Sottosegretario MEF conferma: il Superbonus non è più sostenibile

Il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze rispondendo a un’interrogazione parlamentare ha sottolineato che il Superbonus 110% non è più sostenibile in quanto va ad incidere negativamente sul bilancio dello Stato.

Il Superbonus non è più sostenibile: manca la copertura finanziaria

Maria Cecilia Guerra, sottosegretario al MEF, ha risposto a un’interrogazione parlamentare (numero 3-02877), presentata dal senatore Andrea De Bertoldi (FdI). Nella interrogazione si sostiene che il Superbonus ha un elevato potenziale al punto che potrebbe autofinanziarsi, questo perché è in grado di aumentare il gettito Iva e le entrate Ires. Vuol dire che, grazie all’aumento della vendita di materiale edile e all’Iva applicata sui lavori e grazie alle maggiori entrate delle imprese produttrici, venditori e imprese edili, ci sarebbe per lo Stato una ricaduta in termini di maggiori versamenti Ires e Iva. Tali maggiori risorse sarebbero sufficienti a coprire i costi del Superbonus 110%.

I calcoli che però evidentemente fa il Ministero dell’Economia e delle Finanze sono diversi, infatti il sottosegretario Maria Cecilia Guerra nella sua risposta all’interrogazione parlamentare, sottolinea che attualmente i fondi già stanziati sono esauriti e se si vuole continuare a elargire questa particolare agevolazione fiscale che consente di recuperare fino al 100% delle somme, e fino al 110% nel caso in cui il contribuente decida di avvalersi in proprio delle detrazioni, è necessario reperire nuove risorse.

Sottolinea che a fronte di oneri certi, cioè i costi per le casse dello Stato, non si possono utilizzare gli effetti positivi indotti sulle economia che, evidentemente, ad oggi non ci sono. Maria Cecilia Guerra ha inoltre sottolineato che vi è un danno erariale dovuto anche alle condotte fraudolente e per questo motivo non è possibile introdurre ulteriori estensioni del perimetro di applicazione del decreto 34 del 2020 che prevede il Superbonus a fronte di lavori di efficientamento energetico che portano al recupero di almeno due classi energetiche.

Crisi di Governo e Superbonus

Da tali dichiarazioni in risposta all’interrogazione parlamentare sembra quindi che non ci siano ulteriori spazi di manovra per poter sperare in una proroga. Naturalmente su queste scelte andranno ad incidere il particolare momento politico che stiamo vivendo che vede un forte contrasto tra il Presidente del Consiglio Mario Draghi e Giuseppe Conte, che si trova alla guida del M5S. Proprio il M5S è un forte sostenitore di questa misura insieme al reddito di cittadinanza, questo implica che la “crisi” potrebbe essere risolta proprio attraverso concessioni su questi due temi al M5S. Non resta che attendere.

Nuovi aumenti prezzi carburanti, c’è attesa per un nuovo taglio accise

Non accennano a fermarsi gli aumenti prezzi carburanti con nuovi record nonostante il taglio delle accise. La guerra in Ucraina ha ormai superato i 100 giorni, chi credeva in una breve soluzione del problema deve purtroppo ricredersi e a pagarne le conseguenze sono tutti, anche i cittadini italiani che si ritrovano la benzina nuovamente oltre i due euro al litro, questo nonostante ci sia il taglio delle accise ormai in vigore da molti mesi e prorogato fino al giorno 8 luglio 2022.

Benzina e diesel: quanto costano a giugno 2022?

Mai come in questo periodo gli italiani vorrebbero ritornare in smart working, infatti proprio il lavoro da casa aveva contribuito a una discesa del prezzo durante il periodo del Covid, ma sembra che ora nulla riesca a far fermare almeno la corsa dei prezzi.

Chi ha fatto il pieno in questi giorni, soprattutto chi si è allontanato da casa per qualche giorno di relax approfittando del ponte per 2 giugno, sicuramente lo avrà notato, il prezzo della benzina ha superato 1,91 euro al litro al self service, al servito è oltre i due euro. C’è qualche distributore in cui il prezzo è schizzato oltre i due euro anche in modalità self.

Non va meglio per il prezzo del diesel che al self costa in media 1,83 euro. Secondo i calcoli di Federconsumatori una famiglia che nell’arco di un mese fa due pieni di carburante spende in media oltre 260 euro in più all’anno. Purtroppo l’aumento del costo dei carburanti si ripercuote anche su molti altri prodotti di largo consumo e in particolare sugli alimentari, sia perché attualmente il trasporto su gomma è il più utilizzato, sia perché la produzione ha costi maggiori proprio a causa dell’aumento del costo dell’energia, questo implica che tutti i prezzi sono in salita.

