura full time, gli si suggerisce di aprire la sua partita Iva; ma, lo strumento in parola gli garantisce al massimo e nel migliore dei casi un lavoro, ma non la tutela che da esso dovrebbe derivare.

E’ indicativo il fatto che molti avvocati e commercialisti chiedano, declassandosi, un posto da impiegato o cerchino comunque carriere alternative. La partita IVA non garantisce una sicurezza, non dà, ovviamente, diritto a ferie né malattie e neppure, almeno per ciò che concerne i giovani professionisti, a quel miraggio di libertà, autonomia ed indipendenza che è stato il motivo per cui si è scelta una professione.

Le statistiche dicono come oltre i due terzi di questi “lavoratori” oscilla tra i 30 e i 40 anni d’età ed un livello alto di istruzione e di professionalità. A ciò occorre aggiungere come non esistendo praticamente barriere di entrata, la concorrenza sia pressocchè incontrollata e sarebbe necessario riformare l’intero modello favorendo gli accorpamenti, prevedendo una legislazione ad hoc e limitando altresì, la cifra spropositata che sfiora i summenzionati 10 milioni.

L’introduzione del c.d. “forfettone” per i redditi sotto i 30mila euro e la possibilità di dividere il reddito tra moglie e marito ha aiutato questo giovane popolo in termini di fisco leggero, ma sono mezzi “placebo” che non accontentano né tutelano se non in minima parte.

Questa la realtà lavorativa per la stragrande maggioranza dei titolari di partite Iva in Italia. Nel 60% dei casi hanno un solo committente e lavorano in sede con ritmi e orari pressoché identici a quelli di un dipendente. Mediamente guadagnano mille euro al mese e restano a lungo nella famiglia d’origine. Professionisti di nome, quindi, ma dipendenti di fatto.

L’esistenza di tali figure professionali “ibride”, genera un ulteriore problema; e cioè il ricorso indiscriminato (a volte giustificato a volte no) alla Giustizia civile (ed in particolare al Tribunale del Lavoro), nella speranza, da parte del “lavoratore” / collaboratore ricorrente, che il Giudice voglia qualificare, di fatto, il rapporto come di lavoro dipendente, nonostante esso sia mascherato da “lavoro autonomo”. La circostanza di essere titolare di partita IVA non è infatti elemento risolutivo per conferire al soggetto titolare, la posizione di lavoratore autonomo, se poi nella realtà dei fatti, il rapporto si manifesta secondo i canoni tipici della subordinazione o della parasubordinazione, quali possono essere l’assoggettamento al potere gerarchico del “datore” di lavoro, il rispetto di orari prestabiliti di entrata e di uscita, ecc…

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

L’amarezza di essere partitivista: una lettera-verità per dire basta ai soprusi

di Davide PASSONI

Qualche giorno fa è giunta a Infoiva una e-mail inviata da una professionista che ha voluto portare alla nostra attenzione la propria amara esperienza da “partitivista”. Chi ci segue sa che la missione della testata è quella di raccontare “un popolo fatto di piccoli imprenditori e liberi professionisti, che con spirito, tanta volontà, sacrificio e coraggio, gestiscono in maniera autonoma il proprio lavoro, costituendo la colonna portante del nostro sistema produttivo. Perché il Popolo delle Partite Iva è l’Italia che produce“. Offrire, insomma, ottimismo, per quanto nelle nostre capacità e per quanto la congiuntura in cui viviamo ce lo consente.

Tuttavia, non riteniamo corretto né utile chiudere gli occhi di fronte alle tante realtà e situazioni nelle quali chi vive (o sopravvive…) e lavora a partita Iva ha da spendere tutto fuorché l’ottimismo; perché il nostro sistema fiscale, il welfare, la contrattualistica professionale, il mondo bancario – per non parlare di quello sindacale – non lo tutelano e, anzi, sembrano farsi beffe di quello che, invece, è il suo patrimonio di maggior valore: lo spirito di imprenditorialità.

Poiché siamo stufi di veder considerati i partitivisti come dei figli di un dio minore, abbiamo deciso di pubblicare la lettera della nostra amareggiata lettrice: la trovate qui sotto. In più, abbiamo chiesto al nostro contributor, avvocato Matteo Santini, un commento dal punto di vista legale a questo tipo di realtà: eccolo.

Come è ovvio, abbiamo attribuito alla lettrice un nome di fantasia ed eliminato ogni riferimento spazio-temporale alla sua situazione per tutelarne l’anonimato. Anche perché, si chiami essa Luisa, Paola, Domitilla o Sofia, poco ci interessa: quello che vogliamo è portare alla luce una storia che è una come cento, mille altre, perché chi nel Palazzo ha a cuore la sorte della nostra economia e i diritti di contribuisce a svilupparla, si renda conto di che cosa significa oggi essere professionista. Omettiamo l’aggettivo “libero” per decenza e per rispetto nei confronti della nostra lettrice.

