Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Diversificare per proteggere il patrimonio

Dopo aver descritto uno scenario da economia del baratto –  eccessivamente catastrofico? – parlando dell’oro fisico, l’unico investimento alternativo che offre la possibilità di acquistarne e venderne quote anche molto piccole, anche un grammo (oggi pari a 40 euro), adattandosi quindi a tutte le dimensioni di patrimonio, ora prendiamo in considerazione una regola aurea degli investimenti, la diversificazione.

Con questo termine si indica la suddivisone del capitale su più tipi di investimento. Tale strategia si confronta con la dimensione complessiva del patrimonio; infatti, se, ad esempio, diversificare significa investire non più del 5% su ogni bene o prodotto, qualora il patrimonio complessivo (compresi immobili, ma esclusa l’abitazione principale, polizze assicurative, terreni, oggetti d’arte, partecipazioni societarie, brevetti…) fosse di 1 milione di euro, il 5% corrisponderebbe a 50mila euro. Quindi si tratterebbe di investire in ogni bene o prodotto 50mila euro al massimo.

Se trovate un immobile che sia in vendita a questa cifra, fatemelo sapere! Forse un box auto o un rudere in campagna, ma non di certo un appartamento di città! Ho reso l’idea?

Diversificare correttamente, in base alle risorse disponibili, è più difficile di quanto si pensi o di quanto vogliano farvi credere i venditori di prodotti o beni. In realtà non si possono fare generalizzazioni.

Bisogna prima capire quali sono i progetti di vita che portano la persona ad accantonare del denaro e poi stabilire come e quando raggiungerli. Non è così scontato che questi progetti di vita siano chiari al soggetto: la maggior parte delle volte vanno scovati nei meandri del cuore e della mente, con l’aiuto di un bravo life planner.

La diversificazione quindi è un modo per prevedere dei percorsi alternativi al raggiungimento delle mete prefissate, ma se si diversifica eccessivamente, il rischio è di non riuscire mai ad arrivare in meta, per usare un’espressione tipica di uno sport a me molto caro, il rugby. Se infatti ogni diversificazione conduce a risultati opposti, i benefici di un risultato positivo saranno annullati da un risultato negativo. Ci vengono in aiuto, come spesso avviene, i nostri antenati latini che dicevano “cum grano salis”, cioè diversificare con misura e buon senso. Magari facendovi aiutare da chi non deve vendervi nulla, se non i suoi consigli.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Una volta si chiamavano beni rifugio. A me un rifugio fa venire in mente un pericolo da cui fuggire. Quale pericolo, nel caso del patrimonio? Una delle opzioni possibili nel prossimo futuro è il ritorno ad un’era di baratto, in cui la moneta cartacea non avrebbe più alcun valore.

Casi limite nella storia recente si sono già verificati: in Germania, durante la Repubblica di Weimar, la carta moneta valeva talmente poco che si pesava, invece di contarla. Per comprare qualcosa, era necessaria una carriolata di banconote, letteralmente. In un’ipotesi di questo genere, assumono valore solo poche cose, che in parte ho già trattato in un precedente articolo: oro, gioielli, auto d’epoca, oggetti d’arte, immobili.

Ce ne sono anche altri, tuttavia, ‘alternativi’, e vorrei trattarli brevemente uno ad uno, in questo e nei prossimi contributi. Inizio a parlarvi dell’investimento alternativo per eccellenza: l’oro.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un bene rifugio? Deve essere anche facilmente vendibile, e anche facilmente divisibile in più lotti, senza che ne venga compromesso il valore. Non deve creare problemi di stoccaggio. Deve avere un valore riconosciuto a livello mondiale, quindi una quotazione ufficiale internazionale. Non deve essere soggetto a mode, gusti, tendenze. Deve mantenere il suo valore nel tempo, legato all’inflazione, pur potendo subire oscillazioni.

A me viene in mente un solo bene rifugio con tutte queste caratteristiche: l’oro fisico appunto. Preciso fisico, perché ora si possono acquistare etf e certificati sull’oro, che però hanno un difetto: sono dei pezzi di carta, che potrebbero diventare carta straccia in caso di catastrofe o crisi mondiale.