La corsa dei prezzi è in parte mitigata dal credito di imposta riconosciuto per agricoltori e imprese del settore pesca che possono utilizzare  in compensazione il 20% di quanto speso in carburanti, ora grazie al codice tributo reso noto dall’Agenzia delle Entrate la misura è diventata operativa e consente anche di contenere il costo di frutta, verdura e pescato al banco.

Per saperne di più leggi: Bonus carburanti per agricoltura e pesca, arrivato codice per compensazione

Nonostante le varie misure adottate, si stima un’attuale inflazione all’8% e probabilmente non accenna a diminuire.

Proroga del taglio accise sui prezzi carburanti quasi certa, aumenterà anche l’importo?

Buone notizie per gli italiani potrebbero arrivare dal Governo, infatti è quasi certa la proroga del taglio delle accise sui carburanti oltre il giorno 8 luglio 2022 (scadenza prevista per il taglio delle accise attualmente in vigore). Non è però esclusa qualche ulteriore buona notizia, infatti è possibile che ci sia un incremento del taglio e questo perché l’aumento del prezzo dei carburanti porta un gettito extra-iva e lo stesso potrebbe essere utilizzato per calmierare almeno in parte il costo alla distribuzione. A dare conferma che non si tratta solo di voci di corridoio è Maria Cecilia Guerra, Sottosegretario al Ministero dell’Economia.  Non ci sono invece particolari novità sul fronte del controlli dei prezzi che era stato più volte annunciato.

Non resta che attendere.

Superbonus 110%: 5 miliardi di crediti bloccati nel cassetto fiscale

La sottosegretaria al MEF, Ministero dell’economia e delle finanze, Maria Cecilia Guerra, nel corso delle interrogazioni alle Commissioni Finanze del Senato ha reso noto che nel cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate sono presenti 5 miliardi di crediti. Ecco perché.

Come funziona il cassetto fiscale

I bonus edilizi, tra cui il Superbonus 110%, consentono ora di ottenere i benefici fiscali anche attraverso la cessione del credito. In passato le agevolazioni avevano una ripartizione in diverse quote annuali di cui poteva avvalersi solo il beneficiario. Ad esempio il proprietario dell’immobile ristrutturato poteva portare in detrazione il 50% delle spese e gli importi avevano la forma di detrazione Irpef in 10 rate.

Oggi tutto è cambiato, infatti è possibile avvalersi dello sconto in fattura oppure cedere il credito a intermediari come le banche. Sono però state limitate fortemente le cessioni multiple. Una volta ceduto il credito all’impresa o alla banca, questi soggetti possono usarlo in compensazione con il loro debito fiscale. I crediti in attesa di accettazione da parte del cessionario, quindi nella fase di analisi delle richieste di cessione del credito restano nel cassetto fiscale.

Perché sono aumentati gli importi presenti nel cassetto fiscale dell’AdE?

Con il passare dei mesi emerge un abuso di questi strumenti e in particolare per quanto riguarda il Superbonus 110% definito dagli stessi esponenti di Governo come una delle truffe più eclatanti della storia d’Italia. Di conseguenza in corso il governo ha provveduto a modificare le norme attraverso misure anti-frode e si è provveduto ad aumentare i controlli. Tutto ciò ha generato confusione e blocchi anche da parte degli intermediari che, raggiunto l’ammontare del loro debito fiscale, non accettano più crediti e comunque prestano particolare attenzione nell’accettazione delle richieste di cessione del credito.

Da questo è derivato che nel cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate è cresciuto l’ammontare dei fondi disponibili.

In base ai dati dichiarati in audizione da Maria Cecilia Guerra al 19 maggio 2022 risultano in accettazione più di 5 miliardi di euro. Di questi 4 miliardi di crediti sono riferibili ad opzioni di prima cessione e sconto in fattura, 1,1 miliardi sono riferibili a cessioni successive. Inoltre 3,6 miliardi corrispondono a crediti per il Superbonus, mentre 1,5 miliardi si riferiscono a bonus edilizi ordinari.

Secondo il senatore Fenu, firmatario dell’interrogazione parlamentare, il numero elevato di opzioni riguarderebbe soprattutto gli sconti in fattura. Di conseguenza sono crediti maturati dalle imprese che si fa fatica a monetizzare attraverso le banche. Ricordiamo ad esempio che Cassa Depositi e Prestiti ha chiuso da mesi la sua piattaforma di cessione del credito, le banche di piccole dimensioni sono in difficoltà e non accettano tali crediti e le altre sono molto caute per non ritrovarsi crediti che potrebbero diventare carta straccia in seguito ai controlli. Le banche stanno comunque dando la priorità alle cessioni più vecchie.