Salve,
mi chiamo Luisa e sono una “giovane architetto”… se a 34 anni si può ancora essere considerati giovani.
Vi scrivo per porre alla vostra attenzione la mia situazione professionale, anche io ahimè faccio parte del cosiddetto “popolo delle partita IVA”.

Ho cominciato a lavorare nel 2002 negli Studi Professionali e nel 2003 mi sono sentita dire: “Se vuoi continuare a lavorare per me, devi aprire la Partita Iva”. Allora ero abbastanza ignara dei sistemi fiscali, e soprattutto di diritti dei lavoratori e ho fatto quello che mi veniva richiesto, così come anche altri milioni di professionisti nel Paese. Mi sembrava normale, ricevere una retribuzione oraria… All’inizio mi sembrava normale anche non ricevere alcuna retribuzione durante il mese di agosto (lo studio era chiuso), durante le vacanze comandate, Natale, Pasqua e anche nel caso in cui per motivi di salute non fossi stata in grado di andare al lavoro.

Piano piano, le persone intorno a me, i miei amici coetanei, si laureavano e intraprendevano la loro carriera lavorativa… Chi negli ospedali come medici, chi in banca, altri ancora nel commercio o negli uffici pubblici e cominciavo a sentir parlare di “ferie”, di “malattia”, di “maternità” e addirittura di “tredicesima”!!!! E allora mi è cominciato a sorgere il dubbio che forse la mia situazione di giovane professionista collaboratrice di studi professionali, non era poi così normale.

Un giorno per curiosità ho contato le giornate lavorative e mi sono accorta che noi giovani professionisti, non solo non conosciamo il significato di tutte le condizioni sopraelencate, che dovrebbero appartenere alla categoria dei lavoratori, ma addirittura in un anno, lavorando tutti i giorni, almeno 8 ore al giorno, fatturiamo 10 mensilità piuttosto che 12… Niente male!!

Nello studio presso il quale presto la mia collaborazione (con obblighi di presenza giornaliera di 8 ore) si copre la fascia di età dai 28 ai 40 anni e le differenze retributive sono pressocchè minime: andiamo dai 12 euro/ora, ai quali si deve togliere la Ritenuta d’Acconto (20%) e il contributo Inarcassa (ente previdenziale a cui siamo obbligati a iscriverci e a versare i contributi a nostre spese) che si attesta intorno al 12%, sino ai 7 euro/ora dei neolaureati.

Purtroppo la nostra categoria di lavoratori (che vedete bene, non ha niente a che vedere con la figura del Libero Professionista), oggi non è affatto considerata e tutelata dagli enti di governo e sindacati. Si sente parlare sempre del problema del precariato e degli operai ma mai di noi finte partite Iva.

Oggi in Italia si ha ancora questa convinzione: Architetto/Avvocato/Ingegnere = libero professionista = categoria privilegiata. Ma questo è vero, in parte, solo se si fa “realmente” la libera professione. Magari fossimo davvero liberi professionisti, o meglio, magari potessimo avere la possibilità di esercitare la professione liberamente, intendendo con questo autonomamente e non alle “dipendenze” (ma solo in termini di obblighi) di altri liberi professionisti.

Qui si apre il capitolo dei bandi pubblici per affidamento di incarichi professionali, dove per partecipare devi avere già esperienza nella categoria a cui appartiene l’intervento in oggetto. Esempio, se si vuole partecipare al bando per la selezione dell’ampliamento di una scuola, si deve possedere già nel proprio curriculum un affidamento di incarico per l’ampliamento, ristrutturazione, o nuova edificazione di almeno una scuola… niente di più facile e ovvio!! La conseguenza di questa normativa nell’affidamento di lavori pubblici, ci sembra abbastanza evidente. Come giustamente ha detto recentemente Renzo Piano nel suo bell’intervento alla trasmissione Vieni via con me, in Italia oggi un architetto prima dei 50 anni non ha la possibilità di “fare” nulla. Ed è tristemente vero.

Proseguo con il racconto di situazioni e difficoltà, che ogni giorno ci dobbiamo trovare ad affrontare.