Inoltre l’oro, a differenza della altre materie prime, è anche considerabile una merce di scambio e una moneta (gli Stati detengono riserve aurifere come prova della loro solidità patrimoniale).

La richiesta di oro da parte degli Stati, soprattutto quelli emergenti, è in incremento, e l’oro non si consuma, quindi la sua scarsità deriva solo dal possesso di alcuni. A maggiori quantità che vengono trattenute e non commercializzate, corrispondono minori quantità in commercio, con un conseguente aumento del prezzo.

Per oro fisico intendo precisamente il lingotto o la moneta (non antica), perché questi hanno bassissimi costi di lavorazione e, in caso di rivendita, si recupera quasi per intero il loro valore. La stessa cosa non accade per i gioielli o gli orologi in oro, perché buona parte del loro prezzo di acquisto è costituito da costi di manifattura, che non vengono certamente pagati quando li si rivende (avete mai portato un anello ad un negozio di compro-oro? quanto ve la hanno valutato?).

Bene rifugio non significa però investimento speculativo: cioè, il prezzo può aumentare o diminuire, ma il bene non si vende per realizzare una plusvalenza (a meno che non sia  così elevate, come nel caso dell’oro, da consigliare una riduzione dell’esposizione complessiva). Inoltre, l’acquisto di oro come bene rifugio deve essere proporzionato al patrimonio complessivo e oggetto di opportune valutazioni sulle quantità necessarie allo scopo, in quanto la diversificazione rimane sempre un sano principio base nelle scelte sugli investimenti.

E’ vero che il prezzo dell’oro ha subito un forte incremento negli ultimi tempi ed è in costante crescita da dieci anni, quindi potrebbe avvicinarsi una bolla speculativa: però ha un suo valore intrinseco, che non dipende da mode o culture, e questo valore è collegato al costo della vita.

Un legionario romano comprava la sua divisa con un’oncia d’oro, più o meno quello che serve oggi per comprarsi un bel vestito.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Beni rifugio o gabbie?

Lo dice la parola: beni su cui rifugiarsi quando succede il peggio. E se invece non sono un rifugio ma solo un miraggio? Disastro!

Un bene rifugio deve proteggere da un evento infausto: la perdita di potere d’acquisto del denaro liquido, per qualunque causa si verifichi, prevedibile (inflazione) o imprevedibile.

Quindi la domanda da porsi è se tutti i beni o gli investimenti hanno questa caratteristica e come possano proteggere il capitale nel tempo.

L’elenco è lungo, farò solo qualche esempio nello schema seguente, ipotizzando di avere investito 100mila euro in uno solo di questi beni:

Bene

Protezione inflazione

Protezione catastrofe

Problemi rivendita

Vendita parziale

Problemi stoccaggio

Casa no no secondo il mercato locale No (molti anziani ora vendono l’usufrutto) no
Auto no no secondo il mercato no si
Arte si si secondo il mercato si si
Oro si si prezzo definito e quotato su mercati regolamentati internazionali si no
Gioielli no si prezzo di mercato, manodopera non rivendibile si no

Alcuni beni non sono divisibili e vendibili separatamente (una casa può essere venduta solo per intero, a meno che non sia possibile frazionarla in più unità abitative, con i relativi costi; un’auto d’epoca la si può vendere solo intera), quasi tutti (tranne l’oro) non hanno un prezzo definito da un mercato regolamentato, ma il prezzo si realizza dall’incontro tra domanda e offerta.

Ci sono beni che hanno bisogno di spazio adeguato dove conservarli (auto o quadri), altri incorporano un elevato valore di manodopera all’acquisto, che non è riconosciuto quando li si vuole rivendere (gioielli, orologi, a meno che non si tratti di oggetti da collezione, rari o antichi); alcuni sono soggetti a valutazioni “modaiole” (dipinti, sculture, arte) con le eccezioni di oggetti d’arte antichi.

Da chi farsi consigliare? Sicuramente non da chi vi deve vendere l’oggetto, che lo decanterà come il miglior bene rifugio esistente.