Riforma del catasto: via libera alle nuove regole su adeguamento rendite.

Per un solo voto di scarto, la maggioranza in Commissione Finanze alla Camera approva la riforma del catasto, proprio questa maggioranza molto risicata fa capire come si tratti di un tema caldo che spacca la maggioranza, come in passato è già stato il per tetto all’uso del contante che ha addirittura visto il Governo andare sotto. Cerchiamo quindi di capire cosa cambia con le nuove regole.

Come funziona il Catasto

La riforma del Catasto è una delle più difficili da digerire, basti pensare che l’attuale sistema è in gran parte lo stesso delineato nel 1939 e che nel tempo è diventato obsoleto, o meglio, incapace di definire il vero valore del patrimonio immobiliare italiano

Il sistema del 1939 prevedeva due “elenchi”: il Catasto Terreni comprendente aree non edificate e il Catasto Edilizio Urbano comprendente invece i fabbricati industriali, civili e commerciali.  Il Catasto Edilizio Urbano poi nel 1993 è stato trasformato in Catasto dei Fabbricati. Il classamento di fatto si realizza tenendo in considerazione la tipologia di fabbricato  attraverso la qualificazione e classificazione del Comune in cui è ubicato e tenendo conto di vani, metri cubi e metri quadri e moltiplicando il valore per la tariffa di estimo.

La rendita attualmente si determina in base alla classificazione come fabbricato civile, signorile, popolare, ultrapopolare, economico, rurale, villini, ville, palazzi, uffici e abitazioni tipiche. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha però rilevato che l’eccessiva ampiezza delle zone censuarie, unita a criteri di classamento obsoleti e all’eterogeneità del patrimonio immobiliare, fanno in modo che i valori rilevati siano molto distanti da quelli reali.

Le varie maggioranze hanno più volte proposto la riforma, ma di fatto non si è arrivati mai alla conclusione. Questa volta sembra che proprio non ci sia intenzione di tornare indietro.

Riforma del Catasto: cosa è successo in commissione Finanze il 3 marzo?

Il 3 marzo 2022 in Commissione Finanze, per un solo voto è stato bocciato l’emendamento volto a cancellare l’articolo 6 della legge di delega che ha come obiettivo la Riforma del Catasto. L’emendamento proposto da Forza Italia andava a minare la parte essenziale della Legge di delega fiscale, infatti proponeva di eliminare dalla stessa la mappatura dei dati catastali e la revisione delle rendite con criteri aggiornati, lasciando solo la parte della legge dedicata all’emersione dei fabbricati fantasma, o meglio abusivi. Il Governo è stato però irremovibile e ha sottolineato più volte che qualunque variazione alla norma sulla Riforma del Catasto avrebbe fatto saltare tutto in quanto la stessa è fondamentale al fine di ottenere i fondi del PNRR.

Questo implica che al centro della riforma fiscale che si sta scrivendo resterà proprio tale parte definita epocale, infatti la Sottosegretaria al MEF Maria Cecilia Guerra ha affermato che si tratta di uno dei punti fondamentali della legge delega per la riforma fiscale.

Cosa prevede la riforma del Catasto?

Il primo obiettivo della riforma del catasto è realizzare un piano di revisione del sistema catastale che consenta di rilevare i dati catastali in modo immediato e quindi possa far emergere i fabbricati abusivi. Il secondo passo sarà invece compiuto il 1° gennaio 2026 e prevede l’adeguamento delle rendite catastali ai valori di mercato e patrimoniali. Uno degli obiettivi della riforma è facilitare l’accesso ai dati da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei Comuni attraverso la condivisione degli stessi.

La Legge di delega fiscale prevede anche che l’attualizzazione delle rendite avrà una sorta di eccezione per i fabbricati di interesse storico e artistico per i quali saranno previste riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario. Ciò in considerazione del fatto che per questa tipologia di immobili ci sono maggiori oneri legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria.

Tali valori, una volta determinati, in base al comma 2 dell’articolo 6, dovranno essere periodicamente aggiornati, ma dalle premesse fatte tali dati non saranno comunque utilizzabili al fine di determinare la base imponibile per la tassazione e quindi non avrà rilevanza a fini fiscali. C’è però da dire che se essi saranno i dati disponibili al catasto, appare evidente che dovranno essere dichiarati nei tradizionali appuntamenti fiscali degli italiani.

Proprio questo è il punto più discusso della riforma, infatti il sospetto di molti, e in particolare della Lega, è che siano utilizzati come strumento per un aumento delle tasse.