Un venerdì pomeriggio di qualche mese fa sono stata chiamata dai miei due capi nella loro stanza. Con facce diabolicamente meste e contrite mi dicevano che purtroppo la mole di lavoro era di molto diminuita per la loro Società, e che pertanto erano costretti (con il cuore in mano) a fare dei tagli e che la prima ero io, guarda caso, la professionista che al momento percepiva più di tutti all’interno dello studio e che, come potrete immaginare, non stava mai zitta di fronte a ingiustizie e comportamenti poco rispettosi nei nostri confronti. In poche parole, dopo 3 anni e mezzo di collaborazione, mi dicevano che nel giro di 2 settimane (avete capito bene, 2 settimane), sarei dovuta andare via. Sotto mia richiesta le 2 settimane sono diventate 4.

Immediatamente la mia preoccupazione più grande in quelle 4 settimane è stata provare a bloccare il mutuo per qualche mese, come previsto anche dalla Finanziaria di Tremonti. Certo, si può fare, mi hanno detto alla Banca. Mi deve portare il Contratto di Assunzione e la Lettera di Licenziamento. Ovvio. Peccato che io, come libera professionista a partita Iva non sappia neppure cosa sia un Contratto di Assunzione. Per buon cuore della Sig.ra responsabile dei mutui presso la Banca, abbiamo tentato altre strade, legate alle direttive interne della Banca stessa, e non a direttive “statali”, in quanto per quelle, non sussistevano le condizioni per me, per poterne usufruire. Mi è stato chiesto di ottenere una lettera dai miei capi, in cui si dichiarasse che io dal mese successivo non avrei più fornito collaborazione presso la loro Società.

Mi hanno fatto aspettare e penare 20 giorni prima di firmare questa lettera, modificandola e parlandone con il loro commercialista… riuscite a immaginare di cosa potessero avere paura?

Ma il bello deve venire.

In quello che arvebbe dovuto essere il mio ultimo giorno di lavoro, mi hanno chiamato nuovamente, dicendo che la situazione era cambiata (un altro professionista come me, era andato via) e loro avrebbero avuto piacere che io continuassi. Ovviamente ho dovuto dire di sì, ma potete ben immaginare con quale stato d’animo. E da allora sono ancora lì.

Nel frattempo una mia collega dello studio, è rimasta incinta per ben due volte, ma entrambe le volte con gravidanze difficili, nessuna delle due andate a buon fine. E’ dovuta stare a casa la prima volta un mese circa, e la seconda volta 3 mesi, senza percepire alcuna retribuzione secondo l’equivalenza no lavoro = no guadagno, che andrebbe bene se fossimo realmente liberi professionisti, non certo dipendenti quali siamo, costretti da una presenza quotidiana nello studio e un orario ben stabilito di 8 ore al giorno.

Lei ha ottenuto per fortuna, un piccolo risarcimento da Inarcassa, la Cassa di Previdenza di Ingegneri e Architetti, ma dopo la seconda volta, alla richiesta di voler ricominciare a lavorare, si è sentita rispondere che il lavoro è molto diminuito e che al momento non c’è posto per lei nello studio; peccato che nel frattempo, siano arrivate due giovani neo laureate, che sommando il loro stipendio, arrivano a percepire quanto lei da sola. Strana coincidenza anche questa no??

Ciò che oggi più mi fa arrovellare, è cercare di capire il perché del totale silenzio da parte dei politici, dei sindacati e anche dei giornalisti, su una situazione ogni giorno più grave e pesante. Unica testata di impatto pubblico che ha scritto un articolo, è stato il Venerdì di Repubblica, nel numero 1160 di Giugno 2010 “L’Italia delle partite iva”.

Vi ringrazio per la cortesia di avermi ascoltato in questo sfogo… Noi, giovani professionisti (ma ripetiamo, non più così giovani!!!!) siamo stanchi e molto preoccupati per il nostro futuro. Vorremmo che la questione venisse fuori con vigore e allarme, per far sì che in primis i giovani professionisti e non meno gli enti di governo, ne acquisiscano la consapevolezza. Io sono infatti convinta, che il mal costume che persiste oggi all’interno degli Studi Professionali, sia anche conseguenza dell’apatia di chi ci lavora, che da anni ha accettato passivamente le condizioni su descritte, tanto da far sì che oggi appaiano quasi normali.

Credo sia abbastanza evidente dalle mie parole, che il malcontento sta aumentando sempre più. Ci vediamo calpestati nei diritti fondamentali di una persona che lavora: nessuna tutela nella malattia, nessuna tutela nel mettere al mondo un bambino, nessuna tutela nell’essere allontanati da un giorno all’altro, siamo ben lontani dal rispetto del lavoro e dei diritti che ne dovrebbero seguire, che sono alla base di una società civile e progressista.

Certa di una vostra risposta e collaborazione, porgo i miei più cari saluti e rinnovo la speranza che grazie a voi e al vostro giornale, qualcosa possa cominciare a muoversi e a emergere.