Un perito sarà in grado di stabilire un valore teorico, magari diverso dal valore di mercato, ma non potrà dirvi se è un bene rifugio e se è in grado di mantenere il suo valore nel tempo. Un consulente patrimoniale indipendente sarà in grado di affiancarvi e di aiutarvi nella scelta più opportuna, non avendo nulla da vendervi: l’importante è che conosca la vostra situazione patrimoniale da ogni punto di vista, poiché un bene rifugio deve essere considerato parte dell’intero patrimonio e acquistato nelle adeguate proporzioni.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Rischio di declino per le imprese

E’ un dato di fatto, meno del 10 per cento delle aziende italiane riesce a superare la seconda generazione. Il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è composto, soprattutto, da imprese familiari, dove il capo famiglia è anche a capo dell’impresa. Per ragioni anagrafiche, ad un certo punto il capo dell’impresa dovrà cedere la propria impresa o a terze persone o a qualche membro della sua famiglia. Se la cede a terzi, incassa il valore stabilito e la storia finisce lì, se la cede a un familiare… la storia spesso finisce lo stesso. Nel senso che, spesso, i familiari dell’imprenditore non sono capaci di dare continuità a quanto costruito dal fondatore dell’impresa e l’azienda chiude. Perché? Il fondatore non riesce a trasferire le sue capacità.

Come si fa? Prima di tutto, bisognerebbe capire se i suoi eredi le hanno, queste capacità. O se sono più portati per altre attività. È inutile e dannoso portare a tutti i costi in azienda una persona che invece vuole insegnare a scuola (ad esempio).

Poi sarebbe utile capire come trasferire al meglio queste capacità, possibilmente potenziandole. E nello stesso tempo come non far sentire del tutto inutile il “vecchio” fondatore.

È un’attività di coaching, se vogliamo usare un termine anglosassone di moda. In un momento così difficile per l’economia, non possiamo permetterci di perdere anche le aziende che funzionano, di perdere posti di lavoro.

Poi bisogna curare anche gli aspetti successori dal punto di vista legale e finanziario, in modo che nessun erede sia trascurato o che siano lesi i suoi diritti. Per fare tutto ciò, è necessario che un professionista abbia il quadro complessivo della situazione sotto controllo. Un notaio? No, perché si occupa di formalizzare gli aspetti legali di una successione, ma è il cliente a dovergli dire come vuol redigere un testamento, ad esempio, e di sicuro il notaio non si occupa del futuro dell’azienda.

Un avvocato si occupa della questione legale, ma non di quella aziendale. Il commercialista si occupa di aspetti fiscali e tributari dell’azienda, non certo di passaggi generazionali e successioni. Tra tutte le figure, il commercialista è colui che conosce meglio l’azienda e ha una grande responsabilità nel fornire risposte adeguate quando l’imprenditore deve mollare il timone a qualcun’altro.

Ma se il commercialista non è il professionista più adatto, sarebbe bene che indirizzasse il proprio cliente verso chi può effettivamente dare un aiuto. E’ ora insomma che i commercialisti utilizzino i consulenti patrimoniali per fornire quei servizi che loro non possono dare, nell’interesse esclusivo del cliente. E che la smettano di dire al cliente “non si può fare”, solo perché loro non sono in grado di farlo. Bisogna che ogni professionista abbia il coraggio di ammettere i propri limiti e utilizzi degli specialisti quando è il caso. Auspico un futuro di collaborazioni proficue.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Il legno pregiato come investimento alternativo

Salvaguardare il patrimonio in tempi di crisi non è un’impresa facile. In particolare vorrei attirare l’attenzione su quello che potrebbe accadere se le valute dovessero perdere di valore, un po’ quello che è accaduto in Germania durante la Repubblica di Weimar, quando la carta moneta valeva così poco che si pesava anziché contare le banconote. 

Nel 1923 un litro di latte è arrivato a costare 26 miliardi di marchi!

La ricetta che gli Stati Uniti stanno proponendo nel 2013 sembra simile: per rimanere competitivi, aumentiamo la quantità di moneta in circolazione, causando svalutazione e inflazione, così riduciamo anche gli indebitamenti.

Se beni e servizi non crescono in egual misura, ecco che la moneta perde il suo potere d’acquisto, cioè il valore.

L’indebitamento degli Usa verso l’estero è così forte che la manovra inflattiva indurrà anche gli altri Paesi ad usare la stessa medicina. Se questo accadrà, come si può proteggere il valore reale del patrimonio? Acquisendo beni reali, che incrementino il loro valore e lo mantengano, indipendentemente da quanto accade all’economia mondiale.