 

Pace fiscale: il 43% dei contribuenti ammessi non ha pagato. Proposte

Nuovo allarme bomba sociale: il 43% dei contribuenti che avevano aderito ai provvedimenti di “pace fiscale” sono decaduti dal beneficio. Nuove proposte per rientrare nei termini.

Cosa prevede la pace fiscale

La Pace Fiscale prevede una serie di provvedimenti volti ad agevolare la definizione dei debiti fiscali insoluti. Le misure messe in campo erano di diversa natura, tra queste lo stralcio delle cartelle esattoriali fino a 1.000 euro per il periodo compreso tra il 2000 e il 2010. Con il decreto Sostegni (governo Draghi), al fine di aiutare le imprese coinvolte dalla crisi pandemica, invece si è provveduto allo stralcio delle cartelle affidate all’agente di riscossione di valore fino a 5.000 euro. In questo caso deve verificarsi una condizione preliminare: il contribuente (persona fisica o impresa) nel 2019 deve aver maturato un reddito non superiore a 30.000 euro lordi. Per aderire a questa agevolazione non era necessaria alcuna istanza del contribuente, infatti l’Agenzia della Entrate ha provveduto automaticamente.

Per la rimanente parte invece era prevista una definizione agevolata Saldo e Stralcio. L’ultimo provvedimento rientrante nel piano di Pace Fiscale era la Rottamazione Ter prevista nell’articolo 3 del decreto legge 119 del 2018 e prevedeva la possibilità di accedere alla definizione agevolata per i debiti iscritti al ruolo tra il 10° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017. La definizione agevolata prevedeva la possibilità per questi debiti di pagare i soli importi senza sanzioni e interessi. Il pagamento poteva avvenire in un’unica soluzione, oppure con una rateizzazione in 10 rate dilazionate però in ben 5 anni. La normativa prevedeva anche la possibilità di compensare i debiti con il fisco con eventuali crediti maturati nel frattempo.

Il mancato pagamento delle rate prevedeva però la decadenza dal beneficio e quindi la riviviscenza dei vecchi importi da pagare.

Dati allarmanti per la pace fiscale: il 43% dei contribuenti è decaduta dal beneficio

Naturalmente la crisi pandemica ha influito sulla capacità di coloro che avevano aderito a far fronte alla rateazione e i dati sono allarmanti. Alla fine del 2021 solo il 57% di coloro che avevano aderito è ancora in corsa con i pagamenti, (718 mila contribuenti), mentre il 43 % è purtroppo decaduto dal beneficio. Si tratta di 532 mila contribuenti che non sono riusciti a pagare entro il 9 dicembre 2021 con tolleranza fino al 14 dicembre 2021 e decaduti dal Saldo e Stralcio e dalla Rottamazione Ter. Mancano all’appello 2,45 miliardi di euro che non potranno più essere riscossi mediante la definizione agevolata, ma dovranno essere riscossi in modo ordinario, quindi con interessi, sanzioni e senza sconti.

I dati sono stati forniti dal Ministero dell’Economia e delle finanze, attraverso la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra, in risposta all’interrogazione parlamentare del senatore del Movimento 5 Stelle Emiliano Fenu. Nella risposta si sottolinea che tali piani hanno beneficiato di un’ulteriore agevolazione in seguito all’inizio della crisi pandemica. La perdita dei benefici ha avuto una dilazione in caso di mancato pagamento da 5 a 18 rate per i piani in corso alla data dell’8 marzo 2020. Per i piani successivi all’8 marzo 2020 il numero di rate non pagate che porta alla perdita dei benefici ha avuto un innalzamento da 5 a 10. Infine, la soglia per la richiesta delle rateizzazioni ha avuto un incremento 60.000 euro a 100.000 euro.

Rischio di una bomba sociale e prospettive

Per il senatore Fenu è di forte al rischio di una vera e propria bomba sociale e a tale allarme non è indifferente il MEF che ha chiarito come di fronte a questi numeri è necessario agevolare i contribuenti. Proprio per questo motivo non è esclusa una nuova calendarizzazione, la stessa è richiesta in modo unanime anche dai Commercialisti che chiedono anche l’accesso a un nuovo piano di ammortamento dei debiti.

Nel frattempo è stato approvato un emendamento al decreto Milleproroghe che consente di rientrare nei piani di dilazione per i debiti rateizzati per i quali è intervenuta la decadenza anteriormente alla data di inizio della sospensione dei termini di versamento delle cartelle. La rateizzazione riguarda le richieste presentate tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2022 per una dilazione massima di 72 rate.