Un ben reale di cui ho già parlato, e di cui parlano in molti, è l’oro. Un altro bene reale, di cui non parla mai nessuno, è il legno pregiato, cioè il legno usato per arredamento o costruzioni. Tutto il legno usato nel mondo ormai deve provenire da foreste coltivate, non è più possibile tagliare le foreste naturali. Quindi si andrà verso una risorsa scarsa. Per alcuni tipi di legnami, ad esempio il teak, c’è una forte richiesta da parte dei mercati asiatici, che lo utilizzano per la costruzione di case e ponti. Siccome i mercati asiatici sono in forte espansione, questo porta alla considerazione che “domanda in aumento + risorsa scarsa = aumento dei prezzi”.

Certo, bisogna coltivare il legno in zone del mondo non ancora sviluppate e con condizioni geo climatiche ideali, il legno hai tempi di crescita abbastanza lunghi e bisogna aspettare parecchio se si vogliono ottenere le dimensioni più redditizie del tronco. Ma ha anche il vantaggio che più si aspetta, più cresce e più valore si ottiene. E se al momento del taglio ci sono problemi sociali o politici, si può aspettare, intanto continua a crescere e non va a male. E’ un investimento sostenibile, ecologico, reale.

Questo tipo di investimento alternativo è da tempo utilizzato da moltissimi investitori istituzionali all’estero (fondi comuni, fondazioni, istituti religiosi, banche, family office, in Germania, Belgio, Svizzera, USA). In Italia è pressoché sconosciuto.

Sarà cura del vostro consulente patrimoniale stabilire quanta parte del vostro patrimonio è corretto investire in questo modo e soprattutto se rispecchia i vostri obiettivi di vita e il piano finanziario che avete concordato. Ma vale la pena rifletterci.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: il trust

Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera a cui si riferisce (sono diverse le legislazioni a cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust).

Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni, e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (ovviamente se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve). In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento.

Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica.

Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee), ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo le legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.

I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del  gestore, ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary).

Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà.

Tuttavia il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, né ledere la legittimità in caso di eredità di successione e in generale violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà.

Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone.

Devono essere seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust.

Esiste una normativa fiscale che riguarda tutti gli strumenti sin qui citati, abbastanza complessa, che non penso sia il caso di trattare in questa sede, anche perché non sono un fiscalista, ma che sarò ben lieto di estendere a coloro che me ne facessero richiesta.

La considerazione finale che mi permetto di fare è che, sempre, l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio proprio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: ecco il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti, deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi…). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi.

I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratto dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori.

La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo.

Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e se vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice.

L’aggredibilità da parte del fisco non è ammessa, secondo la Cassazione, perché il debito fiscale è considerato non in relazione con le  necessità famigliari, quindi in base all’articolo 170 c.c., il fondo appunto non è aggredibile.

Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia, ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni).

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: il contratto fiduciario

Con il contratto fiduciario, la società fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (legge n.1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. In parole povere, si incarica una società fiduciaria di agire per conto proprio ma in suo nome, non comparendo mai come “mandanti”.

Ad esempio, si può acquistare un’azienda, ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. E’ uno strumento che serve a mantenere la privacy e la riservatezza, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. E’ un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono innanzitutto un filtro, come già detto, e possono assumere funzione di trustee e protector, come vedremo parlando di trust, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni.

Inoltre, la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato”(art. 6 D.lgs. n. 461/1997).

Tutela del patrimonio: fondi pensione e polizze vita

I fondi pensione e le polizze vita che garanzie danno?

Partiamo dal fatto che le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte.

Il discorso sulle polizze è più complicato. Esse possono essere caso vita, caso morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza, possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita; quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci sono numerose variabili possibili.

Ripararsi dai creditori con le polizze vita non dà garanzie: la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, proprio con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico in tal senso. La sentenza riguarda i riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato.

Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono dunque essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento.

In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato, si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori.

Anche un’altra sentenza della Corte di Cassazione del 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire esattamente cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi.

E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Tuttavia, per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis